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Autore: Daleko    27/07/2016    0 recensioni
È innegabile che l’uomo sia alla costante ricerca del rischio. Il pericolo attrae, affascina come una donna troppo sensuale che ti fa segno di seguirla; e l’uomo non può fare a meno di obbedire.
Genere: Angst, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
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Capitolo IV
 
La scrivania era di un legno particolarmente chiaro, probabilmente per mettere a proprio agio i pazienti. La finestra aperta lasciava entrare una piacevole brezza accompagnata dal canto di qualche uccello sconosciuto ai due giovani tirocinanti all'interno della stanza. Distinti dal paziente di turno grazie ai caratteristici camici bianchi, erano seduti a uno dei lati della scrivania; il minuto tirocinante dai lineamenti indiani reggeva fra le mani un blocco note delle dimensioni di un quaderno, la donna dal camice aperto e cadente in modo elegante poggiava i gomiti sulla superficie della scrivania: era intenta a guardare, interessata, il paziente seduto davanti a sé.
–Dovrebbe darmi qualche informazione su di lei, Simon. Va bene?– chiese con voce melliflua. L'uomo annuì nervosamente, guardandosi le mani.
–Dov'è nato e quando, esattamente?– iniziò abbassando gli occhi sul fascicolo davanti a sé. La montatura dei suoi occhiali nascondeva parzialmente la vista delle iridi verdi a Simon, che aveva brevemente rialzato lo sguardo sulla tirocinante.
–L... Longdon-Upon-Tern. Nello Shropshire. Ho trentadue anni– rispose a voce bassa. Il tono nasale non fu particolarmente apprezzato dai medici, ma entrambi scrissero in silenzio le informazioni di loro interesse; Simon aggiunse la data di nascita in un mormorio risucchiato dal silenzio.
–Va bene, Simon. Fa usualmente uso di droghe? Beve? Fuma?– domandò ancora la donna con la stessa intonazione gentile da ospedale psichiatrico. Simon scosse la testa per tre volte. Le domande di routine si susseguirono per un'altra mezz'ora, poi finalmente entrambi i medici rialzarono lo sguardo sull'ometto seduto sulla scomoda sedia di plastica blu. Più che ordinario, la tirocinante avrebbe definito quel particolare paziente come scialbo: piccolo e richiuso su se stesso come un riccio, il viso ricordava vagamente quello di un topo. Occhietti acquosi e vigili, tremanti anche se fissi su un punto fermo: le unghie erano rosicchiate a sangue e le mani scorticate, piene di calli in posti inusuali. Una calvizie proseguiva rapida e incessante, il viso sbarbato con qualche piccola ferita e le labbra sottili quasi totalmente esangui: l'insieme risultava molto sgradevole anche all'altro tirocinante, che si ritrovò suo malgrado a formulare questo pensiero. Sagar, questo il nome di battesimo del tirocinante, fu fortunato nel poter riabbassare lo sguardo sul blocco note pieno di appunti; la sua collega invece dovette tenere gli occhi fissi sullo sgradevole Simon per poter continuare il suo lavoro.


–Va bene, Simon. Le va di spiegarmi perché ha richiesto una consulenza psichiatrica?– lo incoraggiò con un breve sorriso. Le labbra rosse si stirarono per un momento, poi restarono in attesa di un movimento da parte dell'altro prima di ritornare in posizione rilassata.
–Ho... Una coperta– rispose l'altro con un filo di voce. Sagar alzò gli occhi sull'uomo, poi il capo girò alla sua sinistra. Sembrò dire con gli occhi: "Emma, ci sta prendendo un giro o questo mese ne hai beccato un altro da ricovero?". La collega gli scoccò un'occhiataccia in risposta a quella ironica dell'indiano, poi entrambi tornarono a guardare Simon. L'uomo aveva ancora gli occhi bassi.
–Qual è il problema con questa coperta, Simon?– chiese con voce calma e bassa, molto più calma e molto più bassa di quanto non fosse poco prima. Simon fece spallucce.
–Ce l'ho sempre con me. Sempre– specificò alzando lo sguardo sui medici, spostando le strette pupille su entrambi prima di riabbassare gli occhi. Emma notò un principio di terrore nell'espressione del paziente.
–...e non ti piace averla con te?– provò ad approfondire la questione; un sopracciglio le si alzò dalla curiosità. Simon annuì.
–Ho paura di perderla. Tanta paura. Una volta...– lo sguardo scoccò verso la donna davanti a sé per un istante appena, poi le iridi marroni tornarono nell'ombra –c'era un buco. Misi un... Un laccio nel buco e attorno al mio polso. Poi capii che poteva strapparsi tutto e dalla paura ho tolto il laccio– spiegò ancora con un filo di voce. Sagar appuntò sul blocco note, come promemoria, le sue impressioni riguardo il dizionario particolarmente povero utilizzato in quel discorso. Emma, intanto, si limitava ad annuire.
–Quando la lavo ci metto tanta cura e... Resto tutto il giorno con la coperta tra le mani quando si asciuga. Oppure la asciugo io...– continuò con lo sguardo perso nel vuoto. Emma annuì ancora, lievemente più rigida.
–Perché ci tieni così tanto? È un regalo?– domandò con tono fintamente ingenuo, ma Simon non sembrò avere reazioni per qualche secondo.
–No. Ce l'ho da tanto tempo...– rispose infine. I medici si guardarono nuovamente, poi Emma annuì al collega in modo appena percettibile.
–Ora dov'è questa coperta, Simon?– chiese con tono gentile Sagar; Simon trasalì come se non l'avesse neanche notato; gli occhi, spauriti, corsero alla figura del medico per poi tornare verso il basso.
–Ce l'ho con me. Come sempre– rispose dopo un'altra breve pausa. Emma sorrise di nuovo in modo incoraggiante. –Ti va di mostrarmela?– chiese con tono amichevole. Simon scosse spaventato la testa, ma Emma non si perse d'animo; il corpo si spostò di qualche centimetro verso la scrivania, teso. –Se non mi mostri la coperta, Simon, non posso aiutarti davvero come vorresti... Ci siamo solo noi qui. Non preoccuparti– sorrise di nuovo. L'uomo alzò gli occhi acquosi trattenendo il respiro; spostò lo sguardo su entrambi i presenti, poi fu scosso da un tremito. Sospirò, portò il busto verso il basso e prese uno zaino scuro dall'aspetto malandato che stringeva fra le gambe. Aprendolo, scoccò un'altra occhiata preoccupata verso i medici. –Non potete toccarla. È la mia coperta– piagnucolò nel tentativo di sembrare minaccioso. Entrambi gli psichiatri annuirono con fare gentile e Simon finalmente infilò una mano nello zaino, estraendo lentamente e con delicatezza una vecchia e usurata copertina in patchwork per bambini. Il colore era andato via nel corso degli anni e sul tessuto erano visibili svariati rattoppi; a Sagar non sfuggirono alcuni inusuali segni di bruciatura sulla stoffa. Simon non sembrava voler liberare del tutto la coperta dallo zaino, guardandola e toccandola quasi con venerazione; le labbra erano schiuse ed Emma era più interessata alle reazioni dell'uomo che all'oggetto in sé. –La mia bella coperta...– mormorò Simon con voce appena udibile. Una delle mani ossute tremava visibilmente dallo sforzo ma non accennava a lasciar andare neanche per sbaglio quel quadrato scolorito: con flemma snervante cominciò a portarla al viso, dove l'avvicinò alla pelle per strusciarvela contro. Sagar ebbe un vago moto di disgusto nel vedere quel trentenne agire come un bambino, ma d'altronde aveva scelto da sé il proprio lavoro. Ragionava ancora su quanto poco diritto avesse di lamentarsene quando improvvisamente sentì un dolore all'avambraccio sinistro: si voltò a guardare in quella direzione e notò le unghie laccate della collega piantate nella propria carne. Rialzò gli occhi, intenzionato a chiederle che problema avesse, ma l'angoscia che le aveva sbiancato il viso lo indusse a seguire la direzione dello sguardo spaventato. Con sorpresa, Sagar capì che il motivo di spavento di Emma era proprio quella piccola e malmessa coperta: non ebbe neanche il tempo di schiudere le labbra per formulare una qualunque domanda, perché una voce femminile fu più veloce di lui.
–Simon– lo chiamò la dottoressa con voce tremante. Sembrava un po' spaventata. –Simon, ascoltami... Quelle macchie in basso– specificò con l'aiuto della mancina libera, indicando la parte inferiore della coperta che ancora dondolava per metà nell'ombra dello zaino. S'interruppe per un momento, non avendo attirato l'attenzione del paziente. Deglutì a fatica. –Simon, di chi è quel sangue?– chiese costringendosi a sorridere nuovamente.


 
   
 
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