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Autore: Mikky    05/07/2016    1 recensioni
Non tutte le famiglie sono perfette, una in particolare nasconde uno sporco segreto che è ora di svelare. Ma a quale prezzo?
Genere: Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Spencer Reid, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'S&M'
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Addio


Minerva guardò la lapide davanti a lei senza provare assolutamente nulla. Era come se, dopo quel colpo e quel fiume di lacrime, non avesse più nemmeno un sentimento in sé.
Dopo aver ucciso sua madre era andata in centrale con la squadra e lì aveva fatto una deposizione in cui spiegava le dinamiche che l’avevano portata a sparare, che furono confermate sia da Martine e da Everett. Sarebbe partita un’indagine interna e le sarebbe stato dato un congedo per un paio di giorni, per riprendersi, ma non era sicura che sarebbe servito a molto. Non bastava un periodo di vacanza per toglierle dalla testa quella scena.
I genitori della piccola Martine era venuti a prenderla, avevano ringraziato e pianto mentre la riabbracciavano, ma quando anche gli Hunter arrivarono ci furono solo urla, accuse e altri arresti. Anche loro sarebbero stati indagati per gli esperimenti e per quello che era successo. Non avrebbero preso una pena pari a quella di suo padre, ma probabilmente sarebbero andati in carcere per un po’ di tempo.
La sua famiglia era ufficialmente andata in pezzi.
Aveva partecipato al funerale di sua madre solo per avere la certezza che fosse realmente tutto finito, che almeno una di quelle persone che non avevano fatto altro che torturarla fosse effettivamente morta. Niente buoni sentimenti, niente pianti. Era rimasta ai margini della folla di persone che l’aveva amata, e che continuava incredibilmente ad amarla, a pensare a tutto quello che le aveva fatto, alle notti passate sopra i chicchi di riso in ginocchio mentre le chiedeva la tavola periodica, al sorriso malvagio di quella che doveva essere sua mamma mentre la chiudeva nello sgabuzzino…Come poteva piangere per la sua perdita?
E in quel momento, davanti alla lapide di quella che doveva essere la persona che le avrebbe sempre voluto bene, non provava più nulla. Ogni sentimento le era scivolato via, lasciandola vuota e da sola.
Lei sempre carica di vita, in un eterna altalena tra buoni e cattivi sentimenti, lei che non nascondeva mai nulla, lasciava trasparire tutto, non aveva più niente. Era solo un guscio privo di qualsiasi affetto e pensiero.
La squadra non era venuta alla cerimonia. Hotch le aveva consigliato di non andare, non sarebbe servito a nulla, ma lei non l’aveva ascoltato. Così loro erano tornati a Quantico e lei era rimasta.
Nemmeno Cris era andato alla funzione, aveva fatto le valige ed era tornato al suo ruolo di detective a Los Angeles promettendole che l’avrebbe chiamata, ma Minerva non ci credeva. Le aveva detto la stessa cosa anni prima e non si era mai fatto sentire.
Sospirò esausta e si avviò verso la macchina presa a noleggio. Era ora di tornare e vedere se qualcosa le era rimasto dopo tutta quella cavolo di situazione. Per quelle 5 ore di viaggio continuò a pensare e a immaginare cosa l’attendesse nel suo appartamento.
Aveva evitato Spencer per tutto il tempo dopo quello scoppio di pianto nel laboratorio. Si era sentita in imbarazzo per quella fragilità, ma aveva anche percepito quel suo prendere le distanze da lei e aveva capito. Lui non l’avrebbe più vista nello stesso modo, non l’avrebbe più amata nello stesso modo.
Così, ripreso un po’ di contegno, aveva scelto di essere professionale, di essere adulta, lasciando la sua parte adolescenziale per la solitudine della sua stanza. Lì aveva pianto fino a finire le lacrime, fino a sentire ogni parte del suo essere, comprese la sua anima, scossa dai singhiozzi.
Ma davanti al dottor Reid era forte e controllata, mentre dentro le si spegneva l’anima, e, ora, seduta su quel sedile, in mezzo ad altre cento persone e la musica nelle orecchie, si chiedeva se sarebbe mai riuscita ad andare avanti e la risposta ce l’aveva già, solo che non voleva prenderla in considerare.
Avrebbe dato una sola possibilità alla sua vita di riprendere i binari giusti e cominciare ad andare nella direzione giusta, in caso le cose non fossero andate avrebbe fatto l’unica cosa sensata che le rimaneva.
Prese uno dei taxi fuori dall’aeroporto e pregò durante il tragitto verso casa che, per un qualche miracolo, le cose sarebbero andate bene. Pregò di trovare Spencer ad aspettarla seduto sulla sua poltrona, quella che aveva portato da casa sua, perché mai se ne sarebbe separato. Pregò per sentirsi dire che era tutto ok, che le cose sarebbero andate bene e che, fanculo, lui l’amava.
Be’, di sicuro non avrebbe usato proprio quelle parole, ma il senso sarebbe stato quello.
Eppure l’appartamento era vuoto. Nessun buon Dio l’aveva ascoltata.
Lasciò il trolley in entrata e avanzò lentamente guardandosi attorno. Mancavano delle cose: libri, vestiti, foto della famiglia Reid, oggetti vari…
Sul letto, perfettamente rifatto, c’era un biglietto. Lo prese con un ultimo sprazzo di speranza che fosse tutto un malinteso, che ci fosse una spiegazione diversa da quella che le frullava nella mente.
Lo lesse velocemente più e più volte, finche il suo cuore non si spezzò completamente e lo fece con un suono sordo ma che riempì completamente quelle mura.
Se n’era andato per sempre.

Reid fece finta di nulla, ripetendosi dentro di sé tutte le cifre del P greco, ma nemmeno così riuscì a ignorare gli sguardi preoccupati di Blake e Morgan.
Aveva dato la notizia della sua decisione durante il caso successivo, quando J.J. gli aveva chiesto di chiamare Hunter per chiederle alcune informazioni su dei pigmenti che avevano trovato sui corpi delle vittime. Con tranquillità si era rifiutato dicendo che l’aveva lasciata e che non era il caso farsi sentire così presto.
A sorpresa la sua amica si era infuriata, soprattutto quando aveva sentito come le aveva datto la notizia della sua decisione. Era crudele, era vero, ma nessuno di loro poteva capire cosa ci fosse dentro di lui.
Amava Minerva con tutto il suo essere, ma si era sentito tradito. Aveva abbassato le difese per lei, l’aveva fatta entrare nella sua parte più oscura e l’aveva resa partecipe della sua vita, anche di quella che i suoi colleghi, la sua famiglia, ignoravano. Eppure lei si era presa gioco di lui, l’aveva preso in giro. Non si era fidata.
Come poteva fidarsi ancora di lei? Il matrimonio non si basava sulla reciproca fiducia?
Pensava l’avessero capito, che lo avrebbero sostenuto, ma l’intera squadra si dichiarò neutra. Si preoccupavano per lui, ma non si sarebbero sbilanciati a dargli torto oppure appoggiare la sua posizione.
Entrò nel loft degli uffici seguito dai suoi due colleghi e videro J.J. e Garcia sedute sulla scrivania della prima, che osservavano la finestra dell’ufficio di Hotch. Dentro si vedevano il caposquadra, Rossi e Minerva che parlavano.
L’italo-americano accarezzava dolcemente la schiena della ragazza che gli sorrise prima di abbracciarlo. Dave le prese il volto fra le mani, spostandole i capelli indietro e le parlò prima di posarle due baci sulle guancie. Poi toccò ad Aaron.
Non si era mai sbottonato con nessuno, se non con il piccolo Jack, ma con lei lasciò trasparire le emozioni. L’abbracciò forte per pochi secondi e poi le sorrise.
Parlarono ancora un po’, finche Minerva non uscì dall’ufficio, seguita da due uomini, che però si fermarono a guardarla, appoggiandosi al parapetto del piano sopraelevato, mentre lei scendeva le scale.
Superò la squadra senza salutare, senza nemmeno degnarli di uno sguardo o sorridere, passò semplicemente oltre.
Spencer la seguì con lo sguardo, trovando qualcosa di strano in lei. Non era l’abbigliamento, che la faceva sembrare una versione castana di J.J., ne i capelli perfettamente ordinati. C’era qualcos’altro…
La vide con sicurezza prendere l’ascensore e quando si voltò e la vide in viso, capì: aveva preso in mano la sua vita. Sarebbe andata avanti con o senza di lui.
In meno di una settimana era diventata una donna decisa e forte, che aveva fatto i conti con il suo passato, con sé stessa. E lui era rimasto fuori.
Non riusciva a capire se ne era felice oppure no, se si sentiva abbattuto o sollevato per quella scoperta. I loro occhi si incontrarono per pochissimi secondi, ma le porte si chiusero e lei scomparve dalla sua vista. Non ebbe il tempo di analizzare come si sentisse a non averle detto addio che Rossi lo chiamò.
Lasciò la sua borsa sulla scrivania e si diresse verso l’ufficio del supervisore. Hotch gli fece cenno di sedersi e lui accettò sorridendo. “E’ successo qualcosa?” domandò un po’ a disagio.
Di solito non lo convocavano mai, almeno che non ci fossero problemi molto grossi nella sua misera sfera personale, e il fatto che fosse stato chiamato dopo che Minerva era uscita dal quello stesso ufficio non faceva presagire nulla di nuovo.
“Hunter non fa più parte della squadra” annunciò Aaron in tono freddo e distaccato e diede a Reid la sensazione di una cascata d’acqua gelata sulla schiena. Non aveva mai pensato a un’eventualità del genere, si era solo aspettato che Minerva non sarebbe più venuta così spesso sulle scene del crimine, che non avrebbero più condiviso la camera, non che se ne sarebbe andata.
“Ha deciso di lasciarci per evitarti momenti di imbarazzo o darti fastidio” continuò Dave.
Forse aveva capito cosa volevano: che la convincesse a rimanere nella squadra.“Proverò a parlarle questa sera…”.
“Non è quello che vogliamo e nemmeno quello che vuole lei” Hotch prese la sedia e la mise davanti a lui. Non era una cosa bella, voleva dire che era successo qualcosa di molto grave, qualcosa di difficile da digerire. “Vedi, Spencer, ha deciso di lasciare Washigton Non vuole più lavorare né con noi né con l’F.B.I. ha deciso di tagliere i ponti con tutti”.
“Ci ha dato il permesso per usare il suo appartamento come casa sicura. Logicamente ha chiesto di parlarne anche con te visto che ci avete vissuto insieme per un paio di anni…”.
“Perché?” chiese il giovane guardando Rossi “Perché dovremmo usare l’appartamento come casa sicura?”.
“E’ già stato pagato per un anno e Minerva non vuole tornare a Washigton”.
Gli sembrò di annaspare “OK. Se è così, va bene” provò ad alzarsi, aveva bisogno d’aria, ma David lo fermò.
“Ci ha chiesto di darti anche questo” e gli porse il cofanetto blu.
Sapeva esattamente cosa c’era dentro, ma lo aprì ugualmente. Aveva bisogno di avere la conferma.
Il piccolo solitario brillò, ma sembrava spento, opaco, come se avessero prosciugato in lui qualsiasi gioia per cui risplendere.
Il ragazzo chiuse la scatolina e andò verso la porta. Sentì distrattamente Aaron che gli comunicava che c’era un caso di cui discutere in sala riunioni e che, se avesse voluto, avrebbe potuto raggiungerli quando voleva.
Ma lui non voleva. Si sedette sulla sedia della sua scrivania e aspettò che quel senso di abbandono scomparisse.


L’amore non muore mai di morte naturale. Muore perché noi non sappiamo come rifornire la sua sorgente. Muore di cecità e di errori e tradimenti. Muore di malattia e di ferite, muore di stanchezza, per logorio o per opacità. -Anaïs Nin-
Fine


Un angolino tutto mio
Vi ringrazio di aver usato un po’ del vostro tempo per leggere questa storia, spero vi sia piaciuta e se potete lasciatemi un commentino per sapere cosa ne pensate.
Ringrazio un sacco Ouden e ali2188 per averla inserita tra le storie da seguire. Grazie veramente di cuore!
Ci vediamo alla prossima storia su Minerva e Spencer perché, ebbe sì, non finisce qui!
Un saluto e un bacione!
  
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