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Autore: Vago    08/07/2016    2 recensioni
Libro Secondo.
Dall'ultimo capitolo:
"È passato qualche anno, e, di nuovo, non so come cominciare se non come un “Che schifo”.
Questa volta non mi sono divertito, per niente. Non mi sono seduto ad ammirare guerre tra draghi e demoni, incantesimi complessi e meraviglie di un mondo nuovo.
No…
Ho visto la morte, la sconfitta, sono stato sconfitto e privato di una parte di me. Ancora, l’unico modo che ho per descrivere questo viaggio è con le parole “Che schifo”.
Te lo avevo detto, l’ultima volta. La magia non sarebbe rimasta per aspettarti e manca poco alla sua completa sparizione.
Gli dei minori hanno finalmente smesso di giocare a fare gli irresponsabili, o forse sono stati costretti. Anche loro si sono scelti dei templi, o meglio, degli araldi, come li chiamano loro.
[...]
L’ultima volta che arrivai qui davanti a raccontarti le mie avventure, mi ricordai solo dopo di essere in forma di fumo e quindi non visibile, beh, per un po’ non avremo questo problema.
[...]
Sai, nostro padre non ci sa fare per niente.
Non ci guarda per degli anni, [...] poi decide che gli servi ancora, quindi ti salva, ma solo per metterti in situazioni peggiori."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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 Finalmente! Un viso conosciuto!
Vi mancavo, ammettetelo.
Ho cercato per tutta la Trama del Reale e lei è l’unica che sono riuscito a trovare. Cosa vuol dire? Che gli altri cinque sono finiti da qualche parte fuori da questa realtà. Cose di tutti i giorni.
Comunque non mi sembra in fin di vita o in lutto, vuol dire che se la sono cavata anche senza di me.

Keria stava seguendo il corso di uno degli affluenti del Serat.
A sud le pareva di scorgere le prime dune del Deserto Rosso, mentre di fronte a sè, la Prateria Infinita si stendeva per centinaia di chilometri senza l’accenno di un rilievo.
L’arciere si chiese se, nei tre giorni da quando era rimasta sola, gli altri avessero trovato la loro prova.
Il sole venne inghiottito dalle alte cime dei Monti Muraglia e la pianura venne avvolta da una fredda foschia umida.
Keria si fermò in una zona di terreno asciutta, guardando il fiume che scorreva imperterrito verso oriente.
Avesse avuto una zattera, avrebbe anche potuta farsi trasportare dalla corrente, ma da quando aveva lasciato le colline ai piedi delle montagne non aveva incontrato un solo bosco.
La ragazza si inginocchiò sull’argine del fiume, guardando per pochi secondi gli occhi verdi incorniciati da un viso smunto e abbronzato che la stavano fissando.
L’immagine si dissolse quando le sue mani affondarono tra i flutti per portare un po’ d’acqua sulle guance sporche.
Una nuvola passò in cielo in quel momento, gettando la sua ombra su Keria, ma, non appena lei fece per alzare lo sguardo, sopra di sé vide solamente una gigantesca mano d’acqua che dalla superficie del fiume si levava per incombere su di lei.
Le dita trasparenti la afferrarono, trascinandola sul letto di quell’affluente, ma non fermandosi lì.
L’arciere continuava a sprofondare senza riuscire a divincolarsi, i suoi polmoni reclamavano disperatamente ossigeno mentre le increspature chiare della superficie si facevano sempre più distanti.

Io questa scena credo di averla già vista.
Vabbè. Anche l’ultima è andata.
Mi chiedo quanti di loro riusciranno a non lasciarci le piume… Lo spadaccino è forte e anche quello albino ha del potenziale…
Ma ora non importa, tanto quelli che ce l’hanno fatta li rivedrò al Flentu Gar quando gli dei avranno finito  con loro.
Spero solo che il cataclisma naturale venga fermata. Almeno per non mettere in pericolo la sua vita, ora che la situazione comincerà a peggiorare.

Infine, la presa dell’acqua scomparve e la ragazza si ritrovò a cadere per i quasi quattro metri che la sparavano da un duro e sconnesso terreno roccioso.
Keria fu pervasa da un dolore atroce in tutto il corpo. Gambe e braccia riportavano numerosi ematomi e graffi, la schiena, là dove aveva impattato con il suolo, le bruciava e dalla tempia sinistra un rivolo di sangue scorreva fino a giungere al mento, dal quale cadeva sotto forma di gocce scarlatte.
L’arciere si mise a sedere cercando di pulirsi il lato della testa con la manica della camicia che portava addosso.
Era caduta in una caverna, nella quale l’unica fonte di luce era un candelabro a tre bracci che riposava silenzioso al centro della sala.
La ragazza si rialzò faticosamente in piedi, percorrendo tutto il perimetro della sala in cerca di un’uscita o di qualcosa fuori posto, ma non ebbe il tempo di finire l’ispezione che un rumore di passi comparve alle sue spalle.
Keria riuscì a voltarsi, ma non ad evitare la lama nera che le trapassò il ginocchio sinistro, facendola cadere a terra.
L’arciere rotolò indietro automaticamente, ma non ebbe il tempo di guardare in faccia il suo aggressore, l’unico pensiero che in quel momento albergava nella sua mente era sopravvivere.
Si rialzò, tastando l’articolazione oramai inservibile in cerca della lama che l’aveva trafitta, ma trovando solo un profondo taglio che la squarciava da parte a parte.
Sfilò l’arco da tracolla e, utilizzandolo come sostegno, si trascinò fino al candelabro. Voleva vedere i suoi nemici e quel dannato buio la metteva in agitazione. Ne aveva paura da sempre. Da quando aveva memoria aveva paura di rimanere da sola in una stanza senza una candela accesa, poi, da quando l’avevano portata nella setta troppi anni prima, i giorni nelle segrete oscure del palazzo erano rimasti impressi nella sua mente.
Quei ricordi le fecero accapponare la pelle.
Accelerò il passo, avvicinandosi sempre più a quelle fiammelle che facevano scintillare la scia cremisi che la ragazza si lasciava alle spalle.
Keria si lasciò cadere di fianco alle candele. Senza perdere tempo strappò la manica sinistra della camicia per fasciare il ginocchio trapassato e rallentare, quantomeno, l’uscita di sangue.
Prese quindi in mano quell’unica fonte di luce, sollevandola sopra la testa in modo che i tremolanti raggi delle fiammelle potessero spandersi per qualche metro in più.
Una figura nera rimaneva immobile appena all’esterno del cerchio di luce. Era in piedi, dritta, indistinta nella penombra che la avvolgeva. La spada che teneva in mano nemmeno brillava alla fioca luce.
La ragazza strinse i denti e si alzò di nuovo. In una mano l’arco che la sosteneva, nell’altra il candelabro ben levato.
Non appena il cerchio di luce si mosse verso di lui, l’aggressore balzò indietro con uno scatto repentino.
Più l’arciere cercava di avvicinarsi a lui, più questi scappava.
Qualcosa a destra scintillò.
Keria continuò a inseguire l’uomo trascinando la gamba pregna di sangue.
Quando ebbe appurato che quell’essere non era mai, nemmeno una sola volta, entrato nel cono di luce, si fermò.
- Se hai paura della luce, vediamo se così ti ammazzo. – borbottò strappando un pezzo di tessuto dalla manica rimasta, arrotolandolo sulla punta di una freccia e incoccando il dardo.
Non appena la fiammella della candela fu sotto allo stoppino, questo prese fuoco, dardeggiando davanti agli occhi della ragazza.
Keria perse l’equilibrio sull’unica gamba d’appoggio quando le dita lasciarono la corda tesa, ma la freccia volò dritta  e precisa.
L’uomo si schivò appena in tempo, ma non fu così veloce da evitare che il suo braccio sinistro venisse illuminato dal dardo infuocato che impattò contro la parete umida della grotta.
L’arto, nel secondo in cui venne illuminato, parve dissolversi in una nube scura che venne inghiottita dall’oscurità dell0ambiente.
L’arciere riprovò il colpo, ma l’uomo non si lasciò cogliere impreparato una seconda volta, evitando il dardo fiammeggiante senza perdere null’altro del suo corpo.
Keria raccolse da terra il candelabro e qualcosa, di nuovo, scintillò alla sa destra.
La ragazza si trascinò in quella direzione, sperando di trovare qualcosa che potesse uccidere quell’uomo.
Quasi si mise a piangere quando, di fronte a sé, non trovò altro che un’armatura impolverata, che ancora stringeva nei guanti di ferro una spada e uno scudo rotondo.
Anche se quella spada fosse stata in grado di uccidere la creature, lei sarebbe morta lo stesso, lo sapeva. Non era mai stata in grado di combattere nel corpo a corpo da quando si ricordava, con nessun tipo di arma.
Presa da un moto di rabbia prese in mano l’elmo e lo scaraventò in direzione dell’uomo, che non si diede nemmeno il disturbo di spostarsi. Il pezzo di ferro lo attraversò senza problemi.
Keria non poté più trattenere le lacrime che le affollavano gli occhi.
Non poteva vincere. Non avrebbe potuto vincere nemmeno se fosse arrivata in quella stanza senza tutte le ferite provocate dalla caduta.
Le tre candele non sarebbero durate in eterno e appena l’ultima fiammella si fosse spenta niente avrebbe potuto tenere lontano da lei quell’uomo, che, nonostante fosse monco del braccio, continuava a rimanere in piedi, dritto, subito oltre il limitare del cerchio di luce.
Tra i singhiozzi isterici la ragazza cominciò a lanciare in direzione del nemico pezzi dell’armatura, inutilmente.
Prese uno spallaccio in mano, pulendolo con la manica strappata per vedersi un’ultima volta in viso. Si era rassegnata all’idea di morire in quel posto fuori dal mondo.
Lanciò lo spallaccio con rabbia.
Non sarebbe dovuto finire così. Non se lo meritava.
Lo spallaccio sberluccicò per un istante alla fioca luce del candelabro.
L’uomo fece un passo verso destra per evitare il pezzo di ferro.
L’arciere si passò il dorso della mano sugli occhi per schiarirsi la vista. Perché aveva schivato quell’ultimo pezzo?
Poteva esserci un’ultima via per salvarsi. Tanto, a quel punto, non aveva più nulla da perdere. Non poteva cadere più in basso di quel baratro in cui era caduta.
SI sedette a fianco a dell’armatura, con il candelabro di fronte a sé.
Si tolse la camicia per poi prendere pezzo per pezzo le piastre della corazza e pulirle al meglio dallo strato di sudiciume che le ricopriva.
Erano ancora opache, ma, per lo meno, mostravano ancora qualcuna delle qualità del ferro.
L’ultimo pezzo che la ragazza lanciò nella stanza fu lo scudo rotondo che roteò più volte in aria, prima di cadere a terra e inondare la sala con il suo suono riverberante.
Stracciò infine la camicia ricoperta di polvere, avvolgendone i brandelli su tre frecce dall’impennaggio rovinato.
I tre dardi vennero scagliati uno dopo l’altro velocemente, le tre punte dardeggianti arrivarono al culmine della loro parabola, per poi ridiscendere verso il centro della sala.
L’uomo si scansò per evitare le frecce, ma non poté far nulla contro lo scintillio dell’elmo alla sua destra, come del bracciale di fronte a lui e dello stivale alle sue spalle.
Fu solo un baluginio abbozzato, durato poco più di un secondo, ma quello scintillio sparpagliato per la stanza riempì di speranza l’animo disperato della ragazza.
L’uomo si dissolse in una nube prima che le frecce impattassero contro il terreno.
 Keria si lasciò cadere indietro, respirando affannosamente.
Il suo corpo le faceva male, ovunque.
Sul torso nudo risaltavano le sbucciature e i graffi che si era fatta durante la caduta. La benda stratta intorno al ginocchio trapassato era madida di sangue.
Con un ultimo sforzo l’arciere si mise addosso la maglia metallica con cappuccio che contraddistingueva i Draghi.
L’ambiente circostante si fece fumoso. Keria si preparò a perdere i sensi, ma la sua coscienza rimase dov’era.

Una stanza si materializzò al posto della caverna.
Due specchiere ricoprivano le due pareti laterali a destra e sinistra. Al centro dell’ambiente era stata sistemata una scrivania, sulla quale il candelabro della grotta sosteneva tre alte fiamme danzanti.
Dal soffitto pendeva un lampadario composto da centinaia di piccole gocce sfaccettate di cristallo trasparente.
Keria si sentì come se stesse ancora annegando nel fiume. Ogni ferita che portava sulla pelle sembro trapassata da lame ghiacciate.
Quando quell’esperienza terminò, la ragazza tolse cautamente la benda insanguinata dall’articolazione, alzando il pantalone per poter vedere la ferita. Ferita che era scomparsa senza lasciare dietro a sé nemmeno la più piccola cicatrice.
L’arciere si alzò in piedi, spostando ripetutamente il peso da una gamba all’altra per assicurarsi che tutto fosse tornato alla normalità.
- Benvenuta. – disse una voce alle sue spalle.
Keria si voltò, mentre gli occhi verdi cercavano la fonte di quella voce.
Una donna dalla pelle candida la guardava sorridendo. Le labbra fini scoprivano appena una chiostra di denti bianchi, mentre i capelli dorati stretti in una treccia ricadevano su un abito blu scuro. Su quel volto pallido l’occhio destro risaltava nella sua scurezza, mentre il sinistro azzurro si sposava perfettamente con il viso perfetto.
- Tu… tu hai progettato quella prova? Luce, dimmi, hai deciso tu come testarmi? – chiese la ragazza sentendo le lacrime salire di nuovo verso gli occhi.
- Si. Ammetto di essere io l’artefice di questa prova. Ma lascia che ti spieghi perché ti ho fatto passare tutto quello. – le rispose la dea avvicinandosi leggiadra e stringendo il Drago, che stette rigida tra quelle braccia. – Ti ho indebolita, ti ho messa in difficolta, portata allo stremo, solo per far si che tu capissi. Che tu capissi qual è il vero potere del mio elemento. È per questo che ora sei qui. Hai capito che qualunque cosa può rispendere, se una fiammella la illumina. Anche l’ultimo pezzo di ferro può brillare se gliene si dà l’opportunità. –
- Ma io non sono un pezzo di ferro! Sono caduta per metri, quella cosa mi ha trapassato un ginocchio! – gridò piangendo la ragazza mentre il petto sobbalzava.
- Lo so. Ascolta, io volevo essere sicura che il mio prescelto fosse abbastanza forte da sopravvivere alle peggiori avversità. Tu eri debole e indifesa, sovrastata da quel nemico che non conoscevi, però lo hai sconfitto. Questo grazie solo a quella fiammella di speranza che ti ha fatto brillare l’anima. È questo il bello della luce, può essere riflessa, può passare di superficie in superficie senza mai perdere la sua sfolgorante bellezza, anzi, aumentandola. Tu mi hai dimostrato quanto vali e io ho intenzione di far riflettere da te la mia luce. –
Keria singhiozzò più forte, abbandonandosi a quell’abbraccio e cingendo con le braccia il corpo della dea.
- Ancora una cosa. – continuò Luce concludendo quel contatto. – Voglio donarti un compagno che ti accompagnerà nel tuo viaggio e nel quale risiede il potere che ho destinato a te. –
La dea bionda chiuse il pugno su una delle tre fiammelle del candelabro, allargando la stretta poco a poco. Infine porse all’arciere un globo di cristallo perfetto, attraverso il quale le figure si vedevano nitide.
- Non avere paura, Keria. Anche se potrai non crederci, io farò tutto quello che è in mio potere per aiutarti nel tuo viaggio. –

La ragazza vide svanire la stanza sotto i suoi occhi. Si trovò sulla sponda del Serat, nella zona di terra asciutta da cui tutto aveva avuto inizio.
Il globo nella sua mano brillava alla luce del sole come una gemma. 

   
 
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