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Autore: Kim WinterNight    27/07/2016    3 recensioni
«Samuele era un ragazzo allegro.
Amava salire sul palco e cantare, suonare, improvvisare, qualsiasi cosa.
Amava modulare la sua voce, amava renderla sempre migliore e amava sperimentarla durante i live.
Gli piaceva da matti l’idea di avere un pubblico, ma non si montava la testa.
Samuele era semplicemente se stesso.»
Una storia introspettiva, una storia d'amicizia, di musica e d'amore.
Semplicemente una storia, la storia di Samuele.
Una dedica speciale va alla persona che mi ha ispirato. Probabilmente non leggerà mai queste righe come io ascolto le sue canzoni, però sono certa che ha già compreso quanto sia riuscito a rubarmi l'anima in una sola serata.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Samuele'
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ReggaeFamily

Il capolinea





Mi sentivo un idiota.

Più il tempo passava, più mi rendevo conto di tutti gli errori commessi.

C'era un pensiero assillante che non osavo condividere con nessuno, anche se ormai non condividevo più niente con nessuno.

La partenza di Jessica mi aveva scosso, questo non potevo negarlo; ma la verità che non ero più in grado di reprimere era una sola: Julieta mi mancava.

Forse non avrei dovuto parlare così dopo tutto ciò che era accaduto, ma una parte di me sperava stupidamente che le cose si potessero sistemare. Ma come?

Non riuscivo a pensare ad altro e mi ritrovai ancora una volta a comporre un pezzo con lei come protagonista. Erano passati mesi dal giorno in cui scoprii il suo tradimento, poi c'era stata la storia con Carlo... eppure non ero più arrabbiato con lei.

Intavolare una nuova relazione mi aveva fatto capire tante cose, tra cui la più importante: non sarei mai stato felice senza Julieta.

Non volevo essere giudicato, così ancora una volta tenni tutto per me, facendo preoccupare Mia, Francesco e Stefano. Loro cercavano di strapparmi una confessione, io tenevo duro e mi chiudevo a riccio.

Forse questo mi faceva apparire un pessimo elemento ai loro occhi, ma non riuscivo a fare altrimenti; ormai era come se i rapporti con le persone del passato si fossero spezzati per sempre, incrinati in maniera irreparabile.

Non ero più quello di un tempo, di questo ero consapevole anch'io: prima ero allegro, mi bastava poco per sorridere e per risollevarmi da una brutta esperienza. Il Samuele di un tempo non avrebbe mai abbandonato i suoi amici, ma soprattutto il Samuele di un tempo non avrebbe mai pregato qualcuno di riaccoglierlo tra le sue braccia.

E mentre, in una gelida sera di dicembre, ero appostato sotto casa di Julieta, sperai con tutto me stesso che nessuno mi vedesse. Quella era una cosa che dovevo affrontare per conto mio, senza farmi influenzare dal parere altrui.

Finalmente mi decisi a suonare il campanello, pronto a tutto pur di riprovarci. Forse non avrebbe funzionato, ma ero stanco di vivere in un rimpianto perenne.

Ad aprire la porta fu il padre di Julieta; avevamo avuto pochissimi contatti, visti i rapporti conflittuali che intercorrevano tra lui e sua figlia, perciò dubitavo fosse a conoscenza di tutto ciò che era accaduto tra noi.

A confermarlo fu lo sguardo indifferente che mi rivolse, per poi affermare: «Ti chiamo Julieta». Rientrò in casa senza degnarmi di uno sguardo e io mi strinsi nelle spalle. Cosa me ne fregava? Ero lì per mettermi in gioco, non avevo più niente da perdere.

Ero arrivato al capolinea.


* * *


Quando uscii dalla porta d'ingresso e vidi la figura familiare di Samuele, il cuore accennò un balzo nel petto.

Per un istante mi parve che il tempo non fosse passato, fu come se lui fosse lì per uscire con me e andare a vedere uno stupido film al cinema. Poi tornai bruscamente alla realtà e mi resi conto che era tutto cambiato. Anche io ero cambiata.

Samuele sgranò gli occhi, notando immediatamente il mio mutamento fisico: avevo messo su parecchi chili e non facevo che abbuffarmi da quando... da quando... non riuscivo neanche a dirlo a me stessa, era troppo doloroso da ammettere, nonostante la scelta fosse stata mia e continuassi a pensare che era la cosa migliore da fare.

Da quando avevo ucciso il mio bambino.

Mi imposi di mantenere la calma e ripensai alle parole che mi diceva sempre il mio psicologo, grazie alle quali riuscivo ad andare avanti ogni giorno, ripetendole come un mantra.

Non hai ucciso nessuno. Non te la sentivi di essere madre, eri sola. Hai fatto la scelta che ritenevi più giusta. Non devi sentirti in colpa.

«Samuele» mormorai.

«Cosa... cosa ti è successo?» balbettò lui, continuando a fissarmi.

Se prima non desideravo altro che essere guardata, ora mi sottrassi ai suoi occhi con un gesto inutile ma significativo: strinsi le braccia intorno al corpo e gli lanciai un'occhiata colma di risentimento.

«Smettila di fissarmi. Chiaro? Non è successo niente» sputai irritata. «Cosa vuoi? Perché sei qui?»

Samuele chinò il capo e sospirò. «Volevo sapere come te la passi.»

«Avresti potuto telefonarmi o mandarmi un messaggio.»

«No, Juls, ascolta... io... mi dispiace. Non volevo che finisse così, mi sono lasciato condizionare, non... okay, mi sono accorto che senza di te... non è più lo stesso» arrancò, torturandosi un dread con le mani tremanti.

«Ma davvero?» lo schernii, poi scoppiai a ridere.

«Devi credermi!» affermò, cercando il mio sguardo.

Non riuscivo a spiegarmi come avessi potuto amarlo. Forse un tempo era diverso, forse ero riuscita a scorgere una luce diversa dal resto del mondo in lui; non lo sapevo, ma in quel momento mi resi conto che era estremamente patetico e ridicolo.

«Pensi davvero che io ti creda, Samuele?»

«Senti... non è detto che funzionerà, però... perché non ci riproviamo? Vuoi?» insistette, facendo un passo avanti.

Fui quasi annebbiata dai ricordi, le immagini di quei momenti bellissimi vissuti con lui, nonostante le mille difficoltà; poi la durezza di tutto ciò che avevo dovuto affrontare mi riportò bruscamente alla realtà e l'idillio venne nuovamente sotterrato in un angolo buio e invalicabile del mio cuore infranto.

«Non voglio.»

Due parole possono distruggere un universo. E così fu per Samuele, che vidi sgretolarsi davanti ai miei occhi senza provare niente, se non una punta di compassione per quel ragazzo che ormai era soltanto l'ombra di se stesso.

«Ma...»

«Sei arrivato tardi. Troppo tardi. È sempre troppo tardi. La vita è una sola» ribattei in tono piatto.

«Avremmo potuto almeno...»

«Ti prego di andartene. O se vuoi stare qua fuori... fa' come vuoi, io rientro. Ciao Samuele, buona vita.»

Detto questo, tornai in casa e mi richiusi la porta alle spalle.

La vita è una sola.

Una lacrima solitaria mi rigò la guancia.

L'avrei vissuta anch'io, in un modo o nell'altro.


* * *


Andai a quel concerto di Capodanno solo perché Francesco voleva a tutti i costi che fossi presente: doveva esibirsi e non sopportava l'idea che rimanessi a casa da sola. I miei avevano un impegno con degli amici e Sara aveva già deciso da tempo di partecipare al concerto insieme a Stefano.

Non ero entusiasta all'idea perché sapevo che ci sarebbe stato anche Samuele. Non lo vedevo da tempo, più precisamente dal giorno in cui Jessica partì. Io e Francesco ci eravamo occupati di lui, raccogliendo i pezzi del suo cuore e rimettendoli insieme alla meno peggio.

E da allora non aveva più voluto avere a che fare con me. Lui e Francesco si vedevano per lavoro, ma Samuele evitava di presentarsi in studio di registrazione se sapeva che Francesco era presente, lavorando prevalentemente con Fabiano.

Non mi aveva più risposto ai messaggi e alle chiamate, su facebook si limitava a visualizzare senza rispondere e non era servito a niente chiedere aiuto a Stefano, poiché anche lui aveva raccontato che Samuele era distante e non parlava più con lui come un tempo.

Quando entrai nel locale con Francesco, lo individuai subito: portava i dread legati in una maniera impossibile, tutto sembrava essere come al solito e agli occhi di un estraneo sarebbe facilmente apparso come il solito Samuele.

Ma io notai qualcosa nel suo atteggiamento, nel suo sguardo, nei suoi gesti... qualcosa che non riuscii a definire, ma che mi spaventò. Forse si trattava di freddezza, di risentimento verso il mondo intero, di tristezza, di dolore. Probabilmente era un mix di tutte queste emozioni negative, un mix che lo rendeva quasi irriconoscibile.

Francesco, dopo aver seguito il mio sguardo, mi circondò le spalle con un braccio e sussurrò: «Lo so, è cambiato».

Poco dopo raggiunsi mia sorella, mentre Stefano, Francesco e Samuele si preparavano per la serata.

«Non dovrebbe esserci anche Carlo?» mi domandò Sara.

«In teoria sì. Si sarà perso per strada!» commentai con disinteresse. Non riuscivo neanche a ridere di Carlo come al solito, che diamine mi stava succedendo? Perdere un amico non è mai facile, certo, ma non potevo farne un affare di stato. Dovevo smetterla di preoccuparmi per qualcuno che ormai non lo meritava più.

Finalmente Carlo arrivò e il concerto poté cominciare.

L'energia sprigionata da tutti fu strepitosa: Samuele fu in grado di superare se stesso, forse perché con quelle esibizioni era in grado di sfogarsi e rendere la sua vita migliore; Francesco divenne un tutt'uno con la musica, era talmente bravo ed emozionante che durante un pezzo dovetti trattenere le lacrime; e Carlo, be'... lui fu l'altra faccia della medaglia, la dimostrazione palese che la perfezione non esiste e non è di questo mondo, l'unico elemento che stonava in tutto quel momento idilliaco.

Durante quella serata provai più volte ad attirare l'attenzione di Samuele, anche quando l'esibizione si concluse e Stefano rimase in console a selezionare un po' di musica per permettere ai presenti di festeggiare il nuovo anno nel migliore dei modi. Provai ad avvicinarmi diverse volte a lui, ma rinunciai non appena notai che raggiungeva un gruppo di ragazze molto più piccole di lui e scherzava parecchio con loro, senza più degnare nessuno di uno sguardo.

Si stava rifacendo una vita, e in quella vita noi non potevamo entrarci.

Eravamo esclusi.


* * *


Fu complessivamente una serata molto triste.

Ci ritrovammo io, Mia, Sara, Stefano, Fabiano e Martino, a fine serata, un po' brilli, stanchi e sfasati, a chiacchierare nella sala fumatori del locale che ci aveva ospitato.

Mio fratello e Martino ci avevano raggiunto a notte fonda, reduci da una cena con il loro gruppo di amici, i quali avevano poi optato per i festeggiamenti in discoteca.

«Non fa per noi» aveva asserito Fabiano, storcendo il naso.

«Marika dove l'hai lasciata?» indagai, armeggiando con l'accendino.

«Non te li sai proprio fare i cazzi tuoi, eh?» sbottò mio fratello.

«Acido. Hai le tue cose?» lo presi in giro, accendendo finalmente la sigaretta che mi ero costruito poco prima.

«Lascialo in pace» intervenne Mia, alzando gli occhi al cielo.

«Come fai a sopportarlo?» le chiese Fabiano.

«Non saprei...»

«Raga, ma Samu? Dov'è? Volevo salutarlo!» proruppe Martino, che era il più ubriaco di tutti e biascicava ogni volta che apriva bocca.

Tutti ci scambiammo occhiate incerte, e lui parve accorgersene. Infatti aggiunse: «Ma è successo qualcosa? Perché non è con voi?»

Nessuno di noi rispose. Era bastato che Martino lo nominasse per farci ricordare la situazione che si era creata tra noi e Samuele. Ormai non voleva avere a che fare con nessuno dei suoi vecchi amici, era come se avesse dato un taglio netto ai fili che lo legavano al passato.

«La sapete l'ultima?» tuonò Fabiano, stringendo il cellulare in mano.

«No, sentiamo» volli sapere io.

«Julieta è diventata uno scaldabagno con i piedi!» rise, mostrandoci una foto che l'ex di Samuele aveva caricato sul suo profilo.

Tutti scoppiammo a ridere per quell'appellativo, ma io tornai serio non appena notai il cambiamento che era avvenuto in quella ragazza; sicuramente stava soffrendo molto e forse si era pentita di aver combinato tanti casini nei mesi passati.

«Sotto la foto c'è scritto: La vita è una sola. Il passato non esiste, il presente è già futuro. Si è data alla filosofia?» ci informò Sara, per poi rendere il cellulare a Fabiano.

«Leggi i commenti!» suggerì Martino.

Scoprimmo così che Samuele era andato a trovarla e le aveva chiesto di ricominciare insieme, ma lei l'aveva rifiutato. O almeno, questo si poté intendere dalla conversazione che Julieta aveva intrapreso pubblicamente con una sua amica.

«Bello sputtanare così la gente» borbottò Mia contrariata.

«Ormai Samu non è più lo stesso» commentò Martino, stranamente ancora in grado di ragionare con un minimo di lucidità.

«Ha chiuso con noi. Ci evita» concordai.

«Ha difficoltà a concentrarsi quando registriamo. È come se avesse la testa altrove» raccontò Fabiano, rimettendosi il telefono in tasca.

Poco dopo qualcuno uscì nella sala fumatori e rimasi stupito nel riconoscere proprio Samuele.

Si fermò a pochi metri dalla soglia quando si accorse di noi; non tutti si accorsero subito di lui, così sobbalzarono leggermente quando lui si schiarì la voce.

Ci scambiammo delle occhiate strane e indescrivibili per qualche istante. Avrei voluto dire qualcosa, chiedergli se volesse fumare con noi o domandargli come stava. Tuttavia rimasi in silenzio, avevo paura che rifiutasse e mi guardasse con più freddezza del solito.

«Ah, ciao» disse soltanto. Il suo tono fu piatto e intriso di indifferenza, gelido come una tempesta di neve.

Poi ci voltò le spalle e si accese una sigaretta per conto suo.

Nessuno di noi osò ribattere né avvicinarsi; ormai si era creato un muro invalicabile tra noi.

Ormai eravamo al capolinea.




E anche io sono al capolinea, proprio come i ragazzi che hanno popolato questa storia.

Cari lettori, anche questa lunghissima storia è giunta al termine. Lo so, lo so: molti di voi mi vorranno strangolare a mani nude, forse non se lo aspettavano o forse volevano leggere ancora di Samuele e i suoi amici.

Ma ogni cosa ha un termine, perciò eccoci qui alla resa dei conti.

Ho iniziato questo racconto millemila anni fa, e ancora non so come sono arrivata a questo punto, però di una cosa sono certa: tutto è avvenuto grazie a voi, alle vostre recensioni e al vostro continuo supporto.

Quindi, passando ai dovuti ringraziamenti, sono grata a: DreamNini che c'è stata fin dal principio e non mi ha mai abbandonato, e non parlo solo per quanto riguarda questa storia; Marss, che non è certo da meno, addirittura spesso fa delle maratone di miei capitoli, roba da nobel :D; Hanna McHonnor, che trova sempre il tempo per me, nonostante di cose da fare ne abbia a bizzeffe :3; Soul_Shine, che è approdata un po' in ritardo, ma ha saputo illuminare lo spazio recensioni con la sua grande passione per il mio ennesimo esperimento; TheAuthor99, perché ha avuto il coraggio di imbarcarsi nella lettura di questa storia quando ormai era già quasi finita e aveva già un numero eccessivo di capitoli, perché non ha avuto mai paura di essere sincero e perché, se avrà il coraggio di arrivare alla fine... be', meriterebbe una statua in Piazza del Popolo a Roma!

I miei amati e fedeli lettori e recensori siete stati voi, perciò ancora mille grazie per tutto ciò che avete fatto per me, facendomi crescere come scrittrice e come persona. Senza di voi non sarei mai e poi mai arrivata a questo punto. Siete fantastici ♥

Ovviamente, ringrazio chiunque abbia letto questa storia in silenzio e chi l'ha inserita tra le varie categorie di gradimento!

Alla prossima avventura!


Kim

  
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