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Autore: Bishamonten    06/07/2016    0 recensioni
[Frankenstein]
"Purtroppo il nostro aspetto rappresenta l'incubo più oscuro, la bruttezza più assoluta e non siamo per loro che mostri e non uomo e donna, in pochi riescono a superare le nostre deformazioni, eppure proviamo sentimenti, parliamo, sentiamo, pensiamo come ogni essere umano.. forse la natura ha reso in nostro corpo deforme per allontanare la superficialità e avvicinare l'affetto più sincero e non basato sulla temporanea bellezza"
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 2 -

rimasi con gli occhi chiusi in un'insopportabile attesa, aguzzando le orecchie e cercando di nascondere la meraviglia e lo stupore, tutti i miei sensi erano diretti a quei piccoli fruscii tra le foglie, a quegli affannosi e dolci respiri che disegnavano una figura proprio sull'albero dietro di me e che mi sovrastava. Un'altra creatura come me? Vissuta in un mondo infelice, calpestata dagli uomini ma dall'animo buono e mite come il mio?. Mi sentivo pervadere da una felicità forse non meritata, ma calorosa e attesa come nessun'altra emozione, non sentivo neppure il dolore alla gola per la sete, o i gorgoglii del mio stomaco per la fame, nemmeno le percosse che ricevevo mi destavano dalla mia quieta speranza. Finalmente, la mia lunga attesa trovò sfogo, infatti, proprio quando la folla decise di farmi alzare per portarmi alla morte, la figura che attendevo saltò dall'albero con un balzo e con una velocità non umana si avventò sulla gente, quasi con presunzione, come se sapesse già di non aver bisogno di forza per liberarsene. Mi slegò rapidamente e mi invitò a darle una mano; mai mi ero sentito più vicino alla morte ma allo stesso tempo così attaccato alla vita! Corsi addosso a quella gente spaventata, emettendo ruggiti, ululati, ciò che più si allontanava dall'uomo, e lei fece lo stesso, ma senza torcere capello ad alcuno, la paura bastò a farli fuggire tutti, lasciando solo confusione sul terreno che avevano calpestato e su cui sarei potuto diventare cibo per vermi.

Lei prese una delle fiaccole rimaste a terra e mi fece cenno di seguirla in mezzo al bosco: non proferì parola per tutto il viaggio, era così buio che a stento riuscivo a vederla, le fiamme mi permettevano di scorgerne pochi tratti, come i lunghi, sporchi capelli neri, o come le gambe esili e bianche, che non coprivano a dovere le arterie, proprio come le mie. Le cicatrici erano molto visibili, con le mie stesse cuciture, solo più marcate. Che fosse appena risorta dallo stesso inferno da cui Frankenstein mi aveva rubato? E chi era l'infelice? Chi avrebbe voluto patire le stesse sofferenze mie e del mio creatore? La curiosità mi attanagliava, facendomi tremare mentre cercavo di allungare il passo e starle più vicino.

Finalmente, dopo un breve tratto ai miei occhi infinito, apparve tra gli arbusti una piccola casetta in legno, rovinata dall'ultimo inverno, con un orticello accanto e un cavallo bruno che pascolava del fieno sotto una capanna annessa. Lei aprì senza problemi la porta e mi fece segno di seguirla, così mi avvicinai piano, un po' per timore, un po' per curiosità, e mi decisi ad entrare, mentre lei mi attendeva sull'uscio. L'interno della casetta era molto modesto: c'erano due poltrone sempre in legno, un camino acceso che emanava un piacevole tepore per sfuggire al freddo della notte, e sulla destra, vi era una piccola e povera cucina con pochi utensili; vi era una pentola sul fuoco acceso che emanava un piacevole odore che rendeva la casetta ancora più accogliente. Fu allora che notai la maschera che indossava e che le copriva quasi tutto il viso; non capivo, cosa poteva mai nascondere una come lei? Qualche segno che rendeva meno attraente il suo giovane viso?. La ragazza mi fissò con aria stupita per qualche attimo e spalancò la bocca, all'inizio pensai lo facesse per urlare dal terrore, invece si tramutò presto in un sorriso, misto di speranza e meraviglia, che non avevo mai visto rivolgermi. Mi sentii il petto bruciare dall'incredulità; perché mi guardava in quel modo? Per pietà? Non poteva essere veramente felice di vedere una creatura come me, un enorme e riluttante rifiuto la quale la natura ha rifiutato di porgere la sua mano, con orrende cicatrici che ricoprivano il mio intero corpo giallastro, e i miei occhi, Dio se avessero qualcosa di umano e se avessero mai trasmesso vita!. Si fermò a mezzo metro da me. I suoi occhi vispi e scuri mi scrutarono da cima a fondo: studiava ogni mia cicatrice, ogni mio lembo di pelle cadaverica, mi toccò i capelli e non mi mossi, immobilizzato da un'insolita impotenza.

  • sarai spaventato – disse improvvisamente – sei dunque tu la creatura demoniaca? Il mostro che tutti temono e allontanano? Ho sentito del trambusto e sono venuta a controllare. Ti hanno fatto del male? Posso in qualche modo alleviare i tuoi dolori? -

    Presi coraggio e incontrai il suo sguardo, ammirandone per qualche istante la bellezza: gli occhi scuri e senza traccie giallastre trasmettevano vita e sentimenti gentili, così decisi di chiederle – chi siete? Non mi temete? Non siete spaventata dal mio orribile aspetto? -

  • perché parlate in questo modo? - disse avvicinandosi - guardatemi –. Così, senza alcun preavviso, tolse la maschera, portando alla luce il suo enorme e deformato viso, anch'esso contornato da lunghe cicatrici: una parte della nuca era come scivolata all'indietro, così da portare l'orecchio destro ad assumere una posizione inumana; anche uno degli occhi era stato soggetto a questa massa, quasi schiacciato e costantemente socchiuso. Solo le labbra e la parte sinistra del viso erano rimaste illese.

  • Non sono forse l'ultima sulla terra che potrebbe permettersi di giudicare per l'aspetto? Il viso delle mie coetanee è simbolo di vanto, hanno occhi grandi, labbra rosse e sottili, una pelle rosata e liscia. Mentre il mio è deforme. Ho imparato a vedere la bellezza delle persone nell'animo e nelle loro gesta, ma chi possiede la bellezza spesso focalizza unicamente su questa i suoi interessi e i suoi giudizi, ma voi mi sembrate particolarmente sofferente per il vostro aspetto, deriva forse dal pregiudizio di quei pastori? Spero possiate perdonarli, non sono cattivi, ma accecati dalla fame, qualcosa uccide i loro greggi e le loro famiglie penano per questo -

  • non porto rancore verso di loro, credetemi. Dunque, chi siete? -

  • mi chiamo Lily – rispose indicandosi – ho la cena sul fuoco, posso permettermi poco, ma sarei felice di dividere con voi il mio povero pasto -

Ero onorato da simili parole, così innocenti e cariche d'affetto, come poteva essere così gentile qualcuno a cui era stato riservato un dolore simile al mio?

Quando mi sedetti a tavola lei mi servì immediatamente, porgendomi anche un bicchiere d'acqua. Si unì presto a me e mi chiese se necessitavo d'altro.

  • avete fatto fin troppo – risposi – nessuno si era mai prodigato per darmi un pasto caldo e un rifugio dove riposare -

  • parlate davvero? Dovete aver passato una vita molto dura. Io non voglio giudicarvi, quindi se può in qualche modo aiutarvi ad alleviare le vostre sofferenze, confidatevi senza timore, le vostre parole non usciranno da queste mura -

  • non credo che riuscireste ad offrirmi ancora un pasto se vi raccontassi la mia miserabile storia, o che comprendereste il mio immenso dolore, vi posso solo dire che la mia vita è stata colma di solitudine e sofferenze per me, l'uomo non mi ha mai riservato che disgusto e indignazione solo per il mio aspetto e non per le mie doti, nonostante questo ho sempre cercato di avere relazioni con loro, ma sono sempre stato rifiutato. Mio padre per primo è scappato da me, spaventato dalle mie sembianze; però, accecato da uno straziante dolore, ne ho arrecato altro proprio a chi mi aveva creato. Che Dio possa perdonarmi per questo! merito il suo castigo e tutte le torture sulla terra, sono infatti giunto dalle montagne alla ricerca di un luogo asciutto dove esalare i miei ultimi respiri, ma sono stato colto alla sprovvista da quei pastori e hanno ritardato la mia esecuzione -

  • sono molto addolorata sentendo ciò che avete passato, ma la morte non è una soluzione adeguata per scampare dai problemi della realtà. Mi ascolti, anche per me non sono stati facili tutti questi anni, non vorrei sembrarle presuntuosa e forse il mio dolore non è nulla paragonato al vostro, ma vorrei che ascoltaste la mia storia, mentre consumiamo la cena, sperando che a fine racconto capisca che vale la pena vivere -

si rischiarì la gola prima di cominciare, e bevve lentamente il suo bicchiere d'acqua.

  • sono nata in una piccola cittadina a Sud dell'Inghilterra da una famiglia nobile locale. Il parto è proceduto bene, ma quando i miei genitori mi hanno vista per la prima volta, spaventati dal mio aspetto, mi hanno rigettata nella culla e noncuranti delle mie condizioni, sono fuggiti. Mia madre e mio padre, chi più di tutti avrebbero dovuto riservarmi affetto e amore incondizionatamente, mi hanno allontanata, senza neppure darmi un nome. Sono quindi stata allevata da mia zia, anche lei molto crudele nei miei confronti: già in tenera età mi picchiava, colpevolizzando me per le mie deformità. Quale essere umano farebbe una cosa simile al sangue del suo sangue!. Odiavo la mia vita: quando riceveva ospiti ero costretta nascondermi perché l'avrei fatta vergognare, dovevo inoltre indossare una maschera costantemente giorno e notte, per evitare che la spaventassi con il mio passaggio nella casa. Ero un rifiuto per tutta la famiglia. Non mi era permesso uscire, ne giocare, ne mangiare più degli scarti che mi venivano serviti; spesso pensai al suicidio, certamente la zia non se ne sarebbe dispiaciuta, ma ero troppo attaccata alla vita e non ci riuscii. Ogni giorno le ferite aumentavano, per quanto possibile cercavo di eliminare qualsiasi espressione, ero impassibile, non versavo lacrime nemmeno dopo le più strazianti torture, non avrebbe mai ottenuto la mia tristezza, il mio dolore non le sarebbe mai appartenuto.

    Mia zia, come tutta la famiglia, era ricca, sperperava in abiti e gioielli preziosi tutti i suoi averi, mentre la servitù riceveva una minuscola somma con cui mandare avanti una larga famiglia. Ero continuamente vittima di un'insana gelosia, odiavo i miei genitori più di ogni altra cosa, non si preoccupavano del mio benessere, in tutti quegli anni non avevo ricevuto neppure una loro visita. Tramavo vendetta, provavo repulsione per ogni essere umano e soprattutto per il mio corpo, desideravo fuggire così ardentemente che sognavo la fuga anche durante il sonno. Ma ero sola, nemmeno la servitù si avvicinava per paura di una possibile infezione, ma l'unica malattia diffusa in quella casa era il pregiudizio e l'odio, uccidere un membro della servitù non era un reato, nessuno se ne sarebbe curato se non i suoi numerosi figli.

    Un'estate, compiuti i 7 anni, mia zia, quell'anima dannata, venne a svegliarmi molto presto e ordinandomi di raccogliere i miei stracci perché saremmo uscite. Mi portò in un edificio bianco sporco, una specie di ospedale, ma ancora più triste e tetro; nel corridoio sentivo urla, graffi sulle porte, e alcuni muri erano macchiati di sangue. La zia mi tenne per mano durante il percorso e percorremmo vari di quei corridoi sporchi, poi aprì una porta, forse la più rovinata di tutte, e mi gettò dentro senza dirmi una parola. Solo qualche tempo dopo scoprii che quello era un laboratorio dove si conducevano esperimenti umani. Non ero l'unica, c'erano moltissimi altri bambini della mia età o poco più grandi, tutti con una qualche malformazione, portati lì perché non voluti, dicevano alcuni, e nessuno se ne sarebbe preoccupato se fossimo morti. La missione di quei miserabili scienziati, chiamati UNITA' M, era trovare una medicina universale che curasse efficacemente ogni malattia, anche la nostra; dopo qualche mese in quel luogo, iniettata di tubi e medicinali, con il corpo dolorante e vittima di svenimenti continui, quei medici annunciarono che avrebbero condotto un altro tipo di esperimento su i più deformi di noi, la chiamarono “chirurgia plastica”. Furono gli anni più dolorosi di tutta la mia esistenza. Fisicamente ed emotivamente stavo morendo. Il cibo era scarso e aberrante, non c'era riposo, eravamo continuamente sotto i ferri, sanguinavamo copiosamente e non c'era pietà verso di noi, ci lasciavano annegare nel nostro sangue, a volte non ricucivano nemmeno le ferite, queste si infettavano e presto il paziente moriva nelle sofferenze più atroci che un uomo possa mai avere la sfortuna di sopportare, mangiavamo, dormivamo, respiravamo tra cadaveri... morire non era solo un'opzione, ma il sogno di tutti.

    Queste cicatrici che ricoprono il mio corpo circondate da fil di ferro, sono il segno del passaggio di quegli infami! Ancora oggi mi causano dolore e incubi notturni, non avrò mai pace e non ne concederò loro, è questo il mio destino, inseguirli e farli collassare sotto la mia stretta mortale: il mio viso tumefatto e le cicatrici che hanno distrutto per sempre il mio corpo saranno l'orrenda visione che li accompagnerà tra le braccia della morte beffarda.

   
 
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