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Autore: shira21    21/07/2016    0 recensioni
Ella è solo una ragazza ma ha già dovuto affrontare il dolore più grande di tutti: la morte di una persona amata. Si sente sola, si rifugia nei suoi sogni perché lì lui è ancora vivo e può ancora tenerla stretta tra le sue braccia.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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“Ti amo” gli sussurro con la testa appoggiata al suo petto. Lo abbraccio ancora più forte e anche se non mi risponde il battito del suo cuore lo tradisce. Lui non dice mai quelle parole. Ha paura che un giorno possa lasciarlo. Dice di non essere il ragazzo giusto per me... che mi farà soffrire... che mi distruggerà, che ci distruggerà.
Eppure me lo dimostra ogni giorno quanto ci tiene a me. Non con grandi gesti degni di un romanzo ma con le piccole cose quotidiane che un altra ragazza neanche se ne accorgerebbe.
Per questo sorrido piano contro la sua felpa mentre lui mi stringe ancora più forte.
Ce ne stiamo così, aggrappati l'uno all'altro incuranti del resto del mondo.
“Non lasciarmi” mi dice con la voce roca. Alzo la testa per guardarlo negli occhi. Quagli occhi grigi che mi hanno fatto perdere la testa. “Mai” e la mia è una promessa.
Poi un rumore di sottofondo s'infiltra in questo momento. La voce di una donna mi distrae.
Lui mi fa quel suo sorriso triste e io non capisco. Lo stringo forte ma stringo solo aria. Sono smarrita... dov'è finito?
“Cameron” ed è il suono del mio urlo a svegliarmi definitivamente.
I miei occhi vagano nella penombra e pian piano la realtà filtra nella mia mente ancora offuscata.
Con un gesto distratto spengo la sveglia sul telefono e Christina Perri smette di cantare. Non so neanche perché continuo a puntarla.
Mi raggomitolo di nuovo su me stessa, la sua felpa che mi si arriccia contro il corpo. Non ha più il suo odore ma continuo a portarla per dormire. Ormai è diventa la mia coperta di Linus.
Non mi accorgo neanche di piangere, le lacrime sono diventate delle amiche familiari. Il dolore che mi strazia il petto è l'unica costante delle mie giornate.
Sento bussare alla porta ma non rispondo. Voglio tornare a sognare.
La porta si apre comunque. È mia madre, riconosco il rumore dei tacchi. La parte del letto accanto a me sprofonda, ad avvisarmi che questa volta fa sul serio. “Piccola, apri gli occhi.” Non ne ho molta voglia ma lo faccio lo stesso. Il suo sguardo pieno di preoccupazione riapre la ferita del senso di colpa. Restiamo così, una accanto all'altra ma lontane chilometri.
“Ella, ti prego. Devi uscire da questa stanza.” si guarda intorno e so che fa fatica a trattenere una smorfia di disgusto. Penso che qui dentro non ci sia proprio un buon odore e neanche io profumo. Mi accarezza lentamente, come si fa con gli animali feriti, tenendo sempre le mani ben in vista. Parla piano, per non farmi fuggire di nuovo nel mio mondo fatto di sogni e illusioni. Mi spiega che devo ricominciare a vivere. Mi supplica di provarci almeno eppure sembra che neanche lei creda davvero di convincermi.
Mi sento di merda per quello che le sto facendo passare ma proprio non ce la faccio.
Quindi quando le dico che oggi andrò a scuola, sorprendo entrambe. Mi rivolge un sorriso raggiante mentre una vocina nella mia testa mi chiede se sono impazzita, se mi ricordo cosa mi aspetta la fuori.
Certo che me lo ricordo me voglio provarci. Non per me e neanche per la mia famiglia, tanto meno per i miei amici. No, lo faccio perché lui mi ha insegnato a superare tutti i miei limiti.
Ed è così che esco dal mio rifugio per la prima volta dopo tre settimane.
La luce è accecante, mi ferisce gli occhi. Al contrario lo scrosciare della doccia sulla mia pelle sporca e ferita è qualcosa di meraviglioso. Finisce che ci metto quasi un'ora per ripulirmi a fondo ma quando esco mi sento di nuovo un essere umano. Scegliere i vestiti è molto più difficile invece. Ho perso così tanti chili che tutto mi sta largo.
Quando scendo di sotto si zittiscono tutti. Mia sorella e mia madre sono immobili ma hanno gli occhi velati. Mio padre si avvicina e mi abbraccia. Mi mancavano i suoi abbracci.
Quando entro in classe, mi sento tutti gli occhi addosso. Mi siedo al mio vecchio posto, ignorando in egual misura la faccia perplessa del professore che i bisbigli non tanti bassi dei miei compagni.
Posso farcela.
E ce la faccio. Almeno, fino all'ora di letteratura. La professoressa dice ha corretto i compiti dello scorso semestre. Me lo ricordo perché all'epoca ero felicissima e mi era sembrato un lavoro così facile. Racconta come ti vedi tra dieci anni. Mi ricordo con chiarezza cosa avevo scritto. Mi vedevo in una villetta come quella in cui sono cresciuta. Con un lavoro come giornalista. E un marito.
Quando glielo avevo raccontato a Cam lui mi aveva detto che avevo le idee chiare per avere solo diciassette anni.
Ora come ora consegnerei un foglio bianco.
E questo mi manda di nuovo fuori di testa.
Raccolgo in fretta le mie cose e scappo. La professoressa prova a fermarmi ma è troppo tardi. Sono troppo debole, non ce la faccio.
Vago per le strade senza sapere dove vado finché non mi ritrovo lì. Il luogo che ha popolato i miei incubi per tutti questi giorni.
Sfioro il guard rail sfondato. Nonostante il tempo si vedono ancora i segni della frenata sull'asfalto. Mi avvicino. Pezzi della sua amata moto giacciono ancora lì.
Non sono andata al suo funerale, non potevo. Hanno messo anche qui una lapide. Una cosa piccola, giusto per ricordare a chi passa di qui che un giorno di dicembre un ragazzo ha perso il controllo della moto ed è morto. C'è anche una foto.
È bellissimo.
Affascinava sempre tutti con il suo fascino, un misto di sarcasmo irriverenza e dolcezza. Le ragazze gli andavano dietro per tutto questo e perché era pericoloso. Ma io avevo visto i demoni che nascondeva, così simili ai miei.
Seguo con le dita il profilo, i capelli neri sempre un pizzico troppo lunghi, gli occhi grigi dove si celava tutto un mondo.
Le persone non avevano capito che io e lui eravamo diventati una persona sola, come in quella leggenda di Platone. Separarci era inammissibile, inaccettabile.
Mi amava.
Lo amavo.
Lo amo.
Per una volta non piango. Supero la voragine di metallo aperta dall'incidente e passo dall'altra parte. Qui non c'è asfalto, solo fresca erba. Cammino stando sulle punte. E alla fine arrivo dove volevo.
Lo strapiombo su questa curva mette sempre paura agli automobilisti. Basta un niente e finisci di sotto. Cameron deve aver sbandato proprio lì andando a... no, non voglio pensarci oltre.
Mi ricordo che gli dicevo di andare piano, non sono una fan delle moto. E ogni volta lui rideva delle mie paure.
E ora sto qui, con il vuoto davanti, le braccia spiegate come ali.
Non ti lascerò mai, te l'ho promesso.
Volo.
Gli occhi chiusi, il vento in faccia, il cuore che batte all'impazzata.
Sento di nuovo le sue braccia intorno al corpo, il suo respiro tra i miei capelli.
Un abbraccio che dura per sempre.

   
 
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