Film > Pirati dei caraibi
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Autore: Minga Donquixote    21/07/2016    2 recensioni
«Sei incredibile!» Si lamentò lei, tornando a sedersi sul pavimento e afferrandogli una mano. «Vuoi pure che ti racconti una fiaba per bambini?»
Cutler la guardò minaccioso e strinse forte la mano, facendola gemere di dolore. «Sei insopportabile.» le sibilò.
«Faccio del mio meglio.» ribattè lei, testarda.
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Era sicuramente un incubo il posto in cui era capitata la giovane Eris Gallese. Parrucche incipriate, lotte di pirati, dannati corsetti e no docce saponate.
Quando non si studia la storia, ci si trova impreparati.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Norrington, Lord Cutler Beckett, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4. Se il buongiorno si vede dal mattino

La stanza era illuminata scarsamente. Le tende erano state tirate per coprire il sole cocente e una candela completamente consumata giaceva sul comodino, sotto un piccolo piattino d’argento che la raccoglieva.
Un respiro affannato riusciva a far mettere in secondo piano il canto degli uccelli e il rumore del mare.
Al respiro andarono a susseguirsi leggeri gemiti sofferenti e uno strascicare di coperte.
«No…»
Si sentì un leggero rumore provenire dalla porta della stanza e quando questa si aprì un poco, due paia di occhi scuri scrutarono attentamente l’interno.
In punta di piedi, senza fare ancora più rumore, entrò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle.
«Non toccar-»
Un altro gridolino.
La forma scura che era appena penetrata si tese a quel rumore e strisciò ai piedi del grosso letto, piegandosi sulle ginocchia e rimanendo in ascolto.
«State lontana da lì…»
La figura alzò un sopracciglio, aprendo le labbra in un sorriso furbetto.
«Sveglia, dormiglione di un Lord» sussurrò in un orecchio vicino.
Ci fu un sussulto e una delle mani dell’addormentato andarono a chiudersi forte sulle coperte, fino a far diventare bianche le nocche.
«Non rompetele!»
Questo non era un sussurro. Era un vero e proprio urlo, femminile per giunta.
Lo sconosciuto ridacchiò mutamente e stuzzicò il piccolo fagottino assopito con la punta delle dita, pizzicandogli le guance.
Stanca di quel giochino silenzioso e intuendo l’incubo del Signore, la figura si alzò in piedi e si piegò sul suo orecchio, pronta a distanziarsi subito dopo.
«Beckett, Jack Sparrow ti sta rubando tutte le collezioni delle tue preziose tazzine da tè!»
Come previsto, dopo l’intenso urlo, l’uomo si girò su se stesso e se non si fosse spostata in fretta probabilmente avrebbe incassato un bel pugno sul naso.
«Chi? Cosa? Dove?!»
Svegliatosi di soprassalto, Cutler prese a girarsi intorno e quando scorse un paio di occhi e un sorriso malizioso davanti a se, sobbalzò arretrando sul letto e cadendo, finendo con la schiena sul pavimento.
«E’ ora di alzarsi!»
Le tende si aprirono improvvisamente e la luce del sole inondò la stanza illuminando ogni singolo angolo.
Il mucchietto di lenzuola a terra prese a muoversi e la piccola figura di Beckett si affacciò oltre il materasso, gli occhi chiari semichiusi a causa della forte illuminazione.
«Ma che diavolo-?!»
Quando individuò la fonte del suo spavento, prese a stringere convulsamente le lenzuola, sta volta con forte rabbia.
Il sorriso al gatto del Cheshire sul viso di Eris era irritante e sembrava estremamente soddisfatta e divertita del suo operato.
«Che ci fate in camera mia?! Uscite!» le ordinò tentando di coprirsi con il lungo lenzuolo bianco.
«Oh, ma quanto siamo virtuosi» miagolò la giovane sedendosi sul letto e ridendo alle reazioni ancora mezze assopite dell’uomo. In effetti sembrava che avesse dormito nudo dato il caldo ma la stoffa gli si era talmente arrotolata addosso che riusciva a vedere solo braccia e spalle.
«Vi ho detto di uscire! Dio, è la volta buona che vi faccio impiccare!» gli gridò contro facendola accigliare.
Scortese.
«Senti, parla piano. Fino a prova contraria ancora non ti ho messo un’unghia addosso» sbuffò.
Poi notò qualcosa che la fece sorridere ancora di più. Lo sguardo furioso di Cutler era passato in secondo piano quando un ricciolo marrone gli era andato a finire in mezzo agli occhi.
Dei capelli color del caffè di un riccio ondulato erano terribilmente scompigliati ma il sole li illuminava facendoli brillare.
Sembrava decisamente più giovane in quel momento, nonostante le profonde occhiaie.
«P-Parlare piano?! Siete entrata in camera mia senza nessun permesso e-»
«Shhh» lo zittì agitando una mano «Ma dormi la notte?» chiese poi.
Beckett boccheggiò un po’ e assottigliò gli occhi chiari minacciosamente.
«Uscite. ADESSO!»
«Va bene, principessa. Esco subito»sospirò saltando fuori dal letto e aprendo la porta.
Il Lord si rilassò vedendola uscire e si lasciò scivolare a terra, sostenuto dalla parete dietro la schiena.
Scostò delicatamente le coperte e passò due dita sulle cicatrici che gli solcavano la zona poco sotto la fine del collo.
Lo sguardo finì per posarsi di nuovo sulla porta chiusa e con un’espressione sofferente decise di andare velocemente a ricomporsi.

«Mi dispiace, Shorty…» sussurrò lei, seguendo l’uomo vestito di tutto punto e la sua inseparabile sciarpa stretta al collo, come un cagnolino.
Lord Beckett sembrava intoccabile. Per tutta la colazione aveva mantenuto lo sguardo basso e non le aveva rivolto la parola nemmeno quando l’aveva chiaramente insultato sulla sua statura.
Era rimasto teso e impassibile e in quel momento, mentre attraversavano le banchine per salire sull’Endeavour, Eris gli stava dietro chiedendogli il motivo del suo comportamento e scusandosi ripetutamente.
«Ho degli affari da sbrigare. Rimanete qui e non combinate altri guai» gli disse piatto entrando nella cabina, passando le due guardie che bloccarono subito dopo la giovane.
«Aspetta, Beckett, voglio venir-»
«Avete fatto già abbastanza!» gli ruggì contro, guardandola cupo. «Rimanete al vostro posto!»
E scomparve dietro l’angolo.
Eris sentì le lacrime montare agli angoli degli occhi. Questa volta l’aveva combinata grossa ma se l’era presa peggio di quando aveva fatto quella terribile scenata in piazza.
Con un gesto brusco si liberò dalla stretta delle due giubbe rosse e si allontanò, scendendo le scale della nave per andare a girare per Port Royal.
Poteva acquistare qualcosa a Cutler così l’avrebbe perdonata. Un set di penne d’oca o una nuova parrucca.
Lo immaginò con una parrucca diversa dalla solita e decise che probabilmente l’avrebbe soltanto fatto infuriare di più.
Essendo sovrappensiero non vide nemmeno Mercer passarle accanto e salutarla educatamente.
L’uomo in nero si fermò, osservandola correre in mezzo alla popolazione e si chiese se magari era il caso di seguirla.
«SIGNOR MERCER!»
Quando il Suo Signore l’avrebbe lasciato respirare un po’, magari.

Eris girò tranquilla tra i vari negozi centrali e, dopo essersi affacciata a più di una vetrina, giunse al punto di non sapere minimamente cosa acquistare per rendere felice Beckett.
Non capiva i suoi gusti e in più aveva la sensazione che qualsiasi regalo gli avesse fatto avrebbe solo peggiorato tutto.
Con un sospiro rassegnato si ritrovò a seguire la massa, girando e svoltando angoli e vicoli senza sapere esattamente dove andare. Cutler l’aveva cacciata e i suoi occhi l’avevano spaventata.
Non pensava avrebbe reagito in quel modo. Era sempre stato calmo e pacato, cosa che l’aveva colpita. Le frecciatine le piacevano ma non capiva in cosa avesse esagerato quella mattina stessa.
Dopotutto aveva fatto cose ben peggiori il giorno prima. Aveva addirittura mandato in fiamme uno dei suoi paramani tutti merlettati.
«Ehi, mocciosa»
Eris alzò lo sguardo e si trovò circondata da tre tizi puzzolenti e grossi almeno il suo doppio.
«D-Dici a me?» domandò stupidamente guardandoli e tremando visibilmente.
«Vedi altre giovani donzelle?»
La Gallese si girò intorno e quando capì che, no, non c’erano, scosse la testa.
Aveva uno strana calamita per i guai.
Un sorriso marcio e nero brillò minacciosamente sotto l’insegna di un cartello che segnava: “Black Hole”.

Cutler aveva passato la più bella mattinata tra quei 4 giorni. Eris Gallese non si era fatta ne vedere ne sentire.
Per le prime 3 ore fu incredibilmente sospettoso, certo che stesse preparando qualcosa in grande che l’avrebbe mandato su tutte le furie ma invece al susseguirsi del tempo, la giovane non si fece viva.
Mercer aveva detto di averla vista correre felice in mezzo alla folla e di averla poi persa di vista.
Ormai era quasi ora di pranzo e stava cominciando seriamente a pensare che fosse scappata o solamente persa. Conoscendola, avendo un senso dell’orientamento decisamente pessimo e nessun posto dove rifugiarsi, constatò che la seconda opzione era la più plausibile.
«Certo che i servizi del Governatore si stanno rivelando fruttuosi»
Ian solo annuì al suo padrone, lo sguardo che scrutava intorno.
Uscirono entrambi dalla stanza, diretti verso l’esterno e Cutler si preparò mentalmente all’essere invaso dalla figura corrosiva della ventiduenne.
Ma quando giunsero sul ponte dell’HMS, della ragazzina non vi erano tracce.
«Forse si è persa» mormorò il più basso con una nota di felicità.
L’assassino continuò a guardare il punto in cui Eris era sparita e pensò a dove potesse essersi diretta.
«Mio Signore, portava con se il sacchetto del denaro»
Silenzio.
«Decisamente un peccato» rispose poi.
Inizialmente non ci pensò poiché il modo di comportarsi di Eris era chiaramente uno dei più forti ed esuberanti ma quando rimembrò la sua figura nel vestito di seta grigia e il suo sguardo ferito si rese conto del vero problema.
Era una donna.

«E così ‘o sai che gli ho detto?» urlò la moretta, seduta a gambe spalancate sul tavolo lercio della taverna, non preoccupandosi minimamente del bel vedere che donava lasciando la gonna aperta. «Che forse era meglio che si fottesse! Lui e la sua armata schifosa!»
«Si!»
Si sollevarono calici e grida e Eris rise felice all’esuberanza di quei pirati.
I tre tizi ambigui (Fred, Lessy e Teveren) l’avevano invitata per una bevuta. In effetti erano anche incredibilmente timidi ma vedendola spaesata le avevano offerto un momento.
Quel locale era pieno di pirati ma molti riuscivano a nascondersi bene e sembravano tutti in libertà poiché non c’erano segni di marchi o roba varia.
«E che ha fatto quel pezzo di merda?» chiesero in coro due dei pirati che la circondavano.
«Che poteva fare? Ha blaterato su quanto i pirati siano brutte persone…» forti boati di disapprovazione si levarono nella sala. «ma io gli ho detto che è meglio essere pirati che degli incipriati del cazzo!»
Altre urla e risate di gioia.
Si stava talmente lasciando andare che quando l’orologio appeso al muro suonò le tredici non lo sentì affatto, nonostante si fosse ripromessa di farsi trovare sotto la nave di Beckett.

«Una donna l’ha vista entrare lì dentro al seguito di tre malviventi» disse Mercer, tornando al fianco del suo signore che era rimasto silenzioso ad un angolo del vicolo.
«Tenete pronte le baionette» ordinò il Lord alle 4 guardie dietro di lui.
Silenziosamente si avvicinarono alla porta e rimasero in ascolto.
Cutler sorrise appena al suono della voce squillante di Eris. Stava bene, dopotutto.
Fece per ordinare ai suoi soldati quando un silenzio assordante riempì la stanza e solo la voce della giovane rimbombò.
«E proprio stamattina ero entrata nella sua stanza per dargli il buongiorno come fa qualsiasi persona normale…» cominciò a dire. «E lui che fa? Appena mi vede comincia a coprirsi con il suo lenzuolo e urlare come una donnicciola!»
Risate riempirono nuovamente la stanza e da dietro la porta, pronto a sfondarla, Cutler arrossiva prepotentemente.
«Entrate!»
Un forte rumore bloccò le risate e gli urli e quando la porta si spalancò entrarono quattro giubbe rosse che si inginocchiarono e puntarono i fucili.
Eris, che aveva bloccato la sua imitazione di Beckett che tentava di coprirsi e pose una mano davanti alla bocca mentre lo salutava con quella libera.
«L-Lord Cutler Beckett!»
Il Signore era fumante di rabbia. Guardava la Gallese come volesse incenerirla all’istante con la sola forza del pensiero.
Non riusciva a crederci. L’aveva creduta in pericolo per un secondo e invece eccola là, a raccontare delle sue vicende e mettendolo in ridicolo.
«Avete esattamente 3 secondi per uscire da questa bettola, poi aprirò il fuoco» sibilò serafico vedendo i soldati caricare i fucili.
«Non ci provare nemmeno!»
Eris si fece avanti ma solo per coprire la traiettoria dei Marine. Beckett si era accorto di lei e l’aveva cercata solo dopo metà giornata.
Chissà se avesse potuto davvero trovarsi nei guai!
Certo, del resto era colpa sua. Completamente colpa sua…ma quell’uomo poteva pure cercarla prima, no?!
«Non mi sfidate!» le ringhiò contro lui.
«Sono civili, non pirati!» mentì donandogli lo stesso sguardo sprezzante.
«Allora non vi dispiacerà se li faccio analizzare uno per uno. Poi diretti alla forca» ghignò sarcastico. Ovviamente, fossero stati civili avrebbe trovato un qualche escamotage per incolparli comunque di pirateria. Era Lord Cutler Beckett dopotutto.
«Beckett…non hanno fatto nulla, per favore» supplicò, rimanendo sul posto.
Cutler chiuse gli occhi, soppesando la situazione, poi, aprì la bocca emanando la sentenza.
«Arrestateli tutti»
Eris fece per placcare uno dei soldati ma Mercer la agguantò per la vita e se la issò in spalla, portandola fuori dalla Tana nonostante i suoi continui urli da oca e calci e pugni.
«Lasciami Mercer! Sono innocenti, vi dico!»
L’ometto uscì subito dopo il suo assassino e osservò Eris guardarlo con disprezzo. «Sei un mostro»
«Mi hanno apostrofato con nomi peggiori» col bastone picchiò la testa della giovane facendola gemere di dolore.
«Per cos’era questo?!» si lamentò tenendosi la sommità con entrambe le mani.
«Mi andava»
«Piccolo bastardo»

Cutler alzò gli occhi dal proprio piatto e guardò la mora distogliere lo sguardo per puntarlo su un vaso poco distante.
Sul viso un’espressione contratta e delusa che non fece altro che farlo sogghignare.
«Per quanto ancora intendete tenermi il broncio?» chiese tornando a gustarsi la sua portata.
«Fino a quando mi andrà» mormorò l’altra, incrociando le braccia al petto e lasciandosi cadere contro lo schienale della sedia.
«Che infantile» rise.
«Tu hai fatto lo stesso questa mattina. Qual è la tua scusa?» aggredì lei, guardandolo con astio.
Beckett fece per parlare di nuovo, lanciandogli un’altra offesa, ma si trattenne. Naturalmente quella ragazzina era risentita dal suo comportamento, in più aveva mandato a morire degli innocenti, secondo il giudizio di lei, con impiccagione.
Così facendo non avrebbe guadagnato nulla. Invece di ottenere la sua fiducia per scoprire cosa sapesse aveva soltanto peggiorato la situazione.
Non si sarebbe mai sognata di dirgli un’acca se non avesse mostrato il suo finto animo magnanimo. Almeno per apparenza.
«Oltre al fatto che siete entrata nella mia stanza senza alcun tipo di permesso, urlando come una forsennata, cosa che avrebbe potuto condannarvi alla forca? No, direi che non ho altri motivi» disse solo dopo un’attenta analisi.
Eris tornò a dare attenzione al suo piatto. Gli aveva chiesto scusa per l’ennesima volta, che altro doveva fare?
«Non pensavo ti desse così tanto fastidio»
«Infatti, in confronto avete fatto cose ben peggiori, giusto?» la rimproverò, sentendosi soddisfatto della sua superbia. Per una volta aveva abbassato la cresta.
La ragazza posò le mani in grembo, uno sguardo ormai spento, e sospirò stancamente.
No, non avrebbe chiesto scusa anche stavolta. Quell’uomo non si era fatto scrupoli a uccidere dei poveri uomini, la cui unica colpa era quella di avergli fatto compagnia.
«Non ho fame, vado in camera mia»
Fece per alzarsi ma un colpo forte di una posata che batteva contro il legno la fece desistere.
Lo sguardo del Lord era a dir poco spaventoso.
«Non avete mangiato nulla. Non fate la presuntuosa»
La Gallese aprì la bocca per poi storcerla in un’espressione irritata, i denti in mostra come un cane. «Presuntuosa? Mi dai della presuntuosa? Proprio tu, tra tutti?» gli sputò contro.
Cutler portò alle labbra il suo bicchiere, sorseggiando nella più totale tranquillità. In quegli attimi, Eris si era alzata in piedi, incerta se andarsene e fregarsene oppure ascoltare l’uomo.
«Tornate a sedervi» le ordinò, accostando il bicchiere al piatto sul tavolino.
«Non puoi darmi ordini, non sono un tuo servo!»
Beckett ghignò apertamente, lanciandole un’occhiata ironica.
«Vero, almeno il servo la cena se l'è guadagnata» le disse solo, tagliando con gesti leggeri la carne rossa.
Eris, le cui mani fremevano dalla rabbia, ringraziò la distanza tra loro dovuta al lungo tavolo. Probabilmente gli avrebbe dato un bel pugno sul naso.
Passarono interminabili attimi e la mora non poté far altro che tornare a sedersi. Doveva rispettarlo. Era giusto così.
Assorta, guardava il pezzo di carne nel piatto e si chiese che differenza ci fosse in quel momento tra lei e quella costoletta.
Non sentì nemmeno Cutler alzarsi e avvicinarsi silenziosamente a lei.
Non aveva senso restare lì se era solo una prigioniera. Solo uno strumento perché si era accorta delle domande insistenti del nobile, ci girava intorno, credendo di ingannarla e cercando di ottenere le informazioni necessarie.
Ma lei non aveva abbassato la guardia. Non l'avrebbe mai fatto con lui.
«Su,su. Non c’è bisogno di sentirsi così offesa»
Una mano strisciò sul suo viso, costringendola a voltarsi e alzare il mento.
In quel momento, con quel sorriso sadico sulle labbra, gli occhi di ghiaccio e quella sensazione di supremazia Cutler era l’esatta copia di ciò che si aspettava. Non mancava nulla. E lei si sentiva decisamente presa d’assalto. Un topo in trappola.
 «Dopotutto siete viva solo grazie a me, il minimo che voi possiate fare è obbedire»
Già, era quello il minimo che doveva fare. Obbedire come un cane, come fosse solo… «Non ho ragione, mio piccolo animale domestico?»
La mano libera di lei senza accorgersene si strinse intorno a qualcosa di rotondo e freddo e capì esattamente quel che doveva fare.
«Animale domestico, eh?»
Scansò la sedia, facendola raschiare contro il pavimento e cogliendo di sorpresa l’uomo, che allontanò la mano, come temendo che la mordesse da un momento o l'altro.
Con un sorriso lugubre si alzò in piedi, sovrastandolo aiutata anche dai tacchi sotto il vestito.
Il braccio di lei si tese in alto, gli sguardi ancora legati tra loro. Uno d’orgoglio ferito e l’altro predominante.
«Allora la prego di scusarmi, mio padrone»
Con un gesto repentino del polso versò tutto il contenuto, in quel caso rosso dovuto al vino che non aveva bevuto, sulla testa bianca del Lord, zuppando la parrucca e il vestito verde scuro.
Poi, quando l’ultima goccia cadde seguendo le altre, si ritenne soddisfatta e, poggiato il bicchiere nuovamente sul tavolo, si allontanò lasciando l’uomo scioccato alle spalle.
Mercer, che era entrato dopo l’uscita rumorosa della giovane donna, rimase interdetto, guardando il suo padrone tremare.
«Non una sola parola, Mercer!»

Eris fu svegliata da qualcuno che bussava alla sua porta. Con lo sguardo ancora annebbiato di sonno decise di rimanere sdraiata, al sicuro sotto le coperte ormai calde. Fuori il sole ancora sembrava splendere, seppur con minor intensità. Probabilmente aveva dormito per più di qualche ora.
Con la testa pesante per il risveglio improvviso si chiese se qualcuno avesse davvero bussato alla porta. Poteva essere stata una domestica, venuta a chiederle se stava bene o se gli serviva qualcosa?
Il mare fuori dalla finestra era una tavola blu brillante e il suo scrosciare era leggero, quasi un sottofondo perfetto.
Fece per chiudere di nuovo gli occhi ma i colpi risuonarono ancora, stavolta più insistenti.
Poi una voce. La SUA voce.
«Miss Eris, aprite la porta»
Stordita aprì la bocca ma la trovò impastata dal sonno. Non ce la faceva nemmeno a dargli fiato. Era eccessivamente stanca.
Lo ignorò per un po’ e quando i colpi cessarono quasi sospirò di sollievo. Se l’era tolto dalle scatole.
Con uno sbadiglio enorme, si acquattò meglio sotto le coperte e prese a chiudere gli occhi quando la porta si spalancò di colpo.
Presa dal panico si girò verso l’intruso e trovò Cutler, stivali neri e completo blu scuro, che la guardava con sguardo annoiato.
«Avete dormito fino a quest’ora?»
«Vai via…» mormorò lei, sospirando e coprendosi la testa con il lenzuolo. Tenne gli occhi chiusi e si lasciò cullare dal dolce torpore della stoffa e dalla morbidezza del materasso.
«Mi era parso strano il fatto che non vi avessero vista da nessuna parte»
Lo sentì sedersi sul suo lato del materasso, quasi al limitare, lontano da possibili calci.
«E tu che ti sei arrabbiato così tanto quando sono entrata in camera tua…» tirò fuori la testa e lo guardò severamente. «Chi ti ha dato il permesso di entrare?»
Cutler alzò un sopracciglio e la guardò. I capelli mori erano scomposti e arricciati ma lei sembrava non preoccuparsene.
«Non ho certo bisogno di permessi, io» le disse con aria strafottente.
Eris scosse la testa, scioccata. «Tu…sei proprio un…ARGH» con un grugnito tornò sotto le coperte.
Il Lord la guardò irritarsi e sorrise divertito. «Sono qui solo per proporvi un affare»
«Il tuo animale domestico non è in vena di fare affari. Sparisci» borbottò sonoramente lei.
«Ah, capisco» si tirò in piedi, sostenuto dal suo fidato bastone in argento. «Poi non ho ragione a dire che siete presuntuosa?»
Eris ringhiò e si tirò nuovamente fuori dalla sua protezione, guardandolo con finto interesse. «Sentiamo la tua proposta~»
Beckett sorrise in modo beffardo. «Nulla di troppo complicato. Ora sistematevi e venite nell’ufficio al piano di sopra»
Mosse un passo per andarsene ma la ragazza tossì per avere la sua attenzione.
«Non mi ricordo ancora esattamente dove si trova…»

Una volta raggiunto l’ufficio, Eris andò a sedersi al lato della scacchiera che le toccava quella sera. Ormai Cutler l’aveva presa così.
Voleva batterla a tutti i costi, sfidandola ogni fine serata, ma dal giorno in cui era arrivata lui non aveva vinto una partita.
«Tocca nuovamente a me muovere per primo, quindi»
La sera prima stava a lei perciò si ricordò chiaramente che le toccava il lato nero, quel pomeriggio.
«Beh, facciamo in fretta» sbottò cercando di strapparsi una manica del vestito.
Beckett l’aveva costretta ad indossare quel vestito rosa orribile e le pizzicava dappertutto. Il materiale era decisamente diverso da quello del suo adorato vestito grigio.
«Come siamo ansiose» sorrise predisponendo con cura tutte le pedine sul suo lato.
Una volta terminato il classico compitino iniziale, l’uomo si lasciò cadere contro lo schienale e la sondò con lo sguardo.
«Che ne dite di mettere una vera posta in gioco, stavolta?» carezzò con la punta delle dita la testa del cavallo, sorridendo sinistramente.
«Dipende.»
«Una scommessa. Se vincete voi avrete queste» con un gesto tirò fuori dalla tasca del completo un mazzo di chiavi di ferro che tintinnarono tra loro.
«E che ci dovrei fare?» ridacchiò lei.
«Non volete forse liberare quei pirati?» chiese, facendo scoccare tra loro le chiavi. «Queste chiavi aprono le prigioni. Vi do la possibilità di liberarli»
Eris rimase a bocca aperta. Cutler Beckett, il grande e potente sterminatore di pirati, era disposto a liberare dei fuggitivi dalla legge?
No, qualcosa non quadrava. C’era qualcosa sotto.
«Si, certo. E quando andrò lì non mi ritroverò circondata da giubbe rosse, vero?» rispose, sarcastica.
«Se volete che vi semplifichi ancora un po’ di più le cose troverete l’area completamente sgombra» sospirò lui, assottigliando lo sguardo chiaro.
«Completamente?»
«Si»
«Sicurooo?»
«Vi do la mia parola»
«Uhm…se dici così…» Eris annuì ma gli rivolse ancora uno sguardo perplesso. «E tu che ne guadagni?»
Beckett alzò l’alfiere davanti agli occhi, osservando i contorni ben delineati nel cristallo bianco.
Guadagno. Quella ragazza la vedeva lunga. Aveva intuito chiaramente che lui, in quell’affare, se finito lì, non avrebbe guadagnato nulla se non la sua fiducia, probabilmente, ma non si poteva certo fossilizzare su qualcosa di tanto astratto e mutevole. Doveva essere certo di trarne un certo e definito profitto.
«Io non chiedo poi molto…» posò nuovamente l’oggetto sulla scacchiera e le scoccò uno sguardo intenso. «Solo una giornata senza disubbidire e rispettando ogni mio ordine»
Eris ringhiò. E allora a cosa serviva giocare? Potevano fare l’affare e finirla lì.
«Ti ho già detto tutto quello che so»
«Non ne sono ancora completamente certo» sogghignò, la voce diventata improvvisamente pericolosa e grave.
«E nel caso vinca te?»
«Beh, ovviamente non vi consegnerò le chiavi e parteciperete all’esecuzione voi stessa» finse un tono annoiato. «In compenso però potrete chiedermi qualsiasi cosa vogliate per un giorno, a patto che ci sia una distanza di una settimana dalla perdita prima di chiedere»
La giovane rimase raggelata a quelle parole. Le aveva giocate bene le sue carte. Terribilmente bene.
Lui sapeva della sua superiorità nel gioco, dopotutto sapeva strategie che lui ancora non conosceva, e quindi non rischiava nulla. Cutler stava puntando tutto sulla propria sconfitta e ne rimase incredibilmente colpita. Dov’era finito quell’uomo orgoglioso e testardo? Cosa poteva guadagnare se non informazioni? Informazioni che poteva anche inventarsi. Lei non aveva certo promesso di dire la verità, nient’altro che la verità e non era qualcosa che poteva permettersi di divulgare. Ma non poteva fare altrimenti, doveva riuscire a raggirare la verità e doveva fornirgli qualcosa altrimenti gli sarebbe stata inutile.
Sai lo scandalo di sapersi morto tra un paio di mesi? Non osava nemmeno immaginare cosa Beckett avrebbe fatto pur di sfuggire a quel destino.
«Ti stai sottovalutando o sbaglio, Cutler?» lo stuzzicò aspettandosi un ringhio di protesta o un’altra frecciatina.
Ma nulla arrivò.
Lui solamente sorrise, uno di quei sorrisi enigmatici a mezza bocca, che non riusciva mai a capire.
«Allora, è un accordo?» tese la mano e aspettò che l’altra la stringesse.
E, dopo una pausa infinita, Eris la propose a sua volta, stringendo forte, quasi per fargli capire che quel che è fatto è fatto.
«E’ un accordo» concordò infine.
Nonostante la sicurezza con cui aveva ricambiato la stretta, quando l’uomo fece separare le loro mani un brivido gli corse lungo tutta la spina dorsale. Aveva stipulato un patto col diavolo senza rendersene conto?
«Ottimo. Possiamo iniziare»
E fu lui il primo a muovere.
La partita fu tesa fin dall’inizio, almeno dal lato nero. Eris ancora non aveva deciso se perdere o vincere.
Ovviamente non poteva lasciar morire quegl’uomini quando Cutler le aveva servito la libertà su un piatto d’argento, anche se avrebbe pagato un prezzo che faceva tendere la bilancia dal lato negativo.
Perdendo avrebbe ottenuto un favore dal nobile ma non le chiavi ed erano loro la priorità assoluta.
Poteva chiedergli di lasciare liberi i prigionieri ma da lì ad una settimana poteva giustiziarli e bruciarli nella più completa tranquillità.
Cutler invece sembrava incredibilmente tranquillo. Osservava come la giovane aggrottava la fronte per lo sforzo di trovare la soluzione migliore e se ne dilettava. L’aveva messa in crisi e ora leggeva chiaramente le sue mosse, la sua strategia. Aveva intuito qualcosa già dalla sera prima ma ora era come se sulla scacchiera vi fossero ben delineati i vari passi che si accingevano a fare entrambi.
Realizzò in poco tempo che, se la ragazza avesse mantenuto la stessa strategia, sarebbe giunto alla vittoria in breve tempo…
Ma lui non ambiva alla vittoria, non quella sera.
Eris si morse le labbra e la soluzione le venne come un flash in mente.
“Persuadimi”
Certo, poteva perdere e poi provare a sedurlo come una vera donna!
Mosse il suo pedone dopo un’altra attenta analisi e alzò lo sguardo.
Quello che vide la paralizzò.
Il Lord se ne stava a guardare la scacchiera, soppesando la sua prossima mossa mentre con un dito si sfiorava il mento, assorto. Poi, con lentezza, al solo pensiero di sedurre, gli occhi scuri della Gallese salirono alle sue labbra proprio nell’istante in cui la punta della lingua serpeggiò fuori, inumidendole.
Le trovò incredibilmente rosa per essere labbra di un uomo, fine e delineate.
Che fossero fredde anche quelle?
Inoltre trovò l’inglese anche assurdamente attraente in quel momento.
Brutti pensieri gli salirono alla mente e quando Cutler alzò lo sguardo, sentendosi osservato, trovò gli occhi della ragazza puntati sul suo viso.
«Cosa?» chiese solamente.
«Niente!» squittì lei, abbassando lo sguardo e arrossendo furiosamente.
La seduzione era decisamente da scartare!
Via via che il gioco avanzava le mosse si erano fatte vicino alla fine ma Eris era ancora indecisa. Giocava solo per il gusto di farlo e muoveva gli scacchi soltanto seguendo uno schema. Senza ragionamento. La mente confusa.
Non riusciva ancora a scegliere.
«Vi vedo molto impegnata, Miss» la stuzzicò mostrandole finta riverenza.
«E’ colpa sua, d’altronde. È un abile avversario, Lord Beckett» rispose lei, servendolo con la stessa moneta.
«Così mi lusingate»
E in effetti lo era diventato. Era migliorato fin troppo in soli tre giorni. Si chiese se forse avesse fatto delle lezioncine private ma con tutto il lavoro che aveva scartò tale opzione.
Quindi c’era solo una spiegazione.
Conosceva la sua strategia. Era riuscito a studiarla.
Ma lo aveva capito troppo tardi.
«Oh, Scacco al Re…» Cutler sorrise furbetto. «…per voi»
Eris non riusciva a capire. Quella partita, che lei non aveva portato avanti, sembrava aver dato un risultato che ancora non aveva programmato.
«Ho vinto?» chiese ad alta voce che era più una riflessione a se stessa.
«Sembra che anche questa sera le mie abilità non siano bastate» sospirò con fare teatrale e questo non fece che irritare la giovane donna. «Le chiavi sono tutte vostre. Significa che dovrò accontentarmi di un giorno dove sarete al mio completo servizio» terminò ironico, alzandosi e costeggiando la scrivania.
Lo aveva capito. Eccome, se lo aveva capito!
«L’hai fatto apposta, non è vero? Hai manipolato le mie mosse…» sussurrò lei tentando ancora di capire come l’uomo fosse riuscito in una simile impresa.
«Manipolato? Suvvia, non sono mica nella vostra testa» uno sguardo sorpreso aleggiò sul suo viso per qualche istante. «Non riesco mica ad anticipare le vostre mosse»
E invece lui c’era riuscito, e lei era stata così assorta nella propria decisione che non aveva capito che lui le stesse leggendo la strategia come si fa con un libro per bambini.
Silenziosamente prese il mazzo di chiavi che giaceva immobile sul tavolino e uscì velocemente dalla stanza, lasciandosi le domande alle spalle.

Cutler assottigliò gli occhi grigi appena Eris sgattaiolò via.
Quando si fu assicurato che nessuno fosse più nelle vicinanze, prese una chiave dall’interno della sua manica e aprì il cassetto della scrivania.
Dentro, documenti sancivano l’esecuzione di 8 civili.
Pirati o meno, quei manigoldi avevano ben nascosto le loro identità e i dati li classificavano senza dubbio come cittadini onesti e laboriosi di Port Royal.
Tutti tranne uno.
Con un ghigno malefico prese l'unica cartella con scritto Esecuzione Eseguita e avvicinò la carta alla candela sospesa in aria e agganciata al soffitto.
L’uomo cui l’esecuzione era stata effettuata quel pomeriggio stesso fu l’unico ad essersi dichiarato come Pirata. Un certo Teveren Zennyed.
Ovviamente il nobile poteva anche concedersi di far fuggire otto finti piratuncoli ma, la sfida che vide negli occhi di Teveren, no, quella non poteva proprio lasciarsela sfuggire.
Lo aveva guardato per tutto il tempo e Lord Cutler Beckett adorava guardare la trasformazione di uno sguardo.
L’aveva mostrato con così tanto orgoglio all’inizio e poi, con l’avvicinarsi dell’esecuzione era diventato sempre più incerto, sempre più velato fino a raggiungere il suo apice.
Lord Cutler Beckett aveva tanti interessi ma quello che gli stava più a cuore era, sicuramente, vedere lo spegnersi di uno sguardo. Uno sguardo che inizialmente aveva avuto il coraggio di sfidarlo apertamente.
E, con un pensiero malato, si rese conto che non vedeva l’ora di osservare come gli occhi scuri e ipnotici della ragazza perdevano la loro forza e si piegavano a lui.
  
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