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Autore: rora02L    19/07/2016    7 recensioni
La storia partecipa al contest "Era una notte buia e tempestosa...improvvisamente un Contest" di viktoria.
Tratto dal testo: - Guardo la mia dolce figlia giocare spensierata con le sue bambole, cambiando spesso i loro vestiti sgargianti e facendole dialogare tra loro. Ma il mio sguardo è perso nel vuoto, lo so. La mia mente è affollata da pensieri cupi, finché la mia bambina mi chiama: “Papà, quando torna la mamma?” -
I pensieri di un padre che, aspettando e pregando per la propria moglie, cerca di consolare la sua figlioletta.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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The Sleeping Beauty.



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La morte cambia tutto. C'è il crollo emotivo, certo, ma ci sono anche le cose pratiche. Chi farà il tuo lavoro? Chi si prenderà cura della tua famiglia? L'unica cosa positiva per te, è che non devi preoccupartene tu. Gente che non hai mai visto abiterà in casa tua, prenderà il tuo posto. Il mondo andrà avanti, senza di te. (Grey's Anatomy)


Guardo la mia dolce figlia giocare spensierata con le sue bambole, cambiando spesso i loro vestiti sgargianti e facendole dialogare tra loro. Ma il mio sguardo è perso nel vuoto, lo so. La mia mente è affollata da pensieri cupi, finché la mia bambina mi chiama: “Papà, quando torna la mamma?”
Mi fissa coi suoi grandi occhi chiari, preoccupata. Sorrido a stento, cercando di apparire rassicurante e mi chino su di lei: “Tesoro, non devi preoccuparti. Mamma torna presto, te lo prometto.”
Lei mi guarda ancora, confusa per le mie parole. Solitamente mia moglie sta via di casa per il lavoro per qualche settimana a volte, ma mai per due mesi. Mia figlia intuisce che qualcosa non va, ma si fida di me e riprende a giocare serena. Sospiro affranto, chiedendomi quando tutto questo finirà e potrò riabbracciare la mia amata Anita. Ma, essendo un chirurgo, so che le probabilità che lei si risvegli dal coma sono bassissime. Praticamente nulle. Eppure, come uno sciocco, ci spero. Ardentemente. Non solo per me, ma anche per Giselle. Lei è una bambina di soli cinque anni, non è giusto che cresca senza sua madre. Io non potrò mai sostituirla, nessuno lo potrà mai fare. Ed il dolore per la possibile perdita totale di mia moglie mi sta portando verso la depressione, solo Giselle porta qualche sprazzo di luce nella mia vita.
Mi sento vuoto, spezzato, affranto ed abbandonato. Ricordo bene tutte le volte in cui dovevo dire ai parenti dei miei pazienti che il loro caro stava per morire: mogli, mariti, figli, nipoti, nonni e fidanzati. Le parole uscivano meccanicamente dalla mia bocca perché non volevo né potevo farmi travolgere dal dolore di ognuno di loro, ne sarei diventato pazzo e non avrei più potuto fare il mio lavoro.
Purtroppo noi medici non evitiamo la morte: la rimandiamo solo. Urliamo alla morte che non è oggi, non è oggi il giorno in cui si prenderà quest’altra vita ed usiamo le nostre conoscenze per combattere malattie e ferite. Ma non sempre si vince, anzi.
Non credevo però che anche la mia Anita mi avrebbe lasciato. Non così presto almeno. Ricordo bene il primo giorno in cui l’ho vista al college, radiosa come solo lei poteva essere. Coi suoi capelli lunghi e rossi, ondulati e luminosi quasi quanto i suoi occhi azzurri ed il suo sorriso dolcissimo. Non frequentavamo gli stessi corsi, dato che lei voleva diventare una stilista ed io un medico. Ma la incontrai ad una festa.
Ne rimasi impressionato e folgorato, ma mi dissi subito che una così bella ragazza, dalla personalità solare ed una parola gentile per tutti avesse già un ragazzo. Così presi da bere un bicchiere di birra, cercando di ricordarmi che ero lì per divertirmi, non necessariamente per abbordare la rossa stupenda che indossava una camicia bianca a fiori ed un paio di shorts verde acqua. Appena mandai giù il bicchiere, sentii una voce accanto a me chiedermi se poteva versarmene un po’. Presi la lattina senza esitazione e quando mi girai incontrai il suo volto stupendo, con quelle leggere lentiggini sulle guance colorate. Lei mi sorrise e allungò la mano libera verso di me, presentandosi. Rimasi imbambolato per alcuni secondi, finché lei non mi disse: “E tu…? Sai, non credo mi piacerebbe chiamarti l’Uomo della birra.”
Rise, sperando così di sciogliermi la lingua. E ci riuscì, dissi il mio nome a quell’angelo: “Io sono Patrick, ma gli amici mi chiamano semplicemente Pat.”
Lei alzò il bicchiere ed esclamò gioiosa: “Bene, Pat. Che ne dici di portarmi a ballare?”
Andammo al centro della pista ed in quel momento un lento ci colse di sorpresa. Arrossimmo entrambi, imbarazzati. Ma Anita mi prese per mano, sorridendomi, quasi a dirmi che andava tutto bene e che non dovevo preoccuparmi. Con lei è sempre stato così, al suo fianco non avevo paura né timore. Di niente e di nessuno. Mi rendeva forte. E libero.
Danzammo per un tempo che mi parve infinito e mi persi in quell’azzurro cielo che erano i suoi occhi. Notai allora che le sue labbra erano scarlatte e invitanti come ciliegie. Fui preso da una voglia irrefrenabile di baciarla: mi buttai sulle sue labbra, chiudendo gli occhi, in un timido bacio a stampo, nonostante l’audacia del gesto, molto inusuale per me.
Ero il tipico secchione tutto studio e niente ragazze. Mi andava bene, prima di incontrare Anita.
Riaprii lentamente gli occhi, mentre anche lei faceva lo stesso. Ci guardammo stupiti, non avevo mai provato nulla di simile in vita mia e capii che era stato lo stesso per lei. Mi sorrise, sistemandosi un ciuffo rosso ribelle.
Decisi che per nessun motivo al mondo avrei lasciato scappare quell’angelo, così le chiesi se aveva degli impegni per il giorno dopo. Lei scosse la testa in segno di diniego e mi chiese: “Cosa proporresti di fare, Pat?”
Io sorrisi e risposi: “Un pic nic. Io e te. Ti… ti andrebbe?” Anita rimase stupita dal mio invito e rispose: “Solo se cucini tu. A domani allora, Pat.”
Il mio nome, pronunciato da lei, era il sono più meraviglioso che mi fosse capitato di ascoltare. Da allora, niente ci separò e, dopo le rispettive lauree, ci sposammo. E due anni dopo nacque nostra figlia Giselle.
Ora la mia Anita giace in un letto d’ospedale: il mio dolce angelo ha perso le sue ali. Ed io farei qualsiasi cosa per rivedere quel sorriso. Per salvarla e ripotarla a casa nostra, dove la nostra bambina aspetta la sua mamma con trepidazione.
Mi chiedo come, come riuscirò a dire a Giselle che sua madre non tornerà mai più. Spero di non essere costretto a farlo. Ho sempre detto ai cari dei miei pazienti che qualcun altro avrebbe preso il posto dei loro defunti, riempiendo il vuoto che si era formato nel loro cuore. Ho sempre pensato che qualcun altro ci rimpiazza, dopo la nostra dipartita. Qualcun altro si occuperà della nostra famiglia, finirà i nostri lavori ed abiterà nelle nostre case. Era un pensiero così cinico.
La vita va avanti, ma non per chi è spezzato. L’unica persona che mi costringerà a superare tutto questo è mia figlia Giselle.
Sento il rintocco delle campane e guardo il mio orologio da polso, spostando la manica della mia camicia nera, ed esclamo rivolto a mia figlia: “Bene, signorinella: è ora di mettersi a dormire.”
La prendo in braccio, godendomi questo momento con l’unica fonte di felicità della mia vita che mi è rimasta. Giselle protesta un po’, ma accetta un compromesso: “Se vai subito a dormire, ti racconto una favola della buona notte.”
Il suo viso è pieno di gioia e di eccitazione, solitamente è Anita a rimboccarle le coperte, quindi si chiede come sarà sentire la mia voce grave raccontarle una delle sue favole preferite. La piccola corre a mettersi il pigiama e si infila sotto le coperte, guardandomi coi suoi occhioni. Uguali a quelli di sua madre. Mi alzo allora dalla sedia e mi siedo sul bordo del materasso. Giselle recupera dalla mensola accanto al suo letto il libro di favole che mia moglie le legge sempre e dice: “Papà, penso però che io e la mamma abbiamo già letto tutte le storie ed io voglio una storia nuova! Raccontami una storia nuova, papà!”
Rimango spiazzato, dato che in casa quella creativa è Anita, non certo io. Ma Giselle è così emozionata e contenta che non me la sento di negarle questo piacere. Così inizio a raccontare una storia: “C’era una volta un valoroso cavaliere dall’armatura lucente- in realtà sarebbe un camice da dottore, ma diciamo pure così- a cavallo del suo bianco destriero- anche sa la punto non credo si possa definire un destriero- che vagava per il bosco vicino al suo regno- sì, direi che il college potrebbe essere definito tale, magari più una giungla- ed incontrò vicino al lago una dolce principessa dai lunghi capelli rossi, legati in trecce ed impreziositi da perline e fiori multicolore. I due si innamorarono subito e si scambiarono il primo bacio d’amore.”
Giselle spalanca la bocca in una O che poi copre con le piccole mani: “E poi che successe? Si sposarono?” Sorrido, pensando a quanto sia dolce la mia piccola e continuo il racconto inventato: “Sì, Giselle. I due innamorati si sposarono e vissero per molti anni contenti. Dopo qualche anno la ormai regina diede alla luce una principessina- scompiglio i capelli della mia piccina- bella e solare come lei.”
Giselle ridacchia, dato che adesso comprende che la storia sta parlando di noi: “E vissero tutti e tre felici e contenti, papà?” Le risposi, sistemandole le coperte: “ Devi raccontarla tu la storia o io?! Dai, piccola peste, fammi finire. Dicevo, ebbero una bellissima principessina, la cui bellezza veniva esaltata in ogni regno. Ma ben presto una strega cattiva, invidiosa della felicità della famiglia reale, lanciò sulla regina una terribile maledizione.”
La mia bambina fa una faccia spaventata, trattenendo il fiato. Le sorrido rassicurante e vado avanti: “La regina cadde in un sonno profondo ed il re decise di andare per tutti i regni vicini, in cerca della strega e di un modo per annullare l’incantesimo malvagio. Trovò la fattucchiera cattiva e, con la sua spada magica, dono della moglie, la sconfisse. La strega, prima di morire, disse che la regina poteva essere salvata solo dal bacio del vero amore.
Allora il re tornò al castello dalla sua principessa, in pena per la madre, e le disse: << Non temere, mia principessa. La tua mamma si sveglierà presto.>> Si chinò allora sulla regina dormiente, che era stata messa su un letto morbidissimo, in una camera del castello– anche se i letti dell’ospedale non sono il massimo, per non parlare del cibo- e le diede un bacio. Ma l’incantesimo era troppo potente e la regina non si svegliò.
Così la principessa ed il re diedero un ultimo bacio d’addio alla amata regina. Ma fu in quel momento che lei si risvegliò dal suo sonno e abbracciò la sua famiglia. Così i tre tornarono ad essere felici e contenti per il resto dei loro giorni.”
Vedo sul volto della mia principessa uno splendido sorriso sereno . Giselle esclama, speranzosa: “Appena torna la mamma, voglio riempirla di coccole, così non si allontanerà più da noi, papà!”
Non so con che coraggio riesco ancora a tenerle nascosto tutto, ma mi limito ad abbracciarla e a darle il bacio della buonanotte. Per ora, non serve che sappia che sua madre, a differenza della regina buona della mia storia, non si sveglierà mai più. Nemmeno con tutto l’amore che io e Giselle proviamo per lei. Perché la vita non è come nelle favole o nei film, non sempre le brave persone hanno il lieto fine ed un per sempre felici e contenti.
Ma ti prometto, mia amata Anita, che farò tutto il necessario per riportarti a casa da me e da nostra figlia. Ti amo e spero che il mio amore possa, in qualche modo, svegliarti dal sonno che ti tiene lontana da noi, mia dolce Anita.



Angolo autrice:
Per questa storia, ho usato come presta volto l'attore Patrick Dempsey, che vedete anche sopra nell'immagine da me modificata (wow) tratta da Come d'incanto. Dunque ho utilizzato anche gli altri due personaggi presenti nella immagine.
Spero che la storia vi sia piaciuta, volevo trasmettere sia tristezza che speranza, in questi tempi mi sembra sia il minimo cercare di sperare ancora in un miracolo, quando accadono certe disgrazie.
A presto!
La vostra Rora
  
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