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Autore: Sandra Prensky    26/07/2016    1 recensioni
ATTENZIONE: Non è una traduzione del libro "Black Widow: Forever Red". Avendolo letto, mi sembrava che ci fosse troppo poca attenzione su Natasha, e allora ho deciso di riscriverlo con tutta un'altra trama.
Natalia Alianovna Romanova, Natasha Romanoff, Vedova Nera. Molti sono i nomi con cui è conosciuta, molte sono le storie che girano su di lei. La verità, però, è una questione di circostanze. Solo Natasha sa cosa sia successo veramente nel suo passato ed è ciò da cui sta cercando di scappare da anni. Quando sembra finalmente essersi lasciata alle spalle tutto, ecco che scopre che la Stanza Rossa, il luogo dove l'hanno trasformata in una vera e propria macchina da guerra, esiste ancora. Solo lei, l'unica Vedova Nera traditrice rimasta in vita, può impedire che gli abomini che ha visto da bambina accadano di nuovo. Per farlo, però, dovrà immergersi nuovamente nel passato che ha tanto faticato a tenere a fondo, e sarà ancora più doloroso di una volta: tutta la vita che si è costruita allo SHIELD, tutte le persone a cui tiene sono bersagli. Natasha si ritroverà di nuovo a dover salvare il mondo, affrontando vecchi e nuovi nemici e soprattutto se stessa.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XIII.

 

There are times when

it will go so wrong that you

will barely be alive,

and times when you realise

that being barely alive,

on your own terms,

is better than living a bloated half-life

on someone else’s terms.

(Jeanette Winterson)

 

 Volgograd, Russia

48°42’N 44°31’E

Friday, 11th December 2015

8.43pm

 

Natasha aprì lentamente gli occhi e sbatté un po’ le palpebre. Si sentiva stanca e indolenzita e non aveva idea di dove si trovasse. Lentamente i ricordi degli ultimi avvenimenti accaduti prima di svenire tornarono a galla nella sua mente, insieme a un’emicrania. La Stanza Rossa, il Soldato d’Inverno, l’imboscata. Si passò una mano tra i capelli e si guardò intorno. Si trovava nel piccolo letto di una stanza non troppo spaziosa e asettica. Le pareti erano dipinte di un verde chiaro ormai sbiadito. Girò lievemente la testa e notò una quantità enorme di foto e articoli di giornale attaccati alla parete. Questi erano collegate da fili rossi e vi erano tracciati diversi appunti e segni. Sembrava la parete degli investigatori che si vedono nei film. Fece per alzarsi e andare a vedere meglio, ma appena si mosse un dolore lancinante allo stomaco le fece scappare un gemito e la costrinse a stendersi di nuovo nella posizione precedente.

-Non azzarderei movimenti affrettati, fossi in te. O movimenti in generale.- Consigliò una voce dietro di lei. Bucky entrò nella stanza, infilandosi una maglietta. Doveva aver essere appena uscito dalla doccia, i suoi capelli erano ancora bagnati.

-Che è successo?- Chiese lei, ancora stordita. La sua voce suonava trascinata e rauca.

-Beh, durante il combattimento di ieri ti hanno sparato. Hai perso un sacco di sangue, ma il proiettile non ha colpito nessun organo e sono riuscito a fermare l’emorragia prima che fosse troppo tardi. Questo è uno dei miei rifugi, l’ho trovato vuoto qualche mese fa. Tra l’altro, per bendarti ho dovuto...- Bucky gesticolò per un secondo verso di lei. Fu allora che Natasha si accorse di stare indossando soltanto una felpa, probabilmente dell’uomo, vista la dimensione. -Insomma, i tuoi vestiti erano pieni di sangue ed erano attaccati alla pelle, ho dovuto tagliarli e...

Lei fece un gesto noncurante con la mano.

-Nessun problema. D’altra parte, non era la prima volta che mi vedevi senza vestiti.- Biascicò. Ignorando il consiglio di Bucky e muovendosi con estrema cautela, provò a mettersi a sedere. Ci riuscì dopo svariati tentativi, una smorfia di dolore dipinta in faccia. Bucky sospirò rassegnato. Sapeva che parlare con lei era come parlare con i muri, era troppo testarda. In fondo però era probabilmente anche questo che l’aveva fatto innamorare, anni prima. Andò a sedersi vicino a lei. La ragazza lo squadrò per un secondo, constatando che per quanto lei potesse avere un aspetto stropicciato, anche la cera di lui non era delle migliori. Quella storia era troppo legata a loro, rivangava troppe memorie che entrambi avevano lottato anni per tenere lontane. Li stava divorando dall’interno, e ancora non avevano trovato abbastanza prove per dire che l’indagine fosse anche semplicemente a metà. Si chiese se non stessero entrambi lottando in una guerra che non avrebbero mai potuto vincere. Erano i capitani di una nave nel mezzo di una tempesta e stavano cercando di controllare il mare quando non erano nemmeno capaci di tenere a bada l’imbarcazione.

-Cosa hai scoperto fino ad adesso?- Chiese lei per rompere il silenzio, guardando il muro dove vi erano appesi tutti quegli appunti. Lui scosse la testa.

-Non molto.- Si alzò in piedi. -Ho trovato un nome. Sono anche riuscito a scovarlo, era un medico. L’ho bloccato nel mezzo di uno spostamento in una zona non lontana da Kirensk. Ho sparato alle gomme della sua auto, si è messo a correre. Ho iniziato a inseguirlo quando di colpo è caduto in mezzo alla neve, colpito alla gamba da un proiettile. Mi sono nascosto e ho osservato una ragazza vestita di bianco torturarlo con un coltello.- Natasha contrasse la mascella. Non aveva idea che qualcuno la stesse osservando quando aveva trovato Vasnetsov... Almeno ora sapeva da cosa stesse scappando.

-E non è tutto.- Continuò Bucky. -Pensa che quando il mio target è morto, lei se n’è andata e io mi sono avvicinato al cadavere ma tutte le prove che potevano esserci erano sparite. Ad ogni modo, sono riuscito a scorgere da lontano la ragazza, quando si è tolta il cappuccio. Aveva i capelli rossi.- Ci fu un attimo di silenzio, Bucky si girò di scatto a guardarla. -Hai per caso idea di chi potesse essere?- Il suo tono era a metà tra l’accusatore e il divertito, aveva un ghigno sarcastico dipinto sul viso.

-Non c’era di certo il tuo nome scritto sopra.- Si giustificò lei con tono noncurante, pensando che non vi fosse vantaggio nel negare di essere stata lei. -E poi io e il signor Vasnetsov abbiamo avuto modo di scambiare due parole.

Lui scosse la testa divertito.

-Sei riuscita a cavargli qualcosa, almeno?

Natasha scrollò le spalle. Era consapevole di non doversi fidare di nessuno, ma sapeva anche che l’unico modo per scoprire di più era confrontare ciò che aveva trovato con qualcun altro che stesse compiendo le stesse indagini. Se quel qualcuno era il Soldato d’Inverno, poi, si sentiva più sicura nel rivelare l’esito delle ricerche degli ultimi tempi.

-Non da vivo. Ho un quadernetto, però.- Appena pronunciate quelle parole impallidì. Il quadernetto era insieme alle altre prove nel suo borsone, ben nascosto nella stanza dell’albergo dove aveva alloggiato. Lei non aveva idea di dove si trovasse e non era nelle condizioni di andare a prenderlo, sempre che fosse ancora lì. Li avevano trovati alla Stanza Rossa, magari avevano trovato anche i loro rispettivi rifugi. Bucky la osservò per qualche secondo, con un’espressione divertita, poi si alzò e aprì l’armadio. Lasciando Natasha a bocca aperta, vi estrasse il suo borsone.

-Cerchi questo?- Domandò con voce scherzosa. Lei tirò un sospiro di sollievo e gli fece segno di passarglielo. Mentre rovistava all’interno in cerca del quadernetto, continuò a fissarlo con aria interrogativa, fino a che lui si decise a parlare.

-Dopo “l’incidente” di Vasnetsov, ho cercato di tenerti d’occhio. Ero sicuro da subito che anche tu ti trovassi qui per la Stanza Rossa e allora ero curioso di sapere se avresti avuto più fortuna di me nelle tue ricerche. Sapevo dove alloggiavi qui a Stalingrado, e allora dopo averti portato qui e una volta sicuro che non saresti morta, sono andato subito a prendere le tue cose. Ritenevo non fossero al sicuro, soprattutto dopo l’imboscata alla villa.

-L’avevo nascosto...- Protestò lei.

-Beh, io l’ho trovato.

-Soltanto perché mi conosci abbastanza bene da sapere dove avrei potuto nasconderlo.- Ribattè lei, piccata. -E così mi hai seguita per tutto questo tempo, mh? Non è un po’ troppo da stalker, persino per te?- Continuò con fare accusatorio. Lui scrollò le spalle con noncuranza.

-Non tutto questo tempo. Ti ho persa diverse volte, sei ancora brava a nascondere le tue tracce. In generale mi sono limitato a capire dove alloggiassi le notti e quando prendevi i treni.

Natasha aveva dato per scontato fino a quel momento che la sua sensazione di essere perennemente osservata fosse solo una sua paranoia, ma a quanto pare si sbagliava. Si ripromise di non essere più così superficiale: con Bucky era stata fortunata perché non aveva intenzione di farle del male, ma in futuro non tutti quelli che la seguivano sarebbero stati come lui.

-Perchè non mi hai mai parlato?- Chiese sottovoce dopo qualche minuto di silenzio. -Non ce la siamo mai cavata male come coppia, avremmo potuto lavorare insieme.

Lui si irrigidì.

-Non sapevo come avresti reagito. L’ultima volta che ci siamo visti ho tentato di ucciderti... - Spiegò semplicemente.

-L’uomo che ha cercato di uccidermi non eri tu, James, lo so. Non ho idea di cosa ti abbia fatto l’HYDRA in tutti quegli anni, ma mi ricordo bene come appare un lavaggio del cervello.

-In più, non sapevo se ti ricordassi di me.

Natasha si girò a guardarlo. Anche se stava evitando il suo sguardo, lei sapeva perfettamente cosa intendeva con quella frase. Non le stava chiedendo se si ricordasse del Soldato d’Inverno, né quando era col KGB né quando era con l’HYDRA. Quello, era ovvio che se lo ricordasse. Le stava chiedendo se si ricordasse di James Barnes, di tutto ciò che erano stati. In effetti, per un periodo le avevano cancellato la memoria di lui. Per un periodo non aveva più avuto nemmeno idea della sua esistenza. Annuì.

-Certo che mi ricordo. E tu, ricordi tutto? Il tempo che abbiamo passato insieme, quando ero giovane?- Certo, in parte le aveva già detto di ricordarsi qualcosa. Eppure, con tutti i lavaggi del cervello a cui era stato sottoposto, non era sicura di quanto lui potesse ricordare. Stavolta fu lui ad annuire.

-Sì, ricordo ogni cosa.- Fece una pausa. Natasha per un momento credette che si fosse perso nei ricordi. -E tu eri l’unica cosa bella in tutto quello.- Finalmente si girò e incrociò lo sguardo della rossa. Erano passati sei decenni, le loro strade si erano divise, niente era rimasto delle persone che erano negli anni Cinquanta. Eppure erano lì in quel momento, di nuovo insieme, di nuovo in fuga dai loro fantasmi. E lei riusciva ancora a rivedere se stessa nei suoi occhi. Non rispose, sapeva che lui avrebbe capito tutto. Bucky sapeva perfettamente che per lei era stato lo stesso. Resse il suo sguardo fino a quando la tensione e il silenzio intorno a loro diventarono insostenibili. Abbassò il viso e prese il quadernetto dal doppio fondo del borsone. Basta con i momenti di debolezza. Lo tese a Bucky, che impiegò qualche secondo in più a riscuotersi.

-Guardalo pure, è pieno di frasi senza senso. Qualcuna di quelle ti dice niente?

Lo osservò in silenzio mentre leggeva, traducendogli di tanto in tanto dietro sua richiesta delle parole in lingue che non conosceva. Lo vide leggerle ad alta voce, provare a cambiare l’ordine, trovare nessi tra le parole scritte su diverse pagine o con le formule descritte all’inizio, ma alla fine lo guardò arrendersi e trarre le stesse conclusioni che aveva tratto lei al principio.

-Sembrano solo delle sequenze di parole sconnesse. Magari era pazzo.

-Magari.- Eppure, lei non credeva che fosse quella la risposta. Era sicura che quelle parole avessero un significato, anche se non riusciva a capire quale. Sospirò e si lasciò andare contro il muro dietro di lei, facendo sì che la ferita le provocasse una fitta lancinante. Trattenne a stento un gemito. Fortunatamente, Bucky sembrava troppo impegnato a riguardare il quaderno per accorgersene. Lei rovistò ancora un po’ nella sacca ed estrasse anche la copia di Anna Karenina. Gliela tese.

-Ci sono delle pagine cerchiate. Prova a guardare tu, ma né i numeri né il contenuto di quelle pagine sembrano seguire uno schema preciso.

Dopo averlo esaminato, lui scosse la testa.

-Non ne ho idea. È come se più indizi troviamo, più siamo lontani dalla soluzione e dal distruggere la Stanza Rossa.

Lei annuì. Aveva ragione. Per il momento optò per non dirgli né della stanza che aveva trovato a Lobnya e dei risultati dell’analisi del sangue che aveva preso, né della ragazzina che aveva ucciso a Nizhniy Novgorod, né della ballerina invincibile del Bolshoi. Sapeva che se poteva fidarsi di qualcuno quello era Bucky, ma preferiva comunque essere prudente. Decise che se ne sarebbe andata il prima possibile per riprendere le sue ricerche. Si alzò in piedi, senza questa volta riuscire a trattenere un gemito piuttosto forte. La ferita doleva tremendamente e le girava la testa. Si appoggiò al muro per non cadere. Bucky, che nel frattempo si era alzato di scatto per sostenerla nel caso fosse caduta, la osservò con aria di rimprovero.

-Tasha, torna sul letto. Peggiorerai solo la ferita così.

Lei scosse la testa decisa, con la fronte imperlata di sudore. Camminando a fatica e rifiutando l’aiuto di Bucky, si diresse verso il bagno. Sentiva l’urgente bisogno di farsi una doccia. Facendo attenzione a non far saltare i punti che lui le aveva messo, si tolse la felpa ed entrò nella doccia dall’aria sfasciata, sperando ancora una volta che l’acqua potesse alleviare il dolore e trasportare via i suoi pensieri. Si rese conto quasi subito di non riuscire a stare in piedi per troppo tempo, allora si sedette sul pavimento della doccia e rimase immobile per un po’ di tempo, con l’acqua che le scorreva addosso, a fissare il proprio riflesso sul vetro opaco della doccia. Non sapeva quanto sangue aveva perso, ma a giudicare dal pallore non doveva essere stato poco. Passò diverso tempo prima che riuscisse a trovare la forza di alzarsi, sempre a fatica e non senza dolore, e chiudere l’acqua. Appoggiati sul lavandino, trovò degli asciugamani, un ricambio di bende e degli abiti puliti. Non riuscì a trattenere un sorriso. Bucky sapeva essere davvero premuroso se voleva, e per quanto lei avesse sempre cercato di cavarsela da sola evitando ogni tipo di aiuto, lui era sempre riuscito a trovare il modo di assisterla come poteva. Si asciugò e tolse le bende vecchie, ormai quasi incollate al suo corpo, e le cambiò con quelle nuove. Si vestì e raggiunse Bucky nell’altra stanza, con i capelli ancora bagnati che le ricadevano sulle spalle. Era tardi e non aveva per niente fame, ma lui la costrinse ugualmente a mangiare un’insalata, sostenendo che ne avesse bisogno per recuperare un minimo le forze. La ferita le faceva male anche a inghiottire, ma terminò comunque il piatto. Finito di mangiare Natasha si alzò e andò a preparare il suo borsone. Se lo caricò in spalla e si trascinò a fatica verso la porta. Ogni passo era una fitta terribile. Stava per abbassare la maniglia, quando sentì la voce di Bucky dietro di sé.

-Dove credi di andare?

Lei si girò a guardarlo.

-Devo continuare le ricerche e ho già abusato abbastanza del tuo rifugio.

La verità era che non voleva rallentarlo, né metterlo più in pericolo di quanto non fosse già. Secoli prima si era ripromessa che l’avrebbe protetto, non avrebbe fallito una seconda volta.

-Tasha, ti stanno cercando. Non farai venti metri ridotta così.- Disse, indicando la ferita col capo.

-So badare a me stessa.- Rispose secca.

-E dove intendi andare? È tardi, hai bisogno di dormire.- Perseverò lui. Era tanto testardo quanto lei.

-Troverò qualche posto.- Fece per aggiustarsi il borsone sulla spalla, ma appena alzò il braccio avvertì la ferita tirarle e una sostanza viscosa uscire dalla benda. Le erano appena saltati i punti. La testa riprese a girarle e dovette appoggiarsi nuovamente al muro mentre la vista iniziava ad appannarsi. Bucky si affrettò ad avvicinarsi a lei e prenderle il borsone, poi fece scivolare il suo braccio sopra la sua spalla per sostenerla.

-Non ti lascerò andare da nessuna parte in queste condizioni. Puoi starne certa.- Affermò irremovibile.

-Devo... Continuare con le ricerche.- Protestò lei. -Non ho tempo di aspettare che la ferita guarisca.

-E se mi offrissi di aiutarti?- Mormorò lui.

-James...- Iniziò lei, guardandolo con un’espressione supplicante. Da ferita, oltre a metterlo in pericolo l’avrebbe anche rallentato e non poteva sopportare l’idea.

-So che non hai bisogno di me. Ma ti prego, Natasha.- La guardò con aria preoccupata. Era la prima volta che non la chiamava con il suo nome vero ma con quello con cui si faceva chiamare da tutti, e a lei fece un effetto strano.

-Oltre a qualunque altra cosa siamo... Lasciami essere tuo amico- Continuò lui imperterrito, portandola via dalla porta verso il letto. Lei sospirò, suo malgrado grata.

-Sei un brav’uomo, James.- Mormorò nel suo orecchio, lasciandosi adagiare sul letto e osservandolo prendere ago e filo.

-No, in realtà no.- Rispose lui, chiudendo il cassetto.

-Ma tu sei l’unica che lo capisce.- Aggiunse, incrociando per un attimo i suoi occhi color smeraldo mentre le sollevava gli abiti per disinfettare e ricucire nuovamente la ferita. 

   
 
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