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Autore: iniustaverba    05/07/2016    0 recensioni
Stava sul davanzale della mia stanza, nonostante tutte le mie cure, quella stupida pianta era appassita, e quando vidi che era l’ora di buttarla ero sicuro di essere appassito anche io, con lei, lentamente, con dolore, eppure non riuscivo ad avvicinarmici, me la ricordava così tanto, che il solo pensiero di buttarla nel cestino mi faceva sentire uno schifo, perché sapevo che avrei buttato anche il ricordo di lei nella spazzatura e non riuscivo a farlo e basta.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera a tutti.
Mi è venuta questa piccola cosa in mente oggi, mentre stavo ascoltando una canzone e niente, l’ho buttata giù, di getto, cosa che non facevo da molto tempo.

È un po’ triste, immagino, ma ho adorato scriverla e spero che vi piaccia.
Un bacione.
Cleo.


 

Implicit demand for proof.

Lettere ad un amore lontano.

 

13 maggio 2016.

 

Aspettavo da tempo che quella piccola piantina di magnolia appassisse, era malaticcia, spenta, aveva perso il suo colore acceso di un tempo, e ricordo ancora quando l’avevo comprata, in un negozio di fiori tenuto da una signora che si faceva chiamare Frida, ma ero piuttosto sicuro di aver sentito dire che non era il suo vero nome.
Stava sul davanzale della mia stanza, nonostante tutte le mie cure, quella stupida pianta era appassita, e quando vidi che era l’ora di buttarla ero sicuro di essere appassito anche io, con lei, lentamente, con dolore, eppure non riuscivo ad avvicinarmici, me la ricordava così tanto, che il solo pensiero di buttarla nel cestino mi faceva sentire uno schifo, perché sapevo che avrei buttato anche il ricordo di lei nella spazzatura e non riuscivo a farlo e basta.
Sono sicuro che avrai afferrato la mia metafora, quella magnolia per me era lei, te ne voglio parlare, è l’ora di parlarne.

Le piaceva disegnare diversi tipi di alberi su un piccolo quaderno di carta riciclata e classificarli tutti, a mano a mano che scopriva di che specie fossero, adorava farlo e io adoravo guardarla mentre lo faceva, mentre era seduta nei posti più imprevedibili, ogni volta che trovava un albero che non aveva mai visto, adorava la natura, adorava tutto ciò che ne derivava, amava così tanto la vita, amava andare sul pontile del porto e respirare l’aria fresca che le accarezzava tutto il viso roseo, quando ancora il colore dominava sul suo volto, quando ancora riusciva ad arrossire per un complimento.
Amava stare su quel pontile, guardare le barche partire per un lungo viaggio, salutarle con la sua mano estremamente piccola e immaginarsi dove fossero dirette, e poi si voltava verso di me, seduto sulla panchina, imbacuccato nella mia felpa preferita, che poi è diventata anche la sua, ed era così bella, nemmeno me ne capacito e non mi capacitavo che ogni giorno mi sfuggiva dalle dita come fumo, ma mi piace pensare che io le ho dato tutto me stesso e che ho fatto il possibile per lei, mi piace sempre ricordarmela sorridente, su quel pontile al porto.

Mi piace ricordamela con i piedi nudi sulla spiaggia, una sera di mezza estate, con un fiore rosso sui capelli e un vestito che la circondava quel corpo così leggero, mi piace ricordarmela sul divano, la sera, con i capelli bagnati e una ciotola di pistacchi sulle cosce lisce come seta.
Mi piace ricordami dei nostri viaggi, voleva vedere il mondo, e io ce l’avevo portata, in giro per il mondo, piano piano visitavamo un paese straniero, arrangiandoci con quello che avevamo, guardando i tramonti dalle colline della Scozia e bevendo caffè il pomeriggio in una piazza medievale.
Le piaceva la neve e io l’ho portata in montagna, durante l’inverno, così poteva sentire su quelle mani gentili il freddo, poi tornavamo nell’albergo, infreddoliti e lei prendeva sempre una cioccolata calda con la panna e il naso le diventava tutto rosso, nel salone si sentiva lei, che riempiva quelle mura con la sua risata, vicino ai vetri appannati, dove sopra aveva scritto il suo nome, come una bambina piccola, e io avevo tirato la testa all’indietro per ridere e cercare di imprimere quel ricordo per sempre nella mia mente.
Quando tornavamo a casa nel Surrey era sempre un po’ triste, ma poi usciva in giardino e mentre fumava l’ultimo tiro dell’ultima sigaretta del pacchetto, si ricordava che saremmo ripartiti presto e il suo animo si riscaldava di una felicità quasi infantile, e io seduto sulla sedia di vimini sapevo che lei era felice, quindi ero felice anche io.
Ogni mattina che Dio metteva in terra, leggeva un giornale locale, tenendo accanto a sé un quadernino, per scriverci i titoli del giorno, annotandoli con la data, così non se li sarebbe dimenticati, ma ogni giorno, almeno un po’, dimenticava me, per lei stavo scomparendo, stavo diventando una piccola ombra su un muro illuminato da luci di Natale, un po’ malfunzionanti, stavo diventando un riflesso sbiadito sul vetro della finestra e non era quella la parte peggiore, la parte peggiore era che io invece mi ricordavo tutto di lei, il suo profumo, i suoi polpastrelli morbidi, i fiori che si disegnava sui polsi con una penna la mattina nel letto, che ancora profumava di noi e del nostro amore un po’ squinternato, ma bello da morire.
La parte peggiore era essere consapevole di non poter condividere con lei quei ricordi, ancora limpidi nella mia mente, limpidi come l’acqua di un lago la mattina, quando il sole sta facendo capolino.
Lei se ne è andata un giorno di Marzo, prima che la primavera scoppiasse del tutto in tutta la sua bellezza, con i suoi colori accesi, vividi, caldi, prima che i boccioli di rosa si schiudessero per rilasciare quei petali che a lei piacevano tanto, che una volta morti raccoglieva e li metteva in un barattolo trasparente, che teneva sul comodino in camera e li guardava prima di spengere la luce.

Le se ne è andata nel sonno, con delicatezza e con le labbra increspate in un sorriso consapevole, non aveva mai avuto paura, era sempre stata curiosa, ma io invece sentivo di aver perso me stesso, completamente, ogni parte del mio corpo sembrava essere morta, mentre le leggevo l’ultima poesia di Jaques Prévert in francese, proprio come piacevano a lei.
La gola mi bruciava, mentre la mia mano era ancora stretta alla sua.

Ho sperato con tutto il mio cuore che sapesse che le avevo dato tutto me stesso, ogni angolo del mio corpo, ogni respiro d’amore.
Il primo giorno che ho visto una rosa fiorire ho sorriso malinconicamente, dopo che avevo buttato quella magnolia secca, l’avevo tagliata, pungengomi con le spine, e con cura l’avevo messa in un vaso e l’avevo appoggiata al posto della magnolia, avevo guardato quei petali di rosa appassiti e di nuovo, con nostalgia ho sorriso.
«Grazie» ho sussurrato.
Quella era la prova che avevo chiesto, sapevo che, nonostante tutto, lei sarebbe stata per sempre con me.
«Va bene così» e andava bene davvero.

 

   
 
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