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Autore: Suicide Crown    09/07/2016    0 recensioni
Alzai leggermente lo sguardo dal suolo e vidii passare un gruppetto di persone: la tipica perfetta famigliola americana, composta da un padre premuroso e leale, che giocherella allegramente con i due figli che porta in braccio, una madre giovane e dolce, che non vede l'ora di rimboccare le coperte ai due bimbi che ha cresciuto per nove mesi dentro il grembo materno e baciarli, fino a quando saranno proprio loro che, ridendo ed arrossendo, poseranno le loro calde manine sul suo viso e la allontaneranno gentilmente, ordinandole scherzosamente di andare a riposarsi, che l'indomani sarebbe stato un altro giorno meraviglioso. E poi, per ultimo, c'era l'affetto che legava i due figli, imparentati come fratelli, che si proteggevano l'un l'altro e amavano i loro genitori più di chiunque altro.
Distolsi bruscamente lo sguardo, concentrandomi sulle vetrine accese di ogni negozio.
Io non avevo mai avuto nulla di tutto ciò, neanche in età infantile.
Scialba e anonima, la figlia di questa famiglia frantumata adesso era lì, a camminare senza una meta precisa, decisa a scappare via dalla realtà dei fatti.
Che vigliacca.
Che perdente.
Buona lettura!
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Nouvelle Moon

 

 

Fu proprio quella sera, che il rapporto con mia madre si spezzò.

“Torna subito qui! Non puoi fare sempre quello che cazzo ti pare!”

Lo sbattere incessante dei pugni contro la porta infastidiva il mio silenzio, tentava di frantumare la mia calma, feroce apparenza.

“Esci da questa merda di stanza, Scar!” Mia madre non faceva altro che urlare e accanirsi su di me, distruggendo la mia maschera di innocente felicità.

Ora ero stesa, con il viso rivolto verso su, ad osservare il deprimente soffitto rovinato dall'umidità.

Le mie iridi erano talmente dilatate, che l'unica cosa che avrebbe potuto notarsi in lontananza sarebbe stata la sclera bianca, mentre rimanevo ad osservare le grandi forbici da giardinaggio appoggiate al comodino.

I miei capelli, solamente due minuti fa, erano una chioma lunga, rossa e perfetta.

Adesso li avevo tagliati e, quelle che prima erano lunghe ciocche lisce, ora erano ridotte a poco più di alcuni ciuffi, alcuni ricadenti sulle spalle, altre tenute ferme dietro le orecchie.

Aspettai che mia madre se ne andasse, per ritornare a muovere qualche passo, anche se non ne avevo decisamente la voglia.

Fortunatamente, la porta era chiusa a chiave ed io avevo libera uscita.

Afferrai il cappotto bordeaux che ricopriva la spalliera della sedia accostata al muro e lo indossai frettolosamente, preparandomi a calarmi giù dalla finestra.

Due piani soltanto non mi avrebbero sicuramente uccisa, quindi mi aiutai con il cornicione, dandomi un piccolo slancio, e caddi di schiena sul prato umido del giardino del vicinato.

Scrollai le spalle e mi rialzai lentamente.

Socchiusi le palpebre. Ovviamente, non sono morta, pensai.

Scavalcai i cancelli ancora umidi di vernice d'un verde ospedale e, nel giro di pochi istanti, mi ritrovai di già a camminare lungo le stradine di Los Angeles.

Le luci notturne ed i rumori stradali, in qualche modo, mi rilassarono.

Mi calcai il cappuccio sul capo, riuscendo quasi a coprire gran parte degli occhi, lasciandomi trasportare dallo scorrere lento ed incessante dei pendolari.

La maggior parte di essi provenivano dall'Italia, per cui mi ritrovai rinchiusa in un profondo stato di confusione.

Avevano un modo strano di parlare, biascicavano le parole e alcuni ridevano anche a voce troppo alta, quasi sguaiatamente.

Alzai leggermente lo sguardo dal suolo e vidii passare un gruppetto di persone: la tipica perfetta famigliola americana, composta da un padre premuroso e leale, che giocherella allegramente con i due figli che porta in braccio, una madre giovane e dolce, che non vede l'ora di rimboccare le coperte ai due bimbi che ha cresciuto per nove mesi dentro il grembo materno e baciarli, fino a quando saranno proprio loro che, ridendo ed arrossendo, poseranno le loro calde manine sul suo viso e la allontaneranno gentilmente, ordinandole scherzosamente di andare a riposarsi, che l'indomani sarebbe stato un altro giorno meraviglioso. E poi, per ultimo, c'era l'affetto che legava i due figli, imparentati come fratelli, che si proteggevano l'un l'altro e amavano i loro genitori più di chiunque altra forma di vita.

 

Distolsi bruscamente lo sguardo, concentrandomi sulle vetrine accese di ogni negozio.

Io non avevo mai avuto nulla di tutto ciò, neanche in età infantile.

Avevo una madre disperata e sull'orlo del precipizio, a causa della sua unica figlia, che non faceva altro che deluderla costantemente e indurla ad odiarla; un padre che, incurante delle esigenze della figlia, spendeva il denaro che guadagnava ogni giorno per i suoi svaghi.

Ed entrambi, a loro volta, avevano questa figlia insensibile ed ossessionata dalle sue passioni più grandi, che non faceva altro che rovinarli moralmente, commettendo cazzate su cazzate, sembrando che lo facesse perfino di lavoro.

Approfittatrice di merda.

Scialba e anonima, la figlia di questa famiglia frantumata adesso era lì, a camminare senza una meta precisa, decisa a scappare via dalla realtà dei fatti.

Che vigliacca.

Che perdente.

Mi morsi violentemente il labbro ed iniziai a giocherellare con il piearcing, guardandomi di sottecchi intorno, vedendo solo facce felici.

Però, beh, chissà: magari, queste facce felici sono proprio una maschera per ricoprire il dolore.

Oh, cazzo, che coincidenza! Proprio come la mia.

Sbuffai per la mia sfigata ironia e tirai giù l'orlo delle maniche del cappotto, nascondendo le mani.

“Ohw, hai sentito il nuovo album che è appena uscito?”

“Ovvio, come potevo non sentirlo!”

Voci.

“Scommetto che il mio ragazzo mi porterà ben presto ad un appuntamento!”

“Beh, è possibile: sembra letteralmente cotto di te!”

Altre voci. E poi decisi di ignorare le chiacchere, sentendomi leggermente le guance inumidite dalle lacrime.

 

“Perchè piangi?”

 

A quelle parole, alzai di scatto lo sguardo e mi guardai intorno, nascondendo al contempo il viso nel cappuccio.

Solo allora, non appena volsi gli occhi all'interno del vicolo buio che mi ritrovai accanto, mi accorsi da dove proveniva quella voce.

 

Una coppia.

Ah.

Risi mentalmente: cosa cazzo mi aveva fatto pensare che quella domanda era rivolta a me?

Assottigliai lo sguardo verso di loro, in lontananza.

L'uomo sorrise tristemente alla giovane donna e tentò di asciugarle le lacrime, che le scorrevano sul viso curato.

Lei era davvero bella.

Fisico perfetto, delicatezza nei movimenti ed una chioma ordinata di morbidi capelli biondi.

Avrà di sicuro anche una mente brillante ed uno spiccato senso di sensibilità, pensai.

“Non guardarmi, ti prego!” Gridò lei, soppesando ogni singulto e spingendolo gentilmente all'indietro.

L'uomo, in tutta risposta, la afferrò bruscamente per le spalle ed, infine, la accolse tra le sue braccia.

Chiusero gli occhi e si strinsero reciprocamente, usufruendo uno del calore dell'altro.

Decisi di lasciar perdere e di asciugarmi le ultime lacrime, per poi iniziare a sfiorare con delicatezza il muretto incrostato e logoro del vicolo.

Ma lui riprese a parlare.

“C'è così tanta feccia in questo mondo, che neanche immagini, Ice..”

Ice? Che strano nome, pensai, ritornando involontariamente ad osservarli. Qualche giorno fa', avevo approfondito l'argomento dei nomi strani su Internet, e Ice era un nome usato moltissimo in Cina. Aveva persino un significato, che momentaneamente non ricordo..

“Sì.. molta feccia..”

Sussultai, alle ultime parole della donna. La sua voce, prima melodiosa e limpida, sembrava quasi sdoppiata.

Strabuzzai lievemente gli occhi, per poi strizzarli, massaggiandomi con delicatezza i lobi delle orecchie.

Probabilmente sono solo stanca, pensai.

Ma ella, adesso, mi stava guardando.

Le sue labbra perfette si erano increspate in un sorriso malsano, fin troppo largo per definirsi, appunto, un “sorriso”. Indietreggiai istintivamente di un piccolo passetto e, strofinandomi le palpebre, presi a tremare.

Non sentivo né vedevo più niente, a parte il viso contorto della giovane donna.

Deglutì la bile in gola e, senza accorgermene, socchiusi gli occhi.

Mi sentivo pesante e faticavo a mantenermi in equilibrio, come se il monotono asfalto sotto di me si sia trasformato in gelatina.

Chiusi gli occhi.

Poi svenni.


Angolo Autrice:

Ehilà a tutti!
Come state? Spero bene!
Questo è il prologo della mia storia "Nouvelle Moon", spero che l'inizio vi piaccia. :D

Un bacio,
AxNxOxNxYxMxOxUxSx

 

   
 
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