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Autore: amoribanez    29/07/2016    0 recensioni
Tratta da una storia semi-vera dove i personaggi sono persone che potrebbero esistere o meno. Chi lo sa?
Ambientata a Siviglia (Spagna), narra la storia di alcuni ragazzi omosessuali e delle loro avventure/disavventure.
"Era un giorno solare… solare come Feliz.
Feliz era un chico di Sevilla e il suo sogno nel cassetto era..."
Genere: Comico, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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 SEASON 4
CHAPTER 5
 

Le foglie degli alberi, le nuvole, il canto degli uccelli, tutto si era fermato. La natura gli stava forse voltando le spalle un’altra volta? Che cos’altro aveva sbagliato? Jorge non era mai stato un tipo religioso o spirituale, ma alzò gli occhi verso il cielo stringendosi le mani con forza e chiedendo aiuto. Niente. Le lacrime cominciarono a scendere lungo le sue guance, salate e inarrestabili. I singhiozzi riecheggiavano per il cavalcavia sotto il quale si era rifugiato, si strinse le ginocchia al petto e chiuse gli occhi, un raggio di sole fece breccia tra le nere nuvole e lo colpì dritto al volto. Ma che stava succedendo? Il telefono squillò.

Venti minuti dopo si trovava nel sedile del passeggero della macchina di Marisol. “Sei andato fin lì a piedi? Ma sei impazzito?!” – diceva – “E se una macchina non ti avesse visto? E se fossi scivolato da qualche parte? Come ti avremmo potuto trovare?”.

Jorge le aveva raccontato del suo litigio con Feliz, ma Marisol cercava di evitare l’argomento visto che Jorge era evidentemente molto provato.

Marisol: “Ecco cosa faremo: adesso andiamo a prenderci qualcosa di caldo e poi…”

Jorge: “E poi?”

Marisol si fermò un istante a pensare, poi si voltò verso l’amico e sorrise.

Marisol: “Ti va di vedere dove lavoro?”

 

Feliz camminava nervoso per la casa senza sapere dove andare o cosa fare. Aveva preso più volte l’aspirapolvere per poi riposarlo senza neanche averlo acceso, aveva provato a guardare la televisione ma la sua mente era concentrata nell’attesa che il telefono squillasse, nell’attesa che Jorge lo richiamasse per dirgli dove si trovava e quindi non capì nulla di quello che stava guardando (insomma capì ancora meno del solito).

Paquita era occupata a fare le sue noiose commissioni e aveva risposto al telefono solo per dire “Non adesso, Feliz, D’ACCORDO?”, Martah non aveva neanche risposto al telefono, non sapeva più chi cercare. Marisol non poteva sapere dove era, lei e Jorge non erano così amici, Oscar non era un’opzione neanche a pagarlo e Toñi se n’era andato. Tutto ciò che poteva fare era aspettare. Aspettare come una vecchia vedova che, seduta su una sedia fuori dalla porta di casa, aspetta che la morte la ricongiunga ai suoi cari.

Ma lui non aveva tutta quella pazienza e allora decise di provare ancora a chiamare Martah.

 

Dopo una bella cioccolata calda, Marisol e Jorge erano arrivati a casa della ragazza.

Marisol: “Okay, se non ti ‘spiace, potresti aspettarmi qui? Vado a cambiarmi”

Jorge annuì, depresso. Si sedette sul divano giallo paglierino del soggiorno e cominciò a torturarsi le mani. Una miriade di pensieri attraversarono la sua mente, impetuosi come l’oceano in tempesta, inarrestabili come una caduta. Quando alzò lo sguardo verso l’orologio si accorse che erano già passati tre quarti d’ora, si voltò e vide Marisol tornare. Era raggiante.

I suoi capelli erano raccolti in uno chignon alto ed elegante. Il suo volto era stato coperto da una leggera passata di fondotinta color carne, l’eyeliner nero e il rossetto ocra rossa. Un lungo vestito da sera color bordeaux avvolgeva la sua figura, resa ancora più slanciata da un paio di tacchi a spillo neri. Le sue spalle erano coperte solo da un pellicciotto di visone.

Jorge: “W-wow… Marisol, s-sei… Sei bellissima!”

La ragazza arrossì.

Jorge: “Ma dove stiamo andando?”

Marisol: “Così da nessuna parte! Dobbiamo prima trovarti qualcosa di elegante da metterti”

Jorge: “No, io non voglio tornare a casa”

Marisol: “Già, lo avevo immaginato. Quindi ci fermeremo a comprarti qualcosa per strada”

Jorge: “Ma la strada per dove?”

Marisol prese la borsetta e uscì dalla porta con un occhiolino e un sorriso enigmatico. Jorge la seguì di corsa.

Marisol portò Jorge in centro e, dopo diversi abiti, il ragazzo strabuzzò gli occhi quando la vide pagare uno smoking e dei mocassini con un assegno da settecento euro.

Jorge: “Mari, ma sei impazzita? Non puoi spendere tutti quei soldi per dei vestiti!”

Marisol: “Taci. Anzi, sbrigati. Siamo già in ritardo”

Tornati in macchina, Jorge non poté più resistere.

Jorge: “Mari, dimmi dove stiamo andando, per favore!”

Marisol: “Te l’ho detto, ti mostro dove lavoro”

Jorge: “Sì ma dov’è che…”

Le parole però gli morirono in gola quando arrivarono davanti al ‘Museo de Bellas Artes’ di Siviglia.

Davanti l’ingresso c’erano decine e decine di persone in abito da sera che chiacchieravano amabilmente di arte bevendo spumante da sgargianti calici di cristallo. In alto troneggiava una scritta: “Gran Galà dell’arte moderna.

Jorge non poteva credere ai suoi occhi. Marisol consegnò le chiavi della sua auto a un fattorino e insieme si diressero verso l’ingresso. Una volta entrati, un uomo anziano calvo e con dei grossi baffi bianchi li raggiunse per salutare Marisol e farle i complimenti per la splendida serata.

Jorge: “Hai organizzato tutto tu?”

Marisol: “Non proprio tutto, mi hanno dato una mano”

Jorge: “E’… E’… Incredibile! Tu lavori al museo?”

Marisol: “Non proprio. Io sono un’imprenditrice e organizzo serate ed eventi, anche per beneficenza, come quella di ‘sta sera. Di solito però preferisco investire nell’arte, in questo museo, certo, ma anche in musei meno conosciuti. Il tema è “l’arte che nessuno conosce”. In pratica, abbiamo permesso a diversi artisti di strada di esporre alcune delle loro opere migliori in alcune sale del museo. Non si sa mai, magari il tizio seduto per terra che fa ritratti davanti al supermercato potrebbe essere il nuovo Velázquez!”

Jorge non riusciva a credere alle sue orecchie, Marisol aveva davvero finanziato il secondo museo più importante di tutta la Spagna?

Fecero un giro per le sale e Jorge si complimentò con tutti gli artisti di strada che incontrava lanciandosi in grandiosi elogi e strepitava più di una teenager ad un concerto dei One Direction.

Marisol: “Ehi Jorge! Guarda questo che bello!”

I due amici si fermarono a guardare un dipinto che rappresentava quelli che sembravano due lacci di colori diversi intrecciati tra di loro e legati con dei nodi alle estremità.

Il creatore del quadro si avvicinò a loro chiedendo un giudizio.

Jorge: “Io… Non lo capisco”

“Be’” – disse il ragazzo – “In pratica rappresenta due cose diverse che però non possono essere separate, quindi è un po’ come la trasposizione del detto ‘gli opposti si attraggono’, ma è decontestualizzato dall’ambito umano e spostato più nell’ambito metafisico. I due lacci non sono la carne, ma più l’anima, le idee, le opinioni”

Marisol: “Come a dire che nel mondo c’è spazio per il punto di vista di tutti e che tutti i punti di vista diversi alla fine ci rendono un tutt’uno?”

Il giovane pittore annuì con entusiasmo e mentre Marisol si congratulava con lui Jorge si mise a correre verso l’uscita. Dopo essere uscito, sentì la voce di Marisol che lo chiamava e si voltò.

Jorge: “Non posso fermarmi, devo… Devo andare!”

Marisol lo raggiunse col fiatone.

Marisol: “No… Non… Non farmi correre con i tacchi…”

Jorge: “Mari!”

Marisol: “Prendi la mia macchina, siamo lontani chilometri da casa tua, non puoi farla a piedi fin lì!”

Jorge: “E tu?”

Marisol: “Non preoccuparti, io prenderò un taxi. Ora va’!”

Jorge abbracciò l’amica e corse verso il parcheggio. Venti minuti dopo stava picchiando il pugno contro la porta di casa con tutta la forza che aveva in corpo.

 

Paquita era appena tornata a casa dopo una giornata passata a fare le sue cose noiose ma che la rendono così pop-star celebrity red carpet. Aveva appena posato il suo cappotto sull’appendiabiti quando il suo telefono squillò.

Paquita: “Yo! Qui Paqui-Paquita all’apparecchio, chi sballa lì?”

Ma nessuno rispose. Si sentivano solo strani rumori soffocati in lontananza. La ragazza si innervosì, pensando ad uno scherzo telefonico. Fece per riattaccare quando una voce spezzata e affaticata parlò “A-Aiu… Ai… To…” un rumore di vetri infranti chiuse la telefonata. La ragazza sentì un brivido percorrerle la schiena, controllò il registro chiamate per vedere di chi fosse il numero: “Kasa Mar.Tah”.

 

Quando Feliz aprì la porta non ebbe neanche il tempo di vedere chi stesse bussando così forte da rovinare il suo scrub ai cetrioli e gamberetti che subito Jorge si gettò ai suoi piedi piangendo.

Jorge: “F-Feliz… Io... Io… Mi dispiace! Sono stato un idiota in queste settimane, io… Io volevo solo… Ora non so nemmeno cosa stessi cercando di fare… Non mi importa se non v-vuoi essere vegetariano… Noi… Noi siamo dei lacci, dei la-lacci… Noi non ci possiamo separare… Perdonami… Pe-pe…”

Feliz si abbassò e baciò suo marito.

Feliz: “Ti amo”

Due parole. Due semplici parole che però riempirono il cuore di Jorge come non lo era mai stato negli ultimi giorni. Feliz lo strinse con forza a sé mentre lui ancora singhiozzava sul pavimento.

Il telefono di Feliz squillò. Lui non rispose, ma quello continuava a squillare ancora e ancora. Fino a che anche Jorge smise di piangere e lo guardò con preoccupazione.

Era Paquita. Feliz mise il viva voce. La ragazza non sembrava affatto tranquilla, anzi era quasi isterica.

Paquita: “Feliz! D-devi venire a prendermi immediatamente, Martah… Lei… Oh mio dio! Sono giorni che non la sento! Come ho fatto a non capirlo… Io non posso crederci… Dobbiamo, dobbiamo chiamare i soccorsi e.. E poi… E poi…”

Feliz: “Paqui, rallenta! Che è successo?”

Paquita: “Martah… Io penso che Delmar le abbia fatto del male. Mi ha chiamata poco fa e ho sentito dei rumori… E’ stato orribile! Fa presto, io chiamo la polizia!”

Paquita chiuse il telefono. Jorge e Feliz si guardarono, questa volta nei loro occhi c’era puro terrore.

Andarono immediatamente verso casa di Martah, trovarono la porta d’ingresso aperta.

L’atrio era devastato, c’era sicuramente stata una lotta. I tre amici non fiatarono. Della polizia ancora nessuna traccia. Entrarono lentamente percorrendo il corridoio, sorvolando mobiletti rivoltati e cocci di vasi di ceramica. Paquita afferrò sia Jorge che Feliz e trattenne il respiro, i due amanti abbassarono lo sguardo e videro una macchia rossa sulla moquette verde. I tre amici impallidirono, ma continuarono a camminare seguendo quella scia. Sul pavimento, davanti la porta della cucina, diversi frammenti di vetro e un coltello insanguinato.

Un paio di metri più avanti, il telefono fisso era stato distrutto, accanto, dentro una pozza di sangue, il corpo senza vita di Delmar.




NdA:

Stavolta non c'è niente da tradurre. Per il resto, speriamo vi sia piaciuto il capitolo!
   
 
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