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Autore: tyger    08/07/2016    1 recensioni
Raccolta di brevi esperimenti nonsense. Perché a volte le storie sono semplicemente storie.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Rapsodia su una sera di vento (e una marina mancata)

 

Il vento lo prese alle spalle, in una raffica di tonante abbaglio dei sensi.
Sara lo avvolse tra le braccia e prese fiato contro la sua guancia, la sua barba di tre giorni e l'odore di polvere da sparo che si portava dietro da ore. I capelli lunghissimi di lei avvolsero entrambi in un fragilissimo bozzolo scompigliato dalla tempesta che saliva, saliva dalla terra, dai geranei nei vasi di terracotta che parevano scoppiare di umidità, saliva come una strada che sognava quasi ogni notte e come una marea che ancora non l'affogava.
"Andiamo dentro" disse la donna.
Annuì confuso, i veli dell'anima scompigliati da un soffio lieve da stringere lo stomaco e il cuore. L'aria non è mai al posto giusto, sempre a cambiare natura o mancare, a germogliare stranezze d'ossigeno e memoria. Le sfiorò il viso con un bacio appena salato.
Camminarono lungo il vialetto di pietrisco, calpestando le erbacce e sgranocchiando lo scroscio della pioggia nel calpestio dei piccoli sassi, passi accavallati come nervi che si stendono senza slegarsi. Sara fece entrare l'uomo, poi lo seguì dentro, sul tappeto di feltro, e si chiuse alle spalle la porta a vetri. Si riaccese, stonato e più caldo, ogni senso, escluso dal mondo esterno graffiato dall'acqua e dagli artigli del vento. Una mano tra i capelli in boccoli sformati, che effondevano umida delizia di affanno e attiravano, inevitabili, con quell'essere scomposti come fosse l'unico modo possibile, l'unico modo vero. Ma non è che un dettaglio. Le pentole, impilate negli armadietti in cucina, tremano all'ennesimo tuono. Il divano borgogna è un po' spostato, la collezione di souvenir coperta di polvere, la bottiglia di Chianti sul ripiano del giradischi rotto è stata aperta? Non sto parlando con nessuno. E' sera. Niente qui dentro sa di mare.
Arnout le posa le mani sul petto, la spinge contro la porta. Lei prende fiato tra i denti. Sta pensando a un ragazzo che ha conosciuto da giovane, non le è mai importato il nome, ma leggeva sempre libri molto belli mentre l'aspettava all'entrata della scuola, e aveva il viso ingenuo ma gli occhi in tempesta, e avrebbe compiuto gesti come quello per tutto il tempo. Arnout non sembra fatto per quello.
"Perché non suoni" le dice. Ha il fiato accorciato dalla dolcezza, da un'eccitata levità di esistere.
"Suonami qualcosa, ti prego."
"D'accordo."
Lei non si muove. La terra trema sotto i loro piedi anestetizzati dalla distrazione.
Non si muove. E' perfetto. Non c'è niente da conservare, nessuna tensione, nessun ridefinire. Si annullano del tutto in quello stallo, in quell'attesa sommersa. Finché Sara lo implora, in un istante, con gli occhi, di avvicinarsi ancora. Arnout inclina la testa, i capelli bagnati le fanno socchiudere gli occhi. Non si tratta di niente, di niente. Non c'è più acqua, qui dentro.
Un bacio veloce, fatto bene, più intenso dove qualcosa manca. Pulsa qualcosa di inesplorato. La donna si allontana, piano, i tacchi attanagliati dalla finta moquette e un'espressione sul viso da marionetta o da stella di Broadway. Arnout appoggia la fronte contro il vetro della porta, chiude gli occhi e rimane in attesa che le dita di lei sfiorino i tasti del pianoforte, come la scia di pioggia che camminando disegna per terra, simile alla coda di una sirena.
 
   
 
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