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Autore: MercuryMike    23/07/2016    1 recensioni
Patrick. Un ragazzo come tanti. Mattine impegnate in un lavoro continuo, poco tempo per le proprie passioni. Vive da solo, nel suo appartamento. Lo considera un "luogo privilegiato" da dove poter contemplare il mondo nella sua solitudine. Qualcosa, però, cambierà tutto improvvisamente... l'imprevisto è dietro l'angolo e, stavolta, è toccato a lui doverne saper cogliere i segnali. Il gioco del domino ha avuto inizio e lui è al centro del disegno. Una storia a cavallo tra le libertà e i limiti di una persona "fuori dal comune".
Genere: Avventura, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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1. L'Elisir

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Ciao! Questo è il primo capitolo della mia nuova storia "Freedom In Letting Go". Se il capitolo ti piace, ricordati di recensire e condividere la storia in giro: magari piace anche ai tuoi amici!

- MercuryMike -

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La sveglia.
Quanto odio la sua fredda e tremenda puntualità la mattina. Ogni giorno, sempre alla stessa ora, cerca di svegliarmi finchè la batteria glielo permette. Ogni mattina, sempre alla stessa ora, deve ricordarmi che ho una vita e che stavo sognando, anche stanotte.
Inizio a ringhiare contro quel display come una belva feroce. Non ne ho voglia. So che non ne avrò comunque. "Ma Patrick, i soldi sono soldi", ricorda la mia coscienza. E io le ricordo volentieri che può anche andare a farsi fottere, per quello che mi riguarda in questo momento.
Sbadiglio, mentre i miei occhi chiedono di essere stropicciati ancora una volta. Sbadiglio nuovamente mentre scosto le lenzuola dal mio corpo nudo e, ancora, appena infilo le ciabatte ai piedi, pronto a lasciare definitivamente quel posto perfetto, la patria della mia calma notturna, per dirigermi in cucina: posto ben meno accogliente. Passo dopo passo, lentamente, arranco nella penombra dovuta alle tapparelle abbassate. Continuo senza energie, sorreggendomi con una certa forza alle strutture dei divani, poi al muro, al tavolo e, finalmente, al ripiano della cucina. Il problema non è certamente il buio, ma le poche energie rimastemi. Ultimamente proprio non ho voglia di fare nulla, nemmeno di andare a lavoro. Se non fosse perché il mondo gira grazie ai soldi, non mi farei forza ogni mattina per gettare via il pensiero di licenziarmi e darmi alla vita del clochard. Diventare un emarginato non è esattamente la mia aspirazione attuale, in effetti, e anche l'affitto non si paga certamente da solo.
Rimango a pensare alla mia situazione, fissando il vuoto tra la caffettiera e il fornello della cucina. Dopo l'ennesimo sbadiglio decido che forse è ora di preparare l'arnese per il suo quotidiano compito di "estrattore di linfa", come lo chiamo io. Lo so, sono una persona strana, ma, per me, è proprio quello che fa. Parte dalla semplice acqua, la trasforma nella più leggera delle forze magiche e la sfrutta per generare dal nulla energia a rapido utilizzo, la linfa delle mie mattine, l'elisir di non licenziamento. Accendo il fornello e mi avvicino alla finestra, mentre attendo che la magia sortisca il suo effetto. Le mie narici si accorgono subito dell'inizio del processo, inebriando per qualche minuto il mio corpo immobile. Così, mentre alzo le tapparelle della finestra principale, l'aroma del nettare nero si fa largo per casa, risvegliando i miei sensi ancora intorpiditi dal sonno e dalla precedente, monotona, assurda giornata di lavoro sfiancante. Tocca poi all'udito percepire il liquido sfiorare il bollore, tentare la fuga dai limiti metallici della macchina che lo ha riportato al mondo, che lo ha generato in così poco tempo. Spengo in fretta il fornello e, con un cucchiaino, inizio a girarlo dentro alla caffettiera. Tocca infine alla mia tazzina completare l'opera, accogliere il liquido nero, mescerlo con un po' di zucchero e, infine, attrarsi alle mie giovani labbra e sfiorare con delicatezza i centri del mio tatto prima e del mio gusto poi. Così, con tutti i cinque sensi risvegliati, sorso dopo sorso, la mente smette di essere annebbiata e chiarifica la situazione, ritrovando la forza di organizzare i miei impegni ancora una volta. Sbadiglio un'ultima volta, prima di osservare l'orologio appeso alla parete davanti a me. Sono le 6:30 del mattino. Ho tutto il tempo di fare una doccia, trovare lentamente i vestiti, uscire di casa e andare a lavoro. Solo... ancora non ne ho la minima voglia.

Torno in camera, lasciando che il vento di inizio luglio accarezzi dolcemente tutto il mio corpo. Mentre frugo tra i cassetti alla ricerca di ogni singolo pezzo d'abbigliamento che, al momento, non ho il minimo interesse ad indossare, ogni centimetro della mia pelle si ritrova rinfrescata e al contempo ridestata. Usando l'avanbraccio sinistro come un appendiabiti, inizio a impilare i tessuti. Un paio di jeans, una camicia bianca tra le più leggere che ho, gli immancabili calzini e i boxer più comodi che riesco a trovare. Inizio a ritrovare un po' di forze, grazie agli effetti miracolosi del caffé, mentre mi reco a passo un minimo più deciso verso il bagno. Lascio tutto sopra il mobile vicino alla doccia, sempre sgombro per l'occasione, prima di sistemare anche l'accappatoio e, molto rapidamente, chiudere il vano doccia e aprire il rubinetto. Schivo i primi getti, lasciati appositamente poveri d'acqua per evitare l'ibernazione, mentre sposto sifone e manopola, nell'attesa che la temperatura sia quella che voglio. Passato poco più di un minuto, sistemo nuovamente il sifone al suo posto e ingrosso il getto d'acqua. Lascio che la sinfonia delle gocce che cadono accompagni i miei movimenti, mentre la loro danza riscalda lentamente la pelle. Mi lascio inebriare da quelle sensazioni, dal mio purificarmi dai resti della giornata di ieri, dalla storia testimoniata da smog, polvere e cellule morte che sto lavando via dalla tela che è la mia pelle. Lavo lentamente i capelli, poi il collo, le spalle, le braccia e il petto. Accarezzo con la spugna anche i miei addominali, scendendo sempre più in basso. Sfrego attentamente nei punti difficili da lustrare, mi sposto sulle cosce, poi sui polpacci e, infine, sfrego anche le punte dei piedi. Attendo che l'acqua passi a disciogliere anche il velo di sapone che mi ricopre, torni a bagnare i capelli umidi e a riscaldarli ancora, attraversandoli con tocchi leggeri. Pronto alla vestizione, non mi resta che tornare asciutto. Apro lo sportello della doccia e, posizionandomi sul tappeto immediatamente davanti, prendo l'accappatoio e lascio che assorba le ultime gocce in fuga. Accendo l'asciugacapelli per rimuovere il velo di vapore che appanna lo specchio, e scoprire in che condizioni mi presenterò a lavoro. I miei capelli corvini sono i primi a rivelarsi, seguiti dal mio sguardo stanco. Le iridi grigie si fissano attraverso il sottile strato vitreo, le guance ricoperte da un sottilissimo accenno di barba si rivelano alla visione periferica. Appena mi accorgo di non aver più bisogno di tenere l'accappatoio addosso, lo lascio cadere senza grazia sul tappeto, ritrovando la libertà della mia privacy prima di coprirmi ancora. Asciugo i capelli lentamente, cercando di modellarli un minimo, in modo che non vadano ovunque nel processo. Non voglio sembrare un'istrice davanti al mio capo e non sarebbe la prima volta che succede, se oggi decidessero di non volerne sapere.

Mi giro, iniziando a vestirmi. Chiuso l'ultimo bottone della camicia, prendo l'accappatoio da terra, lo appendo dietro alla porta e torno in camera per prendere le ultime cose. Metto le scarpe di sempre, solo leggermente scalfite dal marciapiede e dall'asfalto del parcheggio. Sono ancora nuove, a un primo sguardo, tanto che perfino andando a cercare con minuzia i graffi viene difficile trovarli tutti immediatamente. Fatto l'ultimo nodo ai lacci mi sposto in ufficio, prendo la borsa con il portatile e torno in cucina a rimettere la tazzina nel lavello, in modo da non lasciare caos in casa. Chiudo le tapparelle della finestra in salotto, prima di cercare le chiavi nello svuotatasche. Come al solito, per la fretta, dimentico la regola principale del mio ufficio: presentarsi con la giacca. Non è una regola scritta, ma tutti lo fanno. Chiunque sia colto nell'atto di uscire dall'ascensore privo del "pregiato" capo viene accolto immediatamente con gli anatemi più impegnati e le occhiate più fredde. Poggio un attimo la borsa per infilare la giacca blu a due passi dalla porta di casa. Preso nuovamente tutto il necessario, inizio a chiudere le porte e le finestre più vicine, nella speranza che nessun altro le apra in mia assenza. Così, pronto a partire anche oggi, mi blocco, mentre un senso di inerzia mi impone di stare lì, fermo, a pensare a un'alternativa.
"Il tuo lavoro non si farà certo da solo" dice una parte della mia coscienza.
"Ma può sempre farla qualcun altro..." risponde prontamente l'altra.
"Sai che nessuno ti verrà incontro, stavolta... come sempre...".
"Ma possono anche fare uno strappo alla regola, no?".
"Sai che non è possibile. Vuoi ricevere una chiamata dal capo? Sei sicuro?".
"No, non c'è bisogno che mi ricordi cosa è successo l'ultima volta...".
"Ecco, bravo. E poi sei pronto. Sei vestito, profumato, pulito. Pronto a sudare come un maiale anche oggi, perchè il riscaldamento non funziona, i ventilatori hanno la stessa utilità di un foglio di carta velina come ventaglio e la collega che ti sta vicino pare appena uscita dalla sagra dell'aringa...".
"Riuscirò a sopportare tutto questo?".
"Non lo fai da sei anni, più o meno? Dovresti essere abituato, no?".
"Non lo si è mai abbastanza...".
"Hey, lo senti?".
"Cosa? Che dovrei sentire ancora..."
rispondo interiormente, seccato.
"Il richiamo del tuo prossimo stipendio... danaro sonante. Dindi pronti a essere conservati, impiegati, investiti... magari in una cena... magari con una ragazza... o anche un uomo...".
"Sono così disperato?".
"Forse... chi può saperlo... Ma non cambia la situazione...".
"Cioè?".
"MUOVI IL CULO, GENIO!".

Proprio in quel momento interrompo la mia conversazione interiore. Un suono ormai da tempo dimenticato mi riporta alla realtà, mentre la chiave è infilata nella serratura, mentre la mia mente torna ad evitare il delirio della solitudine mattutina. Un richiamo lontano nel tempo e nell'esperienza... una senzazione che non provavo da tempo. Il mio corpo fremeva... Qualcuno aveva suonato il campanello di casa mia.

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Ti è piaciuto il capitolo? Allora recensiscilo per farmi sapere cosa ne pensi! Se ti va puoi anche condividere la storia in giro: per me è molto importante.
- MercuryMike -

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