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Autore: _Kiiko Kyah    23/07/2016    2 recensioni
Ambientata nove o dieci anni dopo il finale "Forgotten Portrait".
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«Chi sei?» chiese, senza disturbarsi di abbassare la voce per non farsi sentire dai pochi visitatori che erano nella sala con lei. «Perché non riesco a smettere di pensarti?» continuò invece ad interrogare, rivolta a nessuno in particolare, perché non poteva certo essere folle abbastanza da parlare con il quadro.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ib
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Ib si svegliò di soprassalto quella mattina. I capelli morbidi e castani erano scompigliati come non mai, la stanza insolitamente fredda, nonostante la ragazza stesse sudando.
Si diede un’occhiata e si accorse di essere vestita. La schiena le faceva male; si era addormentata seduta alla scrivania, ripiegata sul legno del tavolo. Fissò per un momento la matita viola che le era scivolata di mano durante la notte, e posò gli occhi rossi sul foglio davanti a sé.
Strinse la labbra e spinse la scrivania in modo istintivo, facendo rotolare via la sedia da ufficio. Si alzò rapidamente in piedi – ma non balzò, perché un movimento così improvviso non le apparteneva – e afferrò dei vestiti puliti e una spazzola dalla sua toeletta.
Uscì dalla camera, diretta in bagno, lasciando sulla scrivania, ricoperto dalle matite che la spinta aveva rovesciato, il suo disegno: una copia quasi identica del Ritratto Dimenticato di Guertena.

***

Weiss Guertena era l’artista preferito della giovane Ib. La ragazza non era mai stata in grado di spiegare il perché, ma si era sempre sentita attratta alle sue opere così surreali e talvolta macabre.
Era felice che le sue opere fossero spesso messe in mostra in un luogo vicino a lei. Ogni qualvolta ne aveva l’occasione, le andava ad ammirare.
Ib era una studentessa d’arte, e amava ricopiare le sue opere preferite. Con il passare degli anni, però – ne erano trascorsi almeno otto o nove da quando aveva cominciato a dipingere lei stessa – aveva notato che non le riusciva mai di riprodurle come si deve. Ogni qualvolta ci provasse, infatti, il risultato era decisamente più mostruoso dell’originale.
C’era una sola eccezione: il Ritratto Dimenticato. Ricordava la prima volta che aveva visto quel quadro. Era stata anche la prima volta che aveva visto la mostra in sé; e ricordava di aver provato una forte sensazione di angoscia.
Era l’opera sulla quale si soffermava più a lungo ogni volta che andava a visitare la mostra. Scrutava con attenzione quel dipinto, e spesso le era quasi parso che esso le stesse parlando.

Ridicolo, vero?

Ma ultimamente la situazione si stava facendo strana.
Non era importante quanto provasse a disegnare qualsiasi altra cosa: ormai sembrava che le sue mani non riuscissero a creare niente altro che una copia di quel dipinto.
Quando l’immagine di quel quadro aveva cominciato ad apparirle in sogno, sempre più spesso, Ib aveva capito che qualcosa non andava.

«Dove vai, tesoro?» udì a malapena sua madre gridarle dietro dalla cucina mentre camminava svelta verso la porta di casa.
«Il museo.» rispose distrattamente infilando la sua giacca rossa preferita.
La donna ridacchiò leggermente. «Di nuovo? Ormai vivi lì!» commentò scherzosamente, e nessuno la sentì; Ib era già uscita.


***

La ragazza aveva una vago fiatone quando arrivò alla sala del museo che era la sua destinazione. I suoi occhi non dovettero vagare per trovare ciò che stava cercando – ormai conosceva la disposizione delle opere a memoria – e si posarono immediatamente sul quadro in questione.
Tra le sue dita c’era il quadernino su cui era solita appuntare le caratteristiche e la storia di ogni quadro che studiava, e lo stava stringendo tanto forte che le sue nocche, già pallide di carnagione, erano diventate bianco latte.
Fece qualche passo per essere il più vicina possibile al dipinto. Percorse con lo sguardo la cornice dorata, e guardò fugacemente la targhetta con titolo e didascalia. Poi, alzò finalmente gli occhi sul dipinto.
Su uno sfondo bianco stava la figura, dipinta a tratti dolci e sinuosi, di un giovane uomo accasciato per terra, come un corpo senz’anima. Il viso era però sollevato e la sua non molto folta chioma di riccioli viola non nascondeva i sottili e fin troppo femminei occhi grigiastri che sembravano scrutare nell’anima di chi lo osservava.
Un numero indefinito di petali blu sedevano intorno al giovane, che nella mano bianca ed affusolata teneva stretta una rosa dello stesso colore.
Ib ascoltò il proprio respiro per qualche secondo, mentre i suoi pensieri viaggiavano rapidi. Niente di tutto ciò che sapeva di questo quadro poteva spiegare l’effetto che esso aveva su di lei. In questo momento, come sempre, il sangue sembrava scorrerle più lento nelle vene, il petto le si stringeva di malinconia, un sentimento che non di cui non era mai riuscita a comprendere il motivo.
Guertena era bravo, bravissimo, il migliore artista di sempre nella sua opinione; ma non era possibile che l’attrazione che provava per quel ritratto fosse solo merito di quella bravura. Vero?
«Chi sei?» chiese, senza disturbarsi di abbassare la voce per non farsi sentire dai pochi visitatori che erano nella sala con lei. «Perché non riesco a smettere di pensarti?» continuò invece ad interrogare, rivolta a nessuno in particolare, perché non poteva certo essere folle abbastanza da parlare con il quadro.

No?

«Perché mi sembra di conoscerti?» Guertena era morto ben prima della nascita di Ib. Nessuno dei personaggi dei suoi ritratti poteva essere qualcuno di sua conoscenza, vero?
Il tono calmo della ragazza cominciò a vacillare quando ripeté, «Chi sei?»
I suoi occhi rossi si fissarono su quelli in vernice grigia e quasi translucida del quadro, e rimasero fermi ad osservarlo. Ib non si accorse di star lentamente sollevando il palmo verso la tela.
«Chi...?»
Ib era abituata a sentirsi definire “strana”. Forse lo era davvero. Aveva la certa particolarità di non cambiare quasi mai espressione; era in grado di provare ogni tipo di sentimento, tuttavia era come se i suoi muscoli facciali non volessero lavorare, lasciandola con un’espressione quasi sempre indifferente.
Nel momento esatto in cui le sue dita sfiorarono la tela del Ritratto, però, sentì le sue palpebre spalancarsi come non era consapevole potessero, tanto che i muscoli delle tempie cominciarono a farle male.
Non sapeva perché i suoi occhi si riempirono di lacrime, né sapeva perché le sue orecchie sembravano sorde alla sirena di allarme che riempì la sala, e probabilmente tutto il museo.
Si accorse a malapena del trambusto che si formò rapido intorno a lei, e continuò a fissare il quadro, il suo palmo posato su di esso con tale delicatezza che avrebbe potuto star toccandolo con un fiore anziché la sua mano.
«Signorina, devo chiederle di allontanarsi dal dipinto.» le disse una voce che non avrebbe potuto descrivere, proprio mentre una lacrima le scivolava lungo la guancia.
Ignorò la voce e si sorprese del singhiozzo che le scappò dalle labbra.
«Signorina!» insistette la voce, stavolta afferrandole il braccio sollevato a strattonandola via.
Le palpebre le si aprirono ancora di più. «No!» gridò senza rendersene conto, divincolandosi bruscamente dalla presa di quella mano che, capì più tardi quando la sua mente si fece più lucida, apparteneva ad una guardia del museo, allertata dall’allarme. Intorno a loro, varie persone li fissavano bisbigliandosi qualcosa l’un l’altro.
Ib non smise di guardare il quadro. «Lui... Lui-» cercò di parlare, ma tutto ciò che uscì furono parole sconnesse e frasi insensate. Allungò di nuovo la mano, che le fu intercettata prima che potesse toccare di nuovo la tela.
Le braccia della guardia si avvinghiarono alla ragazza tremante, che registrò a malapena le parole che l’uomo stava borbottando nel walkie-talkie appeso alla sua spalla riguardo ad una crisi isterica, un attacco di panico, forse una lieve psicosi, o qualcosa del genere.
«Deve venire con me, signorina.» le comunicò poi l’uomo.
La ragazza non smise per un momento di dimenarsi, allungandosi come poteva verso il quadro che stava diventando sempre più lontano man mano che la guardia la trascinava via. «No!» tentò di protestare, «Mi lasci! Mi lasci andare!» tentò di chiudere gli occhi, inutilmente; le cornee cominciarono a bruciarle. La sua mente le suggerì una parola che lei non esitò a gridare, ancor prima di averla assimilata: «Garry!»















 
  
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