Anime & Manga > Saint Seiya
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Autore: Francine    25/07/2016    4 recensioni
Ci sono storie che nascono da sole, mentre tu stai facendo qualcos’altro. Succede all’improvviso: il tuo cervello segue un pensiero e tu ti ritrovi a rincorrerlo come il gabbiano che si alza in volo perché ha visto un pesce guizzare argentino tra le onde del mare.
Ci sono storie che non sono buone per farci il brodo, e dare sapore ad una zuppa già avviata. Storie che stanno bene da sole, sì; ma che se le metti in girotondo con le altre si divertono di più. E splendono di più. Come un giro di perle al collo di una ragazza. Storie che ti vengono in mente voltando le carte sul tavolo. Storie che ho raccolto in questo mazzetto di tarocchi, in maniera casuale, nella speranza di farvi piacere.
 
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Quando piovono le stelle'
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#14 – Corte Sconta, Corte Arcana
Lama III – L'Imperatrice
Personaggi: Saori Kido



 
Venezia è un pesce e il ponte che la collega alla terraferma è la lenza del pescatore. L’ha detto uno scrittore del posto, una volta, ma a sentire i veneziani è piuttosto vero il contrario. Non è Venezia a lasciarsi catturare, ma è lei a prendere all’amo il pescatore. E con lui, la terraferma ed il mondo intero. Ed è un po’ quello che hai provato scendendo dal treno. Un lieve senso di vertigine, come se fossi entrata in un reame di sogno, uno di quelli popolati da maghi, elfi e fate madrine.
Ed è questo, quello che diventa Venezia, quando il sole scorre verso l’entroterra e la luna scintilla argentea sulle acque della laguna. Una succursale del paese delle meraviglie, senza conigli in ritardo, carte da gioco bizzose e melliflui gatti a strisce che ti osservano dall’alto di un ramo, il sorriso come una tagliola che buca l’oscurità della notte.
E a ben cercare, qualcosa si trova sempre, nascosto per i sestieri, tra il frullare delle ali dei colombi e i flash dei turisti. Un angolo ancor più magico, tra le salzade e i sottoporteghi, all’ombra di lenzuola stese ad asciugare, tra le ciacole delle donne che sgranano il rosario con la stessa disinvoltura con cui si separano i fagioli freschi dal loro baccello.
Chi cerca, trova, dice il saggio. Ma non sempre ci capita di trovare quello che vorremmo. Anzi. Piuttosto è vero il contrario. E tu non sai se i tuoi polsi saranno sufficientemente forti, quando si tratterà di voltare l’ultima carta.
 

La corte sonnecchia nella quiete del primo pomeriggio.
Le sedie, addossate al muro di calce rosso mattone, sono spaiate, ma sembrano comodissime alle tue membra stanche. Il bucato spande un delicato profumo di violette, in un gioco di merletti e ombre proiettate sul muro.
Sei arrivata. Ti è bastato chiedere della casa del Maltese, a Castello, ed eccola lì, in un dedalo di rughe e rami a fumare affacciata alla finestra, tra persiane di un verde bottiglia carico, fresche di vernice. Ti sorride, un lampo del colore delle melagrane mature, ma la sua sigaretta non abbandona le labbra.
«Marinaio, abbiamo un’ospite!», dice, senza stornare lo sguardo dalle tue spallucce da uccellino. «Scendi a farla accomodare, prima che ci ripensi e scappi via…»
E a quelle parole, senti le ginocchia tremare. Sono ancora in tempo, ti dici, colta da un irrazionale istinto di sopravvivenza. Eppure, non stai per entrare nelle fauci del lupo. Lei dovrebbe essere dalla tua parte. Ed è quel condizionale a farti tremare le labbra.
Una possibilità, un margine di rischio, è un lusso che non puoi concederti, adesso. Ma quando senti i passi scendere le scale, è troppo tardi per tutto. Quando incontri i suoi occhi – scuri, taglienti, pericolosi, che brillano nella penombra dell’andito assieme al cerchio che gli decora l’orecchio sinistro – le gambe ti diventano di piombo. Puoi andartene, certo. In qualsiasi istante. Sei ancora in tempo. Basta girare sui tacchi e ripercorrere la strada in senso inverso. Non mi correrà certo dietro, giusto?, ti chiedi.
Ma una voce, dentro di te – la voce di Athena – ti chiede se è davvero questo, quello per cui ti sei fatta due ore di volo e altrettante di treno e hai attraversato mezza Venezia a piedi, tra la calca dei turisti ed il frullare delle ali dei colombi.
Arrivare alla sua porta e tornartene indietro come una bambina impaurita? È davvero questo, quello che vuoi?
La senti ridere, come farebbe una madre con una monella capricciosa. E qualcosa, dentro di te, reagisce. Qualcosa, dentro di te, ti impone di dimostrare alla dea quanto coraggio ci sia, in questi polsi di tenera carne e caldo sangue che si stanno colorando sotto il sole italiano. Ma capisci che è tutta una tattica per non farti svicolare oltre. E ci sei cascata in pieno, come il pesce attirato dal luccichio della lenza.
«Buongiorno», ti dice l’uomo.
Camicia bianca, pantaloni in tinta e capelli neri come la notte senza stelle. Voce bassa e suadente, che fa vibrare una corda, dentro di te. Quella del Mi.
«Fatto buon viaggio?», ti chiede, togliendoti di mano la borsa da viaggio. «Da questa parte, prego», e ti senti sospingere da qualcosa di inamovibile e gigantesco, che preme contro la tua schiena con la delicatezza di una piuma e la durezza dell’acciaio. La mano di Athena.

 
Spesso le risposte che cerchiamo sono dentro di noi.
E più spesso ancora, conosciamo le risposte ai quesiti che ci arrovellano l’anima prima ancora di dare loro corpo, sostanza, spessore.
È una questione di istinto, puro e semplice, un’onda che sale dallo stomaco fino in gola, crescendo impetuosa e rapida, come la marea.
Il problema è che non sempre siamo disposti ad ascoltare quello che il nostro sesto senso ci sussurra all’orecchio. Anche se sappiamo che ha ragione.
Lui parla, una voce nel deserto che nessuno vuole ascoltare. Eppure, continua. Stoico. Indefesso. Convinto che, prima o poi, ammaineremo la bandiera della testardaggine ed isseremo quella bianca, arrendendoci a dare retta a quei sussurri incessanti, che battono e levano come il mare contro gli scogli che punteggiano la costa.
È solo dopo, quando abbiamo smesso di remare contro, che si cerca un segno, una controprova. Per esseri sicuri che no, non ci stiamo sbagliando, ché no, non stiamo confondendo lucciole con lanterne, che no, non stiamo vedendo quello che noi ci siamo intestarditi a voler vedere.
E allora, ognuno declina questa necessità secondo il proprio estro. C’è chi parla coi preti, chi scruta il cielo, chi volta le carte disposte sul tavolo. E chi va a trovare una vecchia amica, scovandola tra i vicoli e le case colorate di una città sospesa sull’acqua, ché non è né mare, né terra, ma tutte e due le cose assieme, lì dove l’azzurro e il celeste si danno la mano, sfumando all’orizzonte in una riga di blu.

 
«Io esco, Milou», dice il Maltese, la giacca sulla spalla e il collo della camicia slacciato, affacciandosi dalla porta della piccola cucina.
Lei annuisce, sbaccellando dei fagioli seduta alla finestra.
«Ci vediamo stasera a cena», gli dice, liquidandolo senza alzare gli occhi dal proprio lavoro. «Salutami la Cecca.»
«Riferirò», sorride lui, sardonico, uno scintillio sull’orecchino e cenno del capo come saluto, ed il tintinnio delle chiavi che si perde per le scale, prima, e per la corte, qualche istante dopo.
«Milou?», domandi.
«Marie. Louise. Questo è il mio nome», ti risponde scrollando la cenere dalla sigaretta. «Abbreviato, Milou.»
«Capisco.»
«C’era un po’ di ressa in città, vero?» », dice, nel tintinnare sordo dei braccialetti al suo polso.
«Un po’», replichi, avvicinandoti a lei, il suono dei tuoi passi sul pavimento ad esagoni rossi e neri. Papaveri. Dei giganteschi papaveri che si aprono sotto i tuoi piedi. È un altro segno?, ti chiedi.
Lei annuisce, come riflettendo tra sé e sé, poi ti indica la seggiola accanto alla sua, con un cenno del capo.  
«Dammi una mano, vuoi? In due faremo prima», e, senza nemmeno accorgertene, ti accomodi accanto a lei, prendi un fascio di legumi dalla ciotola di legno e inizi a sbaccellarli, osservando le sue vecchie mani ripetere quel gesto ancora e ancora e ancora, mentre fuori le lenzuola danzano nel vento del primo pomeriggio.

 
C’è chi paragona la lettura dei tarocchi ad una partita a scopa. L’attesa è la stessa. La punta delle dita freme, prima che il polpastrello del pollice volti la carta e sveli la nostra mano. Asso di denari, re di spade, cavallo di bastoni, tre di coppe. Anche loro sono Arcani. Lame Minori, certo. Che aggiustano e puntualizzano e arrotondano alcune questioni che le Lame Maggiori indicano al richiedente. Con una certa dose di intuito, ed uno studio minimo, chiunque può leggere le carte, ché di solito si consultano per questioni banali. Amore, lavoro, studio. Qualche incosciente si azzarda a chiedere lumi sulla salute, invece che consultare un medico. Ma quando sei una dea, pure se il tuo spirito abita in un corpo fatto di carne e sangue, la faccenda cambia. Acquista proporzioni differenti.
Si tratta di un altro campionato, direbbe Seiya, stringendosi nelle spalle. E allora hai bisogno di qualcuno che faccia da mediatore, tra te e Tyche. Per vedere quali e quante probabilità sono dalla tua parte e quante, invece, sono contrarie. Perché nessuno scenderebbe in campo a cuor leggero, come se stesse rincorrendo una farfalla in campo di papaveri e spighe di grano. Potrebbe esserci un pericolo, nascosto sotto quell’erba alta. Un topolino, una lucertola, o qualcosa di ben più sgradevole. Una buca in cui inciampare. Una biscia impaurita. O una vipera, i denti velenosi pronti ad affondare nella carne tenera delle tue caviglie.
Se lo Sconosciuto ti ha parlato, se ti ha mostrato quella via, non l’ha fatto per benevolenza, checché ne dicano lui e il Mare, né per darti una merce di scambio. L’ha fatto per darti un avviso. Sappi che arriverà qualcun altro a reclamare la terra per sé, cara la mia Fanciulla. Questa sola, è la verità, celata sotto ad un velo di merletto di Burano.
Ed è per questo, che Athena è qui, di fronte ad una veggente di colore con il vezzo di fumare Gitanes senza filtro dal bocchino di bachelite in un tintinnio di braccialetti e pendagli portafortuna. Ma Saori? Per quale motivo è arrivata fin qui, Saori? Cosa vuole chiedere, lei, a quelle carte che Maman Louise sta mescolando in attesa che lei le dica di fermarsi?

 
«Accadrà?»
Sai che l’hai offesa, ponendole quella domanda, ché nessuno ha mai chiesto a lei se fosse davvero sicura di ciò che ha visto nelle carte, neppure la dea Athena. Eppure, non sembra darsene pena. Si stringe nelle spalle, poi ti mostra le Lame disposte a croce sul legno sbeccato del tavolo della cucina del Maltese. Le carte ti guardano, impassibili come la Sfinge che sovrasta la Ruota della Fortuna, come a dirti che loro, quello che avevano da dire, l’han detto. Ora, la palla sta a te, per dirla con Seiya.
«Serviamo tutti Athena, in un modo o nell’altro. E abbiamo tutti un ruolo nel grande disegno, mia cara», ti risponde Maman Louise accendendosi l’ennesima sigaretta. Vorresti dirle che troppe le fanno male, ma taci. Lo sa da sé, che qualcosa di poco piacevole si sta scavando un posto, sul fondo dei suoi polmoni. Ma non è questo, l’argomento di cui dovete discutere, adesso.
«Un ruolo nel grande disegno», mormori, abbassando lo sguardo sulle ultime carte che Maman Louise ha estratto dal mazzo. Il Papa. Il Giudizio. L’Appeso. Il Mondo. La Papessa. Il Matto. «Questo lo so.»
«Certo che lo sai. Ma tra sapere, capire ed accettare c’è di mezzo una vita intera. E forse nemmeno basta.» E così dicendo, ti spinge sotto il naso l’ultima carta. L’Imperatrice. Biondi capelli, ali spiegate e sorriso sereno ad incurvarle le labbra.
Un ruolo nel grande disegno. Qual è il mio?, ti domandi, prima che la voce di Athena sussurri alle tue orecchie: «Quello più ingrato, Saori…». E ha ragione lei. Come sempre. Perché il problema non è scendere all’Inferno e rompere a mani nude quella statua maledetta, nossignore. Seiya ti ha dimostrato che è possibile compiere dei miracoli anche quando si abita un corpo di carne e sangue. E la dea della Speranza non può certo arrendersi, quando i suoi Santi sono disposti a rovesciare il cielo e la terra, pur di compiere l’impossibile, per lei. Che esempio darebbe, se si arrendesse ancor prima di combattere?
Il problema è la paura che senti crescerti dentro, come la luna.
E se non volessero più seguirti?
E se ti voltassero le spalle?
Cosa saresti tu, se i tuoi Santi non volessero combattere ancora una volta per te?
Come affronteresti quello che ti aspetta dietro la curva all’orizzonte, e che non ti è dato ancora conoscere?
Avrai ancora Seiya, al tuo fianco. E Shun, e Shiryu e Ikki e Hyoga. E Shaina, e Jabu, e Ichi e. Ma non sono loro, le pedine che vuoi schierare sulla prossima scacchiera, per sbaragliare il nemico. Nossignore. Tu rivuoi la schiera d’Oro, scintillanti nelle loro armature, i mantelli candidi a frapporsi fra te e il prossimo avversario, l’ennesima divinità che si alzerà dal letto col piede sbagliato e penserà che sì, dopotutto la Terra è un grazioso soprammobile da sistemare sulla mensola del camino.
Verseranno ancora sangue e lacrime per te? Soltanto perché tu glielo domanderai sbattendo le ciglia e chiedendo per favore?
, ti risponde Athena, mentre fissi la corona di stelle che ammanta il capo dell’Imperatrice. Perché a chiederglielo sarai tu. Athena.
Ma quanto ti costerà ingoiare quest’ennesimo rospo? Quanto dovranno essere saldi, i tuoi polsi, quando domanderai loro di tornare a vivere, per morire ancora, allettandoli con una moneta di cioccolato che splende più dell’oro nella notte più profonda?
Tanto. Troppo, forse. Ma ognuno di noi ha un ruolo, nel grande disegno che Tyche ha decretato, all’alba dei tempi. Nessuno escluso.
«Ti fermi per cena?», ti chiede Maman Louise, sollevandosi con uno scricchiolio di protesta da parte del legno della sedia.
«Cena?», domandi. Sbattendo le palpebre, confusa.
«Certo. A pancia piena il mondo sembra meno triste, tesoro mio.»
Vorresti protestare che no, non hai fame, che lo stomaco ti si è chiuso e alla sola idea di mettere qualcosa sotto i denti, senti montare un senso di nausea che ti rende proprio impossibile anche solo pensare di cenare assieme a loro e goderti la compagnia di Milou e del Maltese.
«Non vorrei disturbare», vorresti ribattere, declinando l’invito con squisita cortesia. Ma di fronte al sorriso materno di Maman Louise, ti senti dire: «Soltanto se posso darti una mano a cucinare.».
E a pensarci è anche ridicola, come proposta, ché non sai nemmeno preparare un uovo al tegamino, tu. E il Maltese, nonostante sia magro, sembra essere una buona forchetta, almeno a giudicare dalla cantinetta che occupa un lato della piccola cucina dalle tendine spaiate. Eppure, sei seria – serissima – mentre pronunci quella frase. E Maman Louise ti prende in parola.
«D’accordo, allora. Aiutami a togliere di mezzo queste carte, prima», ti dice, ciabattando verso il frigorifero e tirandone fuori un salame ancora da aprire e del formaggio.
Raccogli i Tarocchi, riformando un mazzetto che porgi a Maman Louise, di schiena ad affettare una cipolla rossa.
«Tienilo tu», le senti dire, senza voltarsi. «Potresti averne bisogno, lungo il cammino.»
«E tu?»
«Io ho smesso. Questa era la mia ultima lettura. Da questo momento in poi, sono ufficialmente in pensione, mia cara.» Versa la cipolla in un tegame dai bordi alti, poi versa l’olio ed accende il fuoco. «Quando starai per perdere la speranza, ti basterà voltare la carta, e oplà.»
«Tutto qui?», le chiedi.
«Tutto qui», ti risponde, regalandoti un sorriso stanco.
«La vita è una cosa semplice», aggiunge, con la saggezza di chi ha visto il sole sorgere e tramontare e tornare a splendere ancora. «Adesso, vuoi mettere via quella roba, lavarti le mani e aiutarmi ad apparecchiare la tavola?»
Annuisci, le carte che spariscono nella borsa da viaggio e il profumo della saponetta al muschio che ti avvolge la pelle. Dalla cucina arriva un odore di cipolla soffritta che ti spalanca una voragine, al centro del busto, e che ti fa sembrare meno brutto l’orizzonte su cui andrai ad affacciarti, nell’immediato futuro.
Forse ha ragione Maman Louise. Dopotutto, la vita è una cosa semplice, ti sussurra la voce di Athena.
E ti sembra quasi di sentire le sue mani accarezzarti l’anima, mentre ti asciughi sulla salvietta di lino e raggiungi il donnone in cucina. Il Maltese rincaserà a breve. Meglio sbrigarsi, pensi, stendendo la tovaglia sul legno sbeccato del tavolo, mentre fuori, il rosso e il violetto stanno iniziando a rincorrersi nel cielo di maggio, lì dove l’azzurro e il celeste si danno la mano, sfumando all’orizzonte in una riga di blu.



Note: e infine uscimmo a riveder le stelle!
Si conclude qui questa cavalcata durata più di un anno. Visto che anche io, prima o poi, concludo le storie lasciate in sospeso? Mai dire mai. E adesso, sotto con le note.


Tutta questa raccolta si situa tra Gli Occhi della Madre e Fields of Gold, in cui Athena si reca personalmente all'Inferno per titare fuori i Gold Saint da quella statua pacchiana in cui gli dei dell'Olimpo li hanno rinchiusi.


Venezia è un pesce eccetera eccetera, Tiziano Scarpa, Venezia è un pesce, Feltrinelli, Milano, 2000, edizione aggiornata e riveduta di In gita a Venezia con Tiziano Scarpa, Paravia, Milano, 1998.


La Corte Sconta è il cortile squisitamente veneziano che si apre all'interno dei vicoletti privati (chiamati rami, quelli che portano alle case delle persone). Corte Sconta detta Arcana è una famosissima avventura di Corto Maltese, il cui titolo, modificato, ho usato per questa mia umilissima raccolta. Ogni riferimento a Corto non è puramente casuale. Vi ho avvisato.

Maman Louise fa parte del mio personalissimo headcanon; è il diacono di Francia, uno dei tanti emissari del Santuario che opera nell'Esagono e tiene occhi e orecchie aperte, pronta a riferire. Per arrotondare, leggere le carte a domicilio. L'avete conosciuta nel capitolo precedente, oppure sbirciando il capitolo 12 di Quando Piovono le Stelle.


La playlist che ho realizzato nella stesura di questa storia è la seguente:
Notte di note, Note di notte, Claudio Baglioni, 1985
E ancora la pioggia cadrà, Claudio Baglioni, 1978
I Can’t Decide, The Scissor Sisters, 2006
Starlight, Muse, 2006
Acqua dalla Luna, Claudio Baglioni, 1990
A muso duro, Pierangelo Bertoli, 1979
Crepuscolaria, Otto Ohm, 1998
Estate, Jovanotti, 2013
Aquarela do Brasil, Gal Costa, 1980
La musica che gira intorno, Ivano Fossati, 1983
Octopus’s Garden, The Beatles, 1968
C’è tempo, Ivano Fossati, 2003
One More Time, Daft Punk, 2000
Volta la Carta, Fabrizio de André, 1978


Vorrei ringraziare tutti coloro che si sono affacciati, che hanno letto, commentato, aperto e tirato innanzi, e che non hanno gradito questa mia umile raccolta, ma sono tornati ad affacciarsi per curiosità. Spero vi siate divertiti almeno un quarto di quanto ho amato io mettere assieme queste parole, una dopo l'altra. E se siete arrivati fin qui, vi siete meritati un caffè con tutti i crismi, ché oggi piove che il Cielo la manda giù. Chi mi fa compagnia?

 
   
 
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