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Autore: Atra    15/07/2016    4 recensioni
Un confronto prettamente valoriale fra due donne distanti,
così distanti da non trovare una risoluzione, se non
affidandosi allo scontro.
 
Un ringraziamento speciale a Exile, che ha contribuito a darmi qualche
idea per il confronto!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ultimecia / Artemisia, Yuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un passo.
Alcune gocce scivolarono via dal suo piede sollevato e si infransero sulla superficie dell'acqua, increspandola.
Era lì che si sentiva di stare, nella stessa zona grigia di quel piede sollevato, di quel passo appena iniziato.
Era così che si sentiva: all'apice, nel momento prima della discesa.

Un passo.
La roccia fredda le graffiò il piede, le sue unghie stridettero sulla superficie irregolare, incidendola.
Lei invece si era sempre comportata così: aveva colpito, aveva graffiato, aveva scalfito, con la stessa cura del piede per la zona su cui calava.
Per lei era sempre stato così: calava, schiacciava e poi...cadeva.


Chiuse gli occhi.
Yuna si abbandonò allo sciabordio dell'acqua attorno alle caviglie, al fruscio leggero del suo vestito attorno alle gambe, ai sussurri degli Eoni quiescenti dentro la sua mente.
I suoi pensieri fecero lo stesso, ritirandosi in un angolo e lasciandole la mente silenziosa, ancora più di quanto non lo fosse già, priva di ricordi com'era.

Chiuse gli occhi.
Artemisia strinse i pugni tremante, il sangue le affluì violento alla testa e le fece fischiare le orecchie, spingendola a scuotere il capo, infastidita.
In quel momento Griever si risvegliò nella sua mente e la Strega ne avvertì la presenza quasi stiracchiarsi, sfiorandola e facendola sussultare leggermente.

Yuna.
L'evocatrice riaprì gli occhi di scatto e si voltò, lo scettro già comparso nella mano ancora prima che pensasse di essere disarmata.
Bastò un'occhiata per capire che non ne aveva bisogno: davanti a lei si stagliava la figura luminosa di una donna, un braccio teso verso di lei e un sorriso affabile a invitarla.
Yuna - la chiamò la voce, sebbene le labbra della donna non avessero ancora spezzato il loro sorriso.
L'evocatrice rispose spontaneamente al richiamo, avanzando nell'acqua fino a sfiorare le dita della figura luminosa, che non ebbe paura di guardare negli occhi. Le sue labbra si incurvarono in un sorriso quando le loro mani e i loro sguardi si incontrarono, si riconobbero, si salutarono.
Il conforto le invase il corpo sotto forma di una pigra ondata calda, come se fosse stata investita da un fascio di luce.
Era quella la sorgente della sua forza, a cui si abbeveravano anche i suoi Eoni: era la possibilità di portare conforto al mondo, liberarlo dalle catene del terrore, sollevarlo dal peso dell'assurdo e conferirgli il tanto sperato Ordine.
Il Caos era una condizione esistenziale, primitiva, originale. L'Ordine sarebbe stato l'epilogo della loro storia, lo desiderava ardentemente e per questo combatteva, aveva sempre combattuto per questo, lei...
...Yuna.
Lei annuì semplicemente, lo sguardo che cadeva sui suoi piedi immersi nell'acqua, entrambi saldi, entrambi fissi, in equilibrio perfetto.
Yuna risollevò il viso, finalmente sereno dopo l'ennesimo brusco risveglio che la introduceva al nuovo ciclo, ormai il dodicesimo. Il suo sguardo si scontrò con quello profondo di Cosmos e lì si sentì annegare per un istante, invasa nuovamente dal nulla dei suoi ricordi, ormai non più esistenti.
Come ti senti, Yuna?

Artemisia.
Il suo stesso nome la fece sussultare, i denti si serrarono gli uni sugli altri, nella bocca nuotò per pochi secondi l'amaro del fastidio, della repulsione verso la propria condizione di servitù...ma alla fine il rancore fu deglutito, il volto ridisteso, coperto da una maschera affabile che sfidava la realtà a dire il contrario di lei.
Quale crudeltà era più efficace di celarsi nell'ombra delle apparenze dello spazio e delle pieghe del tempo?
Non abbiamo tempo, Artemisia - la incalzò la voce, con un tono autoritario che chiamava, anzi pretendeva, obbedienza.
Tempo? Non sapeva di cosa stava parlando, l'ignara voce.
Il tempo era ovunque, il tempo era un pazzo che si divertiva a correre più veloce o più lento...oppure a stare semplicemente fermo, godendosi l'eterno conflitto fra Bene e Male che si stagliava ai suoi piedi, imbrigliato nelle sue catene.
Il tempo fuggiva, ma lei sapeva sempre come prenderlo e farlo proprio. Nulla era impossibile a lei...
...Artemisia.
La Strega si voltò, il vestito che frusciava bruscamente sul pavimento impolverato, e i suoi occhi incenerirono il dio Chaos, affilati e languidi al tempo stesso. In essi lei rivedeva il rancore incaponito di un bambino, un Caos di sentimenti passati, presenti e ipotizzabili in futuro.
Hai aspettato fin troppo.
Artemisia inclinò il capo da una parte e nascose dietro a una mano il riso di scherno che le incurvò le labbra. Chaos aveva ragione: aveva aspettato fin troppo, non aveva più tempo...
Muoviti.
...oh, nessun problema: se lo sarebbe andata a riprendere al più presto.

Si incontrarono alla luce di un'alba fredda e livida, immobile come l'eternità in cui nuotavano, incastrate come anelli di una catena essenziale per il sistema di cui facevano parte.
Si scontrarono con gli sguardi prima che con i poteri. Le loro stesse vite si scontrarono, la collisione fra i loro pensieri fu grande, quanto è devastante lo schianto fra Bene e Male, fra speranza e illusione.

Come stava, lei?
Yuna guardò la donna davanti a sé, resa scura dal sole che faceva capolino alle sue spalle. Era bellissima, una statua d'ombra scolpita dall'aurora, arte creata per vivere al momento.
L'evocatrice trattenne il fiato quando le unghie della donna ebbero un fremito e il suo volto si sollevò appena, rivelando una bellezza inquietante, peccaminosa, apparente...tuttavia era ancora arte, come un quadro dai colori ormai marci, ma sul quale era ritratta ancora la stessa dama con lo stesso, ambiguo sorriso.
Poteva qualcosa essere creato per illudere, ingannare, celare la realtà?
Quale crudeltà era più efficace di celarsi nell'ombra delle apparenze dello spazio e delle pieghe del tempo?
Quale crudeltà era ancora più efficace di lasciare che fosse una donna a nascondersi, a sfruttare il proprio essere opera d'arte per compiere il male?
Male? Era quella la parola o lo status mentale che faceva impazzire chi cercava il potere?
Yuna si concentrò sui piedi della donna, i cui artigli erano affondati nel terreno e lo avevano crepato, per poi risalire la traiettoria del suo sguardo affilato e sentirsi quasi ferita di essere guardata in quel modo così estraneo, sebbene tentasse di capirlo disperatamente.
Male era tutto ciò che lei non si sarebbe mai immaginata di poter fare, forse nemmeno di credere che potesse esistere.
Male era che una donna distruggesse, quando era stata chiamata a creare.
Yuna voltò appena il viso, accecata dal sole e da un velo di lacrime di incomprensione.
Perché doveva combattere contro una donna che non comprendeva, che percorreva il suo percorso al contrario? Invece di dare alla luce una nuova vita, ne sacrificava una già esistente. Invece di mostrarsi pura per ciò che era, si era vestita di un potere corrosivo come l'acido, terribilmente totalizzante...il Male, forse?
Anche lei aveva sperimentato l'ebbrezza del proprio potere, tremendamente pervasivo...ma più il Bene l'aveva invasa, più il suo desiderio di liberarlo era aumentato, cosa che non sembrava accadere alla donna davanti a lei, che stava tremando visibilmente nel tentativo di contenere l'alta marea del proprio potere...per quale motivo, poi?
C'era uno scopo per il Male, così come ce n'era uno per il Bene?
Yuna si morse forte il labbro, continuando a non comprendere: a quale gratificazione portava il saccheggio della vita, la devastazione della natura, il meschino annichilimento dei suoi processi evolutivi e di adattamento? Quale gioia portava sottrarre una vita alle proprie radici, soffocarla in costrizioni, asservirla a volontà esterne?

In quel momento la Strega evocò Griever, che si impadronì completamente del suo corpo, cancellando di colpo la donna che era stata, sotto lo sguardo pietrificato dell'evocatrice.

Forse era qualcosa di più semplice che stare solamente a guardare.
Artemisia riaprì gli occhi e incontrò lo sguardo da cerbiatto della ragazza davanti a sé.
Una preda. Così spaurita, sembrava proprio una preda: innocente, fragile ed inesperta del mondo. Nei suoi occhi balenò l'incertezza, ma forse era solo apparenza.
Forse era davvero qualcosa di più semplice che stare solamente a guardare.
Forse era qualcosa che la ragazza non conosceva ancora, qualcosa che solo il tempo le avrebbe dato la facoltà di comprendere, un giorno.
Un frutto acerbo con il tocco del tempo sarebbe presto diventato maturo e pronto per offrirsi...ma doveva sbrigarsi, se non voleva diventare marcio e inservibile. L'età matura di una donna durava un respiro, l'attimo che le serviva per fiorire e cedere la propria apparenza al mondo.
Era l'attimo in cui accoglieva una scintilla dentro di sé e si lasciava spezzare da dentro, si lasciava deturpare, per plasmare una nuova vita.
Era l'attimo in cui scorgeva la fine, prima ancora di impattare contro di essa.
Era così che doveva sentirsi, probabilmente: all'apice, nel momento prima della discesa.
Per lei invece era già così: calava, schiacciava e poi...cadeva.
Artemisia socchiuse gli occhi e cercò nei meandri di se stessa, trovandosi perfettamente fedele a ciò che era stata in passato, con il proposito di conservarsi intatta per il futuro.
Questo era il suo potere sul tempo, questo era il suo fuggire il cambiamento per se stessa. Il mondo avrebbe dovuto essere come lei, così facendo non avrebbe mai sbagliato nulla nella sua folle e incidentata corsa.
E avevano anche il coraggio di chiamarlo Male!
Se quello era Male, il Bene allora quali diritti si arrogava, di che cosa era paladino?
Il Bene era morale, il Bene era giusto? Il Bene era rinuncia in virtù di alti valori? Il Bene era sacrificio per un Bene superiore? Il Bene era costruito su una gerarchia, dato che non esisteva un Male superiore?
Quanto più valore aveva una scelta, piuttosto che un'altra? Portava più Bene fare l'amore al solo scopo di procreare o conservare una vita indotta con la forza? La ricerca della conoscenza o la consapevolezza del proprio potere personale? Il riposo oppure la strenua guerra per un obiettivo? Uccidere o sacrificare se stessi?
Il Bene era contraddittorio. Il Bene era ambiguo, non risolveva il contrasto con il Male, perché non risolveva il proprio conflitto interno.
Il Bene era prigioniero di se stesso e chissà quando sarebbe venuto alla luce.

In quel momento si alzò il vento e fu costretta a spalancare gli occhi, ritrovandosi a fronteggiare un enorme volatile. La bestia piegò il collo e lo offrì all'evocatrice, che lo percorse in punta di dita, gli occhi puntati in quelli della Strega.

Come stava?
Non comprendeva. Forse avrebbe compreso in un secondo momento, con il tempo, cosa nascondesse il Male.
Forse gliel'avrebbe insegnato quella donna, che sembrava sapere qualcosa in più di lei.
Forse gliel'avrebbe insegnato quella donna, morendo. Oppure vivendo, non spettava a lei saperlo.
La vita e la morte erano questioni secondarie nella gerarchia del Bene.
La prima era sempre una: creare, purificare e lasciarsi purificare.

Come stava?
Era offesa. Come osava una ragazzina tentare di afferrare una verità che forse non era nemmeno degna di raggiungere? Come osava scrutare l'arrivo del suo tempo, ignara di ciò che le avrebbe fatto una volta piombato addosso a lei?
Quante ambiguità, il Bene.
Forse avrebbe risolto la sua contraddizione interna, abbattendo l'evocatrice all'alba su quel campo di battaglia.
Forse le avrebbe dato una priorità, in quella complicata gerarchia che era il Bene.
Per il Male era più facile, decisamente più banale: distruggere, corrompere e lasciarsi corrompere.
   
 
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