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Autore: Ghost Writer TNCS    09/07/2016    3 recensioni
Leona è nata con un potere terribile e straordinario, una forza inarrestabile originata nel cuore più profondo dell’Inferno, capace di sbaragliare qualsiasi avversario. Un mostro.
Alphard non è nemmeno nato: lui è un ibrido, il prototipo di un nuovo tipo di supersoldato. Un esperimento.
Insieme si sono diretti su Shytia, un pianeta devastato dalla guerra civile e ora saldamente nelle mani di criminali senza scrupoli, e lì hanno fondato una gilda: la Brigata delle Bestie Selvagge. Ma hanno bisogno di una grande impresa per riuscire ad emergere, per dimostrare quanto valgono.
Un giorno vengono a sapere che Adolf O’Neill, il fuorilegge che controlla la vicina Traumburg, è entrato in possesso di un antico artefatto dal valore inestimabile. Ucciderlo vorrebbe dire liberare la città, ma anche e soprattutto poter saccheggiare la sua ricchissima collezione.
Prima però dovranno trovare degli alleati: qualcuno abbastanza folle da voler attaccare la roccaforte di O’Neill insieme a loro. Qualcuno che abbia la stoffa di una Bestia Selvaggia.
“Non siamo eroi, ma se avete bisogno di un eroe, chiamateci.”
Domande? Dai un'occhiata a http://tncs.altervista.org/faq/
Genere: Azione, Fantasy, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1. Io sono Leona

Data:  4117 d.s., seconda deca[5]

Luogo: pianeta Wunderwelt, sistema Mjracle

Sporco e sferragliante, il vecchio treno a levitazione magnetica arrancava sulla monorotaia sotterranea che collegava le periferie e i vari quartieri di Traumburg. Andava chiaramente sostituito, tuttavia i soldi erano pochi e c’erano molte altre attività che richiedevano denaro: la terribile guerra civile che aveva sconvolto il pianeta era terminata da pochi anni e i segni del conflitto erano ancora evidenti. Quella stessa linea ferroviaria era stata ripristinata solo alcune deche prima, e per farlo erano stati acquistati dei vagoni usati, già pronti per essere smantellati e riciclati. In ogni caso forse era meglio così: con il tasso di criminalità che appestava il continente, un treno nuovo sarebbe stato solo un’attrattiva per vandali e ladri. E poi quel treno tutto rappezzato era diventato un vero punto di riferimento per i cittadini: più della metà dei vagoni erano fatti per il trasporto delle merci, quindi al suo arrivo nelle stazioni si formava sempre un piccolo mercato temporaneo.

«Sai, stavo pensando: se riusciamo a rubare l’Uovo a O’Neill, poi dubito che ce la farà passare liscia» affermò l’uomo, impegnato ad osservare il cemento che sfrecciava al di là del finestrino imbrattato. Il suo aspetto era quello di una specie strettamente umanoide come potevano essere gli umani o gli elfi, tuttavia una volta era finito in ospedale e i medici avevano scoperto che non apparteneva a nessuna di queste specie e che il suo DNA faceva supporre fosse un ibrido.

«Sì, ci stavo pensando anche io» ammise la felidiana, stravaccata con i piedi sul sedile di fronte. Aveva un fisico tonico e prestante e indossava un top nero a collo alto piuttosto aderente che metteva in risalto il seno pieno. Intorno al bicipite destro portava un bracciale dorato: era alto circa un pugno e aveva i bordi leggermente più spessi della parte centrale. Quest’ultima era decorata da una semplice linea in rilievo e un po’ più scura le cui estremità si avvicinavano descrivendo due archi, come a volersi avvolgere a vicenda. «Probabilmente cercherà di ucciderci, quindi forse la cosa migliore è toglierlo di mezzo direttamente.»

Durante la guerra civile Aaron O’Neill era stato un militare e aveva dato un considerevole contributo alla causa indipendentista. Gli abitanti del Continente Uno – l’unico abitabile dato il processo di terraformazione ancora in corso – si opponevano alle pretese della Pixel Inc., la quale aveva assorbito la società responsabile della terraformazione e intendeva imporre numerose nuove tasse. A fomentare una situazione già tesa, erano intervenuti diversi gruppi criminali, il che aveva portato nel giro di poche deche alla guerra civile.

La Pixel Inc., ostile ad interventi esterni, si era trovata a combattere da sola contro le milizie locali e i gruppi criminali, col risultato che, dopo anni di scontri e trattative fallimentari, aveva deciso di abbandonare il Continente Uno, concentrandosi sulla terraformazione del resto del pianeta.

In un primo momento questa era stata festeggiata come una vittoria dalla popolazione, ma l’euforia durò poco: in breve tempo i gruppi criminali avevano spazzato via i deboli governi, spartendosi il continente in piccole nazioni o città-stato. Anche diversi militari di alto rango come O’Neill avevano abbandonato la divisa per reclamare un territorio proprio.

La felidiana infilò una mano nella tasca dimensionale dei pantaloni chiari e ne tirò fuori una bottiglia di alcolico. «Potrebbe essere una buona occasione per fare un po’ di pulizia in questo schifo di città» commentò prima di bere un sorso.

L’ibrido scansò i ciuffi dagli occhi. «E poi uccidere il cattivone che controlla Traumburg ci darebbe ancora più visibilità.» Si mosse un po’ sul sedile alla ricerca di una posizione più comoda. L’imbottitura era un po’ rovinata, ma bastava guardare le altre sedute per capire che il solo fatto di averla era quasi un lusso. «Va be’, in ogni caso pensiamo a una cosa per volta: prima vediamo di scoprire se l’Uovo ce l’ha davvero O’Neill.»

***

«Sbrigati! Metti dentro i soldi!» gridò il giovane minotauro, poco più di un ragazzo. Aveva puntato la sua pistola a impulsi alla testa del negoziante, ma l’arma tremava leggermente fra le sue dita e il suo sguardo sembrava perfino più spaventato di quello della sua vittima.

«D’accordo, d’accordo, stai calmo» esalò quest’ultimo, un orco paffuto dall’aria del tutto inoffensiva. Sulla sua maglietta faceva bella mostra la protagonista di una famosa serie animata, una scelta perfettamente azzeccata dato che il suo negozio, piccolo ma ricco di espositori, era specializzato in fumetti, cartoni, videogiochi e gadget assortiti.

Il malcapitato prese il cybid[6] del criminale – un congegno tascabile pensato per conservare piccole somme di denaro elettronico – e lo avvicinò alla cassa. Il dispositivo, modificato illegalmente per forzare i trasferimenti, stava per entrare in azione quando la porta del negozio si aprì emettendo un’allegra musichetta.

Il rapinatore si voltò di scatto e rivolse la sua arma ai due nuovi arrivati. «Fermi! Andate via!» gridò, gli occhi sbarrati. Era così nervoso che sembrava sul punto di far partire un colpo per sbaglio. «Sparite o vi ammazzo!»

La felidiana allargò le braccia sbuffando. «Ma che cazzo! Non si può stare tranquilli un attimo in questa città!»

Il minotauro, udendo dei movimenti alle sue spalle, si girò di scatto e vide il negoziante con in mano un minaccioso fucile a proiettili fisici. Senza perdere tempo fece un gesto con la mano e l’arma saltò via, sbatté contro uno scaffale pieno di videogiochi e fece cadere due delle action figure disposte sulla sommità.

La felidiana mise una mano sulla spalla del rapinatore. «Ehi, non fare casini…»

Questi, colto di sorpresa, si mosse all’improvviso e sparò alla cieca, centrandola in pieno alla pancia. Il suo dito, paralizzato dalla paura, non voleva saperne di lasciare il grilletto: avrebbe consumato tutta la batteria se lei non gli avesse preso l’arma, facendola a pezzi come un modellino scadente.

Una volta disarmato il nemico, la giovane abbassò lo sguardo per controllare le condizioni del suo top. «Se me l’hai rovinato ti ammazzo…»

Il rapinatore, gli occhi sbarrati, capì che quella era la sua chance – forse l’ultima – per fare qualcosa: aprì di scatto la mano verso di lei e la felidiana venne sbilanciata all’indietro. Sembrava sul punto di volare via, ma dopo pochi istanti ritrovò l’equilibrio e i suoi piedi tornarono ben saldi sul pavimento di plastica colorata, come se un’altra forza invisibile fosse intervenuta per sorreggerla.

Incurante di quanto appena accaduto e sollevata del fatto che il suo vestito non si era danneggiato, gli sorrise. «Ti è andata bene.»

Il minotauro ricevette un tremendo pugno alla bocca dello stomaco, talmente forte da mozzargli il respiro e fargli sputare delle gocce di sangue. Cadde a terra, ma la ragazza lo sollevò.

«Ti prego, stavolta non dalla vetrina» intervenne il negoziante.

La giovane, che già lo stava sollevando oltre gli scaffali, si fermò e lo trascinò fino all’entrata. Aprì la porta e lo gettò sull’asfalto lurido.

Il rapinatore si tirò su a fatica. «Chi… Chi sei tu?» gemette, spaventato e dolorante.

«Io sono Leona» rispose la ragazza avanzando con aria minacciosa. «E tu devi smetterla di rapinare la gente, sono stata chiara?» Lo colpì col palmo sulla testa. «L’universo è grande, non buttare via la tua vita. E ora sparisci.»

Il minotauro corse via, terrorizzato. La giovane lo seguì con lo sguardo finché il ladro non svoltò l’angolo, a quel punto tornò nel negozio.

«“Grazie, Alphard”» le rammentò l’ibrido, lo sguardo concentrato sui cofanetti di alcune serie animate per adulti.

«Sì, grazie, Alphard» rispose lei. «Almeno ti sei reso utile.»

Quando il rapinatore aveva cercato di scaraventarla via, era stato l’uomo a tenerla saldamente piantata per terra grazie ad una delle sue abilità magiche.

«Leona, Alphard, mi avete salvato di nuovo!» esclamò il negoziante, che nel frattempo era andato a recuperare il suo fucile e a sincerarsi delle condizioni della sua merce. «Come posso sdebitarmi?»

«Ciao, Horst» lo salutò la felidiana appoggiandosi con familiarità al bancone pieno di adesivi. «Abbiamo sentito una voce e vorremmo capire se è vera.»

L’orco sprofondò sulla sua poltroncina ammortizzata e sorrise con aria saccente. «Beh, allora siete nel posto giusto. Di che voce parliamo?»

«È vero che O’Neill ha nella sua villa l’Uovo dei Sindri?»

Il negoziante fece un ghigno divertito e si piegò all’indietro fino a far cigolare la seduta. Horst non era un genio del crimine e non aveva abilità straordinarie, però se succedeva qualcosa a Traumburg – e in particolare qualcosa di riservato –, allora lui era sempre tra i primi a saperlo.

L’orco si godette ancora per qualche secondo quella suspense – se c’era qualcosa che adorava più delle ragazze virtuali, quel qualcosa era proprio il sapere le cose prima di tutti –, poi finalmente vuotò il sacco: «Ebbene sì, se l’è aggiudicato una settimana fa ad un’asta, e per un numero tra le otto e le nove cifre. L’ha portato nella sua villa qualche giorno fa e l’ha aggiunto alla sua collezione di opere d’arte.»

Leona non nascose la propria soddisfazione. «Ero sicura che non ci avresti deluso.»

Horst gongolò per il complimento, poi però diede voce al timore che si era acceso dentro di lui: «Non per farmi gli affari vostri, ma non starete pensando di rubarglielo… vero?»

La ragazza si tirò su. «All’inizio c’era venuta la mezza idea, ma ora puntiamo ancora più in alto.»

«Dobbiamo farci un po’ di pubblicità, se no non ci arriveranno mai incarichi decenti» aggiunse Alphard, che adesso stava studiando l’action figure di una guerriera tribale in abiti assurdamente succinti.

L’orco sollevò le sopracciglia, confuso. «Beh, in ogni caso buona fortuna» augurò loro prima di salutarli.

Usciti dal negozio, la felidiana e il suo compagno si diressero subito verso uno dei tanti locali dall’aria poco raccomandabile che tappezzavano le ampie vie di Traumburg. Le strade, disposte a scacchiera, riportavano ancora i segni dei numerosi scontri, e lo stesso valeva per i palazzi: si trattava per la maggior parte di edifici modulari – perfetti per le colonie in rapida espansione orizzontale e verticale – ma buona parte aveva subito danni considerevoli e una discreta percentuale era priva anche dei servizi più elementari.

Date le condizioni in cui versava la città, non c’era da stupirsi se per le strade piene di rifiuti si incontravano quasi solo bande di teppisti o passanti ubriachi.

Il night club verso cui erano diretti si chiamava “La Botte Ubriaca” e aveva come insegna proprio una simpatica botte cartoonesca intenta a bere un boccale dietro l’altro. L’atmosfera che li accolse era completamente diversa da quella pulita e allegra del negozio di Horst: buona parte dello spazio era occupato da tavoli e sedie dalle forme più disparate, le luci soffuse e colorate rischiaravano in maniera disomogenea l’ambiente, mentre la musica persistente animava il clima e scoraggiava gli orecchi indiscreti. Sebbene fosse ancora mattina, l’odore era già penetrante, un misto di alcol, fumo e sudore, c’erano ballerini e ballerine di specie diverse impegnati ad intrattenere i clienti, mentre nelle stanze ai piani superiori piccoli gruppi di persone discutevano di progetti più o meno legali.

«Ehi, benarrivati! Cosa vi porto oggi?» chiese loro la proprietaria, una centaura in carne dal viso allegro e con un seno perfino più prosperoso della felidiana.

«Il solito.» rispose la ragazza sedendosi al bancone. Non si tirava mai indietro quando c’era da mandare già un bel bicchiere di alcolico fresco e spumeggiante.

«Allora, gli affari come vanno?» domandò la centaura dopo aver servito loro due alti boccali pieni fino all’orlo di un invitante liquido dorato.

«Forse abbiamo trovato un buon lavoro, ma ci serve qualche uomo in più» le spiegò Leona dopo aver bevuto un sorso. «Sai se c’è qualcuno disposto a rischiare per un grande guadagno?»

La donna dietro il bancone si portò un dito sulle labbra carnose, studiando la folla che riempiva il suo locale. «Quei due là in fondo, il rettiliano e l’insettoide» disse indicando uno dei tavoli alla sua sinistra. «Sono arrivati da poco in città e mi sembra di aver capito che hanno bisogno di soldi. Potete provare a chiedere a loro.»

La giovane si voltò e non ci mise molto ad individuarli. «Ok, grazie mille» Prese il suo bicchiere e si alzò. «Alphard, smetti di fissare le ballerine e andiamo.»

«Sissignora!» esclamò l’ibrido senza però distogliere lo sguardo da quei corpi sensuali. Chissà se erano donne vere o solo degli ologrammi di pregevole fattura.

I due raggiunsero il tavolo indicato dalla proprietaria e si avvicinarono ad un paio di sedie libere.

«Possiamo sederci?» domandò la felidiana.

Il rettiliano, un tipo alto e muscoloso pieno di tatuaggi, la squadrò con aria poco amichevole. La sua struttura fisica era molto simile a quella delle specie umanoidi, non aveva capelli, barba e nemmeno sopracciglia, ma possedeva una coda sinuosa e ben proporzionata al resto del corpo. La pelle, composta da squame lisce e non molto coriacee, aveva una colorazione di varie tonalità di marrone e imitava vagamente le forme dei muscoli. Con ogni probabilità apparteneva alla specie dei dromeosauriani[7].

Senza troppo entusiasmo le fece cenno di accomodarsi.

«Salve, io sono Leona e lui è Alphard. Non vi faccio perdere tempo e vado subito al sodo: abbiamo in mente un lavoro molto remunerativo ma anche molto pericoloso, vi può interessare?»

«Quanto remunerativo?» esalò l’insettoide, o più precisamente il coleotteriano[8] a giudicare dal robusto esoscheletro rosso scuro che gli copriva buona parte del corpo. Aveva quattro braccia, di cui il paio superiore nettamente più sviluppato, e al posto del viso aveva una sorta di maschera chitinosa che lo rendeva completamente inespressivo.

«Ad una prima stima, potremmo ricavarci anche decine di milioni di arcos[9]» rispose Alphard. «Ma se siamo fortunati il nostro bottino potrebbe anche essere più ricco.»

L’entusiasmo sul viso del sauriano venne stemperato dalla sua diffidenza. «E quanto sarebbe rischioso?»

«Eh, questa è la nota dolente» ammise Leona.

L’ibrido fece uno scatto col capo per spostare i capelli dagli occhi. «Diciamo che se falliamo e non moriamo subito, ci converrà lasciare il pianeta.»

Al sentire quelle parole, il rettile preferì prendere un tiro dalla sua sigaretta quasi finita.

«Vi lasciamo un momento per parlarne tra voi» affermò Leona. «Se vi interessa, poi ne parliamo con calma in una delle stanze.»

Leona e Alphard si alzarono e si allontanarono di alcuni metri per lasciare ai due un minimo di privacy. Solo allora la giovane si concesse di soffiare fuori tutta la sua tensione: si agitava sempre quando cercava di convincere dei potenziali alleati. Aveva paura di fare qualcosa di sbagliato, di dire qualcosa di inopportuno e in generale di fare una cattiva impressione. «Beh, come ti sembrano?»

Alphard si strinse nelle spalle. «Entrambi sono interessati ai soldi, bisogna capire quanto sono disposti a rischiare.»

«Allora, tu che ne pensi?» iniziò il sauriano. «Quei soldi ci farebbero molto comodo.»

«Già…» convenne il coleotteriano con la sua voce vagamente spettrale. «E poi non conosciamo nessuno qui, unirci a loro potrebbe essere utile anche per raccogliere informazioni.»

«Dunque sentiamo cos’hanno in mente?»

Il suo compagno annuì. Si alzarono e insieme agli altri due raggiunsero una stanza libera dove discutere più tranquillamente, al riparo da sguardi e orecchi indiscreti.

«Io sono Gardo’gan, lui invece è Kael Makabi» li presentò il rettile. «Allora, cos’avete in mente di così remunerativo e pericoloso?»

«Beh, intanto io sono Leona Asterion e lui è Alphard Dragondozer» ci tenne a precisare la ragazza. «E quello che vogliamo è cambiare questa città.»



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[5] La sigla d.s. indica la datazione spaziale (detta anche datazione standard). L’anno spaziale ha una durata di circa 1,12 anni terrestri e si divide in 10 mesi chiamati “deche”.
Le età vengono comunque indicate secondo la durata dell’anno terrestre.

[6] Forma contratta di cyber-billfold, che in inglese significa portafoglio cibernetico.

[7] Specie originale di TNCS, spesso viene abbreviata in sauriani. Il termine deriva da Dromaeosauridae, una famiglia di dinosauri piumati.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

[8] Sottospecie originale di TNCS, appartenente alla specie degli insettoidi. Il nome deriva dai coleotteri (Coleoptera nella classificazione scientifica).
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

[9] Il valore di 1 arcos è comparabile a quello di 1 euro.

   
 
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