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Autore: Miss Larolles    12/07/2016    0 recensioni
"La ragazza se ne stava comodamente sdraiata sul piccolo divanetto che troneggiava padrone, nel salotto, indossando i vestiti vecchi e consunti, chiaramente troppo grandi per lei, poiché sembrava ci stesse per sprofondare dentro tutto ad un tratto.
Negli occhi della giovane si potevano rispecchiare ormai da tempo solo due emozioni: l'ira, contro il popolo tedesco che aveva incolpato e rinnegato la sua stessa gente per dare ascolto ad un pazzo furioso che gli avrebbe condotti alla sconfitta, e poi l'angoscia, la paura che gli stessi uomini del pazzo furioso venissero a prendere lei e le sue sorelle, per portarle in qualche vicolo cieco e ammazzarle, come se fossero bestie da macello."
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Prima che leggiate la storia, vorrei scusarmi in tempo per l'enorme aborto che ho scritto e che la mia mente contorta è stata capace di concepire.
Mi farebbe piacere, ricevere da voi i vostri commenti e che mi scriviate cosa ne pensate della storia (P.s. Mi aspetto molte recensioni negative, o magari nessuna ^_^) e sì, se ve l'ho state chiedendo ho autostima da vendere io! *grande bugia*
E niente, ringrazio e ammiro tutti quelli che avranno il fegato necessario per arrivare alla fine.






 
 
 
 
Monaco di Baviera 1942
 
Casa Schwarz era in preda all'ansia e all'angoscia: i due coniugi non erano ancora tornati.
 
Strano a dirsi, Ingrid doveva già essere tornata da un'ora dal suo lavoro "clandestino" alla lavanderia, posto di lavoro gentilmente e caritatevolmente offertole dalla signora Miller.
Noah invece, doveva tornare proprio a quell'ora, le otto in punto di sera.
Dopo l'emanazione delle leggi di Norimberga, nel 1934, il signor Schwarz, ebreo, aveva perso il suo lavoro alla banca, e la famiglia era caduta in disgrazia: avevano dovuto lasciare il loro lussuoso appartamento a Berlino, lasciandosi alle spalle gli insulti e gli spintoni di quelli che una volta erano i loro adorabili vicini,  per rifugiarsi in una lurida catapecchia a Monaco.
Così la famiglia si era dovuta dare da fare e Noah, dopo essere riuscito a riprendersi un poco dal suo inguaribile stato di depressione, era riuscito a trovare anche lui un posto di lavoro "clandestino", come scaricatore di merci e sotto il falso nome di Ernst Schubert.
 
Nel piccolo salone, sulle pareti ricoperte di muffa, stava il piccolo orologio a cucù, che con il suo suono irritante e chiassoso, segnava le otto e mezza.
 
Deborah Schwarz, avrebbe tanto voluto avere un martello in mano per frantumare in tanti piccoli pezzi quello stupido affare, che altro non serviva che a farla innervosire ancora di più.
 
La diciassettenne, primogenita dei coniugi e la maggiore di tre sorelle, con l'emanazione delle leggi razziali e l'essere stata cacciata malamente dall'Accademia di belle arti che frequentava quando ancora era nella capitale, erano stati i due fattori determinanti che avevano contributo a farla diventare nervosa, scontrosa ed irascibile.
 
La ragazza se ne stava comodamente sdraiata sul piccolo divanetto che troneggiava padrone, nel salotto, indossando i vestiti vecchi e consunti, chiaramente troppo grandi per lei, poiché sembrava ci stesse per sprofondare dentro tutto ad un tratto.
 
Negli occhi della giovane si potevano rispecchiare ormai da tempo solo due emozioni: l'ira, contro il popolo tedesco che aveva incolpato e rinnegato la sua stessa gente per dare ascolto ad un pazzo furioso che gli avrebbe condotti alla sconfitta, e poi l'angoscia, la paura che gli stessi uomini del pazzo furioso venissero a prendere lei e le sue sorelle, per portarle in qualche vicolo cieco e ammazzarle, come se fossero bestie da macello.
 
Istintivamente, Deborah spostò lo sguardo dallo stupido cucù alla bambina di dodici anni, seduta ai piedi del divano, che giocava spensieratamente con la sua bambola Moira.
 
La maggiore delle sorelle Schwarz sorrise per la prima volta, dopo giorni e giorni di male parole e sfuriate.
 
Un piccolo sorriso ad incresparle le labbra screpolate ed a illuminarle il viso smunto per via della fame e della stanchezza, che le avevano fatto da fide compagne nelle lunghe notti insonne.
 
La piccola Miriam era stata l'unica immune alla malinconia che sembrava aver posseduto ogni cellula dell'anima di ognuno in quella casa.
Lei continuava a vivere nella sua cupola fatta di quella spensieratezza infantile, tipicamente bambinesca, fregandosene bellamente della guerra e procurando un sorriso a tutti i membri scoraggiati della famiglia.
 
Ad un certo punto la bambina posò le sue iridi ambrate in quelle scure della sorella maggiore, e chiedendo con la voce vellutata ed un poco acuta, tipica della sua età:
 
- quanto ci mettono mamma e papà a tornare? Ho fame e voglio la mamma.-aveva detto, allargando ancora di più gli occhioni ambrati.
 
Deborah avrebbe tanto voluto mettersi a piangere, lì in mezzo al salone, come una disgraziata.
Infondo, sapeva che se i suoi genitori tardavano era perché ormai la loro copertura era saltata.
Ma si fece forza, dicendo semplicemente:
 
- presto. Presto piccola, saranno qui in me che non si dica.
 
Non era vero, era tutto una maledetta bugia, una schifosa bugia detta ad una ragazzina che sperava nel ritorno dei suoi genitori.
Deborah, in quel momento, avrebbe proprio voluto un nazista che le sparasse al cranio. Era una stupida, una svergognata ed una… bugiarda.
Possibile che la guerra l'avesse resa così? 
Certo che era possibile, la guerra cambia tutti, prima o poi, ed infondo, sapeva che avrebbe lasciato una macchia indelebile, anche nell'animo ingenuo di sua sorella.
 
Miriam però sorrise gioiosa, rassicurata da quelle parole, e anche lei si rasserenò, i tratti duri del viso si distesero e l'espressione del viso sembrò…felice, veramente poteva usare quella parola dopo tutto quello che hanno passato, e che ancora le attende impaziente? 
Tutta questa felicità fu solo momentanea, una dolce illusione durata solo un attimo.
Un solo fottuto attimo, perché poi tutte le paure ritornarono, con la violenza di un uragano.
La guerra ti toglieva anche i momenti felici.
 
Nella stanza fece il suo ingresso Magda, la domestica, con la sua crocchia castana venata di grigio e dall'aria stanca.
 
-Nessuna notizia?- aveva domandato con voce insolitamente roca.
 
Una domanda inutile, fatta giusto per frantumare quel silenzio diventato asfissiante.
Visto che tutti sapevano la risposta.
 
Le due ragazze scossero il capo in segno di no, e la donna emise un sospiro, sedendosi rigida su uno sgabello vicino al divano.
 
Anche Ruth Schwarz fece il suo ingresso nella stanza, facendo strusciare la gonna turchina sullo stipite della porta e ondeggiando di qua e di là quelle onde rosse che erano i suoi capelli.
 
Ruth era la più bella tra le tre sorelle: capelli rossi, pelle di porcellana, una figura sinuosa e longilinea e poi quegli occhi, che  loro madre, le diceva sempre che di essere meravigliosi, è come biasimarla? Chi potrebbe non cadere ai suoi piedi, dopo aver ammirato quelle iridi di un blu così intenso?
Miriam li paragonava al blu dell'oceano: profondi ed imperscrutabili, ed in un certo senso, la piccola aveva ragione, quegli occhi portavano dietro di loro, come fosse un mantello, un alone di mistero, che non faceva altro che renderli più interessanti, a sguardi altrui.
 
E Deborah non poté che lanciarle un'occhiata invidiosa: come la guerra non aveva scalfito la spensieratezza di Miriam, non si era permessa di toccare, nemmeno con un sol dito, la bellezza di Ruth.
 
Era mai possibile, che fosse stata solo lei la vittima di cui la guerra, si era divertita a distruggere sia dentro che fuori?
 
Sì, ma la colpa era anche sua: era lei che si era fatta corrodere dall'odio, quello stesso odio che la stava rovinando, lo stesso che l'avrebbe portata alla follia.
 
La quindicenne Ruth, che fino a quel momento era rimasta accucciata davanti alla porta dell'ingresso, chiese con aria sconsolata e fare innocente:
 
- Non sono ancora tornati, e se andassimo a denunciare il fatto alle autorità?
 
- Sì, la stessa che ci perseguita e ci uccide appena ci vede! Oh andiamo Ruth! Non cominciare a sparare cazzate!- aveva ribattuto Deborah ostile, guadagnandosi un'occhiataccia da parte di Magda, mentre la rossa abbassava il capo dalla vergogna, dispiaciuta.
 
L'anziana signora, sospirò e dopodiché cominciò a parlare:
 
- Ragazze, credo sia arrivato il momento, i vostri genitori mi hanno raccomandato di darvelo in caso loro non ci fossero stati più e be', sembra che questo momento disgraziato sia arrivato.
 
Dette testuali parole, tirò fuori dalla tasca del grembiule tre carte d'identità e un involucro per lettere.
Porse i documenti ad ognuna delle ragazze, e queste lessero ad alta voce il nome scrittovi sopra, per far sì che le altre ascoltassero:
 
- Anastasia Lambert!- aveva esclamato Miriam tenendo Moira in braccio.
 
-Jolande Lambert- lesse Ruth con una strana nota atona nella sua voce.
 
- Isolde Lambert- sussurrò infine Deborah, così piano che neanche lei sentì quel nome uscire dalle sue labbra.
 
- Dentro la tasca ci sono abbastanza soldi per affrontare un viaggio da qui fino all'America.- aggiunse Magda alludendo al contenuto nell'involucro.
 
Le tre Schwarz continuarono a guardare la vecchia domestica, chi con aria perplessa e chi con la consapevolezza di cosa stava per accadere da un momento all'altro, ma con la voglia di sentirlo pronunciare da labbra altrui.
 
- Ve ne andrete da qui, ormai siete troppo esposte, prima o poi verranno.-aveva concluso la donna, abbassando lo sguardo verso un punto indefinito, e trattenendo a stento un lacrima, che impertinente, le iniziava a scivolare verso la guancia raggrinzita.
 
- E voi? Voi venite con noi giusto?- chiese Miriam, agguantando la gonna grigia della domestica.
Questa sorrise amara, e la bambina, catalogò quel sorriso come triste, quanto le giornate di pioggia. 
 
- No Miriam, da oggi in poi dovete contare ognuna sulle forze dell'altra, io sono vecchia e malata, vi ostacolerei solo nel vostro viaggio.- aveva risposto Magda, per poi tossire violentemente.
 
Ruth, allarmata, calmò la tosse del l'anziana con vari colpetti sulla schiena,  e questa sembrò presto riprendersi.
 
- Ma dove staremo una volta in America? sempre se ci arriviamo fino a là.- aveva domandato cinica Deborah, incrociando le braccia esili al petto quasi inesistente.
 
- Non vi dovete preoccupare, ho un nipote, Laurie Clarkson, che vive a Chicago, vi ospiterà di sicuro se gli spiegate bene la situazione.- aveva risposto, decidendo di ignorare il tono altezzoso di Deborah.
 
Nella casa scese ancora il silenzio, fino a quando non si sentì la porta aprirsi per poi chiudersi violentemente.
 
Deborah sussultò, Ruth speranzosa, corse a vedere chi era entrato, chissà, forse i suoi genitori erano tornati.
 
Ma il sorriso sulle labbra svanì immediatamente, sostituito da una smorfia delusa, quando vide la figura tozza della signora Miller.
 
Questa, con il respiro affannato e il viso imperlato da piccole goccioline di sudore, si diresse a grandi falcate nel salone, seguita a ruota da Ruth.
 
- Sono qua! Le SA sono qua e stanno facendo i controlli in tutte le case!
 
Le tre sorelle si strinsero l'una all'altra tremanti, Magda invece imprecò, per poi alzarsi a fatica dalla sedia ed andare ad aprire la porta di servizio.
 
-Su ragazze è ora! Prendete i documenti, i cappotti ed il denaro, mi raccomando siate prudenti e coraggiose, perché so che lo siete!- aveva esclamato Magda, finendo la frase con un dolce sorriso sulle labbra.
 
Le ragazze non se lo fecero ripetere una seconda volta, ed in men che non si dica erano già sullo stipite della porta pronte ad uscire.
 
- Öffnen sie die tür jetzt! Wir werden sonst brechen!- aveva ringhiato una 
minacciosa voce maschile, al di là della porta, seguito subito da forti colpi inflitti sul legno già consumato.
 
Le tre adolescenti, spinte dalle mani poderose, della signora Miller e di Magda, uscirono definitivamente dall'abitazione, iniziando la loro corsa a perdifiato, lasciandosi alle spalle le urla e gli insulti, proprio come era accaduto, nel momento in cui avevano abbandonato Berlino, ricoperta ogni dove da quelle maledette svastiche.
 
-E adesso?! Che cosa facciamo!- aveva urlato Ruth, a qualche metro di distanza da Deborah e Miriam.
 
La maggiore non le aveva risposto, sorridendo soltanto. 
 
-Allora?!- insisteva ancora la secondogenita, con la voce resa impastata ed ansante, dalla folle corsa.
 
E continuò a non risponderle, ma non lo fece per farla innervosire come le altre volte, ma perché, nonostante le indicazioni precise e cristalline di Magda, non sapeva nemmeno lei cosa diavolo avrebbero fatto da quel momento in poi, fuori da quel girone infernale.
 
Sapeva soltanto, che erano finalmente libere, che in quel momento avevano spazzato i catenacci che le incollava a quella realtà meschina e che avevano smesso di sopravvivere a tutto quello.
 
Avrebbero iniziato di nuovo a vivere, gustandosi ogni attimo, per quanto insignificante della vita.
 
Il sorriso di Deborah si faceva più grande ad ogni passo compiuto, ed adesso pare che le inizi da un orecchio e che le finisca dall'altro.
 
Ha tra le mani, il potere di sovranità della sua esistenza, e non se lo sarebbe fatto scivolare via. No, non un'altra volta.
 
Era finito il tempo di vivere nella paura.
 
Da quel momento in poi, il cielo sarebbe sembrato più splendente e così, le giornate meno cupe ed interminabili.
 
 
 
 
   
 
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