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Autore: Rose Paris Bonnefoy    08/07/2016    1 recensioni
“Caro diario,
mamma e papà non ci sono più.
Hanno appena trovato i loro corpi sotto le macerie di questa enorme villa che i nostri antenati, un tempo, avevano costruito sperando che un dì noi - i loro successori - ne avremmo fatto tesoro.
[...]
La causa di tutto questo disastro ancora non è nota a nessuno, nemmeno alle forze dell’ordine che si trovano proprio dinanzi a me."
Una giovane ragazza costretta a scappare dal suo amato villaggio, per un motivo ancora sconosciuto e un "mostro leggendario" tornato in vita in circostanze misteriose. E un'Organizzazione che dà la caccia ad una Chiave, che loro chiamano "Hjärta". La ragazza riuscirà a costruirsi la vita che ha sempre desiderato? Il temuto "mostro" come ha fatto a tornare in vita? E l'Organizzazione riuscirà a portare a termine la propria missione?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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05 Marzo X, Penumbra
 
 
“Caro diario,
mamma e papà non ci sono più.
Hanno appena trovato i loro corpi sotto le macerie di questa enorme villa che i nostri antenati, un tempo, avevano costruito sperando che un dì noi - i loro successori - ne avremmo fatto tesoro.
Sono spaventata, inorridita da ciò che i miei occhi hanno veduto intorno a queste mura: dimore millenarie cadute a pezzi, uomini e donne di ogni età martoriate, macchiate col loro stesso sangue; bambini che piangevano esattamente come me e per il mio stesso motivo. Ciò che mi tormenta di più è sapere che tutti loro son ben più piccoli di me, devono ancora crescere ed arrivare all’età adulta e dovranno affrontare la vita da soli o - chi è “fortunato” - con il proprio fratello e sorella.

La causa di tutto questo disastro ancora non è nota a nessuno, nemmeno alle forze dell’ordine che si trovano proprio dinanzi a me. Ora stanno ispezionando il giardino, alla ricerca di qualche indizio, ma su questi sassolini e erbacce non intravedo nulla, se non qualche resto di una finestra qua e là e le verdi tende tanto amate da mia madre ora luride di polvere nera come il carbone.
Non riesco nemmeno a ritrovare Joya, la mia adorabile gattina nera: per quanto graziosa e piccolina, era paurona. L’unica cosa che mi rimane sei tu, caro diario e l’altro mio gatto bianco e nero. Pajn.
Di una cosa son sicura ed è la certezza che ho sempre avuto: non posso fidarmi di quelli che mio padre, ingenuamente, chiamava “parenti”. Non abbiamo mai avuto buoni rapporti con nessuno di loro ed ora che non ho più nulla, loro possono beatamente impossessarsi di questo misero pezzo di terra e non degnarmi  di uno sguardo. L’unico vero problema è, ora: dove andremo?
Mi vien da piangere al solo pensiero di dover rifugiarmi sotto i ponti o chiedere cibo e soldi ai passanti.
Tuttavia, va bene così.
Son sola, ma ho ancora speranza.

 
 
Selene.”




Fece un lungo respiro e chiuse, con quelle fredde e candide mani, il suo diario che odorava d’incenso; le pagine scricchiolarono come le foglie d’autunno a quel semplice gesto, così divorate dal tempo, come solo i libri di suo padre lo erano. In fondo, la sua amata nonna aveva conservato da anni quel quaderno così piccolo e nero, decorato con linee bianche come la neve e morbide, sinuose come le onde del mare.
La piuma, macchiata d’inchiostro, fu adagiata dentro un astuccio del medesimo colore della notte, ove dentro era rivestito di un tessuto morbido e rosso; quest’ultimo fu congiunto e posto dentro ad una semplice saccoccia insieme a quei fogli scribacchiati già da tempo, legata alla vita della giovane come una borsetta. Dentro vi doveva essere anche il suo “registro giornaliero” che poteva esser grande la metà del suo piccolo braccio più la sua mano, dunque doveva assolutamente essere spaziosa.
I suoi occhi sporgenti erano spenti, privi di ogni allegria o di curiosità, di speranza. La sua mente era ancora in fase di “elaborazione”, dunque cercava – in ogni modo possibile – di trovare una qualche soluzione.
Nonostante tutto, però, le lacrime erano sempre lì, pronte a scendere silenziosamente. Non amava piangere, lei: preferiva piuttosto ridere o far sorridere gli altri, che piangere in un angolino del suo caldo e grande letto, che oramai non possedeva più.
Girò su sé stessa, sulle punte e prese ancora una volta un lungo respiro, guardando prima dinanzi a lei, poi in basso, verso quel grande e grasso gatto.
«Pajn, andiamo! Non so dove, tuttavia.. andiamo!» il felino la guardò con quegli occhi gialli e innocenti, scrutatori, non capendo cosa la sua padrona volesse dirgli; ma la seguì con passo svelto, felpato e senza indugiare, appena vide l’arto della sua padroncina muoversi su quel vestito candido e lungo, che copriva quel corpo formoso in tutti i suoi punti. La sua coda era diritta, verso l’alto come un’antenna pelosa e morbida al tatto. Il padre della fanciulla l’aveva trovato per strada, in fin di vita e pieno di ferite, di lacerazioni. Tuttavia, con le dovute cure e giusto qualche ciotola di buon latte tiepido, fu cresciuto con amore ed il risultato era ben visibile: la panciona era impossibile non notarla. E quelle unghie, che solo in casi particolari uscivano allo scoperto – e graffiavano, eccome se graffiavano – erano resistenti e taglienti come un coltello. Le zampe agili e con un notevole volume muscolare erano grandi più del normale, ma morbide anch’esse come tutto il resto del corpo. Ed i denti, bianchi come la perla, mordevano e facevano male.
E questo la mora chioma lo sapeva bene.
La fanciulla non guardò nemmeno in faccia i poliziotti, andò avanti senza fermarsi. Gli abitanti della sua città facevano in continuazione avanti e indietro, un continuo brulicare di anime disperate ed alla ricerca delle persone a loro care. Lei si fermò per qualche istante, notando da lontano una donna che si avvicinava chinata e singhiozzando al corpo di un giovane, che non dava oramai segni di vita; vide quelle mani che parevano materne afferrare quella piccola testa, le urla disperate…era troppo per Selene.
Distolse lo sguardo dalla parte opposta della strada, con in volto uno sguardo che esprimeva tutta la sua preoccupazione e tutto il suo odio: perché vite così giovani dovevano rimettere la propria vita? A quale scopo, secondo quali desideri e piani? Era una domanda che una così piccola mente, non poteva ancora dar risposta. E non era ancora pronta a lottare.
Ma doveva.
Selene incominciò a compiere i primi passi, seguita dal suo amato felino, verso il centro oramai spoglio di ogni antica decorazione. Arrivata alla Piazza Principale, i disastri erano ben evidenti: il terreno sotto i piccoli piedini aveva preso una curvatura anomala, distorta e le mattonelle si erano completamente staccate dalla loro posizione iniziale; Bar Clè, il più famoso della città non esisteva più, come anche la cattedrale che si trovava di fronte al comunale, con quel suo stile gotico, con quelle sue altezzose mura, decorate da mani esperte della scultura e dell’architettura che spesso e volentieri le persone del luogo la definivano “Casa del Mondo”, per la moltitudine di gente che accorreva lì per osservarla, per studiarne ancora la struttura.
Una vera e propria opera d’arte, che purtroppo da quel dì maledetto, aveva bisogno di ristrutturazioni. Poco più avanti, il museo non aveva più un tetto, il cinema aveva perso il 50% della struttura portante, la parrucchiera infondo al vecchio corso non aveva che le macerie.
Dovevano andarsene tutti. E subito, perché sarebbe successo ancora ed ancora e la città sarebbe infine crollata sulle loro teste.
La fanciulla non poteva rischiare, sarebbe dovuta scappare con ogni mezzo possibile. Persino con una barca. Ma a chi chiedere aiuto?
 
«Selene!» una voce conosciuta la chiamò improvvisamente, svegliandola da quel puzzle così difficile da completare, per una come lei. «Selene! Sono Chatarina!»
Una donna le si parò dinanzi, con fare sereno, quasi giocoso; gli smeraldi della più piccola si alzarono verso quelli scuri della donna. Riconobbe subito la madrina, avvolta nel suo grande cappotto viola e quei jeans chiari come il cielo. Quest’ultima le saltò quasi addosso, abbracciandola come solo la madre, un tempo, sapeva fare. Selene all’inizio cercò quasi di protrarsi, colta alla sprovvista, ma quando la situazione le fu tutta più chiara ricambiò il dolce gesto che tanto la stava rendendo felice.
«Quanto mi sei mancata, Chatarina! Come hai fatto a trovarmi?»
«La nonna ti aveva visto passare tutta frettolosa, allora abbiamo pensato di chiamarti per salutare! Dunque, sei andata a trovare la tua dimora?» la mano della mora, dopo aver indicato per qualche istante un’amabile signora dal dolce sorriso e dal fare cordiale e pacato, ritornò lungo i fianchi; la fanciulla non tardò a salutare con un grande bacio sulle dita la “nonna”, con un sorriso che non faceva oramai da giorni. Poi, tornò a riflettere su ciò che gli aveva chiesto la madrina.
«Sì..»
«Mh- dalla tua risposta, deduco che non sia andata molto bene.»
«Scusami, Chat, ma non ce la faccio: perché hanno dovuto colpire la mia casa? A quale scopo?» una mano candida si appoggiò su quel morbido volto, che da lì a poco veniva macchiato – ancora una volta – da quegli orrendi solchi che creavano sul suo volto le lacrime; ma doveva resistere, perché in fondo odiava piangere. Le ricordava quanto fosse debole. Perché lo era.  «Le uniche cose che ho potuto vedere son stati dei pezzi del nostro soggiorno e poco più. E’ inutile tornare lì, se non si vuole quel terreno.»
«Ma tu lo vuoi, vero?» chiese la donna, con quel pizzico di speranza in quella voce squillante.
«No, non m’interessa. Che se lo prendesse qualcun altro. Mi son stufata di star  dietro a queste cose. E’ da quando son piccola che la mia famiglia non fa altro che litigare, per dei beni materiali che – purtroppo – non si possono portare nella tomba; non voglio perdere tempo con dei nullafacenti, che pensano solo a “prendere”, ma non a dare.»
«Selene, quel terreno se l’era guadagnato tuo padre col duro lavoro! Perché lasciarlo a persone che nemmeno lo meritano?! Non spetta a loro!»
«Me ne rendo conto, ma non ho né la forza, né gli anni e né l’esperienza giuridica per andare contro di loro!»
«Beh, per quanto riguarda la terza esistono gli avvocati!»
«Ma per gli altri due..?»
Tra le due cadde il silenzio, nel mentre la nonna era a qualche passo di distanza da Selene, cercando di capire di cosa parlassero. Le due calde mani di Chat si appoggiarono sulle piccole spalle di Selene e le strinsero forte; erano come un abbraccio, ma uno di quelli che cercava di darti la forza di andare avanti e lottare, di provarci sempre e comunque e ti ricordava che non eri da solo. Sempre se volevi ricordarlo.
«Non sei da sola, piccola mia! Ricordatelo sempre! Ti darò una mano io; conosco tanti di quegli avvocati, che-»
«Ho detto “no”. Dico sul serio, madrina e ti chiedo di rispettare la mia decisione.» replicò lei per l’ultima volta, lanciando un’occhiata alla figura dinanzi a lei. Prese entrambe le mani dalle sue spalle e le strinse nelle sue, con fare dolce e gentile; un lieve sorriso apparve su quelle piccole guance. «Al massimo, se desideri, lascio una dichiarazione scritta dove dico che quel terreno è tuo e della nonna. Ma se voi non lo prenderete, quel terreno andrà in mano ai miei parenti. Questo è ciò che ho deciso.»
«Come desideri, Selene.» il tono della donna si abbassò incredibilmente, molto probabilmente era triste, preoccupata per ciò che la piccola aveva in mente di fare. «E dove andrai?»
La bruna rimase in silenzio, con lo sguardo pensante: bella domanda.
 «Ho bisogno di te per questo, Chat: voglio andarmene da qui. Voglio raggiungere il Nord. Ho sentito dire che lì il lavoro si trova e affittano camere!»
«Ma ti rendi conto di ciò che stai dicendo..? Puoi vivere tranquillamente qui, dove hai un terreno tutto tuo, ed invece no. Vuoi raggiungere Delstaten Vindar? »
«Sì! Ti prego, Chat! Ho sentito dire che gli ultimi aerei partono questo pomeriggio, poi se ne riparlerà settimana prossima!»
«No, non se ne parla!» alzò le mani al cielo, scuotendo il capo ed indietreggiando lentamente, sembrava alquanto indignata. E non aveva tutti i torti, dopotutto. Ma la giovane aveva un brutto presentimento e rimanere a Penumbra non avrebbe di certo calmato quell’animo ardente. «Andrai da sola ed io ho il compito di accudirti. Tu rimarrai qui!»
«Oh, Santo Cielo! Ti prego, ci tengo tanto!»
«E dove pensi di prendere dei vestiti decenti, eh?! E da mangiare?»
«Ho dei soldini con me, posso prendergli lì! Poi, se trovo un lavoro il gioco è fatto!»
«Non è così semplice!»
«Allora non complicarmi tutto.»
Ancora una volta il silenzio s’impossessò di quegli istanti di soli sguardi amareggiati e pensierosi. Chat iniziò a torturarsi le mani, guardando a terra. Non era un buon segno.
L’anziana signora, la “Nonna”, si avvicinò alle spalle di Selene e la pattò con fare delicato, guardando poi la figlia silenziosamente.
«Seguimi.»
   
 
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