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Autore: LyaStark    07/07/2016    1 recensioni
Nel regno di Viride far parte della Corporazione degli Assassini è un privilegio, e Marcus ne è più che mai consapevole. Lui e i suoi amici vivono per obbedire, per soddisfare i desideri della famiglia reale. Ma cosa fare quando è la figlia del Re a chiedere aiuto, andando contro la sua stessa famiglia? Cosa fare quando il nemico è la Regina stessa, implacabile e pericolosa?
Marcus e i suoi amici dovranno capire in chi riporre la loro lealtà, ma hanno poco tempo perché la guerra incombe, su di loro e su tutto ciò che conoscono, pronta a distruggere ogni cosa.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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CAPITOLO XIV
 
CAMILLE
 
Avevamo scoperto quello che ci serviva su mia madre, ma la nostra situazione era tutto tranne che facile. Eravamo ancora fermi poco lontano dal Primo Ponte e, mentre Marcus, Mel e Jared guardavano le lettere che avevano tra le mani come se avessero trovato un tesoro, io guardavo Andreas e riflettevo. Il mio amico era annientato, seduto con lo sguardo fisso nel vuoto. Si doveva essere reso conto di quanto quei fogli compromettessero San.
              Strappai le lettere dalle mani di Marcus, rileggendole rapidamente mentre mi lasciavo cadere sul suolo gelato. Avevamo in pugno Celia e avevamo le prove della sua colpevolezza. Ero quasi incredula, mi aspettavo che quei fogli potessero sparire per magia dalle mie mani. Non potevamo però presentarci a Palazzo come se nulla fosse, sventolando le lettere e urlando ai quattro venti le nostre scoperte: nessuno ci avrebbe creduto. Avevamo bisogno di stabilire il prossimo passo, in fretta.
              – Ragazzi… – mormorai a voce bassa. Nessuno mi sentì visto che i tre Assassini continuavano a parlare tra loro, entusiasti della loro scoperta.
              Mi schiarii la voce e riprovai: – Ragazzi, calmatevi un attimo. –
              Marcus mi guardò infervorato: – Perché? Non abbiamo tutto quello che ci serviva? –
              – Non so, – rispose Andreas acido, dando voce ai miei pensieri. – Pretendi di entrare a Palazzo Reale e sederti sul trono così, solo con quelle lettere? –
              – Ovviamente no, per chi mi hai preso? Però devi riconoscere anche tu che rispetto a quello che avevamo prima è un bel passo avanti – rispose Marcus.
Nonostante le parole dure il risultato fu un rimbrotto bonario, fatto senza cattiveria.
– Cosa proponi? – domandò Jared guardando l’amico seduto per terra.
Andreas per tutta risposta si girò verso di me: – Hai idee? Io non ho voglia di pensarci. –
Annuii in silenzio. Potevo più o meno immaginare cosa stesse girando nella testa dell’Assassino in quel momento, di sicuro i suoi pensieri non ruotavano tutti attorno a me.
– Non è così facile, – mormorai, cercando di fare chiarezza nella mia testa. – La politica di Viride è più complessa di come potrebbe apparire. Per non parlare del fatto che la Regina ha un esercito pronto alla guerra, mentre noi siamo cinque. In questo momento, anche se avessimo tutte le prove del mondo, non abbiamo speranze. –
– Va bene, – mi rispose Mel sedendosi di fronte a me. – Parlaci di come funziona Viride. Qualcosa sappiamo, ma di sicuro sei più informata di noi. –
– Sapete quanto me che c’è il Re a governare, aiutato dal Consiglio dei Trenta. Questo gruppo di nobili può proporre leggi o linee d’azione al sovrano, a cui comunque rimane il potere di rifiutare o accettare le proposte. Chiunque voglia domandare o proporre qualcosa al Re deve farlo tramite un membro del Consiglio che appoggi la sua richiesta, altrimenti la proposta non viene presa neanche in considerazione. Se tutti i trenta nobili si mettono d’accordo -cosa che, vi assicuro, è un fenomeno più unico che raro- allora hanno il potere di costringere il sovrano ad accettare la loro decisione, possono obbligarlo persino ad abdicare in favore di un altro membro della famiglia reale. –
– Sì, mi ricordavo qualcosa del genere dalle lezioni alla Confraternita, – borbottò Marcus. – Ma tanto tutti i consiglieri saranno sul libro paga della Regina. –
Feci una risatina amara: – Non è una novità del momento, fidati. Per assicurarsi di poter governare, ogni sovrano di Viride ha sempre pagato il Consiglio. –
– Bella roba, – sbottò Mel. – Siamo governati da un branco di corrotti. –
Annuii: – È il prezzo da pagare per poter amministrare il regno, altrimenti ci sarebbe un succedersi continuo di sovrani incapaci di fare alcunché. Questo però ci porta al nostro principale problema: come fare a schierare il Consiglio dei Trenta, per intero, dalla nostra parte? –
– Conosci qualche consigliere? – mi domandò Marcus.
– Uno o due sì, e sufficientemente bene da potermi azzardare a contattarli per un colloquio privato. Ma non mi fiderei mai di loro, per nessuno motivo. Si tratta comunque di una goccia nel mare: potrebbero sì sostenere e presentare la mia richiesta al Consiglio, ma da soli non basterebbero per farmi salire al trono. –
– Abbiamo le lettere però, – mi bloccò Jared. – Serviranno pur a qualcosa. –
Marcus sembrò illuminarsi: – Le lettere! – esclamò girandosi verso di me. – Dammele un attimo. –
Gli porsi i fogli che ancora erano stretti nelle mie mani, guardandolo per un secondo mentre muoveva rapido gli occhi sulle righe scritte da San.
Riportai la mia attenzione su Jared: – Sì, immagino di sì. Sono sicura che molti nobili del Consiglio sarebbero sinceramente sconvolti dall’apprendere la verità sulla morte del principe Adrien. Sono anche sicura, però, che alcuni sono a conoscenza del piano della Regina: Lord Arand ha cercato di uccidermi, anni fa. Non mi sembra il tipo da farsi turbare dall’omicidio di un membro della famiglia reale. –
– In effetti… –
– Abbiamo bisogno di aiuto in tutto questo, – concluse Andreas per me. – Noi cinque non possiamo bastare. –
              Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, meditando su quello che avevamo detto in quei pochi minuti. Dovevamo capire quale potesse essere la prossima mossa. Mi sarebbe immensamente piaciuto poter entrare a Elea e, forte del potere delle lettere, tirare giù a viva forza mia madre dal trono, salvare la mia famiglia e donare al regno un po’ di pace. Purtroppo la questione non era così semplice.
              Fu Marcus a rompere il silenzio: – Che ne dite di un esercito? –
              – Ne avevi uno con te e ce l’hai tenuto nascosto? – lo prese in giro Jared. – Complimenti, bell’amico. –
              Marcus semplicemente lo ignorò: – Non abbiamo pensato al fatto che la guerra che si sta preparando si scatenerà contro i Regni del Sud. Immagino che non sarebbero contenti di sapere che Dimina e Viride si sono alleate tra loro alle loro spalle. –
              – Immagino di no, – commentai lieve, con un ghigno che affiorava leggero sul mio viso. – Cosa proponi? –
              – Propongo di andare a Sud e farci ricevere dai sovrani di quelle terre. Se riusciamo a convincerli che abbiamo ragione, che ciò che diciamo è vero, allora sarà nel loro interesse aiutarci. –
              – Il nemico del mio nemico è mio amico – mormorò Jared.
              – Qualcosa del genere – sogghignò Marcus.
              Poteva funzionare. Con l’esercito del sud avrei potuto davvero costringere mia madre ad abdicare e a lasciare il trono. Forse non eravamo poi così senza speranza come avevo pensato, forse in fondo una possibilità c’era.
              – Io inizierei da Albis, – stava continuando Marcus. – È l’unico tra i Paesi del Sud che viene espressamente citato nelle lettere di San. Una volta convinta la Regina, allora potrà intercedere lei presso Cesia e Semele. –
              – Non si dice poi granché sulla guerra in quelle carte, però – commentò Andreas, un po’ più interessato.
              – No, è vero. Ma questo, – rispose Marcus indicando la ceralacca blu con il simbolo del cigno. – È il sigillo della Regina. Si parla di re Alexander Auremore, di una ricompensa, di territori di Albis. Ce n’è abbastanza da far preoccupare, direi. –
              – Dobbiamo riuscire a farci ricevere a corte ad Albis. Da lì poi sarà tutto in discesa, – commentò Mel. – Non sarà così facile. –
              – Beh, – mi intromisi, lieta di poter essere d’aiuto. – Sono la Principessa di Viride. Varrà pur qualcosa. –
              Marcus mi sorrise: – In effetti credo di sì. –
              – Bene, – dissi, rivolta verso l’Assassino. – Sembra che riuscirai a esaudire il tuo desiderio: visiterai Egalia, la Regina del Deserto. –

***
 
Cavalcammo di notte, in mezzo alle campagne gelate e tra foreste nere, cercando di evitare le strade. Aspettammo distanti dal Primo Ponte, tenendolo d’occhio da lontano: un’ora dopo che Andreas ci aveva raggiunto, un gruppo di soldati a cavallo passò di gran carriera sulla strada. A quanto pareva, Lord San ci aveva davvero denunciato alla guarnigione.
              Partimmo di notte, avvolti nei mantelli, allontanandoci dalla strada portando i cavalli a mano. Faceva un freddo incredibile, il nostro fiato si congelava davanti ai nostri visi. Ero tutta avvolta nel mantello, cercando di trattenere più calore possibile. Quando arrivammo in aperta campagna montammo in sella e galoppammo per ore, con poche pause per far riposare le nostre cavalcature e stendere i muscoli. Ci fermammo solo all’alba, nascosti, facendo dei turni di guardia.
              Viaggiammo a lungo. Non pensavo che il confine potesse essere così lontano, anche se sapevo benissimo che Elea si trovava a nord del regno di Viride. Per tre notti cavalcammo verso sud-ovest, veloci e silenziosi, evitando strade e sentieri. Immaginai che se ci fossimo mossi sulla Strada Reale avremmo impiegato molto meno tempo per raggiungere Albis, ma malauguratamente ogni soldato di Viride era stato messo in allarme e ci cercava.
              Il quarto giorno di viaggio, mentre stavamo riposando nascosti in una macchia d’alberi, alcuni uomini con le divise della guarnigione di Elea si fermarono poco distanti da noi. Jared, che in quel momento era di guardia, ci svegliò silenziosamente. Dopo qualche istante i nostri avversari erano morti per terra mentre noi stavamo cavalcando verso a sud, vestiti di tutto punto con le loro armature.
              Il confine si presentò davanti a noi al sesto giorno, poche ore prima del sorgere del sole. Il panorama attorno a noi era cambiato rispetto a quello che si poteva osservare a Elea: gli alti alberi scuri e imponenti tipici del nord di Viride avevano lasciato il posto a una vegetazione più bassa e contorta, segnata dal vento che batteva quelle zone. Il terreno da nero e marrone era diventato ocra e grigio, e l’argilla del suolo formava pantani dove quella poca neve che era caduta aveva iniziato a sciogliersi.
              Da ormai un secolo esisteva il Patto, un grande trattato di non belligeranza che coinvolgeva i Cinque Regni, quindi non mi stupii di non trovare guardie sul confine. Poco distanti da noi si ergeva ancora una delle grandi torri di guardia che un tempo venivano utilizzate per la sorveglianza, ma che ormai erano completamente in disuso e abbandonate.
              Continuammo a viaggiare nei territori di Albis diretti verso Arcis, cittadina di passaggio al limitare del deserto, nel mezzo del quale si trovava Egalia. Ancora il panorama cambiò e ci sembrò di esserci lasciati definitivamente alle spalle l’inverno che imperversava su Dimina e Viride. I colori predominanti erano diventati il rosso, l’ocra, l’arancione e il giallo, intervallati solo raramente da qualche chiazza di verde.
              Arcis era una città piccola, che aveva acquistato importanza perché era l’ultima tappa prima di penetrare nel grande deserto. Lì cedemmo i nostri cavalli con alcuni più abituatu al clima del deserto e comprammo acqua, viveri e vestiti più leggeri per sostituire i nostri di lana.
              All’alba del dodicesimo giorno dalla nostra partenza da Elea stavamo entrando nel Grande Deserto, seguendo la carovana di gente diretta verso la capitale. Egalia distava altri tre giorni da Arcis e le nostre soste erano programmate. Tra le due città c’erano alcune oasi, tappa obbligata per dissetare i nostri cavalli e rifornirci d’acqua.
              Marcus si guardava attorno con gli occhi spalancati come quelli dei bambini. Osservava la sabbia, le dune gialle, il cielo azzurro come se potesse non stufarsi mai di quel panorama. In più si vedeva che si stava godendo il caldo, a differenza mia che boccheggiavo come un pesce fuor d’acqua. Durante il tragitto fino ad Arcis il sole mi aveva già ustionato la pelle, rendendola rossa e facendomi spuntare un esercito di lentiggini.
              – Potrei vivere qui per sempre – stava giusto dicendo l’Assassino a Jared, coperto dalla testa ai piedi di tessuto leggero. Anche lui, come me, pativa il sole.
              – Io no, – commentò questo, scocciato. – Non pensavo di poterlo dire, ma mi manca l’inverno di Elea. Come faranno qui d’estate? –
              Un uomo di Albis, che procedeva su un dromedario bianco e altissimo, rise alle parole di Jared: – Oggi non è particolarmente caldo, – disse nella nostra lingua, con forte accento. – L’estate è molto peggio, ci sono stati anni in cui anche solo pensare di arrivare da Arcis a Egalia passando dal deserto era impossibile, rendendo la capitale tagliata fuori dal resto del regno. Ma appena cadrà la notte vedrete che la temperatura si abbasserà, e anche di molto. –
              Marcus ammiccò a Jared: – Ritieniti fortunato allora. –
              L’Assassino sbuffò, tornando a guardare davanti a sé.
              Mi presi qualche istante per osservare meglio l’uomo che marciava di fianco a noi. Sedeva a gambe incrociate sulla gobba della sua cavalcatura, tenendo mollemente in mano le redini. Era coperto di vestiti azzurri che esaltavano lo scuro della sua carnagione, mentre in testa aveva un turbante rossastro. Si guardava intorno rilassato e ogni tanto una mano saliva ad attorcigliarsi la barba nera, che gli circondava il volto.
              – Avete fatto questa strada molte volte? – gli domandai, incuriosita. Erano in molti a fare il percorso con noi fino a Egalia, ma nessuno sembrava tranquillo quanto l’uomo vicino a noi.
              – Molte volte, sì, – mi rispose quello, sorridendo. Aveva una bella voce profonda. – Ho molti amici e affari da mantenere, a Egalia. In più è una bellissima città. Voi l’avete mai visitata? –
              – Mai, è la prima volta. –
              – Rimarrete stupiti. Non ho mai visto, in nessun regno, qualcosa che possa reggere il confronto. E dire che ho viaggiato tanto! –
              – Non vedo l’ora – mormorò Marcus di fianco a me, guardando verso il deserto con un sorriso sulle labbra.
             
***
 
Entrammo a Egalia dopo tre giorni nel deserto e devo ammettere che quell’uomo aveva ragione: non avevo mai visto niente di simile. La capitale di Albis era costruita in pietra bianca, splendente e feroce sotto la luce del sole. Le case erano basse, le strade piccole e tortuose e la città si avviluppava su alcuni rilievi montuosi. La sabbia per terra cedette il posto a pietre rosate e candide, tagliate rozzamente.
Egalia sorgeva su una falda acquifera imponente, che permetteva la sopravvivenza della città. In ogni angolo c’erano fontane di vetro, con l’acqua che zampillava allegra da statue e monumenti. Piante verdi e rigogliose si avviluppavano sulle pareti delle case, puntando verso il cielo e contornandone gli infissi colorati.
Le strade erano in salita, si attorcigliavano sui fianchi delle montagne. Ovunque si vedevano uomini e donne che camminavano indaffarati, vestiti con abiti colorati e turbanti. Alcuni erano a cavallo, altri portavano a mano cammelli e dromedari.
– Andiamo direttamente verso il Palazzo? – domandai ad Andreas, accanto a me. Mi sembrava più tranquillo rispetto a quando avevamo iniziato il nostro viaggio, anche se continuava a essere piuttosto taciturno. Avrei tanto voluto poterlo aiutare.
Andreas non mi sentì immerso com’era nei suoi pensieri, continuando a guardare tra le orecchie del suo cavallo.
Abbassai la voce: – Andreas, è facilmente intuibile quello che ti turba. Posso fare qualcosa? –
Per la prima volta Andreas mi guardò negli occhi e il riflesso del sole rendeva ancora più chiare le sue iridi color dell’ambra: – Forse sì. Camille, mi prometteresti una cosa? –
– Quello che vuoi. –
– Se riuscirai a prenderti il trono, non vendicarti di San. Esilialo se devi, ma non ucciderlo. –
– Non morirà per ordine mio, te lo prometto – risposi, sorridendo. Se quella era l’unica richiesta di Andreas l’avrei soddisfatta con piacere: in cambio di tutto quello che lui aveva fatto e continuava a fare per me, era ben poca cosa.
– Grazie, Camille. –
– Figurati, – ero felice di poterlo aiutare in qualche modo. – E Andreas… – lo richiamai, mentre si stava già allontanando da me.
– Dimmi. –
– San ti ama. Non è qualcosa che possa scomparire in un istante. –
Andreas fece una smorfia triste, poi andò ad affiancarsi a Mel, che cavalcava in testa al nostro piccolo gruppo.
Rallentai il mio cavallo fino a raggiungere Marcus, che continuava a muovere la testa a destra e sinistra talmente velocemente che pensai che gli si potesse staccare dal collo. Jared, di fianco a lui, non era da meno.
– Ma allora anche a te piace questa città, Jared! – esultai, facendolo sobbalzare.
Jared si produsse in un borbottio sommesso: – Sì, certo, certo. Cosa pensavi? –
Notai che era arrossito leggermente. Guardai Marcus con aria interrogativa e l’Assassino, ridacchiando, mi indicò la gente che camminava sulla strada: – Jared stava, come dire, apprezzando le bellezze locali. –
– Ah – ridacchiai, guardandomi in giro. In effetti, le donne di Albis erano bellissime. La pelle scura era coperta da tessuti leggerissimi e sottili, colorati e sgargianti. I capi erano coperti da scialli chiari, ingioiellati e ricamati. Erano quasi tutte alte, slanciate, e camminavano tranquille da sole o con i loro compagni.
– Comunque, andiamo diretti a Palazzo Reale o ci fermiamo da qualche parte prima? – domandai di nuovo a Marcus, visto che prima ero stata ignorata da Andreas.
– Direi di fermarci da qualche parte e aspettare domani. Oggi è tardi, abbiamo viaggiato per giorni. Mi sembra che ci meritiamo un po’ di riposo. –
Annuii, poi Marcus si portò due dita alla bocca e fischiò.
– Ma sei deficiente? – esplose Jared di fianco a lui, portandosi una mano all’orecchio. Marcus ci aveva assordati, ma la sua manovra aveva funzionato: Andreas e Mel, davanti a noi di una decina di metri, si erano fermati.
– Bene, – esordii, fermando il cavallo. – C’è bisogno che troviamo un posto dove dormire e riposarci, in vista di domani. –
– Mi sembra un’ottima idea, – rispose Mel, stirandosi la schiena. – Non vedo l’ora di sgranchirmi un po’ le gambe e mangiare qualcosa che non sia cosparso di sabbia. –
– Allora bando alle ciance e mettiamoci in marcia – continuò Jared, dirigendo il suo cavallo in una viuzza laterale, tagliando la folla.
 
***
 
La mattina dopo mi svegliai attorcigliata dentro alle lenzuola, ma tutto sommato riposata. Ad Albis le donne godevano di molta più considerazione che negli altri paesi, quindi non avevamo avuto difficoltà a trovare una locanda che avesse una camerata femminile, dove avevo potuto prendere un letto. C’era stato andirivieni per tutta la notte ma, vista la mia stanchezza, questo non mi aveva impedito di dormire.
              Uscii dalla stanza e mi ritrovai davanti i quattro gli Assassini vestiti di tutto punto e, almeno a prima vista, freschi e riposati come delle rose.
              – ‘Giorno Camille. Dormito bene? – mi accolse Jared, i cui capelli argentei sembravano ancora più chiari contro la tunica blu.
              – Perfettamente. E voi? Vi vedo riposati. –
              – Abbastanza, sì, – mi rispose Mel, laconico come sempre. – Andiamo? –
              Annuii e uscimmo dalla locanda. Questa era più che altro un dormitorio di passaggio, utilizzato dai viaggiatori che non volevano o non potevano permettersi un domicilio più comodo. Noi, dal canto nostro, sapevamo benissimo che, se non avessimo convinto la Regina di Albis a schierarsi dalla nostra parte, avremmo dovuto muoverci negli altri Paesi del Sud per cercare aiuto. La nostra non era una situazione facile: Albis era il regno che più facilmente avrebbe accettato le nostre richieste. Se ci avesse rifiutato molto probabilmente lo avrebbero fatto anche Cesia e Semele e noi avremmo dovuto inventarci qualcos’altro.
              – Cosa dobbiamo aspettarci oggi? – domandò Jared, guardando Mel. L’Assassino biondo era flemmatico come al solito, camminando rilassato per le strade di Albis mentre ci dirigevamo verso il Palazzo Reale.
              – Albis è governata dalla dinastia degli Elvere, che sono al trono da più di duecento anni. A differenza degli altri regni, il trono passa di madre in figlia. La Regina oggi terrà corte e, se siamo fortunati, ci verrà data l’opportunità di presentare la nostra richiesta. Altrimenti dovremo tornare. –
              – Chi parlerà tra noi? –
              – Io direi Camille, – si introdusse Andreas. – È lei quella che sta chiedendo aiuto, ed è sempre lei la Principessa di Viride. Dovrebbe venire trattata da pari. –
              – Sempre se mi riconosce – borbottai. Quella era la mia più grande paura: che la Regina decidesse che ero solo un’impostora, desiderosa di seminare zizzania tra i regni per impadronirmi del trono. Mi ricordavo di averla vista una volta a corte, a Viride, molto tempo fa, ma non era detto che si ricordasse di una bimbetta che sgambettava serena vicino al Re. In più poteva decidere di non credermi, di imprigionarmi, di rimandarmi da mia madre… gli scenari possibili erano molteplici. Sentii l’ansia, che fino a quel momento ero riuscita a tenere sotto controllo, invadermi lo stomaco.
              – Cosa sai della Regina, Camille? – mi domandò Marcus, sommesso.
              – Non molto a dir la verità. So che Vanessa Elvere è una sovrana giusta e molto amata. Governa ormai da quindici anni, è salita al trono quando ne aveva venti e, nonostante i pronostici, è riuscita sia a farsi apprezzare dai sostenitori che a farsi temere dai suoi nemici. La chiamano il Cigno Nero per la sua bellezza, che è famosa in tutto il mondo. –
              – È sposata? – mi chiese Andreas, incuriosito. Un sistema di governo come quello di Albis era in effetti inusuale per noi viridiani.
              Prima che potessi rispondere, Mel mi precedette: – Sì, e ha tre figli. Ma non è il marito che dobbiamo cercare di convincere. –
              – No, direi di no, – commentai. – È solo lei che decide. –
              Continuando a parlare della regina Vanessa arrivammo fino all’ingresso del Palazzo Reale di Albis: più o meno a metà di una lunga e tortuosa scalinata che si attorcigliava su per la montagna, si stagliava un ampio arco di pietra bianca. Due enormi leoni scavati nella pietra sorvegliavano il passaggio, con le fauci spalancate e i denti in mostra.
              – Discreti… – borbottò a mezza voce Jared passando tra le statue.
              – Si dice che i leoni siano capaci di percepire le emozioni e le idee. Secondo la leggenda se qualcuno che vuole far del male alla Regina e alla sua famiglia passa la porta verrà sbranato dalle belve di pietra – Mel aveva lo sguardo fisso davanti a sé mentre parlava, concentrato sui gradini.
              – Qualcosa mi dice che non è mai successo – commentò Marcus.
              – No, mai, – mi introdussi, approfittandone per fermarmi e prendere fiato. Quei gradini mi stavano distruggendo. – Però è il motivo per cui le guardie del Palazzo sono chiamate Fiere. –
              Marcus si girò porgendomi la mano: – Dai Camille, arriviamo fino in cima. –
              Sospirai e mi affiancai a Marcus, ignorando il suo braccio teso verso di me. Finsi di non sentire il suo sguardo puntato sulla mia schiena mentre lo superavo. Cercare di mantenere la decisione che avevo preso giorni prima a Viride diventava di momento in momento più difficile. Erano sempre più le volte in cui mi sorprendevo a fissare Marcus, lasciando correre i pensieri. Anche in quel momento avrei dato qualsiasi cosa per potergli dire quello che provavo. Scossi la testa scacciando quell’idea, affrontando a testa bassa i gradini.
              La scalinata sembrava non finire mai. Mi tirai su i capelli in una crocchia disordinata, sciogliendo la treccia e dando un po’ di respiro alla mia nuca. Sotto di noi la città si avvolgeva come un grosso serpente bianco e addormentato, era quasi impossibile guardarla senza rimanere accecati.
              Dopo altre innumerevoli rampe di scale davanti a noi comparì un alto portone, in legno nero, spalancato. Ai due lati due guardie, alte, impettite e immobili, puntavano le loro lance verso il cielo. I loro elmi ricordavano la criniera di un leone e i loro vestiti erano color dell’oro.
              L’enorme sala in cui ci trovavamo era fresca, in leggera penombra. Le ampie finestre erano coperte con drappeggi di tessuti chiari, che lasciavano entrare poca luce. Il pavimento era di legno pregiato, con tasselli di madreperla e di avorio. Le pareti erano ricoperte di mattonelle piccole e chiare, che componevano disegni e raccontavano la storia del paese.
              Ero a bocca aperta: il Palazzo di Elea è sempre stato bellissimo per me, ma quello… era quanto di più bello avessi mai visto.
              – Non ho mai visto niente di simile – Andreas stava rimirando l’ingresso del palazzo con occhi spalancati. Si avvicinò a una delle pareti, percorrendo con un dito le mattonelle e seguendone i contorni.
              Alla fine della sala c’era un’altra porta, chiusa. Era di legno scuro, a riquadri incisi. Due guardie urlarono qualcosa nella lingua di Albis, poi la spalancarono, facendo passare tutti coloro che chiedevano udienza alla Regina.
              Nella sala del trono ogni cosa era splendente. Era una stanza quadrata, vastissima, illuminata dalla luce che passava dalle finestre che qui non erano coperte e non avevano i vetri. Su un lato si stagliavano delle colonne che reggevano il soffitto alto, permettendo ai visitatori il passaggio attraverso un giardino verde e rigoglioso. I pavimenti erano di mattonelle chiarissime, con dei complicati disegni geometrici ocra e celesti. Le pareti, il soffitto, erano bianchi accecanti e ricoperti di incisioni, come se qualcuno le avesse ricamate piuttosto che scolpite. Contro la parete rivolta a est c’era una pedana con sopra due troni alti e scolpiti in blocchi di granito.
              La regina Vanessa Elvere sedeva sullo scranno di destra, regale e magnifica nel suo abito arancione. La sua pelle scura, quasi nera e senza imperfezioni, era messa in risalto dal candore della sala. Aveva le braccia poggiate elegantemente sui braccioli e sulla testa brillava una corona d’oro giallo. Gli occhi neri zigzagavano sulla folla che c’era nella sala, osservando ogni dettaglio. Il marito, re Julian Odisse, le era seduto di fianco. Era altrettanto regale, anche se il suo viso era meno tirato di quello della Regina, meno preoccupato. Aveva un’aria gentile, così strana da vedere sul volto di un sovrano. Dietro di loro c’erano le Fiere, che sorvegliavano ogni cosa scrutando la folla dalle fessure degli elmi.
              Una donna era in piedi di fianco alla sovrana, leggermente scostata e con le mani intrecciate dietro la schiena.
              Marcus mi si avvicinò, mormorandomi all’orecchio: – Lei è la Prima, l’aiutante della Regina. La supporta nel governo del regno, è praticamente un Lord Lacey in gonnella. –
              Repressi una smorfia al pensiero della Lunga Mano di Dimina. Chissà se avevano trovato il suo corpo.
              Poi la donna si mise a parlare nella lingua musicale di Albis, iniziando i colloqui e distraendomi dai miei pensieri. L’ansia che sembrava essersi ritirata per qualche attimo mi riprese prepotente lo stomaco: da un lato non vedevo l’ora di finire quell’agonia e parlare con la Regina, capendo finalmente che cosa avrei dovuto fare; dall’altra, speravo di venire rimandata indietro con la richiesta di tornare un altro giorno.
              – Tu capisci quello che dicono? – domandai all’Assassino di fianco a me, quasi sussurrandogli all’orecchio per paura di disturbare. Il suo profumo mi colpì le narici: nonostante il caldo aveva un buon odore.
              – Sì, abbastanza da capire che staremo qui per molto – Marcus guardava accigliato la pedana su cui si ergevano i troni.
              Aveva ragione. Aspettammo per ore, osservando la Regina giudicare, prendere alcune decisioni e rimandarne altre. Se era estenuante per noi, non osavo immaginare cosa potesse essere per la sovrana, seduta al caldo senza potersi alzare per tutto quel tempo. Alcuni servi le portarono acqua e frutta, per permetterle di sfamarsi e dissetarsi mentre la folla nella sala del trono diminuiva lentamente.
              Stavo iniziando a rilassarmi al pensiero che saremmo dovuti tornare un altro giorno quando la Prima mi chiamò.
              Non capii quello che mi disse, ma ebbi abbastanza prontezza per farmi avanti nello spiazzo che si era creato tra la gente, incedendo con passo tranquillo. Davanti a me la Regina mi guardava annoiata. Mi fu mormorato qualcosa che non compresi, mentre attorno a me alcuni mormorii scuotevano la folla. A differenza di tutti quelli che mi avevano preceduta non mi ero inginocchiata.
              La Prima allora mi parlò nella mia lingua: – Porta rispetto e inginocchiati davanti alla regina Vanessa e a re Julian! –
              – Rispetto la vostra sovrana e ciò che rappresenta, ma non mi inginocchierò. –
              Vidi la bocca della Prima fremere per la rabbia, mentre latrava alcuni secchi ordini alle guardie dietro di lei. Una delle Fiere si mosse in avanti, con la lancia in pugno. La guardai con quello che speravo essere uno sguardo sprezzante mentre si avvicinava, ma in verità ero terrorizzata. Avrebbe potuto uccidermi per quella insolenza? Sentii una distinta goccia di sudore farsi strada sulla mia schiena.
              La guardia arrivò di fianco a me e alzò la lancia. Rimasi immobile senza guardarla, gli occhi fissi sul volto della Regina che aveva iniziato ad osservarmi con curiosità. Poco prima che la Fiera calasse la sua arma su di me, Vanessa Elvere mormorò qualche parola. Non riuscii a trattenere un sospiro di sollievo mentre la guardia si inchinava rigida e tornava al suo posto. Rimasi in silenzio mentre la Regina mi scrutava, attenta.
              – Potrei farti frustare per la tua insolenza – mi disse infine, severa, nella mia lingua. Aveva un forte accento e zoppicava su alcune parole, ma capivo bene quello che dicevo.
              Inchinai il capo, conscia di stare rischiando molto: – Sarebbe un vostro diritto, Vostra Altezza, ma così non saprete mai cosa ho da darvi. –
              – E cos’hai da darmi, bambina? – la Regina sembrava scettica, come se non credesse che una come me potesse avere qualcosa che le servisse.
              – Notizie da Viride. –
              Il Re sbuffò. Era la seconda volta in tutta la mattina che lo sentivo parlare: – Abbiamo già un ambasciatore dei Coverano – poi si rivolse alla moglie, parlandole rapido nella loro lingua. La Regina annuì alle parole del marito, poi tornò a fissarmi. Capii che avevo solo più poco tempo per convincerli ad ascoltarmi.
              – Quello che so non è qualcosa che può essere detto da un ambasciatore. Porto notizie di guerra. –
              Re Julian sbuffò, spalancando le braccia: – C’è il Patto, non ci sarà nessuna guerra, – poi tornò a guardare la regina Vanessa. – Moglie mia, manda via dalla nostra corte questa pazza. Incorreremo nell’ira dei Coverano solo per averla ascoltata, senza contare che… –
              La sovrana bloccò il marito con un gesto secco della mano, facendolo tacere all’istante: – L’ira dei Coverano non è affar mio, – poi tornò a rivolgersi a me, sporgendosi dal trono e assottigliando gli occhi. – Chi sei tu? –
              Presi un profondo sospiro, deglutendo. Sentivo l’aria attorno a me rimbombare: – Sono la principessa Camille Coverano. –
              Sentii la Prima sgranare gli occhi e scoppiare in una risata acuta, alta. Re Julian alzò gli occhi al cielo, sbattendo la mano sul bracciolo del trono e scuotendo la testa. I miei occhi però erano solo per la regina Vanessa. Mi stava scrutando dall’alto, il suo viso era una maschera imperscrutabile. Si alzò dal trono, scendendo lenta i pochi gradini della piattaforma reale mentre tutta la gente nella sala si inginocchiava.
              Rimasi in piedi, immobile, guardando la sovrana con quella che speravo essere un’aria serena, nascondendo l’ansia che era dentro di me. La Regina si fermò davanti a me, guardando attentamente il mio viso. Era più alta di me e mi guardava dall’alto al basso, seria. Nei suoi occhi neri contornati da lunghe ciglia potevo vedere il mio riflesso. Mi resi improvvisamente conto di come dovevo sembrare: spettinata, smagrita, pallida e vestita male, non avevo quello che viene definito aspetto regale. Nonostante ciò non abbassai lo sguardo, nemmeno per un secondo.
              La Regina aggrottò le sopracciglia e prese con la mano la catenella che portavo al collo, facendosi scorrere il ciondolo in mano, osservandolo con attenzione. Ho sempre portato quella collana, sin da quando ne ho memoria: è una semplice stella a otto punte, verde e argento, grossa quanto una moneta. Veniva regalata dal sovrano alla nascita di ogni nuovo principe di Viride, era l’ultima cosa che mi rimaneva di mio padre.
              Vanessa Elvere lasciò cadere la collana per poi annuire leggermente e mormorare, a stento udibile: – Qualsiasi cosa io dica, aspetta qui la fine dei colloqui. –
              Prima che potessi rispondere o ribattere la Regina mi diede le spalle, ritornando al trono e sedendosi elegante.
              – Ragazzina, non prenderò in considerazione la tua richiesta, – disse, severa. – Non c’è niente che mi dimostri che tu sia chi dici di essere. Non metterò a rischio un secolo di pace per ascoltare una sconosciuta. –
              Cercai di ribattere, capendo che la Regina si aspettava quello da me: – Ma… –
              – No, non ascolterò oltre, – mi bloccò, sbattendo forte la mano sulla pietra. – Se non vuoi essere imprigionata, cessa questa follia. –
              Mi inchinai rigida, per poi tornare tra la folla nella sala, lasciando spazio a chi stava dopo di me. Solo quando fui al fianco di Marcus lasciai andare un respiro di sollievo.
              – Cosa ti ha detto? –
              Mi guardai attorno prima di rispondere, mormorando a mezza voce: – Mi ha detto di aspettare qui. –
              – Sei stata brava – mi sorrise, mettendomi una mano sulla spalla.
              L’ansia che mi stringeva lo stomaco si era liberata di colpo, permettendomi di respirare. Quasi mi girava la testa per il sollievo. Mi voltai a guardare Marcus, perdendomi per un secondo nei suoi occhi neri, sfiorando con le labbra la sua mano: – Grazie. –
              Le dita di Marcus corsero sulla mia guancia: – Camille, io… –
              – Quindi? Che si fa? – ci interruppe Jared, sbucando di soppiatto alle nostre spalle. Marcus ritrasse la mano di colpo, come se si fosse ustionato. Sentii le mie guance infiammarsi.
              – Aspettiamo – risposi, guardando la Regina che congedava l’ennesimo postulante.
              Dopo ore, nonostante la folla nella sala del trono non avesse accennato a diminuire rimpinguata com’era di continui nuovi arrivi, la Regina si alzò e si congedò, lasciando la Prima a liberare il Palazzo da tutti quegli ospiti. La donna scese dalla piattaforma, passandomi vicino e facendomi rapida cenno di aspettare. Tenni vicino a me i miei amici mentre le Fiere si facevano avanti silenziose, respingendo la gente e passando attorno a noi come acqua che circonda gli scogli.
              Quando le porte della sala furono finalmente chiuse, la Prima mi si avvicinò. Aveva una smorfia sul viso, si vedeva che non era per niente contenta della decisione della sua sovrana. Mi abbaiò contro qualche parola nella sua lingua per poi allontanarsi rapida, con i sandali che mandavano ticchettii acuti battendo sul pavimento di legno.
              Mi girai verso gli Assassini: – Che ha detto? –
              – Che tornerà a prenderti tra poco – mi rispose Andreas, mentre osservava accigliato la porta da cui la Prima era sparita.
              – Aspetteremo ancora per molto, temo, – esalò Jared, incamminandosi verso il giardino. La luce del sole delle tre faceva risplendere il verde dell’erba. – Tanto vale che ci mettiamo comodi. –
              – Non hai tutti i torti – commentai, seguendolo. Puntai subito delle comode sedie sotto un pergolato di quelli che sembravano glicini, sedendomi rapida imitata da tutti gli altri.
              Eravamo ancora lì a chiacchierare quando la Prima spuntò di fianco a me, come se fosse comparsa dal nulla. Sembrava essere ancora più irritata di prima.
              – La Regina vuole vedervi. Seguitemi. –
              Non commentai l’improvviso cambio di lingua della donna ma mi alzai, sistemandomi gli abiti. La Prima era già praticamente nella sala del trono e fu costretta a fermarsi per aspettarmi, sbattendo un piede per terra. Mi feci consegnare le lettere da Jared e seguii la consigliera della Regina, sperando che non mi conducesse nelle prigioni.
              Rimasi in silenzio per tutto il percorso all’interno del Palazzo, non riuscendo però a trattenere lo stupore mentre ammiravo la sua bellezza. Sale di ogni tipo e arredate in centinaia di modi diversi si susseguivano una dietro l’altra, in una serie infinita. Quando arrivammo alle stanze della Regina ero persino triste che quella breve visita fosse già terminata.
              La Prima mi aprì la porta e mi fece segno di entrare, richiudendomela subito alle spalle. Davanti a me si apriva uno studio ottagonale, illuminato dalla luce del giorno. Lo stile era simile a quello della sala del trono, ma qui prevalevano il rosa, il viola e il blu. Su ogni lato era scavata una rientranza chiusa da pannelli di legno dorato, incisi e sagomati con esagoni e stelle. Nel centro si ergeva un grosso tavolo rotondo di legno, semplice e saldo, che quasi stonava con la ricchezza della stanza. Mi accorsi che un pezzo del tavolo era tagliato, interrompendo il continuum della circonferenza: era lì che la Regina era seduta.
              – Sedetevi – disse indicandomi la sedia alla sua sinistra.
              Sentii di nuovo il cuore battere forte all’altezza del mio sterno e mi resi dolorosamente conto del caldo che faceva in quella stanza.
              – Sono sicura, – attaccò la Regina, – Che avete capito lo scopo della mia sceneggiata, giù nella sala del trono. –
              – Sì, vostra altezza – risposi. Già da subito mi ero resa conto che, per lei, dare asilo o anche solo ascoltare la Principessa fuggiasca di Viride poteva essere molto pericoloso. Era molto più comodo fingere di non riconoscermi e organizzare un incontro in privato.
              – Molto bene. E ora spiegatemi perché non dovrei rispedirvi da vostra madre con i miei più cari auguri. –
              Non risposi e le porsi semplicemente le lettere di San: – Spero che sappiate leggere il viridiano. –
              Osservai Vanessa Elvere concentrarsi sui fogli, la bocca piegata in una linea severa. Quando finì posò le due lettere sul tavolo e si voltò a guardarmi: – Ditemi cosa sapete di questa faccenda. –
              – So che voi e il vostro regno siete in pericolo. Mia madre e re Alexander Auremore si sono accordati per iniziare una guerra che non lascerà scampo ai Regni del Sud: sarà fulminea, inaspettata, massacrante. Sono anni che tramano nell’ombra per riuscire ad attuare questo progetto, desiderosi di vedere le loro casate governare sul continente. A Viride e a Dimina i preparativi sono già iniziati: gli eserciti si stanno formando e sono pronti a muoversi. Non potete aspettare. –
              – Perché dovrei credervi? –
              – Non dovete credere a me, vostra altezza, – sentivo gli occhi bruciare mentre guardavo le lettere sul tavolo. – Dovete credere ai vostri occhi. È tutto qui, in queste carte. Si parla di Albis, di un’alleanza tra Dimina e Viride, di ricompense. Quello è il marchio di mio madre, lo conoscete – dissi, indicando il cigno sulla ceralacca blu.
              La Regina si alzò, andando a un tavolino poco scostato e versandosi da bere. Non riuscivo a capire di cosa avesse bisogno per potersi convincere.
              – Voi cosa volete? – esordì poi, rimanendo in piedi e guardandomi da lontano. – Sono sicura che non siete scappata da casa vostra solo per venirmi ad avvisare di questa disgrazia. Con questa guerra il vostro regno si amplierebbe. –
              – Avete ragione, non è per cortesia che sono qui. Mia madre ha cercato di uccidermi due anni fa, dopo che ho scoperto che la morte di mio padre era stata opera sua. Così come quella del principe Adrien Coverano e dei suoi due figli, tutti destinati al trono. Rivoglio ciò che è mio, prima che decida di uccidere anche i miei fratelli per garantirsi di governare in eterno. So che sarebbe capace di farlo. –
              – Non posso fare una guerra per voi, Principessa, – commentò la Regina scuotendo la testa. – Non farò morire il mio popolo per voi. –
              – Non è la guerra che voglio, – risposi rapida. Non potevo permettermi che non capisse quello che volevo. – Richiamate il vostro esercito e lasciatelo marciare fino ai confini con Viride: basterà a far capire che non siete così sprovveduti come credevano tutti. Contattate Cesia e Semele, avvisatele di quello che sta capitando e consigliatele di seguire il vostro esempio. Supportate la mia salita al trono come Reggente e io farò in modo che anche solo l’idea della guerra svanisca. –
              La Regina mi guardò, soppesando le mie parole. Poi sospirò: – Vi credo. Erano anni che le mie spie mi mandavano informazioni su movimenti strani nel vostro paese, ma speravo che la situazione fosse migliore di questa. Avrete il mio appoggio, ma in cambio dovrete darmi qualcosa. –
              Sapevo che non sarebbe stato tutto così semplice: – Vi ascolto. –
              – Il vostro regno è diverso dal nostro, voi non potrete mai governare finché un vostro parente maschio sarà in vita. Quando vostro fratello avrà l’età giusta sarà Re di Viride non solo più di nome, ma anche di fatto. Mancano ancora tre anni prima che questo accada e, in questo lasso di tempo, sposerà la mia secondogenita, Helena. –
              Chiusi gli occhi, pensando. Non potevo dire che la richiesta mi avesse spiazzata, mi immaginavo qualcosa del genere. Non potevo sapere cosa ne avrebbe pensato mio fratello, ma ero sicura che qualsiasi donna sarebbe stata meglio di Nerissa Auremore. Con quella promessa assicuravo un futuro al mio regno e guadagnavo la possibilità di tornare a casa.
              Feci un respiro profondo, aprendo gli occhi: – Accetto. –
              Per la prima volta da quella mattina vidi la Regina Vanessa sorridere. Le sue labbra si stirarono rivelando i denti bianchi, facendo intendere che era molto più giovane di quello che voleva dare a vedere.
              – Abbiamo un accordo, allora? – mi domandò, tenendomi il braccio.
              Presi il suo polso, sorridendo a mia volta: – Abbiamo un accordo. –
 
 
ANGOLO DELLA SCRITTRICE!
Ciao a tutti! Perdonatemi per la lunga assenza, ma questa sessione estiva è stata delirante. Comunque, ci tenevo a ringraziare, come al solito, tutti quelli che sono arrivati fino a qui. In più, un grande grazie va a FiammaBlu che mi sta aiutando veramente tantissimo!
Passando ad altro, temo che per il mese di agosto non riuscirò a pubblicare molto: sarò via e senza computer, quindi mi sa che potrebbe essere un po’ complicato.
Comunque, grazie ancora a tutti! Se volete farmi sapere cosa ne pensate lasciate una recensione, sono sempre gradite!
E buone vacanze a tutti J
   
 
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