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Autore: formerly_known_as_A    31/07/2016    1 recensioni
Hajime non si interessa troppo alle stelle, è Tooru l'esperto, ma sa che non tutte sono veramente nel cielo, che alcune sono morte e di esse si vede soltanto un fantasma. Sono identiche a prima, eppure non esistono più.
Ed è come quelle che Hajime teme siano anche loro due.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chiedo scusa a chi si è visto sparire questa storia da un giorno all'altro ma non mi convinceva per niente, mantenerla su EFP mi dava fastidio e solo ora che è riveduta e corretta, oltre che dopo le rassicurazioni di un paio di persone, mi sento di pubblicarla nuovamente.




La notte è incredibilmente calma, in cima a quella collina. Le case sono lontane, da qualche parte lungo la strada, oltre una fila di alberi che ne nasconde la presenza. Solo un lieve bagliore giallastro gli ricorda che da qualche parte, lì dietro, ci sono case e persone.

Non lì. Lì sono soli, sdraiati su un paio di vecchie coperte logore per proteggere i vestiti dall'erba umida. Quella di Hajime ha una fantasia scozzese verdastra che, come se si fossero messi d'accordo, si intona perfettamente con la vecchia coperta con le astronavi di Tooru.

Tooru che non ha parlato, negli ultimi dieci minuti, se non per puntare qualche stella ed enunciare nomi di costellazioni e raccontare vecchie storie che ne giustificano la presenza nel cielo. Anche Hajime le conosce, tanto quel rituale estivo è ormai una tradizione consolidata, eppure non protesta un secondo, quando le sente ripetere per l'ennesima volta.

Si sta bene, sulla loro collina, mai cambiata da quando sono bambini, l'erba alta che nasconde loro e le biciclette dal mondo esterno. Solo i segni delle ruote potrebbero indicare la loro presenza, ma Hajime sa che quasi nessuno passa di lì, le auto deviano tutte verso la strada più recente -anche se, dopo dodici anni, non è più tanto recente- e il raro passaggio dei fari non riesce ad accecarli e spegnere le stelle sopra di loro.

Si vede la Via Lattea. Sembra una nuvola allungata attraverso il cielo, nulla di troppo importante, nulla che potrebbe suggerire che si tratta di un braccio della galassia, un'opprimente distesa di stelle, così fitta da sembrare solo una nebbia luminosa. Attraverso di essa, quelle più vicine brillano con tutta la loro forza, immutate da quando erano bambini.

Hajime non si interessa troppo alle stelle, è Tooru l'esperto, ma sa che non tutte sono veramente nel cielo, che alcune sono morte e di esse si vede soltanto un fantasma. Sono identiche a prima, eppure non esistono più.

Ed è come quelle che Hajime teme siano anche loro due.

Volta la testa verso Tooru, per l'ennesima volta, le mani che cercano un appiglio nella coperta, il cielo sovrastante che sembra volerlo schiacciare. Ci sono milioni di storie, lì, milioni di possibilità, eppure Hajime si sente premuto contro un muro, senza uscita.

Ha una sola possibilità.

Ne ha milioni, ma solo una è la scelta che può fare, perché, dei due, è quello razionale, quello meno emotivo, meno portato a seguire l'istinto. Eppure l'istinto lo spinge a fare cose che non pensava possibili, lo spinge nella direzione opposta alla razionalità di cui si vanta.

Dei due, è Tooru quello istintivo, quello capace di ribaltare un programma all'ultimo momento perché sente che così -all'ultimo, lanciandosi nella mischia, eppure sempre calcolando ogni rischio- è meglio. Tooru è quello che rischia ogni cosa e Hajime si lascia trascinare, nonostante le proteste.

Alla fine, è quello che vuole. Perché non importa quanto stupido o irrazionale sembri una sua decisione, quando si tratta di Tooru, non importa.

Si fida ciecamente di lui.

Sente il proprio respiro e si sforza di trattenerlo, come se potesse zittire il canto assordante delle cicale tutto intorno a loro e distrarre Tooru. Non vuole che gli legga dentro, che capisca fino a che punto le preoccupazioni e le paure che si porta addosso da quando hanno perso -per colpa di Hajime- e da quando hanno deciso quali università frequentare -diverse, per colpa di Hajime- lo stiano schiacciando. Il peso della responsabilità, del rischio di mandare all'aria tutto quanto, di rovinare un rapporto talmente naturale, nella propria complessità, da sembrare un puzzle perfettamente costruito, più che uno scontro continuo tra personalità profondamente diverse, è soffocante, in senso fisico e mentale.

La notte che passeranno a guardare le stelle non sarà che l'ennesima che Hajime passerà insonne e guardare un soffitto imbiancato o fatto di stelle non potrà cambiarne il senso di oppressione dato dall'essere chiuso in una scatola, senza via di uscita.

Tooru non ha più aperto bocca, nota, ma sta ancora guardando le stelle, un'espressione meravigliata come la prima volta che Hajime l'ha trascinato in cima alla collina. È un'espressione che il ragazzo gli ha visto fare raramente, sempre in occasione di qualcosa legato a esse ed è convinto di aver saputo, fin da quel primo momento, cos'avrebbe finito per scegliere.

Le stelle sono qualcosa che Hajime non può offrirgli.

Vi ha rinunciato nella pallavolo e, quando hanno scelto due università diverse, ha cominciato un conto alla rovescia di quanto mancasse al momento in cui proprio quelle li avrebbero separati definitivamente.

Non è doloroso quanto pensava.

Se lo ripete come un mantra, sforzandosi di staccare gli occhi dal profilo perfetto di Tooru mentre ne perde i contorni, strappandosi dai pensieri di quanto, in fondo, Hajime sia sostituibile.

Non è doloroso quanto pensava.

Nemmeno quando la mano di Tooru cerca la sua e quella -traditrice, serva dell'istinto- si rilassa dalla sua presa ferrea sulla coperta, per afferrarla e tentare di racchiuderla nel palmo. Nemmeno quando sente l'inizio di una risatina, quella particolare, senza traccia di scherno o quella frustrazione oppressiva che accompagna Tooru, visibile o invisibile, quando è sul campo.

Nemmeno quando pensa all'incognita scura che gli riserva il futuro e il peso che sente sul petto sembra soffocarlo.

Perdere Tooru significa perdere anni di se stesso e Hajime non vuole perdere nulla di questo. Non importa quante volte sentirà ancora il nome delle costellazioni sopra la loro testa o Tooru barerà di nuovo in un'improvvisata gara in bicicletta o si addormenterà sulla sua spalla con la scusa che è comodo, facendolo risvegliare indolenzito o finirà per mostrargli per l'ennesima volta Alien, gridando per la paura nelle stesse identiche scene.

Non vuole perdere Tooru. Non vuole scoprire come sia Hajime senza Tooru, anche se è il percorso più razionale, quello che lo farà diventare un adulto vero.

Le stelle sembrano volteggiare sopra di loro, per un momento, ma non le vede abbastanza chiaramente per sorprendersene. Stringe la mano di Tooru, sentendola fredda e chiedersi se troverà qualcuno che gli ricorderà di prendere i guanti, in inverno, lo fa sentire stupido.

"Hajime! Hajime!"

La voce di Tooru lo fa sobbalzare come se non si aspettasse la sua presenza e sbatte un paio di volte le palpebre, mettendo a fuoco le stelle. In realtà non sono che lucciole, che ondeggiano senza neppure un ronzio sopra di loro e Hajime aggrotta le sopracciglia per il pensiero stupido.

Si volta verso Tooru, il proprio nome -quello con cui si è presentato la prima volta, quello che Tooru ha abbandonato quando sono diventati troppo grandi, troppo seri, quello che Tooru ha imposto quando non ci sono stati più sentimenti da nascondere sotto i cognomi- suona ancora strano, dopo mesi, pronunciato con la voce da adulto del suo migliore amico. O del suo ragazzo.

Una cosa non ha escluso l'altra, straordinariamente.

Se possibile, si corruccia maggiormente davanti ad un Tooru con il viso quasi completamente nascosto dal cappuccio scuro della felpa, illuminato in modo irreale dalla debole lampada da campeggio posata a qualche metro di distanza. Sembra un fantasma. O l'emoji della luna inquietante, tanto i suoi occhi sono sbarrati.

“Hajime!” esclama di nuovo, puntando gli occhi verso un indice teso verso il cielo che Hajime non aveva assolutamente notato, su cui sembra essersi posata una lucciola, prima di proseguire, con una voce impossibilmente metallica. “Tooooru. Teleeefonoooo. Caaaasa.”

Hajime impiega almeno dieci secondi a realizzare.

Il primo pensiero è che non vuole assolutamente più uscire in luoghi isolati con un essere capace di produrre tali suoni corredati da occhi così grandi.

Il secondo è immediato e riguarda il riconoscere la citazione.

Il terzo, quello che gli fa spalancare gli occhi, realizzando che Tooru Oikawa, diciassette anni, talento della pallavolo, studente modello e idiota completo, ha appena imitato l'alieno di ET, con una lucciola sulla punta dell'indice, mentre Hajime cercava di non morire di angoscia al pensiero di un'imminente separazione.

Non può che ridere e insultarlo allo stesso tempo, un suono che gli raschia la gola e, per un momento, lo fa vergognare di sé stesso, tranne cedere poi alla risata vera, accompagnata da quella altrettanto genuina di Tooru.

“Sei così... stupido.” commenta, quando riesce a smettere abbastanza da ribadire il concetto.

Tooru gli fa un sorriso pieno, appoggiato alla coperta con un gomito, la mano che sorregge la testa. Gli sfiora appena le guance, sotto gli occhi e Hajime si sente debole ed esposto nella propria debolezza.

“Meh, è colpa tua, i miei sensi alieni iper-sviluppati si attivano quando il mio ragazzo non ascolta i miei interessanti discorsi sul mio pianeta natio!” sbotta, posando il dorso della mano sulla fronte con fare teatrale.

“Non stavi parlando!” protesta Hajime, sentendosi arrossire. Era così tanto perso nei propri pensieri stupidi che, in ogni caso, non se ne sarebbe accorto.

“Verissimo!” esclama Tooru, fingendosi impressionato. “Infatti stavo pensando! E intensamente, anche!”

Hajime riesce a sorridere, scivolando in una dinamica che conosce, nei loro finti battibecchi esagerati ed allunga una mano per fermare quella del ragazzo, che gesticola per sottolineare ogni punto esclamativo del proprio tono petulante.

“Questa sì che sarebbe una scoperta sorprendente.” commenta, facendo schioccare la lingua. Tooru emette un verso irritato, picchiando la mano che voleva fermarlo e poi finendo per intrecciare le dita con le sue.

“Io penso spesso!” sbotta, imbronciandosi, prima di farsi serio.

È una trasformazione così netta che cancella ogni spazio di replica acida. “Stavo pensando a tutte le volte che siamo venuti qui. A tutte tutte. Anche quando c'è stato il temporale all'improvviso e credevo sarei morto. Anche se avevo dieci anni ed ero terrorizzato e dopo mi hai preso in giro, sul momento mi hai tranquillizzato e dopo mi hai preso sul serio ogni volta che ti ho chiesto di dormire insieme durante un temporale.”

Ricorda il momento, ricorda il tremore incontrollabile di Tooru, ricorda, soprattutto, che nonostante pensasse che non sarebbero mai tornati a casa, aveva sentito il bisogno di mentirgli, di rassicurarlo e suonare convincente anche se aveva altrettanta paura.

“Siamo insieme da così tanto tempo che non ricordo niente di importante in cui non ci fossi anche tu. È così adesso e sarà così anche dopo. Sarà così sempre, finché non vorrai lanciarmi nello spazio perché è almeno la centesima volta che ti spiego perché Venere e Marte sono visibili all'alba.”

Il sorriso di Tooru è meno sicuro, ora, leggermente tirato, come intimidito dall'eventualità che Hajime voglia davvero allontanarsi per una sciocchezza simile.

Gli sfiora una guancia e prende un piccolo respiro sorpreso quando Tooru inclina la testa per seguire la carezza, chiudendo gli occhi.

Il senso di oppressione non è svanito e nemmeno la sensazione di non avere nessuna scelta.

Eppure è con la stessa naturalezza di sempre che scivola con le dita fino alla nuca del ragazzo e se lo nasconde addosso, l'altro braccio che lo circonda anche se sa che di lì a poco gli bloccherà la circolazione con il peso della sua schiena.

È come se formassero un puzzle dalle forme complesse, ma dall'incastro perfetto, nel modo in cui scivolano uno addosso all'altro fino a restare petto contro petto, in silenzio, ad ascoltare le cicale intorno e il battito di due cuori veloci, cacofonici, che hanno paura delle stesse cose, ma delle stesse cose hanno fiducia cieca.

Non è doloroso quanto pensava.

Sono insieme.

   
 
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