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Autore: Mugi_Sasuko    26/07/2016    2 recensioni
[Dal testo]
Per Rin, Nitori era sempre stato strano. Era sempre felice, era sempre positivo. In quasi un anno di convivenza nei dormitori della Samezuka, non l'aveva visto piangere una singola volta. Nemmeno quando si infuriava con lui, usando parole che avrebbero condotto chiunque, anche Rin stesso, se fossero state rivolte a lui, in lacrime.
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nitori Aiichirou, Rin Matsuoka
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quel Volto Senza Lacrime

 

Per Rin, Nitori era sempre stato strano.

Era sempre felice, era sempre positivo. In quasi un anno di convivenza nei dormitori della Samezuka, non l'aveva visto piangere una singola volta. Nemmeno quando si infuriava con lui, usando parole che avrebbero condotto chiunque, anche Rin stesso, se fossero state rivolte a lui, in lacrime. Al massimo, gli mostrava quel sorriso che aveva in sé tutte le scuse del mondo, rimpianti per non essere abbastanza per il suo Senpai, per non essere in grado di capirlo, per non essere in grado di confortarlo e donargli un po' di positività, dopo di ché usciva dalla stanza, per andare chissà dove, tornando un paio di ore dopo, con quel suo sorriso che era in grado di sciogliere tutto, come se il confronto di qualche ora prima, con il rosso, non fosse mai avvenuto.

E per tutto l'anno, o quasi, Ai aveva continuato a sorridere davanti agli altri, ad essere forte con se stesso. A non permettere a nessuno di vedere le sue fragilità.

Era dicembre ormai, le feste natalizie si avvicinavano e i discorsi erano mirati ai piani per le vacanze, dove trascorrerle e con chi. Per una volta Rin stava anche riuscendo ad avere un discorso tranquillo con il suo kohai, senza gridargli addosso. Gli parlava dei suoi progetti per i giorni a venire, li avrebbe passati con la sua famiglia e con il gruppo dell'Iwatobi.

Il problema però era Nitori: era rimasto tutto il tempo a fissare un telegramma che aveva ricevuto quella mattina dall'ospedale del paesino in cui viveva la madre. Viveva, appunto. Perché quelle poche parole comunicarono al ragazzino che era rimasto da solo. Il padre era andato via di casa quando era ancora troppo piccolo, per cui non ne ricordava nemmeno il volto. Non aveva nonni, né zii, visto che la madre era figlia unica, così come lo era lui.

“... Quindi tu cosa farai durante la pausa invernale, Nitori?”

Chiese il rosso, guardando il ragazzino che gli dava le spalle, seduto alla propria scrivania. Nessuna risposta.

“Oi, Nitori?!” Incalzò, scocciato, riuscendo però a riportare sulla terra il suo compagno di stanza.
“Uh... Scusa senpai, ero distratto. Che hai detto?” Rispose Aiichiro di rimando, la sua voce alta appena da permettere al rosso di sentirlo.

Era strano, Ai era sempre così allegro e pieno di vita, con la sua voce cristallina e squillante.

“Ti ho chiesto cosa farai durante le vacanze.” Rin ripeté, sospirando appena, notando che c'era qualcosa che non andava, ma non dandoci troppo peso, bollandolo come un semplice momento di stanchezza.

“Ah... Uhm... Non lo so ancora. Devo vedere cosa ne sarà di alcune cose... Senpai...” Ai sospirò, come se dovesse dire le parole più difficili dell'universo. “Mia madre è morta stamattina... A quanto pare ha avuto un malore...” Sussurrò appena, ma il volume della voce fu abbastanza da permettere al rosso di cogliere le sue parole. Studiò il volto del più piccolo, che nel frattempo si era girato verso di lui, non riuscendoci a scorgere però la minima traccia di tristezza o di una qualche lacrima.

Piuttosto, il suo viso non aveva espressione.

Eppure, per quel che Rin ne sapeva, l'unica volta che avevano parlato delle loro famiglie, Ai gli aveva confidato di avere un bellissimo rapporto con la madre, si sostenevano a vicenda, come una squadra.

Furono le parole di Nitori a riportarlo al presente.
“Senpai, io vado a fare una passeggiata, non ci sarò agli allenamenti oggi, non me la sento...”. Di nuovo quelle parole furono sussurrate, come se tutta la voce di Nitori fosse svanita con l'arrivo di quel telegramma. In fondo, aveva appena perso l'unico anello ancora in vita della sua piccolissima famiglia.

Rin acconsentì, seguendo il suo compagno di stanza con lo sguardo, mentre usciva dalla stanza, per andare chissà dove.

Come c'era da aspettarsi, Mikoshiba chiese di Nitori a Rin, che gli spiegò come stavano i fatti, chiedendo allo stesso tempo al rosso di stargli accanto e di andarlo a cercare. Il capitano, infatti, sapeva che Ai cercava sempre di non essere un peso per nessuno, tentando di affrontare situazioni più grandi di lui in completa solitudine. Esonerò quindi il rosso dagli allenamenti, per quella giornata, dandogli quel compito delicato che avrebbe dovuto aiutarlo, secondo il più grande, a controllare i propri impulsi e nervi.

E così, Rin si congedò dalla piscina, andando a cercare il suo compagno di stanza. Attraversò il parco, tutta la riva dell'oceano, le varie pasticcerie, pensando, erroneamente, che il più giovane si stesse sfogando mangiando dolci. Passarono un paio di ore, prima che giunse su una collina, dall'erba verdissima tenuta in modo estremamente ordinario e con una piccola lapide in un angolo, circondata da fiori dai colori delicati.

E Nitori era lì, davanti quella lapide, rannicchiato su se stesso. Rin si avvicinò a piccoli e silenziosi passi, notando, con la vicinanza, che quel corpo era scosso dai singhiozzi e singulti di una persona che aveva tenuto dentro di sé una mole immensa di dolore, troppa persino per lui, che si faceva sempre carico delle preoccupazioni del rosso, che si preoccupava sempre di non essergli di intralcio, che si faceva da parte anche quando non gli veniva richiesto, che non credeva di meritare un briciolo di conforto nemmeno in quella occasione.

“Nitori...” Sussurrò il più grande, ormai alle sue spalle.

Sentendosi chiamare, il piccolo si irrigidì, voltandosi appena, rivelando un volto solcato da lacrime che erano state lì da almeno un'ora e mezza. Cercò di asciugarle in fretta, di non farsi vedere così fragile, ma era inutile, più lacrime asciugava e più queste continuavano a scendere lungo il suo viso. Rin si sedette accanto a lui, sentendo il proprio petto stringersi nel vedere quel ragazzino,fino ad allora sempre solare, nel bel mezzo di una crisi di pianto, abbandonato a se stesso.

“Quindi... Vieni qui, quando ti senti triste...?” Rin domandò, cautamente, ricevendo come risposta un leggero cenno del capo.

“Questa”, iniziò Nitori, “è la tomba in cui è sepolta la mia bisnonna... Lei venne a mancare quando ero molto piccolo, ma siccome lei viveva qui, mentre io vengo dall'isola di Hokkaido, non mi fu consentito darle l'ultimo saluto. Da allora non sono riuscito più a versare una singola lacrima, neanche per mia madre... E mi sono sentito orribile, senpai... Non sono riuscito a versare una lacrime nemmeno per lei... Ogni volta che mi assali con le parole, ogni volta che esco da quella stanza, vengo qui... Perché lei è l'unica persona con la quale riesco a far trasparire tutte le mie emozioni...”

A quelle parole il petto del rosso si strinse di più, allontanando per una volta il proprio orgoglio e la propria frustrazione, lasciando il posto alla comprensione e alla solidarietà, che era ciò di cui necessitava ora il suo compagno di stanza. Gli circondò le spalle con un braccio, stringendolo a sé e cullandolo, senza dire nulla, lasciando che sfogasse lì tutte le sue lacrime. “Mi dispiace...” Sussurrò solamente, tenendo il corpicino del ragazzino contro il proprio, come se volesse proteggerlo dal mondo.

E restarono lì, un paio di ore, fino a quando i singhiozzi si attenuarono per diventare respiri profondi e regolari. Ai aveva pianto fino ad addormentarsi e lo aveva fatto tra le braccia di quella persona che lui ammirava, per la quale avrebbe rinunciato a tutto, anche ad esprimere tutti i suoi sentimenti.

Rin sorrise teneramente nel vederlo dormire, anche se quel suo sorriso celava una grande tristezza e frustrazione nei confronti di se stesso. Era troppo accecato dal suo stress per capire quanto ne avesse fatto accumulare a Nitori. E non lo meritava.

Si caricò il piccolo sulle spalle, facendo attenzione a non svegliarlo, inchinandosi appena davanti alla lapide, prima di tornare verso i dormitori, giurando proprio in quel luogo che avrebbe prestato più attenzione ai sentimenti dell'altro, senza costringerlo a doversi rintanare su quella collina per essere se stesso.

  
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