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Autore: Stray_Ashes    07/07/2016    1 recensioni
[Frerard!] - [30 Kisses Challenge]
Chiudi gli occhi e baciami, che sia per la prima volta, che sia per l’ultima, che sia per dire addio o per dire ciao, che sia per rabbia o per amore. Baciami, adesso e trenta volte, o dammi un bacio che duri per sempre, che io riesca a sentire anche quando non ci sei, e non ci sono, anche quando ci perdiamo, anche quando c’è il mondo che ci guarda, anche quando siamo tutti e siamo nessuno.
Ti porterei con me in mezzo ai temporali, tra le fiamme dell’inferno, sotto a una pioggia di proiettili, e ti trascinerei fin dentro alle parole che ho scritto, tra i pensieri che ho pensato.
Baciami, animale. Prendimi la mano, regalami un sorriso, e poggia le tue labbra sulle mie.
_________________________
Beh, ho deciso così su due piedi di fare questa raccolta di OneShots, seguendo una Challange di 30 baci in situazioni diverse, e vediamo un po' cosa me ne viene fuori. E' la prima volta che faccio una cosa del genere, in tutti i sensi... una challange... di baci... ew, cheesy as fuck, but that is.
Il rating potrebbe variare.
Buona lettura!
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, Lime, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Come detto nell'introduzione, questa sarà una raccolta di Oneshots, seguendo una Challange di 30 baci diversi. E' la prima volta che faccio una cosa del genere, in tutti sensi, quindi... spero comunque di fare un buon lavoro. Fatemi sapere con un commento, se potete.
Buona lettura!
 



So Shut your Eyes, Kiss Me
Goodbye
 
https://s31.postimg.org/i045e8dwb/So_Shut_Your_Eyes_Kiss_Me_Goodbye.jpg
 
  1. Un bacio al sapore di whiskey.

“La Notte in Autunno sapeva di Whiskey”
 


La notte, per le strade del Jersey in autunno, aveva tutto uno suo fascino.
 
Chiudete gli occhi, e pensatela come un acquarello dalle tonalità scure, piovose. Figuratevela come un capriccio del tempo, con i suoi marciapiedi bagnati dal cielo, e immaginatevi sull’acqua il riflesso dei colori e delle insegne dei negozi, tremolante e impreciso, come un dipinto fatto erroneamente per terra, della durata di qualche ora soltanto.
 
Ai lati della strada, il fumo delle sigarette volava nel cielo e si perdeva nel suo colore scuro, ingrigiendolo come per dispetto, e il rumore dei tacchi delle signore somigliava un po’ a quello della pioggia che era scesa soltanto qualche ora prima, quando ancora era sera, quando i ragazzi correvano sotto le giacche e verso i portici, per trovare riparo, quando anche i cani sentivano l’umidità nell’aria e tiravano i padroni pur di raggiungere un posto e non bagnarsi il pelo. Era autunno, ma era stato come uno di quei temporali estivi, improvvisi, freddi eppure caldi, che regalavano brividi strani a chi non si aspettava di essere bagnato.
 
La gente andava e veniva dai negozi, si teneva per mano, si parlava, si urlava, si salutava, si ignorava, si passava accanto, attraversava la strada, giudicava i colori delle cose, anche di notte. Persino la gente aveva il suo fascino corrotto.
 
E’ un peccato che un dipinto non possa comunicare anche gli odori dei suoi soggetti. Ci sono quadri di rose che son più belli delle rose stesse, più nobili come regali, eppure il loro colore ha un odore strano e chimico, ben lontano da quello selvatico, dolce eppur pungente delle rose.
 
Se il quadro che, chiudendo gli occhi, riuscite ad immaginare potesse comunicarvi un odore, sentireste quello forte della pioggia contro la pietra, del fumo, dell’autunno, delle altre stagioni che sono già passate, la puzza e il profumo di tutte le persone, il sapore neutro delle loro voci; sentireste l’odore della terra, l’odore di bruciato, e l’odore del alcool.
 
Stanotte, c’era odore di whiskey. Non tutte le volte il sapore dominante dell’alcool era la stesso. Tutto dipendeva da quale genere preferisse il tizio al bar con la più devastante tragedia della sera; lo vedevi dai suoi occhi e dal modo in cui beveva, qual’era questa persona.
 
Come per solidarietà, anche gli altri finivano, inconsciamente, col prendere lo stesso drink.
 
Beh, qualunque fosse la ragione, al proprietario del bar non importava.
 
E la sbornia, indipendentemente dal tipo di alcool, faceva sempre male uguale il giorno dopo.
 
Gerard Way aveva scelto il whiskey, senza sapere perché. Ma d’altronde c’erano ben poche cose che era sicuro di sapere, aveva ben poche certezze, lui,  e quindi perché sprecare tempo a chiedersi per quale motivo – quando il barman gli si era presentato dinanzi – aveva deciso di lasciar scivolare la parola “whiskey” dalla proprie labbra?
 
Non aveva importanza, l’odore nell’aria era forte e il tizio accanto a lui ordinò uguale.
 
Se sei stanco di vivere e di fare scelte, ordinare la stessa cosa della persona accanto a te è molto facile, molto comodo.
 
Gerard però aveva fatto da solo la sua scelta, anche se in realtà una scelta non era, era stato più che altro un istinto. Magari, era solo perché gli piaceva la parola whiskey. Whiskey. Era affascinante, e scritta era ancora più carina. Poteva sembrare il nome di un cane, o di un gatto, perché Gerard preferiva i gatti.
 
Anche in un bar, mano nella mano con la sua tragedia e un bicchiere di alcool, Gerard riusciva a pensare al gatto che non aveva. Era allergico. Era l’ennesimo suo piccolo fallimento.
 
Scosse la testa. Non aveva importanza.
 
Non aveva importanza: questo gli sussurrava il whiskey, lui e il suo nome carino. In modo confortante e confuso, gli diceva “non importa”.
 
Persino l’uomo accanto a lui, sembrava silenziosamente urlarlo. Urlava... lascia perdere. Lascia correre. Lascia cadere. Lascia vivere. Lascia morire.
 
Lasciati andare. La tua tragedia è la più bella della sera.
 
Se ti comporti bene, questi bicchieri di whiskey te li offre la casa.
 
Gerard Way stava imparando a non dar più peso a niente, ma in questo modo stava perdendo il valore delle cose, a partire dal valore della propria vita. Per quanti giorni sarebbe ancora durato? Se andava bene, poteva ancora contarli sulle dita di entrambe le mani, finché era al primo bicchiere e ancora riusciva a contare.
 
Però guarda, era bastato un momento di distrazione, e già era al terzo. E’ più facile e più difficile di quanto sembri morire così, in un bar, da solo. Non è tanto diverso dal vivere così, in un bar, da solo.
 
Cosa cambiava?
 
Ancora non aveva importanza.
 
Girò il polso in un movimento circolare, osservando il whiskey del suo terzo bicchiere accarezzare i bordi di vetro, minacciando di perdere una goccia, una piccola lacrima, che sarebbe scesa giù fino alle sue dita, fresca e promettente.
 
L’alcool era il migliore nel fare belle promesse da poter infrangere. Forse soltanto la vita stessa riusciva a batterlo.
 
Gerard Way avrebbe potuto morire una settimana prima, andarsene indisturbato, in modo silenzioso, un attimo e più nulla, niente più problemi, niente più drammi, niente più rancori, niente più pensieri... avrebbe persino detto addio all’arte che da sempre era stato il suo vero unico scopo, pur di morire adesso e subito, in quell’istante, insieme a tutti gli altri.
 
Aveva urlato, aveva detto che non voleva andare, aveva detto che non voleva stare con loro, e vedere altre persone in quella stupida vacanza. Gli avevano detto che si sarebbe pentito di non essere venuto.
 
E sì, quella era l’unica promessa che non era stata infranta. Se n’era pentito.
 
Perché non era andato? Perché non era stato lì presente quando quel fiore di fuoco si era mangiato ciò che aveva? Non lo sapeva, anche se all’inizio aveva pensato che fosse importante.
 
Ma non lo era più, aveva ragione il whiskey.
 
Ogni momento è buono per morire, con o senza fiori di fuoco, con o senza la mano di qualcuno. Perché non adesso? Gerard aveva perso il conto dei bicchieri, eppure non stava dimenticando, non si stava distraendo, si sentiva solo male. Ormai aveva anche perso l’abilità di ubriacarsi in modo decente.
 
Era da solo, non aveva più un lavoro, la sua famiglia la stava affogando adesso in un bicchiere di whiskey, e la persona che amava l’aveva lasciato indietro, perché lui era un tragico, immenso, bellissimo disastro, a cui non si poteva più dedicare tempo, e nemmeno Gerard aveva più tempo per sé stesso. Non poteva biasimare nessuno.
 
Ciao, uomo seduto al bancone affianco a me. Sono felice che stanotte il whiskey andasse a genio anche a te. Potrei quasi sentirmi meno solo.
 
«Gerard!»
 
Sinceramente? Gerard era stanco del suo nome. Era strano, vagamente straniero, scomodo, difficile da abbreviare in qualche modo, e solo due persone c’erano riuscite. Una, era morta. L’altra, l’aveva lasciato indietro.
 
«Gee! Per l’amor del cielo fermati!»
 
Gerard strinse gli occhi, perché era solo la sua immaginazione, e questo lo sapeva bene. Eppure si fermò, con il vetro gelido del bicchiere premuto contro le labbra, e nonostante ce le avesse appoggiate sopra ormai infinite volte, questo era ancora freddo. Per forza di cose, doveva significare qualcosa. E se già fosse morto?
 
Due braccia gli afferrarono le spalle, girandolo di scatto e strappandogli il bicchiere dalle mani, lasciandolo del tutto frastornato, con il respiro bloccato nel petto e una gran voglia di vomitare, di sputare fuori tutta l’anima.
 
Le due braccia lo scossero ancora, e Gerard tentò di mettere a fuoco, stringendo le labbra fino a sbiancarle.
 
«Gerard cosa stai facendo qui? Dovevi – potevi... chiamarmi. Io- ho avuto paura, e giro da ore, e nessuno sapeva – Cristo, Gee, mi dispiace, i- io....»
 
Gerard scosse piano la testa, perché davvero non capiva. Le mani che gli stringevano febbrilmente le spalle erano troppo reali, però, per essere un’allucinazione. E l’aveva detto, non era neppure più in grado di prendersi una sbronza degna del nome, e aveva paura degli aghi, quindi neanche le droghe potevano aiutarlo. Non capiva, non capiva davvero.
 
La voce, vagamente famigliare, continuò a balbettare cose, e ma non avrebbe avuto il tempo di capirle, neanche se avesse tentato. Si sentiva in una bolla.
 
Poi, piano piano cominciò a riconoscere i capelli scuri, i segni d’inchiostro sulle mani, e gli occhi nocciola, spalancati e iniettati di terrore, di stanchezza, di fretta, e un qualche genere di affetto. Adesso capiva, ma non voleva capire.
 
«Frank... basta. F-Frank – devi andare via... questo posto è pericoloso»
 
E allora Frank smise di parlare, restando a guardare l’uomo distrutto davanti a sé, e sentì gli occhi riempirsi di lacrime, perché era colpa sua. Era di nuovo colpa sua. Era sempre colpa sua.
 
Senza pensarci si gettò in avanti, e avvolse con le proprie braccia il corpo tremante e instabile di Gerard, premendosi il suo viso contro il petto, facendolo spostare dal suo sgabello perché il suo peso confortante gli restasse in grembo, e pianse con il cuore che batteva all’impazzata, e sapeva che Gerard quel battito riusciva a sentirlo. «Lo so, lo so che lo è... è per questo che andremo via insieme, e-e non ci torneremo mai più, non ci tornare...» mormorò, la voce spezzata da lievi singhiozzi tremolanti.
 
Gerard era rimasto immobile, inerme ed abbandonato nel suo abbraccio, come se già il suo corpo fosse morto, e sentiva dentro il bisogno di piangere, di gridare, di strozzarsi, ma non riusciva. Non riusciva a fare niente, se non fissare un punto imprecisato. E Frank parlava ancora.
 
«...ma andrà tutto bene. Appena ho sentito della tragedia, sono corso qui, lasciando tutto. Volevo già farlo, cazzo se volevo già tornare da te, ma avevo paura, e... e io, Gerard, io...»
 
«Io non voglio la tua compassione. E tu devi andare via» riuscì finalmente a dire Gerard, trovando quel briciolo di forza sufficiente ad allontanarsi dalla quella stretta insensata – insensata per lui.  
 
Senza battere ciglio osservò l’espressione visibilmente ferita del ragazzo, appena generata dalle sue parole, piene di nessuna emozione. Quell’espressione completava il quadro, incorniciata dalle lacrime di paura sul volto di Frank, e dalle ciocche nere attaccate dal sudore alla sua fronte. Ormai, aveva smesso di capire che cos’era importante.
 
«Cosa...? No! Non farmi questo... Io non – mi dispiace Gerard, sono stato un idiota, te lo ripeterò ogni giorno della nostra vita, se fosse necessario, ma ti giuro che non – »
 
Gerard scosse di nuovo la testa, più fermamente, sentendo comunque il whiskey schiacciargli il cervello in una morsa. «No... Frank, devi andare via. Vai via. Il tuo lavoro è importante...» Gerard per un attimo perse l’equilibrio, sentendo le gambe cedere; Frank, con lo sguardo pieno di apprensione, sollevò una mano per afferrarlo, ma Gerard lo fermò e si attaccò il bancone per tenersi saldo. «...e io devo essere lasciato indietro. L’avevi deciso tu. Ricordi? Vai via»
 
 
Frank si portò una mano alla bocca, singhiozzando ancora una volta. «E mai mi sono sbagliato tanto, e ogni fottuto giorno di questi sei fottutissimi mesi me lo sono chiesto. Non voglio più lasciarti indietro– »
 
«E invece sì. Invece sì, perché è giusto così, perché lo sai, perché lo so. E io sono una disastro»
 
E Frank, sentendo ogni parola sensata morirgli in gola, si prese un istante, e lo guardò.
 
Gerard era ubriaco, era instabile, puzzava di alcool, aveva i capelli vagamente unti, era confuso, era spezzato, era arreso, era solo.
 
Gerard era un tragico, immenso disastro.
 
Si prese un secondo istante, nel silenzio che c’era tra loro, e lo guardò.
 
Gerard tremava, ma i suoi occhi erano fermi, verdi, feriti, ma fieri, pieni di idee e di arte, il suo corpo era magro, ma elegante, le sue dita sottili e affascinanti, la sua forza, sotto tutta quella fragilità, il suo dolore, che anche sotterrato sotto all’alcool, era puro. Ancora lo vide, per qualche ragione, l’amore che Gerard provava per lui. E gli bastava.
 
Gerard era un tragico, immenso, bellissimo disastro.
 
E gli bastava.
 
Frank si rialzò, e nella frazione di un momento gli poggiò entrambe le mani sulle guance, sulle orecchie, intrecciando le dita tra le sue ciocche scure, e non avrebbe saputo dire quanto toccarlo gli era mancato, di quanto quel contatto fosse un respiro d’aria fresca dopo tanti giorni di apnea. Non avrebbe saputo dire.
 
Quell’abbraccio che arrivando gli aveva dato, era stato pieno di paura, di sollievo, precipitoso, ma adesso... Frank gli aveva preso il volto per sentirlo, perché aveva bisogno di sentirlo, voleva sapere che era lì, che era con lui.
 
Ed era ancora lì, Gerard, in bilico tra vivere e morire. Gerard, che come l’Universo era stato un’esplosione.
 
E solo sotto il suo tocco gentile, qualcosa in Gerard si ruppe, e il ragazzo cominciò a piangere le lacrime che prima pensava di non essere più in grado di versare. Forse per la prima volta in tutti quei giorni, qualcosa sembrò tornare ad essere importante.
 
«Lo so che sei un disastro, Gerard. Io ti amo, per questo. Pensa all’Universo, a tutti i suoi frammenti, a tutte le sue parti sparse, le sue nubi, le sue ombre e le sue luci. A tutte le sue stelle, che non ho mai avuto il coraggio di contare. Anche l’Universo è un immenso, bellissimo disastro.» mormorò Frank, sfregando i pollici contro le sue guance, per tergere le lacrime. «Ho sbagliato una volta, ho scambiato un aereo per una stella cometa, e so che ho frainteso quel che volevo, e che tu non dovresti nemmeno perdonarmi, perché è colpa mia, ma...»
 
Con le dita ancora strette tra i capelli di Gerard, Frank si sporse lentamente in avanti, sentendo di nuovo le lacrime farsi strada fino alle sue ciglia.
 
«Voglio tornare a contare le tue stelle»
 
E Gerard piangeva ancora, silenziosamente, senza muoversi, senza emettere rumore, forse senza nemmeno respirare. Ma i suoi occhi lo guardavano senza vacillare, e a Frank bastò.
 
Chiuse tra loro quell’ultimo millimetro, e le loro labbra si incontrarono, soffici, in un movimento all’inizio morbido, appena accennato, insicuro, per poi andare intensificandosi, perché si erano mancati, e si baciarono con sempre più passione, premendo famelicamente l’uno contro l’altro, in una danza poco discreta in un bar di quella città piovosa, che non li guardava. Si cercavano come se non fosse mai successo niente, le mani di Gerard che lentamente lasciarono i propri fianchi, raggiungendo quelli del ragazzo che si stringeva a lui, e quelle di Frank, che si muovevano ritmicamente dai suoi capelli alla sua nuca, la sua schiena, per averlo più vicino, più vicino, mentre ogni tanto le loro bocche spezzavano il contatto, respirando l’una dentro l’altra, eppure odiando il bisogno umano dell’ossigeno, che non potevano scambiarsi.
 
Non tennero conto dei minuti che passarono, ma semplicemente assaporarono il momento, perché tutto ciò che c’era dopo faceva paura, una paura folle, perché salvarsi è complicato, mentre cadere lo è veramente troppo poco.
 
La notte e quel bacio sapevano di whiskey, e se chiudete gli occhi, respirando a fondo e immaginando il quadro, forse riuscireste a sentirlo, così carico delle sue promesse.






_______________________________________________

Ed eccoci qui, con la prima one shot.
Il prossimo aggiornamento sarà...
 

2. Un bacio sussurrato.

 

Stay Tuned!
_StrayAshes
  
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