Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: metaldolphin    27/07/2016    7 recensioni
Eccomi di nuovo qui, questa volta con una vicenda di ambientazione un po' diversa per i nostri pirati preferiti.
Tra mari sconosciuti e lo spazio profondo, si troveranno ad affrontare una minaccia inattesa, portatrice di dolore per un intero popolo.
Non è il seguito di una serie anime o del recente film in CG: l'equipaggio dell'Arcadia è quello tradizionale e il Capitano forse è più vicino a quello scostante e duro di Endless Odyssey, ma non è ambientata in quel contesto... è più una vicenda indipendente, se mi fate passare il concetto.
Per chi mi segue dai tempi di One Piece: no, non mi sono sbagliata di fandom, anche se il primo capitolo potrebbe dare una diversa impressione...
Ci tengo a precisare che non è un crossover con Dr. Who, anche se ho preso a prestito il termine "balena astrale" e anche se le creature a cui si fa riferimento hanno punti in comune, differiscono da quelle presentate nella famosa serie di sci-fi.
Per chi mi voglia seguire, e li ringrazio sin da adesso, non resta allora che "tuffarci" in questa nuova storia! ^_^
Genere: Azione, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dottor Zero, Harlock, Miime, Nuovo personaggio, Yuki
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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I riflessi verdastri si perdevano nelle arcate scure che si ergevano ritmiche tra le colonne che circondavano la navata principale. I capitelli avviluppati dalle alghe raccontavano fantasiose storie di epiche lotte coi giganti del mare, in un movimento aggraziato di pinne leggiadre e braccia poderose.
La volta mancava, ma non per l'impietoso trascorrere degli anni o a causa di feroci battaglie: colui che aveva progettato quella struttura l'aveva pensata così; essendo un edificio nato per celebrare la vita, era stato eretto per far risaltare i pochi raggi di sole che riuscivano a penetrare le profondità marine. Merletti di concrezioni coralline donavano colore nei punti in cui sulle pareti di marmo chiaro batteva più la luce, donando un aspetto festoso alla sommità della costruzione.
Banchi di piccoli pesci multicolore si muovevano tra quei rami contorti, nell'eterna lotta per la sopravvivenza che garantiva alle specie la salvezza dall'estinzione.
Quindici metri più in basso, al livello del pavimento ornato da un fitto mosaico composto da minuscole tessere colorate, di luce ne arrivava meno, ma era quello il luogo in cui avvenivano le cerimonie sacre. Nel grande tempio si festeggiavano le circostanze in cui la vita lambiva le vette più alte: le nascite, i traguardi raggiunti, le unioni.
Ma in quel momento era il terrore che faceva di tutto per nascondersi, nell'ombra di un'arcata in cui l'acqua limpida sembrava farsi più fredda attorno alle membra intorpidite, alla pelle ricoperta di squame una volta lucenti, ormai graffiate e rovinate. I lunghi capelli argentei avevano perso la lunga fila di perle che li trattenevano e adesso fluttuavano come alghe morte attorno al capo chino. Doveva stare in silenzio, non tradire la propria presenza, altrimenti avrebbero preso anche lei... Non sapeva da dove fossero venuti... In un primo tempo avevano creduto che fossero le balene astrali a tornare, proiettando sulla superficie marina le loro immense ombre affusolate, invece era qualcosa di mai visto prima, meraviglioso ed inquietante al tempo stesso. Erano enormi e lucide, ma il loro canto non era armonioso come quello delle balene, piuttosto era un monotono rumore fastidioso. Comunicare con quei mostri lucenti era impossibile, il contatto non funzionava, non avevano pensiero. Ma quando i loro enormi ventri lucidi si erano aperti ne erano venuti fuori decine di strani esseri dai pensieri alieni e atroci, fatti di cupidigia, violenza e terrore. Ed era ciò avevano sparso, immergendosi nelle pacifiche profondità, uccidendo e ferendo, portando via senza spiegazione alcuna.
Era accaduto al mattino presto, ancora non era trascorsa nemmeno mezza giornata ed era come se la paura avesse preso forma, in ognuno di quei corpi così diversi dai loro, caratterizzati da quattro arti, armati di strane armi che seminavano morte e dolore con una facilità tale da suscitare spavento al solo vederle in azione.
Fuggire, era l'unica cosa che aveva potuto fare, senza una meta precisa, fino a quando si era trovata davanti alle porte del tempio, i grandi ed antichi archi gemelli sostenuti dalle enormi colonne che davano accesso alla navata centrale. Era stato come un segno: di certo la Grande Madre l'aveva guidata sin lì, dove la Vita aveva il potere di proteggere la vita.
Allora si era acquattata nel buio, cercando di non far rumore, alzando la barriera per non far sentire i pensieri che gridavano nella sua testa. Era un'arma a doppio taglio, però, perché se non poteva essere individuata, non poteva nemmeno percepire. Credeva di rendersi invisibile, cercava di apparire come acqua nell'acqua, leggera e arrendevole alla marea e alle correnti. La coda le faceva male, dove la pinna si era strappata, impigliandosi nei coralli appuntiti durante la fuga, ma doveva resistere, sopportare, ne andava della sua vita.
Non aveva mai visto tanti morti in vita sua. Non aveva mai assistito, in effetti, a delle morti; solo una volta era riuscita a sbirciare tra la folla che si era accalcata dopo un incidente e aveva visto il corpo semi dilaniato dal crollo improvviso di un edificio in costruzione... Dopo non aveva dormito per giorni e sua madre l'aveva rimproverata aspramente.
Sua madre... Chissà se l'avrebbe rivista, se anche lei era in salvo. E con lei suo padre e i suoi fratelli e sorelle... La sua famiglia non sapeva dove fosse, lei non aveva idea di che fine avessero fatto loro. Era sola.
E quando arrivarono le loro ombre a spegnere i colori del mosaico sul pavimento, rimase immobile, paralizzata dal terrore. Rimase ferma anche quando l'ombra calò su di lei e, mentre si accorgeva che quegli esseri strani non erano quello che apparivano, un lampo di luce la abbagliò accecandola, sentì un atroce dolore pervaderle il corpo e poi più nulla.

La coscienza fece capolino in un universo a lei estraneo: la gravità la faceva sentire pesante, l'acqua troppo fredda acuiva il dolore del suo corpo e il rumore di fondo, unito ad una fastidiosa vibrazione le confondeva la mente disorientandola ancor più.
Aprì le palpebre in un ambiente troppo luminoso per i suoi occhi sensibili, abituati alla luce attenuata delle profondità marine, così li socchiuse abbagliata. Era sdraiata sul fondo, che era costituito da un materiale estremamente liscio al tatto, duro, freddo e trasparente. Provò ad allargare le braccia e incontrò due pareti uguali molto prima che potesse finire di compiere il gesto. Presa dal panico, cercò di sollevarsi e andò a sbattere su di un'altra superficie identica alle altre, davanti e dietro era lo stesso. L'avevano rinchiusa in una specie di scatola dove poteva girarsi a malapena facendo leva sulle mani palmate, curvando la coda fino a sentire dolore, strisciando le squame e la pelle su quel materiale così innaturale. Se quella non era la morte, avrebbe preferito che la cogliesse al più presto... L'urlo di dolore che emise non fu udito da nessuno, dentro quella scatola insonorizzata, chiusa nella stiva di un'astronave che seguiva una precisa rotta nello spazio siderale.
   
 
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