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Autore: Vago    15/07/2016    2 recensioni
Libro Secondo.
Dall'ultimo capitolo:
"È passato qualche anno, e, di nuovo, non so come cominciare se non come un “Che schifo”.
Questa volta non mi sono divertito, per niente. Non mi sono seduto ad ammirare guerre tra draghi e demoni, incantesimi complessi e meraviglie di un mondo nuovo.
No…
Ho visto la morte, la sconfitta, sono stato sconfitto e privato di una parte di me. Ancora, l’unico modo che ho per descrivere questo viaggio è con le parole “Che schifo”.
Te lo avevo detto, l’ultima volta. La magia non sarebbe rimasta per aspettarti e manca poco alla sua completa sparizione.
Gli dei minori hanno finalmente smesso di giocare a fare gli irresponsabili, o forse sono stati costretti. Anche loro si sono scelti dei templi, o meglio, degli araldi, come li chiamano loro.
[...]
L’ultima volta che arrivai qui davanti a raccontarti le mie avventure, mi ricordai solo dopo di essere in forma di fumo e quindi non visibile, beh, per un po’ non avremo questo problema.
[...]
Sai, nostro padre non ci sa fare per niente.
Non ci guarda per degli anni, [...] poi decide che gli servi ancora, quindi ti salva, ma solo per metterti in situazioni peggiori."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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 Nirghe si ritrovò a cadere tra gli alti tronchi, il buco dal quale era caduto non si riusciva a distinguere tra i rami, integri e spezzati, che lo sovrastavano.
Le due lame si piantarono nella corteccia più vicina, frenando il ragazzo nel suo precipitare.
Il Gatto rotolò tra gli aghi di pino secchi. Quando si rialzò, estrasse le spade dal tronco dell’albero che stillava resina e le ripose nei foderi.
Si guardò intorno.
L’aria era umida, fresca, colma dell’odore di pino. La temperatura era mite e, nonostante i raggi del sole non riuscissero a penetrare la volta frondosa, riuscivano a illuminare fievolmente il terreno.
Non era nel posto giusto.
Non era nemmeno nel momento giusto.
La Piazza Sospesa sovrastava il cuore del Bosco Nero, ma, dov’era caduto lui, la vegetazione non era così fitta come nella porzione settentrionale della Grande Vivente.
L’aria montana arrivava fin lì, quindi i Monti Muraglia non potevano essere lontani.
Doveva essere nelle propaggini orientali della foresta, almeno a due giornate da dove era arrivato.
La posizione sfalsata non era l’unica cosa che lo turbava. Dell’afa soffocante che lo aveva avvolto fino a pochi minuti prima non era rimasto nulla, sembrava piuttosto un clima autunnale, umido e fresco.
Una brezza proveniente da sud portò alle narici del Gatto odore di fumo.
Nirghe non dovette camminare troppo per imbattersi in un accampamento. Una trentina di uomini si muovevano all’interno del perimetro delle tende squadrate. Diverse rastrelliere di legno ospitavano foderi infangati e aste scheggiate, stese tra i rami più bassi ondeggiavano lievemente delle corazze in cuoio scuro.
L’odore di sudore, a quella distanza, riusciva a coprire quello del fumo che si levava dal largo falò centrale.
L’ingresso dello spadaccino nel campo non produsse altro che qualche sguardo stanco degli uomini che incrociarono il suo cammino.
I corpi armati che non avessero un ruolo di difesa delle città erano stati banditi da una delle prime leggi dopo la Guerra degli Elementi. Tutto quello non sarebbe mai dovuto esistere.
Un quarantenne avvolto in una tonaca verde acceso lo superò con passo svelto.
- Scusi? – lo chiamò Nirghe inseguendolo – Lei è un mago della Terra? –
L’uomo si voltò con un sorriso stanco stampato in faccia.
- Dimmi figliolo. Cosa posso fare per te? –
Figliolo. Neanche suo padre lo aveva mai chiamato così, per quel che ricordava.
- Dovrei chiederle alcune cose… se ha un minuto da spendere. –
- Ma certo ragazzo. Dai, vieni un attimo nella mia tenda. –
Lo spazio tra le pareti di tela era angusto. Il mago si sedette sulla branda storta a lato, invitando il suo ospite ad accomodarsi su uno sgabello in legno scuro.
- Un giovanotto della tua età non dovrebbe portare due pesi così grandi. – continuò l’uomo alludendo alle due spade appoggiate per terra.
- È una lunga storia, la loro. Le sembrerà una domanda strana, ma dove state andando? –
- Ci stiamo dirigendo verso l’avamposto dei Monti Muraglia. I soldati rivogliono vedere le loro famiglie e, onestamente, credo vogliano lasciare questa zona il prima possibile, con tutto quello che hanno visto. –
- Da quanto non vedete i vostri cari? – continuò Nirghe con un presentimento che gli nasceva nel cuore.
- Oh, oramai sarà passato più di un mese da quando li abbiamo lasciati. Come mai tutta questa curiosità, figliolo? –
- Perché… - Nirghe non sapeva cosa rispondere a quell’uomo dal sorriso perenne. – Mi sarebbe piaciuto combattere con voi! –
Il Gatto si vergognò di quello che era appena uscito dalla sua bocca.
- Mi spiace per te, ma oramai il Re è sconfitto e non ci sarà bisogno di combattere per anni. –
Nirghe provò a non far trasparire i suoi pensieri dal volto.
Non aveva più dubbi. Quello non era più il suo tempo.
- Mi piacerebbe sapere ancora una cosa… Lei sa dove… -
Il suono di un campanaccio e le urla degli uomini non permisero al ragazzo di finire la sua domanda.
Il mago uscì in fretta dalla tenda, cercando nella foresta attorno cosa avesse potuto mettere in allarme i soldati. Nirghe rimise le spade al loro posto al suo fianco e si portò nel campo a sua volta.
Le rastrelliere veniva depredate delle armi che ospitavano, le corazze di cuoio cadevano pesantemente a terra dai rami su cui erano state stese. Gli uomini correvano per raggiungere il perimetro della tendopoli, accompagnati dallo sferragliare delle poche parti metalliche delle armature.
Dopo pochi secondi cadde il silenzio.
Un fruscio nel sottobosco annunciò l’arrivo di un ragazzino dagli abiti leggeri che correva disperatamente verso i suoi compagni.
- Cos’hai visto. – gli chiese quello che doveva essere il capitano del plotone.
- Demoni. Altri demoni. Sono tanti e stanno venendo da questa parte, credo abbiano fiutato il nostro odore. –
Il silenzio si fece ancora più opprimente.
Le mani del Gatto corsero alle else, pronte ad estrarre le lame.
La terra riverberò dei passi di decine di corpi. I rami più bassi vennero spaccati, i piedi calpestavano qualunque cosa si trovasse sul loro cammino.
Alla fine gli ultimi arbusti vennero spaccati e una moltitudine di corpi neri si riversò nel campo.
Alte picche svettavano sopra le teste dei demoni, reggendo un vessillo con una corona dorata al centro.
Nirghe ebbe paura. Il cuore gli batteva nel petto a un ritmo forsennato, le mani sudavano e il respiro si era fatto più accelerato.
Aveva letto molto dei demoni del re durante la guerra, aveva avuto modo di vedere i Demo più volte nella sua vita, ma quegli esseri che ora gli stavano di fronte erano troppo per lui.
Le prime linee di uomini e demoni si scontrarono in un fragore di metallo contro metallo. Le prima urla di guerra e di morte risuonarono tra gli alti tronchi che guardavano immobili la scena di morte.
Il mago della terra urlò qualcosa a gran voce, il terreno si smosse, ma i demoni non parvero colpiti dall’incantesimo, così diverso da quelli che usava Mea.
Le due spade lasciarono i foderi in una frazione di secondo e il Gatto si gettò contro il nemico.
Erano forti, quei mostri. Molto più forti di quanto avesse appreso studiando i tomi messi a disposizione dalla setta.
Le loro spade calavano implacabili e pesanti, Nirghe riusciva appena a deviare quei colpi.
Tutto a un tratto lo spadaccino si trovò di fronte a un demone che sorreggeva un vessillo. La spada sinistra falciò l’aria, terminando la sua mezzaluna sul tessuto nero, che cadde a terra stracciato quando la seconda lama decapitò il demone urlante.
La picca non rimase per molti secondi nel fango, perché un secondo demone, gettate le armi e incurante della battaglia, lo risollevò verso il cielo.
Erano troppi. Cento, centocinquanta, nel mezzo del caos generale nessuno avrebbe potuto valutarne il loro numero.
I cadaveri crescevano, più umani ed elfi che di demoni. Il rapporto tra le due cataste era pessimo.
I demoni ronzavano come uno sciame intorno ad un assembramento centrale, senza lasciare a nessun combattente la possibilità di avvicinarsi a quel nucleo denso. Gli stendardi cadevano a terra e venivano issati ritmicamente.
Il Gatto nella furia della battaglia si trovò vicino al mago.
- Se solo ci fossero i draghi qui… - borbottò l’uomo.
Draghi.
Il reggente dei draghi, durante la Guerra degli Elementi, era Fariuna. Ripassò mentalmente lo spadaccino cercando di non perdere il ritmo che aveva raggiunto. Alla fine degli scontri tutto il popolo si era trasferito a Est, quindi non potevano essere di qualche utilità.
Chi altro poteva salvare i superstiti?
I sei.
La scarica di ottimismo che ne seguì lo irrorò di una nuova energia.
Una testa dalla pelle nera volò lontana dal corpo, lasciando una scia di sangue viscoso alle sue spalle. Le lame non si saziarono con quello scarno bottino, andando prima a mutilare un corpo delle sue braccia, poi trapassando il torace di un terzo demone, giunto troppo vicino.
- Sentimi bene. – disse Nirghe in direzione del mago – Prendi tutti quelli vivi e mettetevi in salvo. So come ucciderli. –
- Ma, figliolo! –
- Fai quello che ti ho detto! Sono quello che ha più probabilità di sopravvivere, qui in mezzo. –
Il mago si allontanò, urlando qualcosa che l’elfo ignorò.
I sei… dopo la fine della guerra si erano dedicati a spostare i palazzi dalle loro sedi alla vetta del Flentu Gar. Se davvero era passato più di un mese dalla morte di Reis, la sua meta sarebbe dovuta essere il Palazzo dalla cupola dorata.
Doveva solo far sì che quei demoni seguissero lui e non la ritirata dei soldati.
Il vessillo si alzò nuovamente da terra, stracciato in più punti e sporco di sangue e fango.
La bocca di Nirghe si deformò in un ghigno. Quantomeno si sarebbe divertito.
Il ragazzo si gettò nuovamente nel vorticare di corpi neri.
Le ferite che riportava su braccia, gambe e fianchi erano lievi e il sangue usciva appena, ma la loro quantità lo impacciava un poco nei movimenti. Forse, avesse pensato prima a quel piano, si sarebbe trovato a fronteggiare quella schiera di esseri con un vantaggio maggiore, ma oramai era tardi per pensieri del genere.
Un altro cadavere cadde sul suo percorso.
Lo spadaccino mise tutta la sua forza di volontà in un ultimo scatto finale. Le lame entrarono e uscirono dal petto del demone che in quel momento reggeva uno stemma del Re in meno di due secondi, venendo poi immediatamente riposte nei loro foderi.
Ora doveva correre.
Raccolse da terra l’asta, caricando a testa bassa chiunque gli si parasse davanti e continuando a correre verso Ovest.
I demoni caddero nella trappola, dimenticandosi dei feriti e dei soldati in fuga per gettarsi all’inseguimento del ragazzo.
Nonostante l’ingombro della moltitudine di corpi nello spazio ristretto tra i tronchi, i demoni guadagnavano terreno velocemente, urlando come bestie in caccia.
Solo dopo diverse decine di minuti di corsa, senza fiato e con i muscoli in fiamme, Nirghe lasciò cadere a terra il vessillo, per continuare la sua fuga. Alle sue spalle il sottobosco continuava a fremere per il passaggio dei suoi inseguitori.
Nirghe cominciò a preoccuparsi seriamente quando un’idea si fece largo tra i suoi pensieri. E se avesse sbagliato a calcolare i mesi?
Se fosse arrivato al Palazzo del Mezzogiorno in un periodo precedente o postumo all’arrivo dei Sei sarebbe morto. L’unica cosa che impediva alle sue gambe di fermarsi era la paura che quegli esseri gli incutevano.
 Di fronte a lui la luce solare si fece più intensa. L’intreccio dei rami si era fatto meno serrato e la vegetazione era meno fitta.
La parete principale del Palazzo si mostrò di fronte ai suoi occhi come in un sogno.
Alle sue spalle i passi si erano fatti troppo vicini, ma, in quel momento, di fronte a lui, il portone della struttura si aprì, facendo uscire una decina di figure.
Ce l’aveva fatta.
Con un ultimo sforzo l’elfo si issò su uno dei rami più bassi che intersecava il suo percorso, salendo quindi il più possibile.
I demoni lo superarono, riversandosi nella radura pochi metri dinnanzi a loro.
Nirghe cercò di regolare il respiro. La testa gli pulsava, i muscoli delle gambe tremavano violentemente.
Il Gatto alzò lo sguardo in direzione dei ventenni che, davanti a lui, si erano gettati con le armi in pugno contro i demoni.
Fu uno scontro impressionante e solo da quella prospettiva lo spadaccino riuscì a distinguere la pelle scarlatta di un goblin tra le teste nere dei soldati reali. Poteva essere lui il motivo per cui le magie in precedenza non avevano funzionato.
Un'ombra oscurò il cielo, rimanendo sospesa sopra la cupola scintillante.
Un drago nero batteva le possenti ali e il suo Cavaliere guardava la scena impassibile dalla sua sella.
Poi ci fu la fiammata.
I demoni caddero inceneriti al suolo, Ardof fu colpito in pieno petto e volò per diversi metri indietro.
Nirghe si lasciò cadere.
Poteva aver fatto un disastro. Poteva aver modificato il passato delle Terre, poteva aver condannato Ardof del Fuoco a morte.
Avrebbe voluto avere più tempo per pensare alle conseguenze di quel che aveva fatto, ma la fiamma scaturita da ventre del drago lo stava per raggiungere. A quella velocità non sarebbe nemmeno riuscito a toccare il suolo da vivo.
Lo spadaccino chiuse gli occhi, mentre il calore cominciava ad avvicinarsi alla sua pelle.

Cadde su un pavimento duro.
Improvvisamente la temperatura si abbassò.
Il Gatto schiuse piano le palpebre, constatando di essere sdraiato su un pavimento in marmo bianco come la luna.
Si alzò piano.
La camicia e i pantaloni erano tagliati in più punti, ma la pelle sotto era intatta. Nessuno dei tagli che i demoni gli avevano procurato aveva lasciato un segno.
Si guardò intorno.
La mobilia era scarna. Un tappetto copriva la parte centrale del pavimento e, poco più in là, su una scrivania riposavano tre clessidre di diversa dimensione assieme a numerosi fogli, a una penna e a un calamaio.
Sulla parete di destra era stata dipinta con minuzia una meridiana, le cui ore erano adornate da viticci rampicanti e animali d’ogni genere.
- Ti piace questo posto? –
Nirghe si voltò di scatto. Alle sue spalle era apparso un uomo di mezz’età, dai verdi occhi scintillanti e la fronte solcata da tenui rughe.
- Ho fallito, non è così? – chiese lo spadaccino con lo sguardo basso.
- Perché dici così? –
- Perché per cercare di salvare una manciata di soldati ho ucciso Ardof del Fuoco. Ho fatto un disastro. –
- E se invece ti dicessi che non hai ucciso nessuno? Era il destino di quei demoni incontrare la spada di Ardof, così come era il destino del Cavaliere del Fuoco incontrare le fiamme del drago nero. Era tutto già scritto da tempo, da prima ancora che tu nascessi in quanto idea. Ciò che invece non era stato deciso era la sorte di quei soldati. Potevano sopravvivere o morire indifferentemente e la storia non ne avrebbe risentito, visto che in seguito avrebbero comunque raggiunto i primi prescelti, ma tu hai deciso di salvarli. Sei stato bravo Nirghe. Anzi, sei stato doppiamente bravo. –
Il Gatto alzò lo sguardo dal pavimento. – Doppiamente? –
- Precisamente. In base ai pochi indizi che hai carpito dall’ambiente hai subito capito dove ti trovavi, per questo mio fratello si sarebbe congratulato con te, per non parlare della perfetta analisi della situazione. La mia prova non era difficile, in realtà. Questi demoni non erano nemici particolarmente ostici come quelli che hanno incontrato i tuoi compagni. Ma ho deciso di portarti là per vedere come ti saresti districato tra le pieghe del tempo, per capire se avresti potuto gestire il potere che ti ho riservato. –
- Tempo, mio signore… Mi stai dicendo che nonostante i danni che ho fatto ho superato la prova? –
- Si. Si, Nirghe. Hai elaborato il periodo in cui ti trovavi, hai riportato alla memoria cosa successe allora e hai saputo sfruttare ciò che avvenne per vincere. Per me questo è sufficiente per convincermi che sei degno. Lascia allora che ti affidi il tuo compagno che non è un compagno. Abbine cura, perché dentro di lui si cela il potere che ho deciso di donarti. Fanne buon uso. –
Da terra si sollevò un polviscolo che, compattandosi sempre più, prese la forma di un piccolo gatto dal pelo nero come la pece. Il dio lo prese piano e lo adagiò tra le mani dello spadaccino.
- Tempo… grazie per la fiducia. –
La stanza cominciò a svanire lasciando il posto alla Piazza Sospesa, mentre il dio sorrideva con uno sguardo che si sarebbe potuto dire affettuoso.


Note dell'autore (importante):

Grandi notizie, almeno per me. Finalmente i miei esami sono finiti, per ora quantomeno, e potrò farmi un mesetto di vacanze.
Purtroppo per voi il mio genere di vacanza molto spesso implica la totale assenza di connessione internet, apparecchi elettronici e, in ogni caso, prese elettriche.
Oh, già. Dovrete rimanere senza di me fino ad (almeno) il 19 di agosto.
Vi vedo già tutti in lacrime per questa notizia.
Per farmi perdonare, però, visto che sono magnanimo o sadico, a voi la scelta, ho deciso di mettere qui sotto l'apertura del prossimo capitolo, quello che chiuderà questa quest dei compagni, possiamo dire.
Bene, mi sono dilungato a sufficienza.
Grazie a tutti per essere arrivati fino a qui, buon proseguimento e buona lettura.
Vago.


Capitolo 25: Consiglio divino

- È un peccato. – disse il Fato passando il suo sguardo tra gli dei minori – Mi dispiace per voi che non tutti i vostri prescelti abbiano superato la prova, ma soprattutto mi duole ammettere che il demone, essendo riuscito ad avvicinarsi così tanto a quei ragazzi, abbia guadagnato un vantaggio su di noi. –
Gli dei primigeni rimasero in silenzio ad osservare la scena, seduti sui loro scranni.
Natura era rimasta in disparte, in pena per i suoi fratelli e le sue sorelle che temevano più di chiunque altro nella Volta che le loro scelte potessero portare alla vittoria del demone.

Cosa diavolo mi sono perso?
Cosa è successo? Si sono accorti che Seila non era all’altezza? Però perché hanno parlato del demone? Qualcosa mi sfugge e io detesto non sapere tutto. 

   
 
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