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Autore: Ally Dovahkiin    31/07/2016    2 recensioni
Entrare nella testa di Lysandro per una manciata di giorni nei quali cui il suo universo psicologico si ritrova completamente capovolto a causa di una sola ragazza; vedere in lui sentimenti così contrastanti e, se vogliamo, fin troppo irriverenti per la sua persona: pregiudizio, illogica infatuazione, paranoia e desiderio.
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Ultimo capitolo modificato.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dolcetta, Lysandro
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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Passai un'oscena notte bianca, piena di pensieri e rimpianti, la mia realtà faticava a mettere a posto le cose poiché troppe erano le sensazioni provate. Avevo come l'idea che si accartocciasse su se stessa, era molta pressione anche per un universo immaginario che comunque nasceva dalla mia mente, così alle tre di notte circa ebbi finalmente l'illuminazione. Dovevo scrivere una poesia per Dafne, ma non sapevo bene come impostarla. Un'ode? No, troppo esagerato; ma una poesia d'amore era veramente troppo scontata. Tuttavia una ballata non mi sembrava consona alla situazione, troppo antica. Cominciavo a riflettere sull'epigramma dato il mio stato d'animo, ma era decisamente poco fausto. Avanguardia? Non era proprio da me… .

Dopo un lungo ricamare e libri di letteratura sfogliati fino allo sfinimento ebbi forse la più semplice delle idee, una sestina narrativa, un classicismo rivelato nel suo stemma, ovvero l'endecasillabo, tuttavia non mi sentii di raffigurare in maniera esplicita la figura salvifica della donna, che sarebbe lei in questo caso. Ero così dannatamente imbarazzato, mi vergognavo a morte di ciò che stavo scrivendo, ma dopo vari tentativi riuscii a svincolare il tutto usando la tattica del correlativo oggettivo. Presi come ispirazione il panorama di questi giorni, monopolizzato dal grigio – colore che stavo nettamente riconsiderando - e il bianco di giorno, e la loro mutazione nella notte, stessa trasformazione alla quale avevo assistito su di lei.

Quando finalmente fui soddisfatto del mio lavoro non trovavo più conveniente andare a dormire – o per lo meno provarci – così riempii la vasca di acqua bollente e bagnoschiuma e mi immersi al suo interno. Mi lasciai coccolare da tutto quel calore e giocai distrattamente con la schiuma mentre riflettevo se fosse veramente il caso consegnarle quella poesia oppure lasciar perdere evitando così anche una probabile delusione nel caso non fossi ricambiato, l'ennesima delusione, anche se forse quella volta avrebbe fatto più male, ma ancora non potevo saperlo.

Sprofondai nell'acqua e mi immersi completamente trattenendo il fiato e tenendo gli occhi chiusi. A volte mi chiedevo come sarebbe stato respirare sott'acqua, ma ogni volta prendevo coscienza del mio pensiero stupido e mi chiedevo per quale ragione ogni tanto spuntassero nella mia mente pensieri del genere. Alzai le palpebre lentamente, il bagnoschiuma mi pizzicava agli occhi, ma era bella la visione da laggiù, era come se mi facesse scudo da ogni mio problema: «Ogni mio pensiero è al di là di questa parete» pensai.

Vi sarei restato all'infinito se dopo poco non sentissi il disperato bisogno di prendere aria e così riemersi ed ero di nuovo al punto di prima. Sentivo anche un briciolo di invidia verso Dafne, lei non aveva paura di esprimersi, io invece ero così coniglio quando mi ci mettevo, chissà cosa avrebbe pensato di me dopo quella sera, non sapevo con quale faccia mi sarei presentato da lei l'indomani mattina.

Una volta finito il bagno misi un accappatoio e dato che era ancora presto spulciai ancora una volta nel suo quaderno, mi piaceva vedere la sua grafia, scorreva lieta nel foglio donando la forma che quelle parole meritavano, il mio sorriso ebete venne però spezzato da una nota sull'ultima pagina, c'era un numero telefonico, sicuramente il suo numero.

«Perfetto» pensai fra me e me «altre paranoie».

Passai pesantemente la mano sulla faccia come a volerla strappare via, ma come avevo fatto a non farci caso? Eppure avevo letto ogni cosa... come avevo fatto a soffermarmi solo alle righe che aveva scritto?

Senza ricamarci ulteriormente troppo su salvai il numero in rubrica e decisi di fare un'azione decisamente scellerata, quasi al limite delle mie capacità. Salvai il numero in rubrica e cominciai a scriverle un messaggio: «Buongiorno. Oggi dopo le lezioni ricordami che devo consegnarti una cosa, è importante».

Meditai profondamente sul tasto INVIA, sembrava un po' subdolo, come se volesse dire che una volta che avessi accarezzato il suo corpo non avrei avuto più modo di tornare indietro, ed era vero, mi stava forse sfidando?

Girai lo sguardo da un'altra parte e lo feci, INVIA… inviato.

Chissà se anche le ragazze si facevano tutti questi problemi quando si trattava l'ambito amoroso? Di sicuro non mi avrebbe calmato i nervi, ma almeno mi sarei sentito meno solo. I miei pensieri si posarono così su Rosalya, beh, no. Proprio no. Lei non era tipo; ma perché io sì?

A volte credevo che non fosse poi così grandioso vedere le cose come le vedevo io, con la mia odiosa sensibilità amplificata che mi rendeva le cose più semplici o immensamente belle o drasticamente disastrose, anche se in realtà, un pensiero razionale le avrebbe analizzate per ciò che erano, senza complessi che si andavano a ramificare come piante rampicanti ad ogni singolo dettaglio di un pensiero ricoprendolo di felicità o tristezza. Non era bello essere così sensibile, mi faceva sentire fragile, ed io non volevo esserlo, immagino che nessuno vorrebbe.

E poi non riuscivo a togliermi quel titolo dalla testa, “Acrostico in memoria di Laio”, mi rilessi il testo per cercare questo famoso acrostico, ma non lo trovavo. E poi chi era Laio? L'eroe greco o una persona normale chiamata Laio? Dato che si nomina anche Freud mi veniva da pensare più al mito, dato che il caro Sigmund era decisamente fissato con i miti greci, bastava vedere Edipo, il quale alla fine era proprio figlio di quest'ultimo, e conoscendo le dinamiche del mito, beh sì, aveva senso.

Alla fine mi convinsi che quel testo non aveva alcun senso e che Dafne si era solo divertita a farmi sgocciolare il cervello giù dal naso, e ci era riuscita! Anche molto bene. Stavo lentamente piombando in un leggero baratro di isteria, ma ciò che ora è più divertente è che stavo facendo tutto con le mie mani.

Mi stavo finendo di preparare per andare a scuola e mentre mi lavavo i denti il cellulare vibro dal mobile a specchio che si ergeva appena sopra il lavandino, il quale fece un rumore infernale. C'era un messaggio di Dafne, diceva: «Buongiorno anche a te, Lysandro».

Disperato poggiai l'apparecchio lì dove l'avevo lasciato l'ultima volta, non avevo più la forza nemmeno di farmi domande – alle quali tanto non avrei trovato risposta – mi faceva male la testa ed ero esausto sia fisicamente che psicologicamente.

Dopo una decina di minuti ero per strada, impeccabile come al solito, ma con un uragano in testa ed anche nello stomaco dato che non mangiavo nulla dal pranzo del giorno prima, tuttavia mi ero accontentato di una dose doppia di caffè; nonostante i continui brontolii non avevo voglia di mettere qualcosa nello stomaco, non mi andava nulla.

Nel tragitto non riuscii nemmeno a focalizzare la mia attenzione su qualcos'altro, qualunque cosa potesse catturare la mia attenzione, ma nemmeno l'albero solitario del parco vicino al bar riuscì a suscitarmi qualcosa. Dovevo sopportare quel senso di inadeguatezza cosmica.

Appena arrivai a scuola venni subito fermato da Rosalya, la quale sorridendo mi disse: «Oh, Lysandruccio! Vedo che sei sopravvissuto» ammiccò.

Per un attimo mi si raggelò il sangue nelle vene, ma dovevo rassegnarmi alla sua profonda curiosità scimmiesca. Dal canto mio, mi limitai ad annuire, ma si leggeva nei suoi occhi gialli da gatta che voleva sapere altro, anche se effettivamente non c'era niente da raccontarle, perché era una che delle parole se ne faceva poco, per lei contavano molto di più i fatti.

«Non sperare di prendermi in giro così, Leigh mi ha detto che sei rientrato a casa che era quasi mezzanotte!» sussurrò maliziosa.

«Rosa, Leigh magari ha dimenticato di dirti che sono uscito di casa che erano le ventidue…» dissi alzando lo sguardo ed intravedendo appena Castiel che entrava a scuola straordinariamente in orario «suona molto meno scandaloso così, non trovi?».

Lei rimase decisamente delusa e sembrò quasi mettermi il muso, allora io la liquidai con un saluto veloce dicendole che dovevo assolutamente andare a parlare con Castiel per le prove, la più squallida delle scuse, ma anche la più credibile data la mia attività sociale e Rosalya sembrò crederci, forse perché si era già offesa sulla base di non so cosa a dir la verità.

Quando entrai vidi con sollievo l'ultimo banco a sinistra, occupato a destra. Quando il mio vicino mi vide mi diede una veloce occhiata e poi ridacchiò, dovevo avere davvero un aspetto pessimo per farlo divertire in quel modo, già, perché di solito quello che arrivava a scuola con le occhiaie, pallido in volto e poca voglia di parlare era lui. Quella mattina i ruoli si erano un po' invertiti.

Mi sedetti senza dire una parola e mi girai subito verso la finestra, ma quando lui appoggiò rumorosamente i piedi sopra il banco capii che lo stava facendo per attirare la mia attenzione. Ruotai di poco la testa mentre un piccolo sorriso mi sfuggì via dalle labbra, non volevo dargli la soddisfazione di vedermi da vicino, oh no.

Data la sua insoddisfazione davanti al mio gesto lui mi prese la testa fra due mani e mi girò di scatto facendomi scrocchiare tutte le vertebre – esistenti e fantastiche – del mio collo. Un dolore atroce mi colpì per qualche istante, poi passò adagio.

«Ti sei dato ai rave?» ironizzò.

«Ma sei pazzo?» sbottai io.

«Droga?».

Sospirai socchiudendo gli occhi.

«Donne?».

Io lo guardai storto, cominciavo ad essere scettico della sua ironia.

«Nemmeno quelle donne? Niente di niente?» trattenne a stento una risata «E cosa ti ha tenuto sveglio? Lovecraft?».

«Mh...» storsi la bocca tornando a guardare lo stesso panorama di sempre alla finestra «e se ti dicessi che forse ho incontrato il mio zombie di vudù?».

Castiel cercò di analizzare bene la mia frase, lo si poteva notare dalla finissima, quasi impercettibile, ruga d'espressione che gli veniva sulla fronte, sapevo che lui sapeva ascoltarmi, era in grado di capire quel che dicevo, perciò l'avevo preferito a molti altri.

«E, se si può sapere, cosa ti fa credere che sia “il tuo zombie” e non “uno zombie”?» domandò avvicinandosi.

«Secondo te è possibile innamorarsi in un giorno?»

Se c'era una cosa che odiavo fare era rispondere ad una domanda con un'altra domanda, ma dato il mio caos mentale in quell'attimo, nel quale mi sembravo sul ciglio di un baratro prima dell'isteria, era forse l'unico escamotage attuabile.

«Boh, le ragazze lo chiamano colpo di fulmine» rispose vago, poiché giustamente non poteva sapere dove volessi andare a parare.

«No, io intendo un'altra cosa: una persona che conosci da un po', con la quale non hai mai parlato, ma d'improvviso quando vi trovate soli è come se la vedessi in una luce del tutto diversa, e diciamo che ti genera una serie di complessi dai quali difficilmente puoi divincolarti» sussurrai a mezza bocca.

Non volevo che il trio delle oche mi sentisse, anche se erano impegnate a starnazzare degli affari loro non potevo sapere se i loro ricettori da pettegole fossero funzionali o meno.

Castiel mi guardò e dall'espressione che gli dipinse il volto, stupore misto «ma tu sei pazzo», capii che aveva compreso. Dovevo ammettere che in quel momento che mi confidai con lui il peso che avevo sullo stomaco si alleggerì di molto, mi sentivo, per quanto in maniera relativa, più leggero.

«Cioè, ma come...» disse quasi scioccato «ma com'è possibile? Ma stai parlando della muta?».

Gli feci cenno di abbassare il tono e poi gli annuii. Lui sgranò gli occhi, era incredulo quasi quanto me da quella situazione paradossale, eppure era accaduto.

«Ma com'è successo?» chiese vagamente interessato.

Io gli raccontai tutto quello che era successo, lui sembrava ad ogni parola più attonito, ma quando capì che si trattava di una cosa seria, e non di uno scherzo come lui avrebbe desiderato, cercò di essere comprensivo.

«Beh, ma allora che problema c'è? Dagli questa poesia e finisci questa analisi dell'acrostico in memoria di… Nonmiricordo. Sbaglio? Se ti liquida te ne troverai una che parla, il danno è poco».

Io accettai il suo consiglio, era curioso come quanto io me lo sia ripetuto per tutta la notte nella speranza di convincermi, e poi arriva lui, che mi dice le stesse identiche cose – in modo decisamente più diretto e poco rispettoso nei confronti di Dafne – e credevo che magari potrebbe essere la cosa giusta da farsi.

Forse a volte abbiamo solo bisogno di qualcuno che ci dica le parole che vogliamo sentirci dire, solo così, armandoci del coraggio infuso da altri cuori impavidi, possiamo arrivare a compiere quegli atti che prima credevamo impossibili, o almeno ci illudiamo di questo i primi cinque minuti. Diciamo che nel mio caso avrebbero dovuto essere ancora meno, poiché trenta secondi dopo, Dafne entrò in classe. La salutai con moderazione e lei fece lo stesso. Cercai di mantenere il mio coraggio saldo, e superando ogni mia aspettativa ci riuscii anche dopo la fine delle lezioni.

Aspettai che tutti, lei compresa, uscissero dalla classe, poi presi furtivamente dal mio taccuino il foglio dove avevo scritto il componimento per lei e mi avviai fuori dalla stanza.

Dafne mi aspettava attaccata agli armadietti del primo corridoio, aveva le mani dietro la schiena e si dondolava con un'innocente grazia. Mi avvicinai lentamente, anche se notai dalla sua espressione vagamente colpevole che si era accorta del mio arrivo, ma continuava a trastullarsi ed a far finta di niente.

Appena fui abbastanza vicino mi schiarii un po' la voce e lei si girò falsamente sorpresa, era veramente una pessima attrice, ma era adorabile. Non le dissi nulla, ma le lasciai solo il foglio con la poesia per lei. Guardò il pezzo di carta con stupore, vero stupore, e mi fece cenno di avvicinarmi, dopodiché mi schioccò un bacio sulla guancia e se ne andò battendo sul suo polso con due dita, come a voler ricordarmi l'orario. Per niente al mondo sarei arrivato in ritardo quel pomeriggio.

Arrivata l'ora di pranzo mangiai parecchio, anche se mi trovavo a farlo da solo, Leigh aveva avuto un grosso ordine alla boutique e doveva fare gli straordinari con Rosalya. Era ovvio che dovessi compensare tutto il digiuno patito. Una volta mangiato e sistemato mi misi a ragionare su quel dannato acrostico, il quale mi stava letteralmente rovinando la vita, anche se dopo che avevo consegnato il mio scritto a Dafne non sembrava poi erodermi il fegato così diabolicamente come faceva prima.

Pensai un po' al concetto di famiglia, sicuramente voleva comunicarmi che nella sua le cose non andassero benissimo, anche se speravo non vi fossero gli incesti strani che si trovavano nel testo. Cominciai a fantasticarci sopra, spesso quando scrivevo i pensieri che nascevano da quel mio mondo onirico ci azzeccavo. Provai a dare una forma più realistica alla cosa, ascoltandomi anche la canzone originale e smettendola di leggerlo solamente in quel foglio di carta.

L'introduzione smodatamente lunga mi lasciò il giusto tempo per pensare, la sua melodia a metà strada fra il jazz e il vecchio rock mi avevano trasportato ed alla fine colsi anche un po' la triste ironia che vi era in quel pezzo, anche se dell'acrostico non se ne vendeva nemmeno l'ombra e la cosa mi faceva innervosire.

L'orario del nostro appuntamento, sembrava così lontano che mi ritrovai ad aspettarla davanti al liceo quasi un'ora prima, il cuore mi martellava forte in petto, era in quel momento che si fece sentire l'ansia. Ero agitato nel sapere cosa avesse pensato della mia poesia, speravo solo non mi prendesse per un disadattato, insomma, i tempi in cui i ragazzi scrivevano poesie alle ragazze che gli interessavano erano forse un tantino surclassati, ma io, come lei, avevo forse un unico metodo di comunicazione, ed era quello. Sapevo che lei poteva capirmi, ne ero certo.

Dafne arrivò con mezz'ora di anticipo, sentii il cuore perdere un battito, mi avvicinai spontaneamente a lei, mi sentivo tempro e dovevo essere sicuramente arrossito, avevo così tanta voglia di sapere cosa ne pensasse. Purtroppo però lei estrasse sadicamente dalla tasca del suo soprabito un piccolo blocchetto di post-it azzurri e me ne attaccò uno sulle labbra.

Lo staccai e lo lessi, vi era scritto sopra una sola parola, un nome, quattro lettere: «Laio».

«Lo ucciderei io se non ci avesse già pensato suo figlio, capisci a che punto mi hai portato?» ironizzai, più o meno.

Lei sorrise e ci facemmo strada dentro il liceo, Nathaniel aveva ancora una volta lasciato le chiavi a lei, mi lasciava quasi intendere che lui se ne fidasse più che di me. Quando arrivammo alla biblioteca percepii una strana sensazione, come se vi fosse una leggera elettricità nell'aria che mi solleticava nonostante quella stanza odorasse di chiuso e polvere.

Le porsi quello che avevo scritto sull'enigmatico testo, ed in quell'istante speravo mi facesse capire cosa significasse esattamente quel testo per lei.

«Ci sei andato vicino» disse guardando il foglio.

Io sgranai gli occhi sbalordito, Dafne mi aveva parlato. Aveva una voce così dolce e melodiosa, un po' bassa, quasi annoiata. Era incantevole.

Lei sorrise ancora, e mi indicò il cuore: «tu sei Laio?» mi chiese.

Io non sapevo esattamente cosa risponderle, ma nel dubbio scossi la testa in segno di negazione.

«Bene, questo brano varia di significato a seconda di chi lo ascolta… volevo solo che tu capissi».

«Cosa?» balbettai appena.

«Perché non parlo» prese un respiro «non voglio essere notata dentro casa mia, tanto non lo sarei ugualmente. Mio padre è il Laio moderno, solo con una nuova compagna più giovane e due figli maschi, io sono Edipo. Io sono stata abbandonata da mio padre per qualcosa di migliore. Per assicurarsi un buon futuro per lui» dette quelle frasi si fece una croce sopra la bocca.

«No, ti prego, non smettere di parlare… io adoro la tua voce» le dissi accarezzandole la guancia.

Lei mise la sua mano sulla mia e mi guardò scuotendo la testa.

All'improvviso mi ricordai del pensiero che avevo avuto con Castiel, quello che mi convinse a darle la poesia, forse se le avessi detto quello che voleva sentire lei avrebbe riconsiderato la sua posizione, tuttavia non sapevo se con lei fosse adatto il linguaggio verbale. Mi lanciai totalmente nel vuoto, ci provai.

Le presi il viso fra le mani e la baciai, quando le nostre labbra si incastonarono una scarica di adrenalina mi percorse tutto il corpo e lei mi strinse forte in un abbraccio quando le nostre lingue si sfiorarono. Il suo odore di zucchero a velo caldo mi inebriò ancora una volta, sentivo la passione scorrere in me, era una voglia così prorompente che non riuscivo a trattenermi, tanto che la feci distendere sul tavolo della biblioteca. Non potevo credere a ciò che stavo facendo, ma non volevo tirarmi indietro.

Lei aveva capito ormai bene le mie intenzioni e non sembrava dispiacerle, le passai una mano sulle gambe longilinee, un po' ginoidi, fino ad insinuarmi all'interno del vestito lungo e nero per cercare l'inizio di quelle calze che ostacolavano il nostro incontro. Si sfilò le scarpe semplicemente strisciandone una contro l'altra, a quel punto io mi insinuai fra le sue cosce e le sfilai le calze e gli slip. Lei si irrigidì per un istante, così io la baciai dolcemente sulle labbra pallide, sul collo e sul suo petto mentre le accarezzavo quelle gambe così lisce, e l'interno coscia già vagamente umido. La sua fisionomia era strana, ma era la più bella che avessi visto. Aveva le fattezze di quella ninfa greca di cui portava il nome. Passai svariati secondi ad accarezzare la sua pelle bianca con la punta delle dita, passai dalle braccia che si allungavano fin sopra di me, accarezzandomi i capelli con una dolcezza tale che mi spinse a cercare le sue labbra ancora una volta, quella bocca di neve che aveva il sapore dell'infinito.

Con la mano mi feci strada nella scollatura del suo vestito e le toccai il seno morbido e già così deliziosamente maturo. Lei ansimava, ogni suo respiro entrava nella mia mente e accaldava ancor di più il mio corpo già bollente, ma non volevo che tutto si consumasse troppo in fretta, io volevo che quell'istante rimanesse impresso nella mente di entrambi. Lasciai fuoriuscire appena uno dei suoi seni, mi avvicinai cautamente con la bocca come se fosse la più delicata delle cose. Le baciai il fulcro della sua femminilità, strisciai appena il naso nella sua pelle e lei si fece strada con le mani attraverso la mia camicia accarezzandomi la schiena ricurva. Mi incitò a togliere il soprabito e mi sbottonò la camicia bianca. Quando mi poggiai ancora su di lei potei sentire tutto il suo mai ancora svelato calore, il suo dolce desiderio che si univa al mio. Avevo su di me la grande responsabilità di far sbocciare quel piccolo fiore delle tenebre, avevo il bisogno di comunicarle con il corpo ciò che lei era per me. Avevo voglia di fare l'amore, avevo voglia che per lei fosse la più bella delle notti.

La toccai nella sua intimità, sembrava fisicamente pronta, così decisi di dirle ciò che secondo me aveva bisogno di sentirsi dire, mi allungai sul suo corpo e sussurrai all'orecchio un: «Ti amo».

Lei mi guardò con gli occhi sgranati che poco dopo divennero lucidi dall'emozione, le baciai ancora il collo mentre lentamente entravo dentro di lei. Le sue gambe si chiusero dietro la mia schiena e mi porsero in avanti.

«Ti amo anch'io...» disse nella mia bocca «Lys».

 

Per Dafne fui il primo ragazzo, per me fu il primo, vero, unico, amore.

Tornato a casa non riuscivo a togliermi dalla faccia quel solito sorriso inebetito che aveva caratterizzato quegli ultimi giorni.

Contai le pagine del mio taccuino, erano dodici scritte, quel giorno si cominciava una nuova esistenza insieme a lei, la mia musa.

 

20 dicembre.

È rinomato che più forti sono i sentimenti che si provano e più le parole faticano ad uscire.

Cosa sono le parole? E perché il loro significato cambia a seconda di chi le dice?

Pagina 13.

Un nuovo inizio.

 

 

 

***

Spazio Autrice:

 

Bene, ora che ho modificato questo capitolo mi sembra essere decisamente migliorato, devo ringraziare il mio betareader di fiducia, Nichi per avermelo fatto presente. Mi è piaciuto concludere una storia, anche se breve, il giorno del mio compleanno ** detto questo si parte con i ringraziamenti:

Ringrazio tantissimo (ovviamente) Nichi, Kiritsubo83 che ha recensito questa storia dalle sue origini e linda84 per averla messa addirittura fra i preferiti! Inoltre un grazie va anche a chi ha letto questa storia silenziosamente, ve ne sono grata :)

 

Un bacione grande,

Ally!

   
 
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