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Autore: arabellademornier    31/07/2016    1 recensioni
[Luciano Ligabue]
Estate, Toscana.
Un rapimento.
Una ragazza che si trova nel posto sbagliato, al momento sbagliato.
E una storia d'amore che parte da quella che si credeva sarebbe stata la fine.
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Ci tengo a dirvi che ci ho pensato molto prima di mettermi qui a raccontare questa storia di cui già avete sentito abbondantemente parlare fino alla nausea. Mi informano dalla regia che sono stato merce da telegiornale per parecchio, beh...avrei sicuramente preferito esserlo per un concerto o per un album in uscita, non certo per un rapimento. Purtroppo, da quel maledetto giorno, per me ci sono state fin troppe notti insonni, fin troppe lacrime amare (sempre segrete), fin troppi attacchi di panico e tantissime sedute da uno strizzacervelli che proprio l'altro ieri mi ha consigliato di provare a esorcizzare la cosa. Dice che a volte funziona.

Così, come fu per Arrivederci, mostro!, eccomi pronto a mettere nero su bianco un male di cui forse non mi libererò mai più e mentre guardo la mia donna dormire, la donna di questa storia, la stessa donna di cui ho vegliato il sonno per essere certo che continuasse a respirare, mi ripeto che l'unico modo di dimostrarle il mio amore, lo stesso amore a cui lei non crede fino in fondo, sia quello di raccontarvi quello che una volta ha fatto per me.


Mi trovavo in Toscana, era estate.
Avevo voglia di scrivere un po', così avevo cercato rifugio in uno dei posti in cui andavo spesso in vacanza. Quelle colline ormai, mi erano familiari come casa mia. Girovagando nei vari borghi con la bicicletta - e chi mi conosce sa che io amo spostarmi così quando posso - mi fermo un attimo a bere un sorso d'acqua dalla borraccia e ad ammirare un po' il panorama che avevo la fortuna di avere di fronte.
A un certo punto, senza tanti preamboli e senza che mi accorgessi di essere stato seguito o chissà cosa, ecco che un auto scura mi viene incontro ad alta velocità, inchioda di botto, e tre uomini con il volto coperto da un passamontagna, scendono e provano a trascinarmi dentro con loro.

Sono nella merda, penso. Ci sono occasioni in cui non posso farne a meno, ma fino a quel momento mai avevo pensato di aver bisogno dei bodyguard anche nella vita di tutti i giorni.
«Ora questa chi cazzo è» sento dire a uno dei tre.
Nella foga di tutto, non mi ero accorto che nel frattempo una ragazza stava cercando di aiutarmi. Capisco che la cosa non era nei piani e che già eravamo partiti male. A questo punto, credo di essere stato drogato, perché ho pochi ricordi di quello che è accaduto dopo.
So solo di essermi ritrovato in un casolare abbandonato con una che dava di matto di brutto. 
 


«Liberateci! Liberateci subito!» sbraita la tipa.
«Dove siamo?» domando. «Chi sei?»

Lei si volta e mi guarda come se fossi il gatto che ha appena portato in casa una lucertola.
«Non lo so, e» risponde un po' scocciata «Giulia».
«Mi hanno rapito?» domando ancora. Mi sento male, mi sento strano.
«Se non hai qualche amico stupido capace di fare questo genere di scherzi, direi proprio di sì. Per la cronaca, ci hanno rapito».
«Te ne potevi andare. Perché ti sei fermata ad aiutarmi?» la sensazione di avere la testa altrove mi rende nervoso e il tono con cui questa ragazzina risponde non mi fa sentire meglio.
Lei smette di guardare fuori dalle sbarre che ci tengono prigionieri e fissando gli occhi su di me, balbetta: «Perché... beh perché... nel senso...»
Non riesce ad andare avanti, ma non ce n'è bisogno. Sull'esterno del braccio ha un tatuaggio: femmina come la guerra.
È chiaro come il sole. 
Mi ha aiutato perché è una mia fan.
 


Entrano due tipi, sono armati. Dicono che vogliono sporcare con il mio sangue la lettera che invieranno a Correggio per il riscatto. La cosa inizia a mettersi male davvero.
Giulia si mette in mezzo.
«Fantastico. Così se qualcuno di voi macellai esagera nei modi vi siete giocati la vostra pedina di scambio. Chi pagherebbe per un morto? Davvero una mossa intelligente».
Usa una certa dose di arroganza mentre lo dice, la dose di chi vuole andarsela a cercare.
«Vuoi forse offrirti volontaria tu?» risponde duramente uno dei due uomini incappucciati.
Lei esita. Poi, con un incertezza che percepisco solo adesso nel ricordo, esclama secca: «Certo, usate il mio».
È pazza, penso. Crede che si limiteranno a farle un taglietto con un coltellino svizzero? Ma sono immobilizzato dal panico e non riesco a fare niente mentre vedo i tipi che l'afferrano e la picchiano una, due, sette volte, lasciandola a terra svenuta.
Di sangue adesso ce n'è.
Ma loro se ne vanno e non ne prendono neanche un po'.
 


Appena chiudono il cancello di sbarre mi avvicino a lei. Ha le guance rigate di lacrime, questo vuol dire che ha pianto mentre la picchiavano. Non si è fatta sentire però, non avrebbe mai dato quella soddisfazione a nessuno, né allora né dopo. Ho appena il tempo di toglierle un ciuffo intriso di sangue dalla faccia che subito i nostri aguzzini irrompono di nuovo nella stanza.
Stavolta sono in tre.
Il terzo è a volto scoperto e ha l'aria di chi non ha paura di farsi vedere, perché tanto nessuno l'ha mai beccato e mai lo farà. Uno mi prende di prepotenza, mi allontana da Giulia e si impegna per tenermi fermo. Stavolta, provo almeno a fargli sudare il compito. Un altro tira su lei e la sbatacchia fino a che non rinviene. Beh, rinviene per modo di dire.
«Pensi di essere furba?» le dice in tutta tranquillità quello senza cappuccio. «Non mi sono mai piaciute le donne che credono di poter valere qualche cosa a questo mondo. Tienila» ordina quindi al complice.
L'altro tipo la afferra da sotto le spalle e la sostiene cercando di mantenersi a distanza dal suo corpo. Misogino, forse? No. Il tizio senza cappuccio tira fuori una pistola e allora capisco perché quello che la tiene cerca di starle lontano.
«Questo è solo un avvertimento, ma è bene che tu sappia che noi non stiamo giocando» dice a me quello a volto scoperto e spara un colpo verso Giulia.
Ecco, l'hanno ammazzata, penso. Questa povera ragazza che magari voleva solo un autografo o una foto è morta al posto mio. Perché, anche se non ne so molto, mi sembra di ricordare che sotto la spalla sinistra c'è il cuore.
La lasciano cadere e lei resta ferma, ma non è morta. Ha gli occhi aperti, guarda in alto e ansima per il dolore. Adesso ha paura. Ho ancora il ronzio dello sparo nella testa, e pur se sufficientemente lontano, riesco a vedere il buco che il proiettile si è scavato nella stoffa della sua maglietta.
Il tipo senza cappuccio si inginocchia al fianco di Giulia, poi con tutta la tranquillità di questo mondo, le infila un dito nella ferita e accoglie il suo urlo straziante. Penso di non averla mai vista tanto nuda come in quel momento. Lui aspetta che la mano gli si tinga di rosso, infine si fa porgere il foglio di carta su cui è scritto quanto vale la mia vita e fa in modo che si macchi per bene.
«Grazie per la collaborazione» le sussurra compiaciuto.
E se ne vanno tutti e tre.
 


Finalmente riesco a darmi una mossa. Mi tolgo svelto la camicia e la comprimo sulla ferita di Giulia che intanto fa fatica a rimanere sveglia. Va e viene e quando viene purtroppo sembra messa sempre peggio dell'attimo prima. Soffre, e io non so come fare per aiutarla. Questa ragazzina si è data al posto mio. Magari non è servito a niente, però l'ha fatto e per ora ha dimostrato sicuramente di avere più palle di me che come un malluccone me ne sono stato fermo in un angolo a guardare.
Continuo a comprimere sulla spalla e ogni volta le faccio male, lo so. Il suo respiro si fa più affannoso e rumoroso, gli occhi le si rivoltano all'indietro troppo spesso.
Trema.
Mi sta lasciando.
In un impeto di disperazione, mi avvicino alle sbarre e comincio a urlare. «Ehi!» grido. «Aiuto, aiuto!» grido ancora. «Se la ragazzina muore giuro che non avrete niente! O ne usciamo tutti e due o non ne esco vivo neanche io!» Quella fu la prima grande promessa d'amore che, inconsapevolmente, le feci.

 

 

   
 
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