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Autore: Little Redbird    18/07/2016    4 recensioni
Tutto ciò che usciva dalla sua bocca era ridicolo e irritante. Tutto, fuorché il suo nome e il modo che aveva di pronunciarlo.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Clary Fairchild, Raphael Santiago, Simon Lewis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Too bad that that's all I need

 

Raphael era sempre il primo a tornare all'hotel dopo una notte passata a cacciare vene palpitanti. Era suo dovere accertarsi che tutti i membri del clan fossero al riparo dai raggi letali del sole e che nessuno di loro avesse messo in pericolo se stesso o gli altri.

C'erano alcuni vampiri di cui si interessava – preoccupava non gli sembrava la parola adatta – più degli altri. Pochi, la sua cerchia più fidata. E Simon.

Si interessava soprattutto del ritorno di Simon, negarlo non serviva a nulla. Temeva sempre che fosse all'Istituto, con i suoi amici Shadowhunter, a complottare e a rivelare i segreti del clan. A rischiare la vita per la ragazzina dai capelli rossi.

Simon non aveva nessuna possibilità con la figlia di Valentine – che sembrava non avere occhi che per il giovane Wayland –, eppure continuava a correrle dietro come un cagnolino, a scodinzolare ogni volta che gli sorrideva. Raphael non lo capiva. Pur avendo un viso accettabile, Clary non era una di quelle bellezze folgoranti o particolari – il tipo di bellezza che sembrava piacere a Simon – e aveva modi rozzi e prepotenti, dei capelli di un colore abbagliante, delle braccia così magre da poter essere spezzate con lo sguardo, e gusti davvero pessimi in fatto di uomini. Per quanto Simon non fosse lui stesso di una bellezza folgorante o particolare – il tipo di bellezza che piaceva a Raphael –, era senza dubbio più gradevole agli occhi rispetto a Jace. Soprattutto dopo la sua Trasformazione – o, più precisamente, da quando prendeva in prestito i vestiti di Raphael –, l'aspetto di Simon era migliorato notevolmente. Anche per questo lui non si lamentava troppo dei vestiti che prendeva dal suo armadio – fino a quando tornavano integri, almeno.

“Manca ancora solo Lewis.”

La voce di Stan era calma, ma Raphael non aveva comunque bisogno di voltarsi a guardarlo per sapere che era preoccupato.

Non rispose, si limitò a continuare a guardare verso la strada, da cui era sicuro che Simon sarebbe arrivato da un momento all'altro, incespicando nei propri piedi, probabilmente ferito durante un combattimento per aiutare i Nephilim, una delle sue giacche preferite ridotta a brandelli. Ma Raphael aveva guardato verso la strada per molto tempo. Troppo tempo. Così tanto tempo che ora mancava solo una manciata di minuti perché il sole sorgesse completamente e lo riducesse ad un cumulo di cenere sulla soglia dell'hotel.

Anche se in ritardo, affamato, ferito e con i vestiti rovinati, Simon tornava sempre. Raphael lo ammoniva, gli raddoppiava le ore di allenamento e i turni di pattuglia con Stan, ma bastava che lo sfiorasse o lo chiamasse per nome perché dimenticasse qualsiasi cosa e lo rimettesse al primo posto nella lista delle poche persone per cui si preoccupava.

Si preoccupava per Simon. E non perché temeva che spifferasse i segreti del clan ai cacciatori, ma perché aveva paura che fosse troppo ferito o troppo affamato per poter tornare a casa, che fosse intrappolato da qualche parte in città, impossibilitato a uscire fino a che il sole non fosse calato di nuovo dietro i palazzi.

“Capo?”

Ora la voce di Stan era allarmata. Di nuovo, Raphael non rispose. Chiuse la porta, lasciando fuori la luce del sole e quell'idiota di Simon, e si voltò per tornare in camera sua.

Si sorprese nel vedere Lily al fianco di Stan. La sua bocca sottile era stretta fino a sbiancarsi e nei suoi occhi a mandorla si leggeva tutta la preoccupazione per il più giovane della famiglia.

“Sta bene” la rassicurò Raphael, stupendosi della fermezza nella propria voce. “O, almeno, non è ancora morto.”

Voleva credere che quel peso sullo stomaco fosse solo la preoccupazione, e non il suo legame con Simon che si dissolveva insieme alla sua vita.

Le sopracciglia di Stan si corrugarono. “Avrei dovuto seguirlo.”

Raphael strinse i pugni e li infilò nelle tasche dei pantaloni per impedirsi di colpire qualcosa – o qualcuno. “Non siamo i suoi dannati babysitter” sibilò. “Se gli piace tanto cacciarsi nei guai, forse dovremmo lasciare che impari a tirarsene fuori da solo.”

Entrambi i suoi sottoposti abbassarono lo sguardo.

Quella poteva essere la volta buona che l'avrebbe cacciato dal clan, non se la sarebbe cavata con qualche tocco esitante sul suo bicipite o col modo in cui pronunciava il suo nome.

Se mai fosse tornato.

 

 

Simon era nei guai, lo sapeva. Aveva passato tutto il giorno da Luke, che era stato ferito durante il lavoro e doveva restare a casa per qualche giorno, nonostante la sua ferita fosse guarita già da tempo, per non dare nell'occhio. Il poliziotto aveva reclutato lui e Clary per un pomeriggio speso a giocare ai videogiochi e assicurarsi che entrambi i ragazzini che aveva cresciuto come fossero i suoi figli stessero vivendo una vita relativamente normale, nonostante una fosse una Shadowhunter e l'altro un vampiro.

Aveva davvero voluto chiamare Raphael per avvisarlo che avrebbe passato il giorno fuori, ma il suo telefono era morto verso le due di notte – dannato Pokémon Go – e quando Luke aveva chiamato Clary per invitarli a casa era già quasi l'alba e non aveva avuto tempo di tornare all'hotel per avvisare.

Clary e Luke avevano insistito per riaccompagnarlo a casa, quella sera, timorosi che Raphael non avrebbe perdonato il suo ennesimo errore, ma Simon li aveva convinti che fosse tutto ok. Ora però, mentre aspettava che qualcuno aprisse la porta dell'hotel, nei residui della luce aranciata del tramonto, non ne era più sicuro.

Fu Stan ad aprirgli, accogliendolo con un'occhiata ammonitrice e un paio di occhiaie più marcate del solito.

“Ehi” lo salutò, cercando di raddrizzare il sorriso sulle sue labbra.

Lo sguardo di Stan si fece omicida. Lo afferrò per il bavero della giacca e lo cacciò all'interno dell'hotel senza tanti complimenti.

Prima che Simon potesse protestare, qualcun altro lo colpì al braccio. Si voltò per incrociare lo sguardo altrettanto spaventoso e stanco di Lily.

“Sei un cretino” lo salutò, dandogli un altro pugno sul bicipite.

Non poteva darle torto.

“E sei in guai grossi quanto la tua stupidità” aggiunse, stringendo le braccia intorno alla vita, come se temesse che i guai di Simon potessero toccare anche lei.

“È molto arrabbiato?” domandò lui esitante, massaggiandosi il braccio, che in realtà aveva già smesso di fare male.

“Vuoi perdere un altro po' di tempo?” domandò a sua volta Stan.

Simon avrebbe voluto rispondere di sì, voleva ritardare la sua punizione il più possibile, ma scosse la testa, raddrizzò le spalle e si diresse al piano superiore.

Davanti alla porta della camera di Raphael, esitò solo un istante prima di bussare piano con le nocche sul legno.

“Avanti” lo invitò la sua voce calma.

Simon entrò titubante, incerto su quale scenario si sarebbe trovato di fronte.

Raphael era in piedi davanti alla finestra, un bicchiere vuoto in una mano e gli occhi fissi sulle pesanti tende nere, come se avesse potuto vedervi attraverso e stesse ammirando la città immersa nella flebile luce del crepuscolo.

Simon aspettò per diversi secondi che si voltasse a parlargli e, quando Raphael continuò a rimanere immobile come una statua perfetta, cominciò a scusarsi.

“Mi dispiace non aver avvisato” disse, facendo qualche passo verso di lui.

Finalmente, Raphael si voltò. Il suo viso era inespressivo, nemmeno la sua tipica espressione annoiata piegava i suoi tratti ben disegnati, sotto gli occhi scuri spiccavano occhiaie anche peggiori di quelle di Stan e Lily; il completo che indossava era quello della sera precedente, la giacca sbottonata. Posò il bicchiere di cristallo sulla scrivania poco distante e fece a sua volta qualche passo nella sua direzione.

La sua calma innervosiva Simon. Conoscendo Raphael da più di un anno, ormai, sapeva che non avrebbe fatto scenate o spaccato mobili, ma sentiva che a quel punto avrebbe dovuto quantomeno insultarlo in entrambe le lingue che conosceva, ripetendogli per l'ennesima volta quanto fosse stupido da parte sua passare le ore del giorno lontano dall'albergo.

“Ti sei divertito, con la tua ragazza?”

La sua voce era gelida e poco più di un sussurro, gli occhi fissi sul suo viso.

Simon assunse un'espressione contrita. “Non è la mia ragazza.”

“Questo rende la tua scappatella ancora più stupida.”

“Luke ci ha chiesto di fargli compagnia perché è bloccato a casa.”

Alla menzione del lupo, gli occhi di Raphael sembrarono indurirsi ancora di più. “Un lupo, una Shadowhunter e un vampiro passano la giornata insieme” disse, come volesse raccontargli una barzelletta, ma non c'era divertimento nel suo tono. “Il vampiro spiffera tutto quello che sa sul suo clan, facendo ammazzare tutti perché convinto che così la Shadowhunter dimenticherà che è morto e lo amerà per sempre.”

Simon strinse i pugni. “Non ho spifferato nulla” obiettò, tentando di mantenere a sua volta la calma.

“Ti abbiamo dato i nostri numeri per un motivo.”

“Mi è morto il telefono” spiegò. “Volevo avvisarti, davvero, ma non sapevo come.”

“Avresti potuto fare una corsa di tre secondi fino all'hotel. Se non te ne fossi accorto, puoi correre a duecento chilometri orari.”

“Volevo! Era già quasi l'alba quando Luke ha chiamato Clary e non avrei fatto in tempo ad andare dall'altra parte della città.”

“Avresti potuto mandare la tua amica a comprare un caricabatterie, se proprio Luke non ne aveva uno.”

Simon si morse la lingua. A quello non aveva pensato. “Ho fatto un casino, lo so. Puoi punirmi e basta? Farò tutto quello che vuoi.”

Raphael rise senza divertimento. “Ora sei disposto a fare tutto quello che voglio” commentò, facendo un altro passo verso di lui. “Avresti dovuto pensarci prima di far quasi crepare di preoccupazione Lily. Prima che gli altri mi accusassero di essere troppo accomodante nei tuoi confronti. Prima che passassi la notte a chiamare a vuoto il tuo maledetto telefono.”

“Mi dispiace” disse di nuovo Simon. “Raphael” tentò poi, allungando una mano per sfiorargli il braccio.

Il pugno che Raphael gli assestò sulla mascella lo lasciò stordito per alcuni secondi.

“Non ti azzardare a toccarmi, Simon” intimò, la mano che l'aveva colpito stretta lungo il fianco. “Non te la caverai con una delle tue stupide battute, stavolta.”

Simon stava ancora cercando di rimettere insieme i pensieri. Raphael l'aveva colpito. Non troppo violentemente, rispetto alla forza che sapeva lui possedesse, ma abbastanza forte da fargli voltare la testa dall'altra parte. Non l'aveva mai colpito al di fuori della sala degli allenamenti.

Riportò gli occhi su di lui. Ora il suo viso era una maschera di rabbia.

“Ho detto che mi dispiace” gli disse, tentando di tenere la voce ferma. “Colpiscimi di nuovo, se vuoi, se ti fa stare meglio, ma lo sai che non ho raccontato nulla a Clary e Luke. Non tradirei mai il clan così.”

Le spalle di Raphael si tesero e la sua mascella si strinse in uno spasmo di furia. Lo colpì di nuovo e Simon non si lamentò – dopotutto, l'aveva invitato lui a farlo.

Si massaggiò lo zigomo e tornò a guardarlo. “Meglio?”

Raphael non aveva ancora finito. Lo afferrò per la giacca blu e lo strattonò fino ad inchiodarlo al muro. Simon non fece resistenza, si limitò a guardarlo negli occhi.

“Credi che mi interesserebbe qualcosa di quello che spifferi ai cacciatori, se ti facessi ammazzare?” domandò in un sibilo. “Cosa credi che succederebbe se tu morissi per aiutare i Nephilim?”

Simon non capiva.

“Una fottuta guerra, Simon!”

Era la prima volta che Raphael usava quel linguaggio, ma del resto era anche la prima volta che perdeva così le staffe.

“Lo sai quante persone sono rimaste fuori fino all'alba a cercarti, rischiando di rimanere intrappolate da qualche parte per tutto il giorno?” domandò ancora.

Simon si sentiva in colpa, odiava aver fatto preoccupare tutti, ma odiava anche essere trattato come un imbecille. Tentò di spingersi con le spalle contro il muro per allontanare Raphael, ma lui non mollava la presa.

“Forse dovreste smetterla di trattarmi come un bambino!” si azzardò a replicare.

Raphael sembrava incredulo, perplesso dal suo tentare di difendersi quando era chiaramente in torto.

“Non sei mio padre, Raphael!” lo accusò.

Raphael allentò la presa su di lui solo per un secondo, prima di aggredirlo ancora. “No, non sono tuo padre. Sono il tuo leader, sono quello che fa in modo che tu mangi senza cacciare, quello che ti compra i vestiti e che ti protegge dal tuo primo giorno in questo Mondo.”

Tentò di colpirlo di nuovo, ma Simon gli bloccò il braccio, stufo di essere preso a pugni.

“Dannazione, Raphael, mi dispiace!”

La voce gli tremò, non era bravo quanto lui a fingere una calma che non provava, ma in effetti anche lui sembrava aver rinunciato a sembrare impassibile.

Erano così vicini, ora, che Raphael avrebbe potuto staccargli la testa a morsi, invece sembrava stesse patendo le pene dell'Inferno. Le sue spalle si alzavano e abbassavano ad un ritmo cadenzato – era anche la prima volta che lo vedeva respirare – e la fronte gli si era aggrottata fino a formare una ruga tra le sopracciglia perfette. Il braccio che Simon teneva ancora stretto in una mano si rilassò, ma non si fidava abbastanza per lasciarlo andare, così continuò a tenerlo al sicuro tra le sue dita lunghe.

Doveva essere la sera delle prime volte, perché Raphael alzò il viso di quei pochi centimetri sufficienti ad incontrare il suo e premere le loro labbra insieme.

Simon spalancò gli occhi, ma non si mosse. La bocca di Raphael sapeva di sangue e, inaspettatamente, di alcol.

Desaparecer” mormorò quando si allontanò da lui.

Simon sapeva che lo stava mandando via, ma non si mosse. Non riusciva a parlare, né a sciogliere le dita che stringevano ancora il polso di Raphael.

L'altro non lo guardava, aspettava che lo shock passasse e si togliesse dai piedi, ma quando mai Simon faceva quello che gli diceva?

Abbassò il viso ad incontrare di nuovo il suo e lo baciò con ancora più furia di quanta non ne avesse usata lui.

Raphael si allontanò, fino a staccarsi dalle sue labbra, per guardarlo come fosse impazzito, come se non fosse stato lui il primo ad alleviare in quel modo la tensione tra di loro.

La sua esitazione durò solo un secondo, però. Con gli occhi chiusi e un'espressione sofferente, si scontrò di nuovo con le labbra di Simon e lasciò che a parlare fosse, sì, la sua bocca, ma con un linguaggio tutto nuovo.

Lui gli stava ancora stringendo il polso e si posò la sua mano sulla spalla. Raphael non esitò ad infilare le dita tra i capelli corti sulla sua nuca. Simon fece scorrere la propria mano lungo il suo braccio, la spalla, la schiena, fino a posarla sul suo fianco, attirandolo contro di sé per approfondire quel bacio saturo di inquietudine.

“Mi dispiace” gli disse per l'ennesima volta.

“¡Cállate!” sibilò lui in risposta.

Simon ammutolì. Non aveva nessuna intenzione di rovinare quel momento con le parole.

Raphael, d'altra parte, non aveva nessuna intenzione di lasciarglielo fare. Era così arrabbiato con lui, ancora così preoccupato, nonostante l'avesse sano e salvo di fronte a sé, che non gli importava di nulla, specialmente delle conseguenze di quel bacio. Non gli importava delle sue scuse, che fosse innamorato di Clary, del fatto che agli occhi del clan sarebbe sembrato come l'ennesimo favoreggiamento nei suoi confronti, che avrebbero pensato che si fosse lasciato comprare dalla sua bella bocca e dalle mani che gli stringevano i fianchi. Non gli importava di niente, solo che Simon stesse bene e fosse suo, anche se solo per quei pochi minuti. Anche se l'indomani sarebbe stato costretto a mandarlo via per proteggere la sua reputazione e il suo cuore muto.

Gli baciò il collo lungo e pallido, percependo i nervi tesi sotto la pelle mentre piegava la testa per far spazio alle sue labbra. Simon cedeva così facilmente a qualsiasi cosa la sua bocca proponesse, che gli era difficile credere che non gli stesse piacendo, che lo facesse solo per compiacerlo, per rientrare nelle sue grazie, ma non poteva essere altrimenti, e a Raphael non importava. Non gli importava che non fosse suo nemmeno in quel momento. E non gli importava della vocina nella sua testa che gli diceva che stava mentendo a se stesso, perché quella voce somigliava fin troppo a quella di Magnus, e lo stregone aveva amato troppe persone per capire quello che davvero importava a Raphael.

La voce di Magnus gli fece presente di non aver mai parlato di amore.

Fu allora che Raphael lo morse, affondando piano, quasi sadicamente, i lunghi canini nella pelle diafana del collo di Simon. Lui gemette sorpreso, ma non si scostò, infilò una mano tra i suoi capelli per aggrapparsi a lui mentre un rapido brivido gli scuoteva il corpo.

Poi tornò con la bocca su quella di lui, ritrovando la sua lingua senza alcuno sforzo, ma si fermò, allontanandosi bruscamente e agitando la testa per schiarire i pensieri.

Aveva morso Simon. Su una parte tanto visibile e intima come il collo. Lasciando sulla pelle candida i segni di appartenenza tipici delle coppie fisse. Delle coppie che si amavano.

“Dannazione a te e alla tua maledetta bocca” mormorò esasperato. Si portò le mani nei capelli, allontanandosi ulteriormente.

Simon era ancora troppo spaesato per poterglielo impedire. “Non ho parlato” obiettò flebilmente.

“Dannazione, Simon” ripeté Raphael. “Non avrei dovuto morderti. Non avrei dovuto baciarti. Dannazione!”

Simon tentò di avvicinarglisi, ma lui si allontanò.

“Va bene” lo rassicurò. “Non mi importa del morso. O meglio, mi importa che sia durato così poco.”

Azzardò un sorriso, ma Raphael non ricambiò. Si sedette sul letto, le mani di nuovo tra i capelli.

“Va' in camera tua, penserò a qualcosa.”

“Ma-”

“Niente 'ma', Simon. Hai promesso di fare tutto quello che ti avrei chiesto.”

Simon fece una smorfia sprezzante. “Tranne lasciarti!” esclamò, come fosse la cosa più ovvia al mondo.

Raphael chiuse gli occhi per un attimo, poi si alzò e gli si avvicinò di nuovo con furia. Gli afferrò il mento in una mano e gli voltò la testa per scoprire i due segni di puntura sul suo collo. “Dios” mormorò tra sé.

Simon gli schiaffeggiò la mano per liberarsi della sua presa e coprire il collo. “Non è nulla di grave” minimizzò.

Lui scosse la testa. “Sul serio non hai letto un solo libro dalla nostra biblioteca?”

Simon si morse le labbra. “Non quelli noiosi.”

Raphael si trattenne dall'imprecare ancora. “I segni del morso ti resteranno per almeno un mese. Il nostro corpo non assorbe il veleno di cui sono intrisi i canini, per questo si usa mordere un altro vampiro solo per marchiarlo, per mostrare la sua appartenenza ad un'altra persona.”

Simon abbassò lo sguardo. “È l'equivalente vampiresca delle fedi nuziali?” domandò sottovoce.

“Sì” ammise, altrettanto piano.

“Ora siamo tipo sposati?” chiese, riportando il suo sguardo confuso su di lui.

Raphael fece una faccia inorridita. “Dio mio, no. Però agli occhi degli altri sembrerà che ci sia qualcosa tra noi. E non è così.”

Simon abbassò di nuovo lo sguardo. “Mentirò, se vuoi. Posso dire che ho incontrato qualcuno l'altra sera.”

Raphael strinse i pugni. “Sì” concesse.

“Per quanto riguarda la mia punizione?” volle sapere, dopo qualche attimo di silenzio.

“Ci penserò. Per il momento non puoi lasciare il DuMort da solo. Elliott o Stan saranno sempre con te.”

“Preferirei ci fossi tu, con me.”

Raphael lo guardò da sotto le ciglia scure. “Temo non sia possibile.”

Simon annuì. “Posso andare? Devo chiamare Clary, sarà in pensiero.”

“Certo, non vorremmo che la tua ragazza si preoccupasse” disse, la voce di nuovo carica di ira.

Scosse la testa. “Non è la mia ragazza” ribadì. “Sono mesi che te lo dico.”

“Sono mesi che scegli lei invece dei tuoi simili.”

Simon strinse la mascella. “Che scelgo lei invece di te?” domandò brusco.

Raphael lo fissò per qualche attimo. “Sì.”

Non si aspettava che rispondesse onestamente, ed esitò per un secondo prima di ribattere. “Cosa vuoi che faccia, quando la scelta è tra trascorrere il tempo con la mia migliore amica e seguire te in giro mentre mi ignori ed eviti ogni mio tocco?”

“Sei il mio Consigliere, non il mio migliore amico. Non ci siederemo a guardare vecchi film o a chiacchierare nel cuore della notte.”

“Perché no?”

Raphael strinse i denti. “Perché finirebbe come pochi minuti fa: a pugni o a morsi.”

“E il problema dove sarebbe?” domandò Simon, ingoiando poi a vuoto.

Esitò, non poteva credere che stesse suggerendo di prenderlo ancora a pugni o morderlo. O baciarlo, ché anche se nessuno dei due l'aveva detto, era palesemente sottinteso. “Magari nel fatto che sei innamorato della tua ragazza e non vedi altro!” sbottò.

Simon scosse di nuovo la testa. “Sono mesi che ti dico che non è la mia ragazza. Sono mesi che mi sono rassegnato e sono andato avanti. Clary è come una sorella, Raphael. La amerò per sempre, anche se in un modo diverso da quello che credevo.”

Raphael voleva ribattere, ma non sapeva come.

“Ti dà tanto fastidio che io corra ad aiutarla quando ne ha bisogno” continuò allora Simon. “Sai perché lo faccio? Perché mi fa sentire utile, come se non fossi solo un mostro succhia-sangue, senza sentimenti. Perché odio restare qui a guardarti come un'anima in pena, mentre gli altri mi trattano come un bambino e mi fanno sentire ancora più imbranato. Non so cosa fare, non ho idea di quale sia il mio posto, ma tu ti ostini a tenermi al tuo fianco senza darmi un incarico preciso.”

Raphael stava per baciarlo di nuovo, poteva sentire le gambe tremargli per la voglia di muoversi verso di lui e inchiodarlo di nuovo al muro, fosse anche solo per farlo stare zitto, per impedirgli di ricordargli tutti i suoi passi falsi, tutte le cose che ad un occhio più attento avrebbero avuto un significato ovvio.

Stava per baciarlo di nuovo, ma la porta si spalancò con forza, rimbalzando sulla parete adiacente. Sulla soglia, Clary brandiva la sua Spada Serafica, le braccia scoperte dal top estivo imbrattate di rune e i capelli rossi raccolti in una coda da combattimento.

Raphael chiuse gli occhi, invocando la propria morte. Quando li riaprì, Simon era tra lui e Clary, la schiena rivolta a lui e le mani tese in avanti.

“Sto bene!” assicurò all'amica.

Lily e Stan fecero la loro comparsa sulla soglia, alle spalle della Shadowhunter, e Raphael lanciò loro un'occhiata gelida.

“Non sono riuscita a fermarla in tempo” spiegò Lily, evitando il suo sguardo.

“Avevi detto che mi avresti chiamato subito” Clary accusò Simon, il quale riportò le mani ai fianchi e si morse il labbro.

“Stavo spiegando la situazione a Raphael” disse.

Aveva pronunciato il suo nome in un modo strano, senza la cadenza lenta che usava di solito, e aveva voltato la testa di lato, per lanciargli uno sguardo con la coda dell'occhio.

Quello cos'è?” volle sapere Clary. Rinfoderò la spada al suo fianco e avanzò verso Simon a grandi falcate, avvantaggiata dalle gambe lunghe. “Ti ha morso?” domandò indignata.

Lui si portò una mano sul collo a coprire la ferita e Raphael incrociò gli sguardi increduli di Lily e Stan.

“No” disse Simon, balbettando qualche scusa incoerente.

“Lily, chiudi la porta” ordinò Raphael.

Entrambi i vampiri sulla soglia fecero un passo all'interno della stanza prima di chiudere la porta dietro di loro. Raphael alzò gli occhi al cielo.

“Non vi ho detto di entrare” sibilò, sgusciando dalle spalle magre di Simon.

“Io non mi muovo da qui” annunciò Lily, incrociando le braccia al petto e fissandolo come le avesse ucciso un parente. Stan, al suo fianco, si limitò a scuotere le spalle.

“Prendi le tue cose, ti riporto da Luke” comandò Clary nel mentre.

Raphael avrebbe voluto rimetterla al suo posto, ma la curiosità di sapere cosa avrebbe fatto Simon, se non l'avesse fermato, ebbe la meglio.

Il ragazzo sembrò pensarci sul serio mentre fissava l'amica con espressione indecisa, poi lanciò uno sguardo a Raphael e si leccò piano le labbra. “No” disse.

“Ma, Simon, ti ha morso” insistette Clary, afferrandolo per le braccia per scuoterlo e fargli capire la situazione. “Non puoi restare qui.”

“Non gli faremmo mai del male” obiettò Lily.

“Lo vedo!” rispose sarcastica Clary.

“Quello non-” cominciò Stan, ma Raphael lo interruppe.

“Senti, piccola Shadowhunter. Simon fa parte del clan, ha giurato la sua fedeltà a me e io ho bisogno che resti.”

Simon lo fissò con la fronte aggrottata, i suoi occhi marroni tristi e spenti.

“Così puoi maltrattarlo quanto ti pare?” La ragazza non mollava. “Simon,” disse ancora, rivolgendosi all'amico, “ti prego”.

Simon si morse il labbro, la afferrò per mano e si diresse alla porta.

Il viso di Lily divenne una maschera di delusione.

“Devo solo parlare con lei in privato” le promise, oltrepassando tutti e lasciando in fretta l'hotel.

Raphael si sfilò la giacca, piegandola con eccessiva cautela per posarla sulla scrivania. Simon non sarebbe tornato e a lui non importava di sembrare presentabile. Non gli importava nemmeno di Simon.

Si voltò verso Lily e Stan, che lo guardavano con un misto di preoccupazione e confusione.

“Nessuno di voi due è riuscito ad impedire alla figlia di Valentine di arrivare in camera mia?”

“Come hai potuto marchiarlo?” domandò invece Lily, come se lui non avesse parlato.

Ora sembrava arrabbiata e Raphael non poté trattenersi dal ridere amaramente. Lui veniva tradito per l'ennesima volta e tutti gli altri si arrabbiavano.

“Non è che si sia lamentato” disse, scrollando incurante le spalle.

Stan scosse la testa, incredulo. “Certo che no. Cosa gli hai detto per convincerlo? Che l'hai fatto a tutti noi, che è un rito del nostro clan?”

“Non ho dovuto dirgli proprio niente.”

Il disgusto di Lily divenne ancora più evidente. “Non posso crederci.”

“Lasciatemi solo” disse loro Raphael.

“Non ti lascio solo con Simon” negò Lily.

Lui le sorrise. “Lo sopravvaluti. È troppo stupido per tornare.”

Stan gli si avvicinò. “Non ho idea di cosa tu stia cercando di fare, ma sono sicuro che finirà male.”

“È la prima cosa sensata che sento oggi” concordò.

“Lui ti venera” insistette Lily, ignorando la conversazione tra i due. “Come hai potuto marchiarlo così alla leggera? Che cos'hai, ultimamente?”

Raphael si massaggiò le tempie con una mano. “Vi ho detto di andarvene.”

Lily emise un suono esasperato e caricò nella sua direzione, intenzionata a dirgliene altre quattro, ma Stan la bloccò e la trascinò verso la porta, dove si scontrarono con Simon, che aveva l'aria stanca e le guance arrossate dalle lacrime che aveva asciugato con la manica della giacca.

“Simon!” disse Lily, ma Stan le tappò la bocca e le impedì di dire altro, anche quando lei cominciò a scalciare lungo le scale.

Simon sembrò confuso per un attimo, ma scosse la testa e chiuse la porta dietro di sé.

Raphael sospirò. Era addirittura più stupido di quanto pensasse.

“Se sei venuto a salutare, puoi risparmiarti la fatica” gli disse senza guardarlo.

“Sono venuto a farti una domanda” disse.

Raphael alzò lo sguardo su di lui e sollevò un sopracciglio, scettico.

“Perché hai bisogno che resti?”

Era in piedi al centro della stanza, le braccia molli lungo i fianchi e gli occhi arrossati dalle lacrime sanguigne che doveva aver versato con Clary. Per la prima volta in sua presenza, non sembrava agitato, ma rassegnatamente calmo.

“Sei il mio Primo Consigliere.”

“Un consigliere che non dà consigli è a dir poco inutile, no?”

Raphael strinse i denti. “Hai informazioni utili sugli Shadowhunter.”

“Non te ne ho mai fornite. Così come non ne ho mai fornite a loro sul clan.”

“Mi sento in colpa per averti portato nelle grinfie di Camille.” Quella non era completamente una bugia.

“Ci ho messo una pietra sopra, sono sicuro che puoi farlo anche tu.”

Aveva finito le scuse e Simon lo sapeva. Fece qualche passo avanti, fino a trovarsi a mezzo metro da lui.

“Qual è il vero motivo, Raphael?” volle sapere.

Il suo nome si era srotolato piano sulla sua lingua, come era solito fare prima di tutto quel dramma inutile, e Raphael chiuse gli occhi.

“Perché ti interessa tanto?” domandò di rimando, azzardandosi a riaprire gli occhi per guardarlo in viso.

Simon sbatté piano le palpebre. “Per capire se vale la pena restare.”

Raphael si passò una mano sul viso. “Se proprio vuoi andartene, va bene. Non ti trattengo.”

“Raphael” disse solo Simon.

Ormai Raphael era convinto che sapesse dell'effetto che quel modo di pronunciare il suo nome aveva su di lui.

“Cosa vi siete detti, tu e la tua amica?” domandò, tentando di riportare la conversazione su un terreno più solido.

Simon rise amaramente. “Quante attenzioni per Clary! Sicuro che non sia tu ad avere una cotta per lei?”

Raphael lo fissò inespressivo e, con un sospiro, lui si rassegnò a rispondergli.

“Mi ha dato dell'imbecille” disse con finto divertimento. “Avete molte cose in comune, sai? Dice che devo smetterla di innamorarmi di chi non può ricambiare. E che dovrei aprire le tende della tua finestra mentre dormi.” Gli si fece più vicino. “Ora tocca a te: perché vuoi che resti?”

“Perché sei un imbecille” confermò, dandogli una leggera spinta sulla spalla. La sua vicinanza lo confondeva. E non gli era sfuggito quello che aveva detto sull'innamorarsi di chi non può ricambiare. “Perché non vederti tornare al sorgere del sole mi fa perdere la testa.”

Simon tentò invano di trattenere un sorriso.

“Perché odio vederti scegliere lei” continuò, incapace di fermarsi ora che aveva iniziato a confessare. Gli diede un'altra spinta. “E odio il tuo essere inconsapevole. E il modo in cui tutti ti proteggono, dando la colpa a me quando poi ci tradisci.”

Tentò di colpirlo di nuovo, ma Simon gli afferrò il polso. “Raphael,” gli disse, “queste mi sembrano tutte motivazioni valide perché me ne vada.”

Raphael tentò, debolmente, di liberarsi dalla sua presa delicata. “Perché voglio baciarti ogni dannata volta che pronunci il mio nome.”

Stava respirando, inalando il profumo di Simon e il proprio che avvolgeva la giacca preferita di entrambi.

“Raphael” disse di nuovo Simon, sorridendo piano.

Raphael emise un ringhio, che si trasformò in gemito appena la bocca di Simon si posò sulla sua. Senza rabbia o tensione, questa volta, solo con la voglia di ritrovare il sapore dell'altro che ancora aleggiava sulle loro labbra.

Si baciarono così a lungo che, se fossero stati ancora umani, le loro labbra avrebbero perso sensibilità. Ma erano entrambi vampiri e a convincerli a dividersi fu l'esigenza di chiarirsi.

“Raphael” cominciò Simon, sorridendo con i canini in mostra.

“Non abusarne” lo ammonì lui, stringendo i baveri della sua giacca tra le mani.

“Cosa succede adesso?” gli domandò, tornando serio.

Scosse la testa. “Non ne ho idea.”

“Posso portarti fuori a cena?”

“Simon” cominciò ad ammonirlo, ma Simon lo interruppe con un bacio, guadagnandosi un'occhiata confusa.

“Mi piaceva l'idea di baciarti ogni volta che pronunci il mio nome” si giustificò con un sorriso.

Raphael abbassò per un istante il viso, nascondendo la sua espressione. “Noi non mangiamo” gli ricordò.

Lui scosse le spalle. “Possiamo sederci a chiacchierare e a bere un buon bicchiere di 0 Positivo. Sapevi che ci sono locali specifici per vampiri?”

“Lewis” lo rimbrottò, evitando di proposito il suo nome.

Lo baciò di nuovo. “È pur sempre il mio cognome.”

Raphael sorrise. “Dovrò iniziare a chiamarti Solomon come Magnus, a questo punto.”

Simon ricambiò il suo sorriso. “Ti ho mai detto che Solomon è il mio secondo nome?” mentì.

Raphael non aspettò che fosse Simon a baciarlo, stavolta.

“Ora sì che ci intendiamo” mormorò lui, cercando poi di approfondire il bacio, ma Raphael si tirò indietro.

Gli prese il mento tra le dita e gli voltò il viso, guardando con rammarico i segni di puntura sul suo collo. “Mi dispiace di averti marchiato.”

Simon scosse le spalle. “A me no, davvero. Posso indossare magliette a collo alto per un po'. Oppure posso coprirlo con il trucco; sono cresciuto con due donne in casa, so come si usa il fondotinta.”

Raphael gli sorrise incerto, grato solo in parte che prendesse la cosa tanto alla leggera.

“Devo andare a scusarmi con Lily” gli disse, allontanandosi riluttante di qualche passo.

Simon annuì, ma non si mosse.

Raphael lo guardò confuso e gli fece segno di seguirlo. “Se non ci uccide per averla fatta preoccupare tanto, puoi portarmi a cena anche subito.”

Lui gli regalò il più ampio dei suoi sorrisi e lo seguì verso la porta.

“Simon?” lo chiamò.

“Cosa?” chiese, dopo avergli posato l'ennesimo bacio sulla bocca.

Raphael scosse le spalle. “Nulla.”

 

 

 



AN:
Se qualcuno se lo stesse chiedendo, sì,
qualche tempo dopo anche Raphael sfoggiava i segni di un morso sul collo (◕‿◕✿)

Dunque, questa doppia shot doveva essere una sola cosa, ma per problemi di lunghezza dovuti alle regole del contest Amore&Angst ho dovuto dividerla per poter partecipare con questa seconda parte.

L'idea per la stesura di questo secondo capitolo mi è stata data durante l'ultimo event del WAOFP da Donnie e Charlotte, con i prompt:
Shadowhunters, Saphael: è l'alba, ma Simon non è ancora tornato all'hotel... +  Shadowhunters| Simon x Raphael | Raphael e la sua gelosia nei confronti di Clary e, a rimetterci, è il povero Simon.


I riferimenti al legame tra vampiri e la conseguente percezione della morte di uno da parte dei membri del suo clan viene dai libri della Clare, mentre il morso come segno di appartenenza è un mio - di molti, a dire il vero - headcanon.

L'ho revisionato fino alla nausea, spero vada bene e che non fosse troppo lungo e vi siate rotti di leggere.
Mi fermo qui, ché già ho parlato troppo.

Red
   
 
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