ADAM Miles, dopo tutto, era
un bambino normale. Viveva in una
microscopica cittadina degli Stati Uniti dove l'inverno cominciava il
28 Settembre e non finiva mai. Odiava andare a
scuola, ma era sveglio e intuitivo e non aveva ancora portato a casa
un'insufficienza in pagella. Adorava Harry Potter e
i fumetti della Marvel - dopo qualche anno, però, avrebbe
scoperto i manga, e allora sarebbe stata la fine. Era allergico alle
fragole, ma una volta alla settimana la sua migliore amica Maggie
gliele contrabbandava passando dalla scala antincendio. Le mangiavano
finché non si ricopriva le braccia di tanti puntini rossi. Era quasi certo di
essere mezzo innamorato di lei. Miles dopo tutto era
un bambino normale, no? Allora
perché continuava a vederlo? Insomma, a dodici anni
e otto mesi ormai si è grandi. A dodici anni e
otto mesi non si dovrebbe più credere che dei mostri
mangiatori di uomini dimorino sotto il proprio letto. Eppure. Eppure ogni notte,
quando sua madre spegneva la luce e chiudeva la porta della sua camera,
Miles faticava a prendere sonno. Eppure ogni notte gli
pareva di scorgere qualcuno, qualcosa, nei fasci di luce che filtravano
dalle tapparelle abbassate. Un guizzo, una creatura. Una parvenza di
vita che scivolava a nascondersi nelle ombre della sera non appena
Miles si accorgeva di lei. Eppure ogni notte Miles lo sentiva, lo scricchiolio delle assi
del pavimento sotto al suo letto. Il colpo di un corpo che cercava di
sistemarsi meglio sul duro legno del parquet. Il fruscio delle coperte
quando lui era immobile, a occhi spalancati. In attesa della mano che
gli avrebbe afferrato la caviglia per trascinarlo nel suo antro nero. Eppure una notte lo
aveva visto. Proprio lì,
davanti al suo letto, fermo. Un uomo vestito di nero. Sorrideva. Lo stava fissando. Miles aveva urlato e
urlato, e accesso la luce così velocemente da rimanere per
un istante cieco. In quell'istante, lui
era scomparso. I suoi genitori non
trovarono niente: nell'armadio nulla se non i suoi vestiti, sotto al
letto il videogioco di Mark che non aveva più restituito. Loro tornarono a
dormire, lui spense la luce e pianse in silenzio fino ad addormentarsi
sul cuscino bagnato. Non vide gli occhi che
si aprirono nell'angolo più scuro della sua stanza. Da quella notte, i
suoi incubi si popolarono. C'era lui, ogni volta. Lo guardava da oltre
le ante socchiuse dell'armadio. I suoi gelidi occhi chiari seguivano i
suoi movimenti tormentati mentre si agitava nel sonno. Rideva a ogni suo
fremito di terrore quando si spostava sotto il suo letto. Ovunque ci fosse
ombra, c'era anche lui. Gli
parlava. Si chiamava Adam. Era
lì per lui. I suoi genitori non avrebbero potuto vederlo
neanche nella più abbagliante delle giornate. Erano solo loro due. Lo
toccava. A volte gli sfiorava
il braccio quando percorreva di corsa un corridoio buio. A volte gli prendeva
un piede, tirandolo un poco di più verso il bordo del letto. A volte Miles si
svegliava e trovava sulla fronte le sue labbra, che lo mangiavano e lo
divoravano, e gli consumavano energia facendo divenire Adam ogni notte
più forte, ogni notte più grande. Ogni notte
più nero. A volte riposava
accanto a lui, accarezzandogli la testa, scostandogli i capelli dal
viso. Sussurrandogli che quella, quella notte sarebbe stata l'ultima. Non era mai l'ultima. Quando Miles si
svegliava la mattina, però, non c'era nessuno. E allora
Miles rideva, ed esorcizzava tutti i suoi brutti sogni. Faceva colazione,
andava a scuola. Chiedeva a Maggie di uscire con lui. Perché
Miles, dopo tutto, era un bambino normale. Perché i
mostri sotto al letto non esistono davvero. Perché gli
incubi, alla fine, restano solo incubi.