Capitolo 28:
LA FIGLIA DELL’OSCURITÀ
Era buio e
faceva freddo. Tanto freddo. Le sembrava di essere finita in una
ghiacciaia.
Si mise
lentamente carponi, mugugnando per il dolore al ventre e alla testa,
rabbrividendo come una foglia per colpa di quell’aria gelata
che pungeva la sua
pelle come la lama di un coltello. Riuscì ad alzarsi sulle
ginocchia e si
strinse nelle spalle. Si guardò intorno, confusa. Il suo
sguardo si smarrì
nelle tenebre che riempivano quel luogo, mentre nuvole di condensa
uscivano
dalla sua bocca e dalle narici.
«D-Dove
sono...?» mormorò al nulla che la circondava.
Si drizzò
sulle proprie gambe, continuando a cercare di scaldarsi e a guardarsi
intorno. «C’è...
c’è qualcuno?» Riuscì ad
udire la propria voce echeggiare in mezzo a quella
landa buia e desolata. Percepì diverse vene di paura dentro
di essa. Nessuno
rispose.
Fece un
altro verso di dolore e si toccò una tempia. «Che
posto è questo... come ci
sono arrivata?»
Timidamente,
cominciò a muovere i primi passi. Non riusciva a scorgere
nulla né attorno a
lei, né sotto di lei. Le pareva di camminare sopra il nulla,
ad ogni passo
aveva il terrore di precipitare in mezzo a tutto quel buio.
Cercò di
riflettere, di pensare. Era tutto così confuso. E fu proprio
in quel momento,
che la ragazza realizzò. Spalancò gli occhi e si
fermò di scatto. Allontanò le
mani dal proprio corpo, per poi osservarsele. Passarono quelle che
parvero
eternità, prima che riuscisse ad allontanare lo sguardo da
esse, per poi
deglutire.
«Chi... chi
sono io?»
«Tu sei il
male.»
Una voce
improvvisa la fece trasalire, quasi gridare. Si voltò di
scatto, sempre più
impaurita, per poi ritrovarsi di fronte una figura che, lentamente,
stava
formandosi dalle tenebre, attingendo da esse le forme sempre
più pronunciate di
una donna. Osservare quell’unica macchia di colore in mezzo a
quel mare di oscurità
fu un pugno in un occhio per la giovane. E non appena riuscì
a distinguere i
lineamenti della donna, i suoi capelli lunghi e corvini, i suoi abiti
semplici
e la sua espressione gentile, la giovane spalancò gli occhi.
Istintivamente,
si mise una mano nella tasca posteriore dei pantaloni. Le sue dita
strofinarono
una superficie liscia e dura, poi si chiusero attorno ad una sottile
lamina. La
estrasse lentamente, sempre più basita, per poi portarsela
di fronte agli occhi
quando ebbe finito.
Una
fotografia, due persone raffigurate su di essa. Qualcosa
scattò immediatamente
nella sua mente. «Mamma...» sussurrò,
guardando prima l’immagine scattata, poi
la donna davanti a lei.
La
fotografia scivolò dalla sua mano, mentre tutto riusciva ad
apparirle più
nitido. Lei era Rachel Roth. E quella davanti a lei, era Angela Roth.
Arella.
Sua madre.
«Mamma!»
Rachel sorrise e fece per correrle incontro, ma all’ultimo si
fermò. Abbassò le
braccia che aveva alzato per stringerla e il suo sorriso
vacillò. La donna
continuò ad osservarla sorridendo gentile, senza
né dire, né fare nulla.
«Tu non sei
davvero lei, giusto?» domandò Corvina, con voce
smorta. «Questa conversazione...
non sta accadendo davvero. Ho ragione?»
Ancora
silenzio. La donna con le sembianze di
Angela si limitò a distendere il sorriso. A quel punto,
Rachel strinse i pugni.
«Beh, chi sei allora? E dove siamo?! Parla!»
«Non
riconosci questo luogo?» disse infine la figura, allargando
le braccia. «Non
riconosci questa oscurità?»
Rachel
esitò. Si guardò meglio intorno, concentrandosi
meglio su quella strana nebbia
oscura che la circondava. Un’idea le attraversò la
mente. «Questa è...
l’oscurità che controllavo con i miei poteri,
vero?»
La donna
piegò il capo. «Quasi. Questa è la tua
mente, Rachel.»
«Che
cosa?!»
domandò la ragazza, sconvolta. Osservò ancora una
volta tutto quel mare di buio
che la circondava. No, non poteva essere. La sua mente non poteva
essere così
oscura! O no?
«È
così dal
giorno in cui la donna di cui io ho le sembianze ti ha
abbandonata» proseguì
Arella, sempre senza smettere di sorridere, come
se quello che le stava dicendo non fosse
nulla di che.
«Ma,
paradossalmente, allo stesso tempo era proprio il ricordo di questa
donna che
ti ha permesso di non lasciare che questo posto sprofondasse
completamente
nell’oblio. Io ho scelto di assumere queste sembianze proprio
per rendere più
confortevole per te questa conversazione, ma ci sono diversi altri
panni in cui
potrei calarmi.»
Non appena
finì di dirlo, l’oscurità avvolse la
figura per qualche istante e, non appena
si diramò, al posto di Angela apparve Richard. Ma non Robin,
bensì l’amico di
infanzia di Rachel. Non appena vide i suoi occhi azzurri e penetranti,
i suoi
capelli mori perfettamente ordinati e il suo volto completamente pulito
e privo
di fossette e macchie nere, Corvina spalancò la bocca.
«Questo,
per esempio» disse ancora la figura, questa volta con la voce
del Richard che
conosceva. «Oppure, in questa.»
L’oscurità
lo avvolse ancora una volta. Quando svanì di nuovo, al posto
di Richard c’era
Lucas. «Che dici, questa è più di tuo
gradimento?» domandò, ora con la voce
roca di Rosso X.
Rachel
sentì le guancie bruciare terribilmente. Distolse lo
sguardo, imbarazzata. «A-Arella
andava bene...» biascicò, sentendosi stupida come
non mai.
«Come
vuoi.»
Non appena
la figura tornò ad avere le sembianze di sua madre, Rachel
tirò un profondo
sospiro. «Beh, adesso dimmi: chi sei veramente? E
perché siamo qui? Come ci
siamo arrivati?»
«Non conta
chi sono veramente, quanto più cosa sono
veramente» rispose Arella, allargando il sorriso.
«Io sono una parte di te,
Rachel. Anzi, noi siamo una parte
di
te. Lo siamo sempre stati, e sempre lo saremo. E questo, è
il luogo in cui noi
abbiamo scelto di ricongiungerti a te, tramite questa
visione.»
Più
parlava, più Corvina spalancava le palpebre. Le parole le
uscirono con un filo
di voce dalle labbra. «Tu sei... voi... siete... i miei
poteri...»
Angela
annuì. «Proprio così.»
«Ma come?!
Com’è possibile tutto questo? Come avete fatto
a...»
«C’è
davvero motivo di spiegartelo?» la interruppe Arella, sempre
senza smettere di
sorridere. Era rassicurante, e irritante allo stesso tempo.
«Tu non
controlli un elemento qualsiasi, Rachel, ma immagino che ormai anche tu
lo
avessi capito. Con il tuo potere puoi fare molto di più che
volare o
combattere. Tu puoi entrare nelle menti delle persone, puoi esplorarle,
puoi
mettere a nudo le coscienze. Per te non esistono segreti, Rachel.
Nessuno può
fermarti davvero. Questo perché tu non controlli solo le
ombre e le tenebre
fisiche. Tu controlli anche quelle mentali.
«Tu puoi
controllare i demoni interiori delle persone, puoi plasmare
l’oscurità che si
cela nell’animo umano, puoi crearla, distruggerla, o
semplicemente
trasformarla. Per questo vedevi il mondo dagli occhi di Hank, per
questo l’hai
anche visto da quello di Deathstroke. Per questo ora hai questa
visione. Noi
non possiamo parlare davvero, Rachel, come potremmo? Ma il buio nella
tua mente
ci ha permessi di poter prendere vita, almeno qui dentro. Ed
è questo stesso
buio che per tutto questo tempo ci ha permesso di poterti remare
contro, di
poter funzionare solo quando volevamo, di poter cercare di impadronirci
di te.
Ma tu hai tenuto duro, aggrappandoti a quei pochi ricordi che ancora
riuscivano
a confortarti. Tua madre, i tuoi amici, Richard... Ma è
stato solamente quando
Dominick si è impadronito di noi, che abbiamo capito che tu
e solo tu puoi
possederci.
«Il tuo
gene conduit... è diverso da tutti gli altri, per non dire
unico. Tu, Rachel,
tu e tu soltanto puoi avere questo potere. Questo ti rende, in un certo
senso,
una sorta di prescelta. E nessun altro può ricoprire questo
ruolo. Per questo,
quel copiatore non ti ha davvero sottratto i poteri. Certo, lui
può averli
copiati, e certamente può anche averli usati forse perfino
meglio di te, ma ciò
non cambia che lui non è degno di portarli.
Perché noi e te, Rachel, siamo
stati uniti dal destino. Il fato ha deciso che le nostre strade si
incontrassero. E non esiste persona o conduit in grado di cambiare
davvero il
fato. Dominick non è degno di possederci, così
noi abbiamo deciso di mostrarci
a te.
«Tu sei
noi, Rachel. Tu sei la figlia dell’oscurità. Non
necessariamente malvagia, ma
comunque capace di controllare il male. Sappiamo bene che tu non hai
mai voluto
accettare questo fardello, e noi, di certo, non abbiamo aiutato a
renderti le
cose semplici. Ma ora c’è bisogno che tu faccia la
tua decisione, in questo
momento esatto. Possiamo ricongiungerci qui, ora, e tornare ad essere
un’unica
cosa. Sappiamo che questa rivelazione ti avrà sconvolta, ma
non possiamo
perdere altro tempo; ci serve una risposta, adesso. Perciò
dicci: accetterai di
portare questo fardello sulle tue spalle?»
«I-Io...»
Rachel esitò, faticando a parlare. Tutte quelle cose che
aveva appena scoperto
sui suoi poteri e su sé stessa... era davvero quella la
realtà? O quella
visione non era altro che, appunto, una visione qualsiasi? Magari
qualche
strana specie di sogno. Poteva davvero... controllare il male? Ma
soprattutto...
poteva davvero farlo a fin di bene?
Com’era
possibile? Come si poteva fare una cosa del genere? Come si poteva fare
del
bene... con il male? Era
assurdo! Eppure...
eppure lei lo aveva fatto.
Aveva
combattuto il male con il male, aveva protetto i suoi amici con il
male, aveva...
vissuto con il male. E ora... ora il mondo aveva bisogno di lei.
Dominick aveva
bisogno di lei. Avevano bisogno... del suo male, per essere salvati.
Improvvisamente,
le parole di Lucas le tornarono alla mente. Spalancò gli
occhi. Lei era... il
bene che c’era nel male. Letteralmente. Aveva... fatto del
bene con la cosa più
oscura che potesse esistere, ossia il male stesso. Era riuscita a fare
qualcosa
che all’orecchio umano sarebbe sembrato assolutamente
impossibile. Che a lei
stessa sarebbe sembrato impossibile!
Eppure
c’era riuscita. Ma a quale prezzo? Dal giorno in cui li aveva
ottenuti le cose
non avevano fatto altro che andare di male in peggio. Persone erano
morte di
fronte ai suoi occhi, aveva rischiato la vita così tante
volte che ormai aveva
perso il conto, aveva pianto, sofferto, era stata costretta a
combattere e a
vivere in un mondo che cadeva a pezzi con suo enorme sgomento. E per
cosa, poi?
Per dover essere quella su cui avrebbe dovuto cadere il peso del mondo
sulle
spalle? Per essere quella da cui tutti si sarebbero dovuti aspettare
chissà
quali grandi cose?
I
Mietitori, gli Spazzini, gli Underdog e i Visionari. Era toccato a lei
dover
combattere queste bande per poter proteggere le persone innocenti.
Certo, era
stata aiutata, ma il grosso del lavoro era sempre e comunque spettato a
lei. E
ora doveva anche fermare Dominick. Tutte le volte che pensava che i
suoi
problemi fossero finiti, ecco che se ne presentava uno grosso il doppio
del
precedente. Se avesse scelto di riavere i poteri, che cosa sarebbe
successo?
Avrebbe continuato a combattere, a piangere, a soffrire. Quella non era
roba
per lei. Una parte del suo corpo non si era affatto pentita di aver
ceduto i
poteri a Dominick. Perché avrebbe dovuto riprenderseli,
indipendentemente
dall’uso che poi ne avrebbe fatto?
Perché
proprio lei? Che cosa diamine voleva il mondo, da lei?!
Perché non poteva
essere lasciata in pace per una, dannata, volta?!
Strinse i
pugni per la rabbia. Perfino quando aveva pensato di essere morta, in
realtà
non era finita. I suoi problemi la inseguivano senza darle un attimo di
tregua,
ma era ora di finirla. Era ora di mettere davvero la parola fine a tutto.
«Io non voglio continuare con
questa vita» asserì, con decisione.
«Dunque non
ci rivuoi con te?» domandò Angela, impassibile.
«No.»
«Preferisci
morire, dunque?»
A quella
domanda, Rachel sgranò gli occhi. Questa volta, ci mise un
po’ per rispondere. «Beh...
no...»
«E allora
che cosa vuoi?!» interrogò Arella, questa volta
con venature di irritazione
nella voce. «Non vuoi morire, ma non vuoi nemmeno combattere;
vuoi salvare i
tuoi amici, ma non vuoi che loro dipendano da te; vuoi essere lasciata
in pace,
ma non vuoi rimanere da sola; non fai altro che piangerti addosso, ma
hai il
coraggio di fare la ramanzina agli altri quando loro si lasciano
sopraffare
dalle emozioni; dici di essere diversa da Dreamer, ma anche tu sei solo
un’egoista che vuole solamente che le cose vadano bene per
sé stessa.»
«Io non
sono come...» Rachel cercò di difendersi, alzando
la voce, ma i suoi poteri
ancora non avevano finito.
«Ti lamenti
in continuazione per quello che ti sta succedendo, dimenticandoti che
tutte le
persone attorno a te stanno vivendo situazioni identiche alla tua!
Almeno hai
avuto una madre che ti amava, almeno hai avuto dei veri amici!
Anziché
piagnucolare ripensando a tutto ciò che hai perso, sii grata
per tutto quello
che in passato hai avuto e che persone come Lucas o Amalia, invece, non
hanno
fatto altro che sognare! Ti credi sfortunata? Beh, non è
così! Tu hai avuto
molto più di quanto possa immaginare, ma se preferisci
chiudere gli occhi ogni
volta e fare finta di niente di fronte alla realtà, allora
meriti davvero di
soffrire! Ti comporti come se il mondo ce l’avesse con te,
quando in realtà sei
tu che hai preferito voltare le spalle ai tuoi amici, sei tu che hai
voluto
dare ascolto a quel pazzo di Dreamer, sei tu che hai consegnato i tuoi
poteri a
Dominick mettendo l’intero paese in pericolo!
«Sei stata
tu, con le tue scelte e il tuo comportamento da mocciosa, a peggiorare
la tua
situazione, quando in realtà in più di
un’occasione hai dimostrato non solo di
essere forte, ma di essere anche degna di noi! E questa è
una cosa che tu sai
meglio di chiunque altro! Tu sei
forte,
e lo sei sempre stata, ma hai paura delle responsabilità e
preferisci piangerti
addosso e basta, pregando che qualcuno arrivi a risolvere i problemi al
posto
tuo! Beh, sappi che non succederà mai, perciò
è ora che tu ti decida a prendere
in mano le redini della tua via, una volta per tutte, e accettare il tuo destino. Perciò,
permettici di ripetere la domanda
di poco prima: accetterai di ricongiungerti a noi, oppure preferisci
rimanere
qui a marcire per l’eternità? Sappi che se
sceglierai la seconda opzione,
rimarrai qui per sempre consapevole del fatto che avresti potuto fare
qualcosa
per salvare il mondo, ma hai preferito non farlo, sputando di
conseguenza
sopra tutti quegli ideali per cui hai combattuto fino ad oggi! Non
sarai
diversa da Dreamer, non sarai diversa da Robin, non sarai diversa da
nessuno
dei criminali che hai combattuto fino ad oggi! Ma naturalmente a noi
non
interessa quale decisione prenderai; in ogni caso, noi continueremo a
vivere.
Tuttavia qualcuno avrebbe dovuto dirti, prima o poi, le cose come
stanno.»
Quando finì
di parlare, Rachel sentì le proprie orecchie ronzare.
Nessuno prima di allora
le aveva mai detto simili parole. E la cosa peggiore era che... erano
vere. Forse...
forse era davvero lei la causa di tutto. I suoi blocchi mentali, i suoi
pensieri, tutto ciò di cui era fermamente convinta, forse
era davvero tutto
sbagliato. Forse era davvero lei ad essere sempre stata nel torto.
Improvvisamente si sentì un’emerita idiota.
Era tutto
vero. Arella aveva ragione. Era lei che... che aveva paura. Paura di
ciò che
sarebbe successo, paura di ciò che avrebbe potuto fare,
aveva paura...
dell’ignoto. Forse era sempre stato quello a fermarla e a
farle compiere una
decisione sbagliata dietro l’altra.
Angela, nel
frattempo, fece qualche passo verso di lei. «Sappi che sei
ancora in tempo.
Puoi ancora redimerti, se vuoi.» Le porse una mano, per poi
accennare un
sorriso. «Il bene che c’è nel male,
ricordi? Puoi ancora esserlo, se lo
desideri.»
Quelle
parole riuscirono a rassicurare, in parte, la ragazza. «Il
bene che c’è nel
male...» sussurrò, per poi sospirare pesantemente.
Osservò la proiezione di sua
madre negli occhi. «Mi... mi dispiace...»
«Non
è con
noi che devi scusarti.» Arella agitò la mano,
allargando il sorriso. «E ora
coraggio, facci vedere di che pasta sei fatta!»
Rachel posò
lo sguardo sulla mano e si mordicchiò l’interno
della guancia. Ripensò a tutta
la strada che aveva fatto prima di arrivare fino a quel punto. E
ricordò che
era stata proprio una stretta di mano a farla finire in
quell’ennesimo casino.
Ne aveva fatte di cose, ora che ci pensava. E le aveva fatte con loro,
con i
suoi poteri. Nel bene e nel male, loro l’avevano
accompagnata. E adesso... loro
c’erano, per lei, anche se lei aveva voluto abbandonarli, ed
erano disposti a
ricongiungersi a lei nonostante tutto. Forse... forse avrebbe davvero
dovuto
imparare a ringraziare per ciò che aveva.
Inspirò
profondamente. Sì, lo avrebbe fatto. Era giunto il momento
di cambiare
radicalmente. E anche se lei non era pronta, avrebbe accettato questa
cosa.
Anche perché, se non l’avesse fatto, sarebbe
rimasta in quel luogo per sempre,
e lei non era molto in vena di farlo. Con un gesto secco, in modo da
non avere
ripensamento all’ultimo, allungò la mano e strinse
quella di Angela. La
proiezione di sua madre, in risposta, le rivolse un cenno del capo.
«Sapevamo
che non ci avresti deluso.»
Corvina
abbozzò
un sorriso e ricambiò il cenno, poi lasciò la
mano. Alle sue spalle, un grosso
varco bianco cominciò a prendere forma.
«Con quel
portale ritornerai nel mondo reale. All’inizio sarai un
tantino confusa, ma non
temere: noi saremo lì, con te. Dovrai solo concentrarti, e
il resto verrà da
sé. Sei pronta?»
«Pronta.»
Rachel si voltò verso il portale. La luce bianca quasi la
accecò. Socchiuse le
palpebre, poi cominciò a camminare. Ma dopo soli pochi
passi, tuttavia, si
fermò. Un altro pensiero le attraversò la mente e
si voltò. Se davvero sarebbe
tornata indietro, allora lo avrebbe fatto portandosi con sé
una delle poche
intenzioni che mai e poi mai avrebbe abbandonato.
«Ascolta, so
che non sei davvero mia madre, ma...» Rachel si
fiondò sulla donna, per poi
abbracciarla. Angela fece un verso sorpreso, ma poi
ridacchiò e ricambiò la stretta.
Non era assolutamente paragonabile ad un vero abbraccio. Le pareva di
avere tra
le braccia un palo di ferro congelato. Ma in quel momento a Rachel non
importava. Nella sua testa, in quella che aveva sopra le spalle, non in
quella
in cui si trovava in quel momento, la persona davanti a lei era davvero
sua
madre, e quello non era un luogo buio e freddo, ma uno soleggiato e
caldo.
«Ti
troverò, mamma. Te lo prometto. Noi due... staremo di nuovo
insieme, un giorno.»
«Ne sono
sicura, figlia mia.»
Rachel
sollevò il capo, verso Arella. Osservò sorpresa
la donna allargare il sorriso,
e rispose con un sorriso a sua volta.
Si separò
dall’abbraccio, poi, risolta quella questione,
poté correre verso il portale
senza ulteriori ripensamenti.
***
Rachel riaprì gli occhi di scatto,
boccheggiando
rumorosamente. Drizzò il capo, una folata di aria gelata la
centrò in pieno,
provocandole un brivido.
Si mise lentamente a sedere, gemendo per lo
sforzo. La testa le girava, aveva male dappertutto, le orecchie
fischiavano.
Stava da schifo. Un attacco di tosse improvviso la assalì
all’improvviso,
costringendola a portarsi la mano chiusa a pugno di fronte alla bocca.
Quando si fu calmata, continuò ad
espirare ed
inspirare profondamente, per diversi istanti, senza nemmeno fare caso
al mondo
attorno a lei. Spostò lo sguardo sulle sue ginocchia e le
osservò a lungo,
cercando di riflettere e di riordinare le idee, di ricordarsi che cosa
fosse
successo e che cosa l’avesse portata fino a lì.
Ma fu solo quando una voce parlò
all’improvviso,
che riuscì a ricordare tutto quanto: «Che ci fai
ancora viva?!»
Corvina guardò di nuovo di fronte a
sé; un
ragazzo in piedi, in mezzo ad un cantiere, la stava osservando basito,
come se
tutto si fosse aspettato meno che vederla lì a boccheggiare.
Costui spostò lo sguardo sulla sua mano,
la
quale si illuminò di nero. «Forse non ti ho
colpita abbastanza forte...»
Mentre lui era in preda ai suoi dubbi, Rachel si
rialzò lentamente, a fatica. Una volta di nuovo su entrambe
le gambe, barcollò
per un momento. Il mondo vorticava attorno a lei, era confusa, stanca ,
ma era
viva. E questo le era più che sufficiente.
«Torna giù!»
sbottò il ragazzo, scagliandole un
raggio nero dal palmo della sua mano, colpendola in pieno addome.
Una terribile fitta di dolore mozzò il
fiato di
Rachel, facendola gemere e barcollare all’indietro. Ma rimase
comunque in piedi.
Tossì un paio di volte e scrollò il capo,
intontita, per poi riportare di nuovo
lo sguardo di fronte a sé.
Dominick la osservava sempre più basito.
«Non...
non è possibile...» biascicò.
«Ti ho colpita due volte! Non puoi essere ancora
viva! Non dovresti nemmeno riuscire a reggerti in piedi!»
La ragazza rimase in silenzio, limitandosi
semplicemente a continuare a respirare profondamente. La cosa, parve
quasi
allarmare Dominick, il quale cercò di colpirla una terza
volta. Ma non appena
il nuovo raggio di energia oscura si avvicinò a lei, pronto
a colpirla, Corvina
sollevò una mano di scatto, verso di esso; questo
svanì nel palmo della mano
della ragazza, senza arrecare danno alcuno.
Il conduit copiatore sgranò gli occhi.
«Ma... ma
cosa...»
Rachel, ignorandolo, si osservò la mano.
Questa
si illuminò di nero immediatamente, senza che lei pensasse o
dicesse nulla. A
quel punto, la ragazza si osservò anche l’altra
mano; questa fece la medesima
cosa.
Non ci mise molto a realizzare cosa stesse
accadendo. Un senso di sicurezza che mai prima di allora aveva provato
si fece
largo dentro di lei. Una sensazione calda, rassicurante.
«Ma... come...?»
sussurrò ancora Dominick, di
fronte a lei, il quale probabilmente era arrivato alla sua stessa
conclusione.
Per tutta risposta, Rachel sollevò un
braccio e
un raggio di energia nera si generò dalla sua mano. Il
conduit copiatore sgranò
gli occhi e si teletrasportò di qualche metro, evitando il
colpo per un soffio.
Osservò sempre più basito la ragazza, per poi
serrare la mascella, rimpiazzando
la sorpresa con la rabbia.
«Come hai fatto a riprenderti i
poteri?!» urlò, con
la voce ricolma di frustrazione.
Non appena udì quella domanda, un
sorriso scappò
dalle labbra di Rachel. Finalmente le era tutto chiaro. Dopo mesi e
mesi di
lotte interiori, aveva capito. La sua visione l’aveva aiutata
a farlo. E
rinfacciarlo al suo avversario, fu la cosa più soddisfacente
che avesse mai
fatto.
«Non puoi prendere... ciò che
è mio» rispose,
semplicemente. Dominick inarcò un sopracciglio, mentre la
ragazza abbassò il
braccio, accentuando il suo sorriso. «I miei poteri... hanno
sempre cercato di
prendere il sopravvento sul mio corpo... perché io sono
sempre stata troppo
ingenua per capire la loro vera natura. Ma ora, finalmente, ho aperto
gli
occhi.
«Le tenebre... hanno scelto me, Dominick.
Il
buio mi ha creata. Il mio destino era questo, è sempre stato
questo. Io non
controllo un semplice elemento, io controllo le tenebre, il buio,
l’oscurità
che si annida dentro ognuno di noi. I miei poteri sono la
reincarnazione fisica
del dolore, del tormento, della paura. I miei poteri sono il male. Ed io posso crearlo, distruggerlo
o trasformarlo.
«Posso cancellare i poteri dei conduit,
perché
ognuno di essi non è altro che un surrogato di
ciò che controllo io. Di ciò che
sono io. Posso entrare nelle loro
menti, perché anch’esse sono corrotte, intrise di
tenebre, tormenti, rimpianti.
Io sono... la figlia dell’oscurità. Sono la figlia
del male che imperversa in
questo mondo. E per questo, adesso che l’ho finalmente
capito, ho di nuovo il
pieno controllo di ciò che è sempre rimasto
dentro di me. E, questa volta, ce
lo avrò per sempre.
«Mentre tu, Dominick, non possiedi altro
che una
blanda copia di ciò che i miei poteri sono davvero. Tu non
potrai mai
sfruttarli appieno. Non sei degno di portare un simile fardello sulle
tue
spalle. Per questo non sei riuscito ad impadronirtene completamente.
Per questo,
non hai nessuna speranza contro di me.»
La ragazza fece un passo avanti, seria,
determinata, quasi autoritaria. Non era mai stata così
sicura di sé. «Ora sono
una persona nuova. Ho commesso tanti errori, in passato, e devo
ammettere che
in più di un’occasione mi sono comportata da
emerita ipocrita, ma adesso ho
capito i miei sbagli e non intendo commetterli ancora. Arrenditi ora,
Dom, e
lasciati cancellare i tuoi poteri. Non ha più senso
combattere.»
Il
copiatore strinse con forza i pugni, ostinato. «Te lo scordi!
Io non mi arrenderò
mai, non a te! Non ad una mocciosa incapace, debole, che per tutto
questo tempo
non ha fatto altro che piagnucolare!» Sollevò
entrambe le braccia, per poi
sogghignare. «Sei tu quella senza speranze! Io ho decine di
poteri dentro il
mio corpo! E vuoi sapere la parte migliore?»
Puntò le mani verso di lei, poi
urlò a pieni
polmoni: due gigantesche coltri di energia azzurra fluorescente
fuoriuscirono
dai suoi palmi, andando poi a congiungersi formandone
un’altra alta tre metri.
«POSSO COMBINARLI!»
esclamò il castano, per poi
ridere di gusto, mentre il raggio di energia si fiondava verso la
ragazza. «TI
SPAZZERÒ VIA!»
Corvina osservò impassibile la mostruosa
colonna
formata dall’unione di tutti i poteri del conduit mentre si
avvicinava a lei,
dopodiché serrò la mascella e puntò a
sua volta una mano verso di essa. La luce
nera investì completamente il suo braccio,
dopodiché rispose al fuoco,
scagliando un raggio nero che andò a cozzare contro quello
del copiatore.
Il boato che si susseguì fu devastante,
una grossa
folata d’aria investì tutto il cantiere.
I due getti di energia rimasero sospesi a
mezz’aria, l’uno contro l’altro, mentre i
loro padroni, a debita distanza, si
concentravano per avere la meglio sull’avversario. Ma non
passò molto tempo
prima che l’energia oscura di Rachel cominciasse ad avere la
meglio su quella
di Dominick, nonostante l’enorme differenza di grandezza.
Non appena il conduit se ne rese conto,
ringhiò
per la frustrazione. «Fatti da parte, Rachel! NON PUOI
SCONFIGGERE UN DIO!»
Urlò con ancora più
insistenza, e la sua coltre
di energia si ingigantì ulteriormente, cominciando a
spazzare via quella nera
di Rachel.
La corvina osservò quella mostruosa onda
azzurra
avvicinarsi a lei sempre di più, ma rimase ugualmente
impassibile.
«Hai ragione, non posso battere un
dio» rispose
semplicemente, per poi sollevare anche l’altro braccio.
«Peccato che tu non lo
sia!»
Imitò
il
copiatore, urlando a sua volta con quanto fiato avesse in corpo. Un
altro
raggio di energia nera si scaturì, andando a sommarsi agli
altri due. Vi fu un
altro scossone e questa volta fu quello di Dominick a perdere terreno.
Il
castano fece un grido sorpreso, dopodiché
l’energia oscura di Corvina spazzò
via completamente la sua.
«No! NO!!»
«È ora di farla finita,
Dominick! Per sempre!»
Rachel gridò una seconda volta, concentrandosi con ogni
fibra del suo essere,
infondendo in quell’unico raggio nero quanta più
energia possedesse ancora.
Rabbia, dolore, frustrazione, tristezza e
determinazione. Tutte quelle emozioni che per mesi avevano alimentato e
tormentato l’anima della corvina, ora erano lì,
tutte unite, pronte a spazzare
via per sempre la follia di Dominick.
Lei era le tenebre, era il buio, era
l’oscurità.
E Dominick non era altro che un uomo la cui mente era piena di queste
cose. Per
questo motivo, non avrebbe mai e poi mai potuto sconfiggerla. Il raggio
di
energia raggiunse il copiatore, che, questa volta, non poté
fare altro che
assistere impotente alla sua stessa fine. Nessun potere avrebbe mai
potuto
salvarlo da ciò che aveva di fronte a sé.
E quando anche lui parve finalmente capirlo, era
ormai troppo tardi. La luce lo investì completamente, e il
suo urlo disperato
si smarrì in mezzo ad essa. Vi fu un’esplosione,
l’energia si disperse e una
grossa nube di polvere si sollevò. Rachel
assottigliò le palpebre, fino a
quando la nube non si diradò. E non appena ciò
accadde, vide il corpo di
Dominick sdraiato sul suolo supino, con le braccia e le gambe distese.
Corvina lo osservò inespressiva, poi
sospirò e
cominciò a camminare verso di lui. Entrambe le sue mani si
illuminarono di
nero. Gli avrebbe cancellato i poteri, una volta per tutte. Sperando
che ciò lo
aiutasse a tornare sano di mente.
Lo raggiunse e torreggiò su di lui, poi
puntò il
palmo verso il suo torace. «La tua ingordigia ti ha portato
alla pazzia, Dom.
Hai ferito, rubato, ucciso. La tua sete di potere ti ha portato perfino
ad
ammazzare il tuo migliore amico. Sei un pericolo, sia per gli altri che
per te
stesso. Non so che cosa tu abbia davvero scoperto quando sei andato a
cercare
le risposte che ti servivano, ma ciò non giustifica comunque
le tue azioni.
Devi essere fermato.»
Avvicinò il palmo al corpo del ragazzo,
la luce
nera si fece molto più forte. Ma un attimo prima che potesse
ciò che voleva,
diversi colpi di tosse provennero dalla sua gola.
«C-Coraggio» rantolò,
riaprendo lentamente gli occhi, osservandola con un rivolo di sangue
che colava
dalla bocca. «Fallo! Cancella l’unica cosa che mi
è rimasta!»
Rachel lo osservò sorpresa. Era convinta
di
avergli fatto perdere i sensi. Ma nel giro di poco tempo, la sorpresa
si
trasformò in indignazione. «L’unica cosa
che ti è rimasta per causa tua!»
rispose, accigliata.
«C-Che cosa?»
domandò lui.
La corvina abbassò la mano, stringendola
a pugno
e facendo scomparire la luce nera. «La tua ossessione per i
tuoi poteri ti ha
portato a perdere tutto quanto! Kevin mi ha raccontato tutto, lo sai?
Ha detto
che sei impazzito, che nessuno voleva più avere a che fare
con te, che hai
fatto scappare la tua ragazza! Ha detto che avevi tutto quello che un
uomo
poteva desiderare, ma pur di non rinunciare alla tua
avidità, hai preferito
perdere tutto, fino a quando non ti era rimasta solo più una
persona: Kevin.
Lui è stato l’unico che ha avuto il coraggio di
rimanerti vicino, ma quando ha
finalmente deciso di farsi avanti, di aiutarti,
tu l’hai arso vivo! Dimmi, Dom, sei felice adesso?»
«I-Io... io cosa?»
sussurrò lui, sgranando gli
occhi.
«Non fare il finto tonto!»
Corvina si
inginocchiò di fronte a lui, per poi scrutarlo con rabbia.
«Lo hai ucciso.
Volevi uccidere anche i miei amici!» Puntò
l’indice contro di lui. In parte le
sembrò di parlare con sé stessa, ma se non altro
lei aveva imparato la lezione.
Sperò che anche lui, in questo modo, potesse rendersi conto
dei suoi errori. «Sei
stato tu... l’artefice della tua rovina. Io ho solo cercato
di aiutarti.»
«Non... non è
vero...» Dominick scosse la testa,
per poi alzarsi lentamente a sedere, gemendo per il dolore ad ogni
minimo
movimento. «Io... io non ho...»
«Sì invece!»
gridò Rachel, per poi afferrarlo
per l’orlo della giacca, tirarlo a sé ed
indicandogli il cadavere ancora
fumante di Kevin. Uno spettacolo raccapricciante, di cui Corvina
avrebbe fatto
sicuramente a meno, ma voleva aprire gli occhi di Dom una volta per
tutte,
mettergli in testa che lui era pericoloso.
«Kevin... no...»
mormorò il copiatore, con voce
tremante. «Non... non è vero...»
«Potevi scegliere, Dom. I tuoi preziosi
poteri,
o il tuo migliore amico. E tu hai scelto i poteri. Piangere adesso non
cambierà
le cose.»
«L’ho... l’ho
davvero... davvero...» Il castano
non terminò la frase. Si prese la testa tra le mani e
gemette ancora più forte.
«Cosa... ho... fatto...?»
Corvina si rialzò in piedi e lo
osservò
dall’alto. Un po’ provò pena per lui. Ma
quello non avrebbe certo cambiato
quanto successo, né la sua opinione nei suoi confronti.
«Perché, Dom?» domandò
la ragazza. «Perché hai deciso di fare tutto
questo? Perché eri così
ossessionato?»
«Ho ucciso il mio migliore
amico...» borbottò
lui, ignorando la domanda.
«Dominick...»
«L’ho... ucciso io...»
«Dominick!» esclamò
Rachel. «Ascoltami!»
Lui drizzò il capo, per poi osservarla
sconvolto, quasi confuso. «E tu chi cazzo sei?»
Quella, fu l’ultima goccia. La ragazza
gridò per
la frustrazione e gli sferrò un fragoroso ceffone.
«ASCOLTAMI!»
Il castano fece un verso sorpreso e si
massaggiò
la guancia, dopodiché la guardò di nuovo, ora
quasi intimorito. Rachel inspirò
profondamente, poi ripeté la domanda:
«Perché l’hai fatto, Dom? Che
cos’è
successo... il giorno dell’esplosione? Chi... chi era quella
terza persona che
quel giorno non ce l’ha fatta?»
Questa volta, lui parve capire la domanda,
perché chinò il capo. La sua espressione si
indurì, strinse i pugni. «Lo vuoi
davvero sapere? Vuoi davvero sapere chi è morto quel giorno,
di fronte ai miei
occhi, per la mia disperazione?!»
Il tono quasi minaccioso con cui le pose quella
domanda la fece esitare, ma poi la corvina annuì comunque.
«Sì.»
Il ragazzo tornò a guardarla di scatto.
Sembrava
quasi che stesse per piangere. E quando le diede la risposta, la
corvina ne
capì presto il motivo. «Mio figlio.»
Rachel spalancò la bocca, sorpresa, ma
Dominick
non aveva ancora finito: «C’eravamo io, Kevin e
Rick su quella macchina. Doveva
essere una gita al lago, una cosa normalissima, ordinaria, per staccare
con la
mente per poco, solo per poco, cazzo, dalle responsabilità,
dal lavoro, dalle
bollette, dall’affitto da pagare, dalla spesa da fare e da
tutte quelle
stronzate! E invece mi sono ritrovato a reggere il cadavere di mio
figlio tra
le braccia, mentre il mio migliore amico, accanto a me, urlava come un
pazzo e
si dissolveva in una nuvola di dannato fumo! Dimmi, tu come avresti
reagito?!»
Dominick cercò di rialzarsi, mettendosi
carponi.
«Come avresti reagito, osservando tutto ciò per
cui avevi combattuto andare in
frantumi in così pochi istanti?!»
gridò. «Tu non hai idea... di quanti
sacrifici abbia fatto per poter costruire tutto quello. Trovare una
ragazza,
sposarla, avere una famiglia... dopo un’intera esistenza
passata vivendo come
un ladruncolo da quattro soldi, costretto a truffare, ingannare, rubare
per
vivere... è vero, non sono mai stato una brava persona, ma
ho riconosciuto i
miei errori, e ho deciso di cambiare.»
Non avendo la forza per rialzarsi, il castano
crollò
di nuovo a terra, gemendo. Tossì un paio di volte, per poi
rialzarsi a fatica
sui gomiti, tremando come una foglia per lo sforzo. «E non
appena... ci sono
riuscito, non appena le cose hanno cominciato ad aggiustarsi... sono
stato
ripagato in questo modo. Mio figlio aveva quattro anni, Rachel. Era
solo un
bambino... non aveva mai fatto nulla di male, a nessuno. Ma a quanto
pare, ciò non
gli ha impedito di... di portarmelo via.»
Dom scosse lentamente la testa, riuscendo di
nuovo a rimettersi seduto. Entrambi i suoi occhi erano lucidi, prossimi
al
pianto. «Doveva... salvarsi lui, non io. Io non me lo
merito... non ho mai
fatto nulla per meritarlo...»
Il ragazzo sospirò profondamente.
Chinò il capo
e rimase immobile, ad osservarsi le ginocchia.
Rachel continuò a fissarlo, meditando
sulle sue
parole. Anche lui, dunque, non era stato altro che una vittima delle
esplosioni.
Ma non una vittima colpita direttamente, una vittima come lei. Aveva
perso ciò
che aveva di più caro, quel giorno. Come lei, come Richard,
come Tara, come
Amalia, come Ryan... come tutti quanti. Dominick non era molto diverso
da lei,
alla fine. L’unica cosa che li differenziava, era che lui non
era mai riuscito
a superare il lutto. E ciò lo aveva portato a fare tutto
quello. La rabbia, il
dolore, lo avevano accecato, rendendolo ciò che era
diventato.
«Solo ora mi rendo davvero conto di aver
fatto
cose terribili... e che nessuno potrà mai perdonarmi per
questo... nemmeno io
penso che potrò mai farlo. Ho... ucciso delle persone... e
il mio migliore
amico era tra queste. Avevi ragione, Rachel. Avevate tutti ragione.
Ero... sono...
fuori controllo.» Dominick si prese di nuovo il volto tra le
mani, per poi
scuotere la testa. «Non sono riuscito ad accettare la
realtà, e queste sono
state le conseguenze. Se vuoi davvero cancellarmi i poteri, fallo
adesso. Prima
che sia troppo tardi.»
Corvina si mordicchiò
l’interno della guancia, ponderando
sulle sue parole. C’erano tante cose che ancora voleva sapere
da lui, ma prima
di porgli ulteriori domande, annuì.
«Sì.»
Si inginocchiò di fronte a lui, poi gli
posò una
mano sul petto. Cancellargli i poteri, in quel momento, era la
priorità
assoluta. Non sapeva cosa fare con esattezza, ma non dovette
preoccuparsi
troppo di questo: non appena lo toccò, la luce nera
cominciò a fuoriuscire in
automatico dal suo palmo. Un’aura nera avvolse il corpo di
Dom, che fece un
verso sorpreso.
«O-Ok, sei pronto?»
domandò la ragazza, in parte
intimorita-
Dominick annuì. «Fallo.
Forza.»
Rachel lo osservò negli occhi,
volgendogli un
cenno del capo. Poi, senza dire altro, si concentrò con
maggiore intensità.
L’energia oscura cominciò a fuoriuscire con
più insistenza dal suo palmo,
l’aura nera che avvolgeva il corpo del copiatore si fece
molto più intensa,
dopodiché Corvina avvertì una profonda scossa
attraversarle il braccio. Gemette
di dolore, ma fu nulla in confronto a ciò che fece Dominick;
il ragazzo gettò
il capo all’indietro, cominciando a gridare a squarciagola.
La conduit sussultò per la sorpresa, ma
mantenne
comunque alta la concentrazione. Il castano continuò a
gridare, mentre per
Rachel diventava sempre più faticoso proseguire. Il braccio
cominciò a dolerle
terribilmente, sentiva tutto il corpo indolenzito.
Tuttavia, infine, sentì la propria
energia
affievolirsi lentamente, fino a quando ogni traccia dell’aura
nera attorno a
Dom non svanì nel nulla. La ragazza separò la
mano da lui, mentre questi cadde
a terra, di schiena, ansimando rumorosamente.
«Hai... hai finito?»
domandò poi, tra un
profondo respiro e l’altro.
«Sì, credo di
sì» mormorò Rachel, per poi
osservarsi le mani.
Dominick annuì, per poi chiudere le
palpebre. «Bene...
grazie, Rachel. E... ti chiedo perdono. Per quello che vale.»
Corvina rispose con un cenno di assenso, poi si
abbandonò a terra, sedendosi vicino a lui.
Inspirò profondamente. Ora era tutto
finito, per davvero. Adesso sapeva controllare i suoi poteri, sapeva
come
sfruttarli e sapeva anche che Dominick non sarebbe stato più
un problema per
lei.
Non le restava altro che essere più
cauta, per
il futuro. Era vero, i suoi poteri avevano attirato molta cattiva gente
su di
lei, e sicuramente avrebbero continuato a farlo. Ma finché
sarebbero rimasti in
mano sua, sarebbero stati in un luogo sicuro. Doveva semplicemente fare
attenzione, non
esporsi troppo, per
evitare che altri malintenzionati potessero notarla, e tutto avrebbe
filato per
il meglio.
E per concludere, Rachel aveva ancora una
domanda da porre all’ex copiatore. Spostò lo
sguardo su di lui e osservò il suo
petto alzarsi e abbassarsi con regolarità, mentre il ragazzo
cercava di
riprendere fiato dopo il colpo appena subito. Corvina si fece coraggio
e si
conficcò le unghie nei palmi per la tensione, poi gli pose
quell’ultimo
quesito, quello che da mesi a quella parte non aveva fatto altro che
tormentarla:
«Perché... ci sono state le
esplosioni? Tu lo
sai, non è vero?»
Dominick drizzò il capo di colpo,
sorpreso. «Perché
me lo chiedi? Come fai a sapere che...»
«Me l’ha detto Kevin»
lo anticipò lei. «Mi ha
detto che volevi scoprire la verità, per poter accettare la
morte di Rick. E mi
ha detto che ciò che hai scoperto ti ha dato la batosta
finale.»
Il ragazzo dischiuse le labbra, continuando a
soppesarla con lo sguardo. La questione parve toccare un nervo
scoperto, uno
dei tanti che doveva avere Dom in quel momento. Ma alla fine, il
castano si
rimise lentamente a sedere con un sospiro. «È
vero, io conosco la verità. Ma tu
sei davvero sicura di volerla sapere? A me ha fatto andare fuori di
testa. Vuoi
correre il rischio?»
La domanda fece esitare Rachel. In effetti,
aveva pensato a quella eventualità. E la verità
la spaventava un po’. Cosa
poteva davvero aver spinto il governo nazionale, e forse anche quelli
di tutto
il mondo, a compiere un genocidio di massa con il solo scopo di
attivare dei
geni conduit?
Ma era anche vero che non poteva semplicemente
ignorare l’accaduto. Non poteva rimanere all’oscuro
di tutto, doveva avere
delle risposte, ne aveva il diritto. Lei tanto quanto tutte quelle
persone che
erano state costrette a vivere in quell’inferno di mondo dopo
essersi viste
private di tutto ciò che avevano.
«Sì, Dom. Voglio
saperla» rispose, risoluta.
Dominick continuò ad osservarla, senza
mutare la
sua espressione. Annuì. «Immaginavo che non
avresti cambiato idea. Beh, vedi,
il motivo principale era solo uno, ma per capire tutto appieno
dovrò spiegarti
un po’ di cose. Credo che ci vorrà un
po’.»
«Io non ho fretta.»
Il ragazzo annuì una seconda volta.
«D’accordo. Mettiti
comoda, allora. La tireremo per le lunghe.»
D'accordo gente, perdonate i miei deliri e al prossimo capitolo!