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Autore: Shichan    07/07/2016    2 recensioni
È sciocco come si sia riscoperta a notare una cosa ovvia in un modo tanto semplice, forse persino sciocco e infantile: le mani di due persone non hanno mai quel contatto totale. Ci sono sempre degli spazi, delle porzioni di pelle che a stento si sfiorano.
[post seconda serie; partecipa al contest "Segui la traccia" indetto da Setsuka su EFP]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akane Tsunemori, Kamui Kirito, Shinya Kogami, Shogo Makishima
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Shichan
Titolo: Fili di fumo
Fandom:
Psycho-Pass
Personaggi: Tsunemori Akane, Kougami Shinya (menzionato), Makishima Shougo (menzionato), Kirito Kamui (menzionato)
Generi: introspettivo, angst
Avvertimenti: oneshot
Rating: verde
Traccia: 17. Dita che si sfiorano
Note: ambientata alla fine della seconda stagione, con riferimenti anche alla prima.

 

Dalla sigaretta abbandonata nel posacenere si leva un sottile filo di fumo; lo guarda senza attenzione, senza osservarlo davvero – sale verso l’alto e diviene, nella sua intangibilità, invisibile proprio davanti ai suoi occhi lasciando quell’odore acre che le fa storcere il naso, sebbene fumi ormai da diverso tempo.
Si chiede quante persone della sua vita somiglino a quel fumo. Quante abbiano consumato la loro esistenza in un tempo troppo breve perché lo si possa definire naturale, quante di loro abbiano poi lasciato traccia di sé al punto da non finire dimenticati dalla maggior parte del mondo.
Seduta la tavolo, una mano a sorreggerle il volto, abbandona la posizione appoggiando la guancia sulla superficie lignea. Ha conosciuto, nella sua breve carriera, così tante persone che avrebbero dovuto lasciare il segno, personalità forti che il mondo ha dimenticato nel corso di una notte – in certi casi non li ha neanche mai conosciuti davvero, niente più che nomi pronunciati in televisione.
Makishima Shougo le ha portato via un pezzo di anima, e detesta doverlo ammettere: Yuki è stata uccisa davanti ai suoi occhi e Akane ha sentito distintamente una parte di sé morire con lei. Avrebbe voluto tenerle la mano, allontanarla dal pericolo e dirle che sarebbe andato tutto bene; ciò che ha fatto è stato non premere il grilletto. Il suo Psycho-Pass è pulito, ma non l’ha saputa raggiungere e per un solo istante Makishima è stato il fulcro di tutto: l’odio per lui ha riempito il suo essere e poi? È stato come un fenomeno astronomico, come se l’universo avesse fagocitato se stesso, e il mondo non ricorda già più chi sia stato Makishima Shougo o quali siano stati i suoi ideali, il suo obiettivo.
Sparito, come un filo di fumo. Akane non ha compreso fino alla fine – forse, ancora oggi, non riesce. È come se le mancasse un passo, uno soltanto e potrebbe afferrare quel che resta (quel che lei non potrà dimenticare mai) di lui e della sua psiche e poter dire di aver compreso.
Se Kougami ci fosse ancora, forse basterebbe cercare in lui quell’ultimo frammento mancante. Tuttavia anche lui è stato un’esistenza passeggera, sfuggente, divenuta un fantasma onnipresente: lo vede nei propri gesti, nelle proprie indagini, nei propri vizi. Avrebbe dovuto tendere la mano verso di lui? Sarebbe cambiato qualcosa se fosse stata più accorta, se avesse notato prima particolari che le sono sfuggiti?
Il braccio abbandonato in grembo fino a quel momento sale, e lo posa sul tavolo, la mano verso il posacenere e la sigaretta ancora accesa come se dovesse afferrarne il fumo. Cos’ha afferrato, lei, dell’identità di Kougami Shinya? Saprebbe raccontare di lui come Enforcer, sì, saprebbe dire che tipo di persona fosse – ma solo fino a un certo punto, quello che inizia a credere di aver raggiunto solo perché le è stato permesso farlo. Oltre non è potuta andare. Forse non ha saputo farlo.
Ogni tanto ci pensa, soprattutto quando conversa con il professor Saiga: guarda la tazza di caffè che le viene offerta e la stringe spesso tra le mani, facendo estrema e superflua attenzione a come le proprie dita aderiscono alla ceramica. È sciocco come si sia riscoperta a notare una cosa ovvia in un modo tanto semplice, forse persino sciocco e infantile: le mani di due persone non hanno mai quel contatto totale. Ci sono sempre degli spazi, delle porzioni di pelle che a stento si sfiorano.
Guarda la propria mano tesa verso un mobile e un oggetto irraggiungibili dalla propria posizione e tende le dita, sforzandosi pur conscia dell’inutilità del gesto. Se ci pensa bene, Kamui è stato l’antagonista più atipico nel modo in cui le ha permesso di toccarlo – non tanto fisicamente quanto nel profondo, eppure alla fine ha ancora la sensazione di qualcosa che scivola tra i polpastrelli.
Ha compreso Kamui? Forse. Ha condiviso il suo pensiero? Può darsi, in qualche modo.
La cosa di cui è certa è il tocco sulla propria spalla, un’anomalia nella normalità di un gesto tra due esseri umani. Pensa, nell’assurdità del tutto, che se avesse allungato una mano avrebbe potuto toccare la sua e forse sarebbe riuscita a comprendere appieno, perché è così che dovrebbe funzionare tra le persone, dovrebbero guardarsi negli occhi e toccarsi le mani e capire in questo modo con chi hanno a che fare e dove possono arrivare.
Quello, un tempo, è stato il punto fermo della sua concezione del mondo. Quello che, con dolcezza, sua nonna le ha donato. Ma ora il Dominator è un prolungamento del proprio arto e l’unica cosa che le sue dita toccano è il grilletto di un’arma.
Crede nelle legge. Eppure una piccola parte di lei ha provato genuina curiosità quando ha fatto a Ginoza la stessa domanda che Kamui – e forse Makishima, magari anche Kougami – si è posto nella sua intera esistenza: “di che colore sono?
Chiude gli occhi per qualche momento, sospira con lentezza; le gambe della sedia grattano leggermente sul pavimento quando si alza e, passo dopo passo, si avvicina al mobile su cui sta il posacenere. Lo osserva, come una creatura sconosciuta; allunga la mano, stende le dita e sfiora il fumo. Quello, il poco che ancora si alza dal mozzicone di sigaretta lasciato a metà, si dirada e scompare in pochi istanti.
Ha incrociato esistenze che avrebbero (hanno) fatto la differenza e che hanno finito col perdersi nel nulla come se non avessero mai avuto un peso; le sue mani non si sono mai direttamente sporcate di sangue, non hanno mai agito senza il Dominator, perché crede nel proprio lavoro, crede a ciò che le ha impedito di sparare a Makishima con una vera arma e a ciò che l’ha portata a frapporsi tra Kamui e Togane tredici ore prima.
La sua vita è costellata di distanze mai del tutto azzerate, si intreccia ad altre esistenze come dita che si sfiorano senza toccarsi mai davvero.
Si chiede se è così che dovrebbe andare. Si chiede se sia questa la differenza.

   
 
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