Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: FioreDArgentoWattpad    09/07/2016    0 recensioni
Forse io mi ero sempre sentita diversa perché io il mio nome, a differenza degli altri, lo conoscevo. Quando ero sola, alcune volte lo sussurravo alle pareti grigie della mia stanza; lo ripetevo quanto bastava a ricordarmi di non essere solo una lettera simile alle altre.- Prologo
Nessuna origine.
Nessun nome.
Nessun appiglio.
Queste sono le caratteristiche che accomunano gli studenti dell'Heddem Institute, una scuola costruita su un'isoletta dell'arcipelago delle Bahamas, lontana da tutto e da tutti. Queste e un marchio nero sull'avambraccio.
Amira però è diversa, lo è sempre stata. Ha ricordi confusi della sua vecchia vita, ma il solo averli vissuti la separa inevitabilmente dai suoi compagni.
Riuscirà a soffocare le proprie emozioni o ne rimarrà sommersa?
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo III

Capitolo III


"La lezione di Educazione all'Uso del Marchio si terrà nell'Aula XXII, come da orario prestabilito dopo il suono della Seconda Campanella."

Una cameriera lesse in fretta l'avviso, e per poco non mi strozzai con l'ultimo boccone del pane con la marmellata. Deglutii a fatica e volsi gli occhi in direzione della cameriera, che però con le guance rosse era già scomparsa dietro la porta delle cucine.

L'Aula XXIII era uno dei molti misteri dell'Heddem Institute, sebbene impallidisse in confronto ad altri interrogativi.

Si trattava di una stanza dei sotterranei adiacente all'Aula Magna e in disuso dall'anno del mio arrivo, o almeno così sosteneva W.

Nelle rare occasioni in cui mi capitava di passarci davanti mi soffermavo sempre un po' di più degli altri, e guardavo incuriosita quella porta blu elettrico. Risultava quasi fuori posto tra le sfumature smorte dell'Istituto.

Alcune volte pensavo che non eravamo poi così diverse, io e quella porta.

Entrambe ci distinguevamo dai nostri simili, per il nostro colore, per la nostra originalità non richiesta.

Ed entrambe dovevamo limitarci, serrarci per volontà altrui, pur non riuscendo lo stesso ad eliminare quei piccoli dettagli che ci separavano dal resto.

Formulati questi pensieri mi davo della sciocca, non potevo paragonarmi ad una porta.

Quella avrebbe potuto facilmente essere ridipinta di un colore più tenue, con meno pretese.

Io invece, per quanto avrei provato a ritinteggiarmi, sarei rimasta sempre così.

Amira.

E in fondo non mi dispiaceva.

"Andiamo?"

Sbattei le palpebre ritornando bruscamente alla realtà. W era già in piedi con un biscotto mangiucchiato nella mano destra e impaziente indicava l'uscita della Mensa. Era davvero buffo vederla così agitata, lei che di solito non si scomponeva mai.

"Non voglio tardare alla prima lezione! Andiamo?" ripeté con occhi imploranti.

Avrei voluto suggerirle di avviarsi da sola, ma sapevo che non avrebbe infranto un'altra regola dopo la figuraccia con la signorina Key.

Mai allontanarsi dal proprio compagno/a, a meno che questo/a non sia convocato da un professore o dal preside stesso.

Sospirai, in quei momenti avrei voluto domandare a Easton e Marcus Hedd la ragione di alcuni punti del Regolamento. Dalla fondazione dell'Istituto del 1878, questo era rimasto pressoché identico, eccetto qualche modifica legata al cambiamento esterno. Constava in trenta punti, trenta invisibili sbarre che imprigionavano ogni alunno dell'Istituto.

Ingurgitai il latte rimasto nella tazza e seguii W verso le scale che sprofondavano nel buio. Per fortuna suonò presto la Seconda Campanella e le luci sul soffitto si accesero una dopo l'altra, emanando un bagliore biancastro.

Ci accorgemmo soltanto alla fine di essere effettivamente le prime per una volta. Dietro di noi non c'erano che gradini di pietra.

Mi concessi un secondo per gettare un'occhiata alla porta blu, stranamente conscia che da quel giorno non sarebbe più stata tanto speciale.

W spinse con delicatezza la porta, che si aprì senza opporre resistenza.

L'Aula XXII era una stanza sgombra, priva di qualunque arredamento. Il legno del pavimento era graffiato e segnato da piccoli solchi e la pittura originariamente azzurrina delle pareti doveva essersi ingiallita con il tempo. Illuminata solo da una lampada giallognola che pendeva dal soffitto, la stanza aveva una bellezza vissuta, come un giovane che torna dalla guerra con le cicatrici, sul corpo e nel cuore.

"Perché è vuota?" domandò W ad alta voce, rompendo il silenzio.

Non ebbi modo di rispondere perché una folla di studenti disorientati si riversò rumorosamente nella stanza. Le voci sorprese incominciarono a intrecciarsi e scontrarsi, finché non si trasformarono in un groviglio indistinto di parole.

Io mi rintanai in un angolo della stanza, avevo smesso da troppi anni di pormi domande sull'organizzazione dell'Istituto. Sapevo infatti che appartenevano a due categorie: quelle di cui non avrei mai ricevuto risposta e quelle di cui avrei ricevuto risposta a breve. Inutile specificare che la prima era decisamente più consistente.
W mi raggiunse presto con un'espressione infastidita.

"Non ci dovremmo separare."

"Siamo nella stessa stanza W, dove credi possa scappare?" replicai scettica.

"La signorina Key è in ritardo." proseguì ignorando la battuta.

"Arrive--"

Mi bloccai udendo il rumore dei tacchi scendere le scale. Non dovetti essere l'unica, poiché anche il chiacchericcio cessò di colpo.

"Che ti avevo detto?" mormorai acida, fissando la figura che era comparsa sulla soglia.

Notai che la signorina Key si era truccata da quando l'avevo scontrata, prima della colazione. Si era messa un rossetto scarlatto e una spessa linea di matita le correva lungo le palpebre, rendendo ancora più taglienti i suoi occhi grigi. Da che avevo memoria nessuna professoressa dell'Heddem Institute aveva osato tanto.

Miss. Key sfilò di fronte a noi con un'eleganza gelida, e si soffermò qualche secondo su ciascun alunno. Studiava impassibile i nostri volti, come se fossimo quesiti che non meritavano soluzione.

Realizzai che ci disprezzava.

Ci disprezzava e non si preoccupava di nascondercelo.

Parve indugiare più del dovuto su di me, e giurai di scorgere un sorriso divertito incresparle le labbra.

Ebbi la netta sensazione che stesse guardando me. Non A, non una semplice studentessa, ebbi l'impressione che mi scandagliasse nel profondo laddove celavo ad occhi indiscreti Amira.

Ma era soltanto la mia immaginazione.

Lei non poteva saperlo.

Me ne convinsi fermamente, mentre turbata la seguivo con gli occhi fino al centro della stanza.

"Non mi piace fare la colazione già truccata." dichiarò, come se bastasse a spiegare i dieci minuti di ritardo.

"Inutile." bofonchiò e lasciò intenzionalmente che il registro le scivolasse dalle mani.

Al tonfo sussultammo, non era mai accaduto niente del genere. Più che spaventata, come W al mio fianco, ero incuriosita da quei comportamenti singolari.

"Miss. Key, e l'appello?"

La domanda stridula proveniva da un alunno dell'ultima fila, S mi sembrava.

Lei gli riservò una risata derisoria e con la voce che trasudava sarcasmo ribatté:"Non c'è bisogno del registro per ripetere l'alfabeto."

"Chiariamoci subito. Questa non è una materia come le altre. Qui o siete eccellenti, o in tutti i casi non m'interessa, saranno affari vostri. Qui non si fa l'appello, perché esserci o non esserci è irrilevante. Qui non conta nulla eccetto ciò che esce dalla mia bocca. Intesi?" scandì perentoria, con occhi crudeli.

Nessuno si azzardò a fiatare, e sentii W vicino a me trattenere il respiro durante il discorso.

"Perfetto." sillabò soddisfatta, gustandosi le espressioni terrorizzate dei miei compagni.

Io invece sostenni con fierezza il suo sguardo, senza chinare mai il capo.

Non avrebbe piegato me così facilmente.

"Scopritevi il braccio destro. Ora." ordinò e immediatamente gli alunni ubbidirono, incominciando a sbottonarsi i polsini della camicia dell'uniforme.

W mi lanciò un'occhiata severa, vedendo che non avevo la minima intenzione di accontentare Miss. Key.

"A, non fare stupidaggini!" sussurrò impaurita.

Scrollai le spalle, incapace di spiegarle che il mio gesto non era una semplice violazione del Regolamento.

Io non potevo farlo.

C era stata chiara nel spiegarmelo.

Erano passate circa due settimane dal mio arrivo all'Heddem Institute. Le giornate trascorrevano nella loro banalità, tra qualche lezione con maestri dalla dubbia simpatia e gli incontri con C, che attendevo con ansia.

Quel giorno C venne prima del previsto.

Aveva cinque o sei stampelle in mano che teneva in bilico davanti a sé, stando attenta a non far sfiorar loro terra.

"Buongiorno A. So che è noioso..."

Camminò goffamente verso il letto, rischiando continuamente di inciampare nei suoi stessi piedi.

"Lungo..." proseguì.

Buttò sul letto gli abiti sbuffando e si abbandonò lei stessa sul materasso.

"Ma per loro è necessario che tu provi ognuna di queste stupide uniformi."

Gesticolò verso gli abiti che giacevano sulle coperte e trattenni a stento una risata. Era davvero buffa.

"E ora è necessario anche per me, dopo aver fatto due intere rampe di scale con questi trabiccoli di stampelle." aggiunse, asciugandosi melodrammaticamente l'invisibile sudore sulla fronte.

A quel punto scoppiai a ridere incontrollatamente e un sorriso spuntò sulle labbra di C.

"Senti un po', di chi stai ridendo?"

"Nessuno!" risposi scaltra, ostentando un'espressione angelica.

"Meglio. Ora sbrighiamocela in fretta che ho fame."

Iniziai a togliermi allegramente la maglietta decisamente troppo piccola con cui mi ero arrangiata e la gettai insieme al resto dei vestiti sul materasso, restando in canottiera.

C mi porse annoiata una camicia grigia.

"Non so... ecco... non so come si chiude." balbettai avvampando, colma di vergogna.

La ragazza mora senza pronunciare una parola si alzò e mi venne in aiuto, insegnandomi come si abbottonava.

"Vedi? Così." stava sussurrando quando la sua attenzione si spostò sul braccio sinistro, dove io stavo maldestramente provando ad abbassare la manica arrotolata.

Me lo afferrò di colpo e lo rigirò con forza, il terrore presente nei suoi occhi.

"È... è... lì."

Indicò il marchio scuro che risaltava sulla pelle candida e io scrollai le spalle.

"Ce l'hai anche tu." dissi sorridendo. Non c'era niente di cui scandalizzarsi.

"Ma è lì." insisté rimarcando il concetto.

"Sul braccio, come il tuo."

Stavo incominciando anch'io ad avere dei dubbi, ma ero sicura che pure il suo si trovasse là.

"No. Il mio è sul destro A. Il tuo è sul sinistro. Sai cosa significa?" chiese impaurita, fissandomi con i suoi occhi scuri.

"Io... a dire il vero..." annaspai sull'orlo delle lacrime.

Non sapevo perché mia madre avesse scelto di abbandonarmi.

Non sapevo perché mi trovassi in quell'istituto.

Non sapevo perché ero rinchiusa in quel buco soffocante.

E ora non sapevo nemmeno quello.

"Io non so niente!" strillai con frustrazione sentendo gli occhi bruciare.

Non era giusto.

Il cuore prorompeva nel petto, scandendo la stessa frase.

Non era giusto.

"Shh A, smetti di piangere. Devi solo ascoltarmi. Qualcuno l'ha visto?"

"Forse... il preside e... e Miss. Hedd..." balbettai.

"Bene. Non farlo vedere a nessuno, neanche a un professore d'ora in avanti. Me lo prometti?"

"Perché C? Perché?"

Arrabbiata mi liberai dalla sua stretta, gettandomi sul letto.

"È difficile da spiegare. Fidati di me." mi pregò.

"Perché dovrei fidarmi di te? Non so nemmeno il tuo nome! Perché dovresti essere diversa dagli altri?" gridai, le lacrime ormai che copiose mi scendevano sulle guance.

C mi fissò a lungo, seria in viso.

L'avrei voluta scacciare dalla stanza, ma non ne avevo la forza. Ero stanca, desideravo soltanto ridestarmi da quell'incubo.

"Corinne." mormorò infine atona. "Il mio nome è Corinne."

Si massaggiò le tempie con gli occhi lucidi, d ripeté con più fermezza: "Adesso me lo prometti?"

"Te lo prometto."

La gomitata di W mi sottrasse ai ricordi facendomi ripiombare nell'Aula XXIII.

"Adesso alzate il braccio!" ringhiò Miss. Key.

Mano a mano i miei compagni levarono in alto il braccio nudo, e io mi rintanai dietro a W. In altri casi non mi avrebbe preoccupato essere scoperta, ma in quella occasione non potevo rischiare che mi costringesse a farle vedere il marchio.

"Questo è ciò che vi rende diversi. Questo è ciò che vi rende speciali. Tenetelo a mente."

Puntò lo sguardo su ciascun alunno ed ebbi un fremito quando lo percepii, incombente e pesante, opprimermi il petto. Stupendomi però non si soffermò più di qualche secondo e passò avanti, ignorando la mia insubordinazione.

E lo rividi, quello stesso sorriso che prima avevo creduto di essermi immaginata, campeggiare sul suo volto.



   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: FioreDArgentoWattpad