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Autore: Nykyo    22/07/2016    0 recensioni
Dorian amava la biblioteca di Skyhold. A volte si infuriava, trovandola caotica e disordinata, e faceva il possibile per rimediare, ma quell’angolo del castello era di gran lunga il suo preferito, anche perché era un ottimo “punto di vedetta”. Un luogo di passaggio per gli agenti dell’Inquisizione, per gli studiosi o per i maghi come lui in cerca di testi specifici, così come per le spie che si recavano a fare rapporto e, naturalmente, per l’Inquisitore. Lavellan spesso andava a trovarlo o percorreva svelto, quasi trottando, la balconata circolare, diretto al piano di sopra alla voliera per consultarsi con Leliana e affidare un messaggio alle ali scure dei corvi.
Era la prima volta, però, che Dorian vedeva il Comandante Rutherford aggirarsi tra gli scaffali carichi di tomi di ogni tipo. Non che ritenesse l’ex Templare un bruto incolto, ma non gli era mai successo di poterlo osservare mentre era intento nella ricerca di un libro, e per di più al di fuori della sezione dedicata alle armi, alla strategia e alle tecniche di battaglia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cullen, Dorian Pavus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3. Dell'importanza dei piccoli gesti

 

La prima sensazione che Dorian provò svegliandosi fu di tepore. Il che era strano, perché se c’era una cosa a cui non si era mai abituato da quando aveva lasciato il Tevinter quella era il clima. E Skyhold era appollaiata come una civetta delle nevi in cima ai monti.

Le notti al castello erano sempre fredde, a meno di non trovarsi sotto un buono strato di coperte o di non avvolgersi in un mantello abbastanza spesso. Dorian non era nel suo letto e non era solito indossare mantelli, eppure, anche se l’essersi assopito su una poltrona era stata un’idea pessima per i muscoli indolenziti del suo collo, si sentiva avvolto da un piacevolissimo calore.

Aprì gli occhi, stiracchiando appena le spalle, e cominciò a mettere a fuoco ciò che aveva davanti a sé, ossia il solito scaffale carico di libri.

Il volume che era stato intento a leggere prima di crollare addormentato era sparito ma lui non ricordava di averlo riposto. Anzi, era abbastanza certo di averlo avuto in grembo mentre cedeva al sonno. Qualcun altro doveva averlo messo via.

Mosse di nuovo le spalle per alleviare l’intorpidimento dei muscoli e finalmente fu sveglio a sufficienza da rendersi conto che chi si era occupato del libro aveva anche coperto lui con una spessa cappa scura.

Il mantello era stato drappeggiato per tenerlo il più possibile al caldo. Chiunque gliel’avesse messo addosso si era curato di coprirlo soprattutto dal lato in cui la sua veste lasciava un braccio scoperto. Già solo quel dettaglio denotava un intento gentile che sarebbe bastato per far sentire Dorian un po’ sciocco e lusingato, anche senza bisogno di capire a chi appartenesse. Ma su quell’ultimo particolare non potevano esserci dubbi. Il tipo di pelliccia foltissima che lo ornava, le linee dorate che impreziosivano la stoffa color ruggine; una sola persona in tutta la fortezza indossava un mantello simile: il Comandante Cullen.

Dorian sospirò e riabbassò per un istante le palpebre.

Era davvero difficile svegliarsi in quel modo e non abbandonarsi nemmeno per un secondo a desideri pericolosi. Specie perché, ora che il cervello gli si stava snebbiando dai fumi del sonno, iniziava a rendersi conto che alcune delle cose che credeva di aver soltanto sognato dovevano essere successe davvero.

Cercò di riordinare le idee e di richiamare alla mente le immagini confuse del dormiveglia in cui, evidentemente, doveva essersi accorto che Cullen lo stava ricoprendo con il proprio mantello.

Non ricordava molto. Era più semplice passare in rassegna le memorie di quella parte della nottata precedente in cui era stato ancora del tutto sveglio e presente a se stesso.

Rammentava di aver trascorso ore e ore chino su diversi tomi riguardanti la magia, il Velo, l’Oblio e l’antico Tevinter, alla ricerca di qualcosa, qualunque cosa, che desse all’Inquisizione un vantaggio contro Corypheus e che aiutasse lui a sentirsi meno inutile e disgustato da una parte della storia del suo paese natale.

Amava il Tevinter con tutta l’anima, avrebbe dato la vita pur di vederlo riformato ed era pronto a replicare a testa alta a qualunque pregiudizio, accusa o attestazione di disprezzo contro l’Impero e i suoi abitanti, ma vedere quanta verità di base c’era anche dietro la più ingiusta calunnia rivolta alla sua gente lo feriva sempre nel profondo. Non fosse stato per altro, si sarebbe comunque battuto accanto all’Inquisitore fino all’ultimo respiro, soltanto per dimostrare al mondo intero che un mago del Tevinter poteva avere un onore e intenti nobili e meritevoli di rispetto. Se per riuscirci, oltre a versare il proprio sangue in battaglia, doveva trascorrere una o più notti in bianco intento a leggere e rileggere un migliaio di libri, beh, pazienza.

A parte quello a Skyhold si sentiva a casa come raramente gli era accaduto perfino in  patria. Nell’Inquisizione si era fatto amici sinceri a cui voleva bene più di quanto avrebbe mai creduto. Corypheus minacciava tutto ciò a cui Dorian teneva e lui era disposto a fare qualunque sacrificio, pur di fermarlo.

Addormentarsi su una poltrona in una posizione scomoda che gli avrebbe fatto venire il torcicollo era davvero il meno. Quindi, sì, Dorian aveva passato la notte a leggere, come parecchie altre volte in precedenza. Di quello era sicuro al cento per cento.

Ricordava anche di non essere stato da solo. Che Cullen fosse stato con lui in biblioteca non c’erano dubbi, anche a prescindere dal fatto che aveva lasciato lì il suo mantello.

Tenergli compagnia mentre Dorian studiava era una cosa che Cullen aveva preso l’abitudine di fare negli ultimi tempi. Che fossero o meno in vena di chiacchiere, mettevano insieme le forze e collaboravano. Si passavano i libri prendendoli a turno dagli scaffali e, in genere, sfogliavano tomi diversi, dividendoseli per categorie, in modo da fare prima. Erano spesso trattati sulla magia o addirittura grimori contenenti formule e incantesimi, e il fatto che Cullen fosse stato un Templare aiutava parecchio. Forse non era in grado di cogliere ogni singola sottigliezza, però conosceva la magia e comprendeva le dinamiche storiche riguardanti i maghi molto meglio di quanto un comune guerriero avrebbe mai potuto fare.

Studiare con lui era un esperienza inaspettata ma proficua. Inoltre era servito a conoscerlo meglio.

Ogni tanto Dorian si chiedeva se, proprio come per lui era un sollievo usare le sue conoscenze dirette riguardanti il Tevinter per ricavarne qualcosa di buono, anche per Cullen fosse catartico trasformare il proprio bagaglio tecnico di Templare in uno strumento volto esclusivamente al bene. Se Dorian non aveva frainteso del tutto il carattere del Comandante, la risposta a quella domanda era affermativa. Dorian ne era felice per lui.

La prima volta che Cullen aveva proposto di passare qualche ora in biblioteca a dare una mano, Dorian era stato scettico sulla possibile durata di un simile sodalizio. Si era detto che di sicuro Cullen stava solo cercando un’ulteriore maniera di distrarsi dai suoi problemi di incubi e insonnia e che, però, si sarebbe stufato presto di trascorrere tanto tempo con il naso infilato dentro un libro sulle genealogie dei Magister o sulla corruzione degli antichi Dei. O che a furia di leggere quella roba avrebbe deciso che in fondo la gente del Tevintter era davvero tutta meritevole di disprezzo.

Invece Cullen aveva continuato a tornare, quasi ogni sera, e si era fatto sempre più amichevole a ogni incontro.

A volte lui e Dorian lavoravano scambiandosi opinioni, altre in silenzio, ma pur sempre con un affiatamento inatteso. Così facendo spesso alla fine rimanevano da soli in una biblioteca deserta.

In più di un’occasione Dorian si era ritrovato a desiderare che il momento in cui chiunque altro sloggiava arrivasse il prima possibile e, nello stesso tempo, a darsi dello sciocco per averlo pensato. Eppure, anche quando ripeteva a se stesso di non farsi illusioni, alla fine era felice di quegli attimi di calma in cui lui e Cullen avevano tutta la balconata a disposizione. Il silenzio, rotto solo dal gracchiare dei corvi nella voliera al piano di sopra, e quella sorta di intimità che si veniva a creare erano preziosi ma anche potenzialmente molto rischiosi. Dorian tendeva a riempirli d’istinto, celiando con tono leggero o iniziando conversazioni su argomenti almeno in apparenza futili e vanesi.

Cullen stava al gioco, probabilmente lieto di poter posare per un po’ il fardello del suo ruolo ufficiale e scordarsi momentaneamente di tutte le questioni fin troppo serie e pressanti di cui doveva occuparsi durante il giorno.

Dorian avrebbe voluto dirsi che quei battibecchi scherzosi e senza pretese servivano davvero a tenerlo alla larga da certi pensieri e tentazioni, ma sarebbe stata una bugia di quelle belle grosse.

Ci provava, si sforzava di convincersi che era meglio prendere le cose con un certo distacco e limitarsi a godere l’attimo. Peccato che poi gli accadesse di ritrovarsi a fissare il profilo di Cullen da sotto le ciglia, in quei momenti in cui il Comandante era distratto e guardava altrove.

Che lo trovasse bello era la cosa meno preoccupante. Ciò che davvero avrebbe potuto significare dolore a venire era il fatto che quando Cullen rideva per merito suo l’ego di Dorian si gonfiava più del dovuto e faceva la ruota come un pavone. E quando invece la stanchezza, le preoccupazioni e la sofferenza si affacciavano sul viso di Cullen, Dorian provava l’impulso di fare qualcosa, qualunque cosa, per farle sparire almeno per un istante.

Era un pessimo segno, Dorian lo sapeva ma dubitava che a comportarsi come un vigliacco e fuggire via, evitando ogni occasione di incontro, il suo cuore e la sua mente si sarebbero placati sul serio. Si limitava a non interrogarsi troppo sui propri sentimenti e a cercare di correggersi di tanto in tanto, quando l’istinto lo spingeva su una china troppo emotiva o quando la voglia di lasciarsi andare completamente era troppo pressante.

Non sempre era facile, però. Un conto era mascherare il proprio lato più tenero mostrandosi sempre in vena di scherzare e di ironizzare su tutto e su tutti, un altro era rimanere impassibile davanti alle confidenze che Cullen sembrava avere il vizio di fargli senza troppi preamboli e sempre quando la sua guardia era abbassata.

Diverse notti prima, ad esempio, Dorian gli aveva domandato se stesse prendendo il sonnifero regolarmente e se lo trovasse efficace e ne traesse giovamento. La risposta di Cullen era stata una di quelle su cui era impossibile glissare con l’aiuto di un po’ di educato sarcasmo.

«A volte non lo prendo» aveva detto, «ma vi ringrazio, quando lo uso le mie nottate sono sempre tranquille.»

Dorian si era informato sui motivi di quella scelta, più altro perché, malgrado sapesse che non ce n’era motivo, per un momento si era sentito toccato come se quella fosse una prova di sfiducia nei suoi confronti.

Cullen aveva serrato la mascella e inspirato a fondo. «Certe notti ho bisogno di restare sveglio e ricordare. È giusto così. Ho fatto molti errori in passato, non prendere più il Lyrium è uno dei modi che ho scelto per rimediare e diventare una persona migliore, ma alcune cose… non credo di avere ancora il diritto di perdonarmi per tutto e di dormire solo sonni sereni.»

«Perciò volete punirvi e vi sembra una buona idea rinunciare all’aiuto che vi ho offerto e torturarvi per espiare chissà quali orribili colpe? E io che pensavo che aveste solo paura di bere i miei malvagi intrugli da mago del Tevinter.»

Anche nel ricordarla quella risposta suonava più collerica che ironica, come se Dorian nel darla si fosse lamentato per aver ricevuto un affronto personale. La verità era che gli era parso ingiusto che, in aggiunta al supplizio dell’astinenza, Cullen si sottoponesse a quel tipo di castigo autoinflitto.

Rammentava di aver protestato ulteriormente, anche se non avrebbe saputo dire con quali parole esatte. Poi Cullen aveva abbassato lo sguardo e quando l’aveva risollevato aveva cominciato a parlare con lentezza e gli aveva raccontato tutto ciò a cui le voci di corridoio avevano solo accennato.

Dorian sapeva di essere uno dei pochi che conoscevano il passato di Cullen e sul momento si era sentito in colpa, come se quella confessione fosse stata estorta. Quando, però, il giorno dopo era andato a cercare Cullen e si era scusato, dicendogli che non era stata sua intenzione costringerlo a parlare di un argomento tanto doloroso, Cullen aveva scosso il capo e gli aveva proposto di fare due passi lungo i bastioni.

«A dire il vero, dopo avervene parlato mi sento meglio.» Aveva perfino accennato un mezzo sorriso. «Anche se immagino che ora la vostra opinione nei miei confronti sia peggiorata.»

Che idea sciocca! Dorian capiva il perché di una simile supposizione e si rendeva conto che Cullen doveva aver pensato che le sue rivelazioni sarebbero state ancora meno ben accette da parte di un mago. Il che non toglieva che Cullen avesse avuto torto. Semmai il rispetto che Dorian provava nei suoi confronti era cresciuto.

Sfiorando la stoffa del suo mantello con le dita, Dorian ripensò a come aveva provato a spiegarglielo e a come era finito a confidarsi a sua volta, parlandogli del Tevinter, delle proprie inclinazioni e dei problemi con la sua famiglia.

Il ricordo più vivido che Dorian aveva di quel giorno – non sapeva bene il perché – era del momento in cui non c’era stato più nulla da confidare o da aggiungere, nemmeno una battuta per stemperare l’emozione, e lui e Cullen anziché congedarsi erano rimasti fianco a fianco, in silenzio, a osservare il via vai continuo nei cortili del castello e le cime innevate all’orizzonte. In quell’istante Dorian era stato certo come non mai di aver fatto la scelta giusta e di trovarsi nel posto giusto.

Nel momento attuale la sensazione che provava era la stessa, ed era addirittura acuita dal calore che lo avvolgeva.

Chiuse gli occhi e, come in un lampo di reminiscenza, gli parve di avvertire dita gentili che gli sfioravano il collo e uno zigomo, senza quasi toccarli davvero.

L’aveva soltanto sognata quella carezza? Non aveva mai osato neanche immaginare che Cullen potesse interessarsi a lui e comunque il Comandante non sembrava il tipo che si lasciava andare a gesti così sentimentali. Almeno in apparenza Cullen era compassato e rigido, tagliato con l’accetta in un solido blocco di marmo.

Dorian però sapeva che spesso l’apparenza poteva ingannare e che Cullen, quando lasciava che gli altri gli si avvicinassero abbastanza da conoscerlo, riservava parecchie sorprese.

Con le dame che godevano della sua fiducia, a cominciare dai due membri del consiglio di guerra, in diverse occasioni si era dimostrato un uomo compito, se non proprio galante. La sua, per quel che Dorian aveva avuto modo di osservare, era sempre stata una cortesia estrema che non aveva nulla a che fare con un eventuale interesse amoroso.

Una carezza sul viso era qualcosa di particolare. Dorian sapeva che quello era un gesto che difficilmente veniva compiuto da chiunque con leggerezza, per pura cavalleria e gentilezza. Si accarezzavano in quel modo i figli o gli amanti.

Nel resto del Thedas le relazioni tra persone dello stesso sesso sembravano essere accettate con maggior libertà che nel Tevinter, anche quando erano pubbliche. Bastava non esagerare nelle ostentazioni. Il che non significava che, se Dorian non si era limitato a sognarlo, il tocco di Cullen fosse privo di significato. Anzi, semmai era vero il contrario.

Averlo coperto con il suo mantello, per proteggerlo dal freddo pungente delle notti di Skyhold, quello poteva dirsi un mero atto di generosità. Il resto era qualcosa a cui Dorian non riusciva a pensare senza sentire il cuore che iniziava a correre troppo svelto.

Se la sua era una fantasia la diceva lunga sui desideri che covava dentro di sé e se invece non lo era, come doveva comportarsi al riguardo? Doveva fingere di non essersi accorto di nulla? Farsi frenare dal timore di esporsi e di scoprire che, ancora una volta, si stava illudendo? Rammentare a se stesso che il piacere era il massimo che potesse trovare tra le braccia di un altro uomo?

Dorian sospirò, nel silenzio della biblioteca vuota, e scosse il capo.

Non poteva fuggire, aveva bisogno di risposte. Se fosse stato davvero un codardo sarebbe rimasto nel Tevinter, eavrebbe chinato il capo, obbedendo ai suoi genitori. Si sarebbe sposato con qualunque maga di alto lignaggio la sua famiglia gli avesse destinato e avrebbe diviso con lei il letto quel tanto sufficiente ad avere un erede, a costo di morire dentro. Invece era stato testardo e fedele a se stesso. Il bisogno disperato di cambiare le cose e di smetterla di vivere nella menzogna l’aveva spinto a osare.

Provava dei sentimenti per Cullen, forti al punto che gli bastava premersi sul viso la stoffa del mantello e inspirare il suo odore per sentirsi lo stomaco annodato troppo stretto. Confessarglielo avrebbe potuto spezzare la loro amicizia, ed era un legame a cui Dorian teneva molto. Non era facile decidere di rischiare, però era necessario. Dorian lo doveva a se stesso. Basta finzioni, basta paura. Aveva bisogno di vivere e di sperare.

L’indomani avrebbe parlato con Cullen. Nel frattempo, anche se farlo significava esporsi al pericolo di soffrire, la sola cosa che voleva fare era crederci e godersi l’abbraccio tiepido del mantello che Cullen aveva voluto lasciargli.

Dorian ci si avvolse ancora più stretto e chiuse gli occhi. Non era certo di riuscire a riaddormentarsi, ma in un certo senso stava già sognando.

   
 
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