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Autore: Therainsmelody    01/08/2016    1 recensioni
Abby ha problemi con il padre che la tratta come una serva;
Cara vive una vita agiata ma è insoddisfatta di se;
Nicholas ha un terribile e oscuro passato;
Lucas non fa che preoccuparsi per gli altri;
Ethan cerca solo di salvare il fratello dalla loro disastrosa famiglia
e Alan di scoprire il segreto che suo padre gli tiene celato da anni.
Sarà una lettera a dare inizio a quella che verrà ricordata come
la più grande rivelazione di segreti a cui la piccola cittadina di Wahoo abbia mai assistito,
ma la verità arriva sempre con un prezzo.
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 16 – Nelle tenebre

I wish I could show you,
 when you are lonely
 or in darkness,
 the astonishing light
 of your own being.
 
Pov Lucas
 
Dopo averci prelevati e caricati su un elicottero completamente nero, gli uomini di John ci avevano bendati. Il tragitto da quel momento si trasformò in una serie di suoni e sensazioni, ma nessuna immagine. Per le prime ore tutto ciò che udii furono le pale dell’elicottero e il brontolio scontento di un paio di quegli omaccioni. Rumori e scossoni d’assestamento durante il volo a parte, fu un viaggio piuttosto lungo e noioso.
Nessuno di noi disse una sola parola fino all’atterraggio.
La mia motivazione per il silenzio era la paura. Per tutto il tempo, nel profondo della mia mente, l’immagine di John che ci dava la caccia era stata ben presente, ma la verità era che non gli avevo dato il minimo peso. Avevo la brutta tendenza a vedere la mia vita come uno di quei film per teenager americani in cui pure il più idiota della scuola alla fine è felice e contento. Perciò nella mia visione del mondo noi ce la saremmo cavata alla grande.
Gli uomini di John? Quegli stupidi mastini non ci troveranno mai!
Quando Mark e i suoi amichetti erano comparsi la parte razionale del mio cervello, che aveva tentato più volte di avvertirmi, si era limitata a sospirare e a sussurrarmi: “Io te l’avevo detto”.
Il problema della paura e del panico è che non sono tuoi amici, anzi tendono a farti comportare come una perfetta testa di cazzo. La mia tattica nelle situazioni terrorizzanti era sempre e solo una: pretendere che non lo fossero. Questo era il motivo per cui per tutto il tempo rimasi in un serafico silenzio, come se, invece che venir rapiti da metà di quella che sembrava una squadra da rugby, stessimo andando a fare una fantastica vacanza ai caraibi.
Il vuoto creato dalla mancanza di discussioni cominciò a rimpicciolirsi solo una volta che fummo atterrati. Nello scendere dall’elicottero, sempre bendati, uno di noi inciampò rischiando di volare di faccia fuori dal velivolo. All’inizio si sentì un fortissimo clang metallico, proveniente dalla parte bassa dello sportello, subito seguito da un lamento soffocato. Solo dopo udii la voce di Cara lamentarsi:
<< Avrei potuto uccidermi! Non potete toglierci queste dannate bende? Tanto lo sappiamo tutti da chi ci state portando! >>
Uno degli scagnozzi le rispose che non poteva fregargliene di meno della sua salute fisica e che le bende erano un ordine di Mark perché non ci era dato conoscere il luogo in cui ci stavamo recando, che noi credessimo di saperlo oppure no.
In seguito camminammo per un paio di minuti in silenzio e poi ci fecero salire su quello che sembrava un piccolo furgoncino o un’auto con un rimorchio, ma il furgoncino mi sembrava più probabile. Il secondo viaggio fu decisamente più corto, ma molto meno comodo. Fino a quel tragitto pieno di scossoni non mi ero mai accorto di quante buche ci fossero sulle nostre strade. “Nostre” perché presumevo che fossimo tornati, se non ancora a Wahoo, almeno nello Stato del Nebraska.
Abby era sicuramente seduta al mi fianco; a ogni curva sentivo le punte dei suoi capelli che mi sfioravano la spalla destra, solleticandola. Tentai di allungare la mano per cercare la sua. Volevo stringerla e prometterle che sarebbe andato tutto bene, benché io fossi il primo a non pensarlo sul serio. Appena accennai il movimento la voce di uno degli omaccioni tutto muscoli mi riprese:
<< Tu, alto e smilzo, tieni le mani ferme e dove posso vederle. >> Ancora prima che finisse di parlare ero tornato nella posizione precedente. Farsi ammazzare durante un trasposrto ostaggi perché volevo stringere la mano della mia migliore amica non era esattamente nei miei piani.
Il viaggio continuò nel silenzio e nell’immobilità più totali. Sentivo il respiro irregolare di Ethan, per via del pugno di Mark, da qualche parte sull’altro lato del furgoncino. Probabilmente Cara si trovava nelle sue vicinanze perché i suoi lamenti per gli scossoni improvvisi mi sembravano giungere dalla stessa direzione. Per quanto riguardava gli altri non avevo la minima idea della loro posizione.
Come tutti gli avvenimenti della vita anche quel terrificante, infinito viaggio giunse ad una conclusione. Ci fecero scendere dal presunto furgoncino su quello che sembrava un prato piuttosto malmesso. Camminammo per qualche minuto prima che il terreno cominciasse a cambiare in qualcosa di più simile alla roccia. La temperatura, già non molto elevata, scese ulteriormente e solo allora ci fecero fermare e ci tolsero le bende.
Quella in cui ci trovavamo era, senza ombra di dubbio, una caverna. Intendiamoci, non una singola piccola caverna con ragnatele su ogni angolo e strani rumori di animali, ma una caverna collegata ad almeno cinque tunnel differenti che, con ogni probabilità, conducevano ad altrettante caverne. Non era totalmente naturale; qua e là si notava la rifinitura di qualche macchinario che aveva allargato i tunnel o smussato alcune sporgenze particolarmente pericolose. In oltre era estremamente pulita, come se venisse utilizzata regolarmente. C’era chiaramente qualcosa di incredibilmente sospetto in quel luogo, anche perché non ne avevo mai sentito parlare e io ero convinto di conoscere tutto di Wahoo.
Gli uomini di John ci scortarono attraverso un intricato labirinto di gallerie sotteranee fino a quelle che sembravano delle celle.
<< Sul serio? Mio padre ci fa rapire e poi non ha nemmeno la decenza di presentarsi di persona o di portarci a casa, ma ci fa rinchiudere in delle celle sotterranee chissà dove?! >>
Abby si era messa a urlare all’improvviso e nessuno di noi era pronto a quello scoppio d’ira, così, per un attimo, ci fu solo l’eco della sua frustrazione a risuonare tra quelle mura. Poi, uno degli uomini tatuati l’afferò per un braccio e le spinse, con molta poca delicatezza, all’interno della cella.
<< A nessuno importa di cosa pensi tu, ragazzina! >>
Uno dopo l’altro ricevemmo tutti lo stesso trattamento e ci ritrovammo rinchiusi, Dio solo sa dove. Due degli uomini di John si piazzarono all’esterno della cella. Uno sulla sinistra e l’altro sulla destra. Gli altri, Mark escluso, si allontanarono nelle tenebre.
<< Tenervi qui è un ordine di tuo padre. Vedi, vuole essere sicuro che, quando vi lascerà andare, nessuno di voi andrà in giro a raccontare quello che è successo. Sarebbe davvero un peccato se la verità venisse a galla dopo tutto il lavoro che è stato fatto per nasconderla, non vi pare? >> Sul suo volto si dipinse un orribile sorriso sbilenco, quasi sadico.
Per “vuole essere sicuro” non intende “vuole farvi torturare” o, peggio, “vuole uccidervi”, vero?
Il pensiero mi aveva solo sfiorato, ma era bastato per farmi venire la pelle d’oca e, molto probabilmente, per far assumere al mio volto un’espressione di puro terrore. Pur non potendo vedermi ero certo che fosse andata così per quello che Mark disse dopo:
<< Oh, ti prego, mammoletta! Adesso non metterti a piangere per la paura. Le direttive di John erano chiare: portavi qui, così che potesse essere il primo a parlarvi. Ha chiesto eplicitamente di non farvi del male. >> A seguito di quell’affermazione, Ethan si lanciò contro le sbarre, il volto deturpato dalla rabbia, arrivando a pochi millimetri da Mark.
<< Se il vostro compito era portarci qui e non ferirci, per quale cazzo di motivo mi hai colpito in piena faccia?! >>
Mark lo fissò sogghignando per qualche secondo, poi l’afferrò nuovamente per la giacca, schiacciandolo contro le sbarre alle quali si era aggrappato. Potevo vedere l’odio bruciare sul volto di entrambi, ma riuscivo anche a vedere la paura di Ethan di essere nuovamente colpito e di non essere in grado reagire all’affronto.
<< Vedi, McKaine, con te ha fatto un’eccezione. Mi ha detto che tu e tuo fratello eravate con sua figlia e, ovviamente, sapeva di mio fratello. Mi ha concesso un pugno, dritto in faccia, e io te l’ho dato. Ora vedi di stare zitto, prima che io decida di fregarmene e farlo di nuovo. >>
Mark lo lasciò andare e, solo per qualche secondo, Ethan rimase fermo ad osservarlo con rabbia. Era consapevole della sua impotenza, e non solo perché delle sbarre li separavano, così si fece da parte e tornò nella posizione da cui si era mosso al principio. Mark rise divertito quando lo vide indietreggiare. Si passò lentamente una mano tra i capelli e si voltò, con tutta l’intenzione di andarsene, ma prima che potesse farlo Abby lo interrupe nuovamente:
<< Se mio padre vuole parlarci perché non è qui? >>
Questa volta il suo tono era molto più controllato, ma la sua rabbia era lo stesso percepibile. Trasudava dalle sue parole e strisciava silenziosa fino a raggiungere chi le udiva.
Mark si fermò e girò leggermente la testa, senza voltarsi completamente.
<< Quando John sarà pronto per parlarvi ce lo farà sapere e solo allora verrò a prendervi. >>
L’uomo s’incamminò senza fretta per il tunnel, evidentemente voleva godersi il momento, ma non aveva più intenzione di ascoltarci. Non si fermò nemmeno quando Abby riprese a parlare.
<< Quando sarà pronto? Deve parlare con me mica presenziare a un talk show, non gli serve una seduta dalla truccatrice! >>
Ok, quando Abby si metteva a fare battutte del genere voleva dire che era arrivata al limite della sopportazione. Era chiaro che trovava la situazione insopportabilmente ridicola, così com’era chiaro che avrebbe preso a schiaffi John se solo se lo fosse trovato davanti in quel preciso momento.
Mi chiedevo per quale motivo John avesse bisogno di tempo per arrivare da noi, minacciarci per qualche minuto e ottenere una promessa di silenzio eterno sulla questione.
Lo sta facendo per Abby.
A John non interessavamo, anche se avessimo raccontato la storia in giro nessuno ci avrebbe mai creduto. No, a lui interessava Abby. Non era riuscito a conquistare Alexis, non era riuscito a tenerla stretta a lui; tutto quello che gli restava della sua amata era sua figlia e ora anche lei stava scivolando via. Che chiedesse perdono forse era aspettarsi troppo da John Sullivan, ma ero certo che avrebbe tentato di riconquistare l’amore di sua figlia.
Ricordavo un tempo in cui lui e Abby erano felici. Quando eravamo piccoli lei sorrideva sempre, non aveva paura di tornare a casa e chiamava John “il mio papà”. Non sapevo con esattezza quando le cose cominciarono a cambiare, so solo che lo fecero. Probabilmente più Abby cresceva, più somigliava alla madre, e questo per John era stato semplicemente troppo da affrontare.
Così ha pensato bene di fare lo stronzo! Geniale, visto come aveva funzionato in precedenza!
Gli altri si sedettero sulla fredda roccia da cui era composto il labirinto in cui eravamo rinchiusi e io feci lo stesso. Mi sedetti vicino ad Abby e cercai di spiegarle la mia intuizione.
<< Se lo fa perché vuole il mio amore potrebbe benissimo rinunciare, quello l’ha perso anni fa e non lo recupererà certo con un misero discorsetto intimidatorio. >>
Capivo la sua frustrazione e odiavo John quasi quanto lei per tutto quello che le aveva fatto passare.
Cosa cerchi di fare Lucas?
Non ne avevo idea, non volevo che Abby lo perdonasse, lui non se lo meritava. Una parte di me, però, rivoleva la bambina felice, quella che amava il suo papà. Vane illusioni, non sarebbero mai potuti tornare a essere così. Tutto quello che restava ad Abby della sua famiglia era un finto padre che le aveva fatto credere di essere buono; un vero padre che praticamente non conosceva; un gemello innamorato di lei e una madre morta prima ancora di conoscerla.
Però Abby ha noi.
Siamo noi la sua vera famiglia.
Lei ci ha scelti e noi non la deluderemo.

 
 
Pov John
 
Mark mi aveva telefonato per comunicarmi il suo arrivo al nascondiglio sicuro. All’inizio avevo pensato di prendere l’auto e recarmi lì il più presto possibile. Volevo farla finita con i capricci di mia figlia. Volevo riaverla indietro e chiudere la questione.
Più ci pensavo e più sentivo l’ansia scavarsi un posto d’onore al mio interno. Cominciai a sudare freddo. Distesi le mani davanti a me e vidi che tremavano in modo piuttosto evidente. Non potevo presentarmi in quel modo.
Mi sedetti e feci dei respiri profondi, cercando di calmarmi. Mai in vita mia mi era capitato di sentirmi così fragile e impotente. Ero sempre riuscito a far fare alle persone quello che volevo che facessero; se non con le buone, almeno con le cattive.
Ma Abby era un’altra storia.
Mia figlia mi odia.
Si sarebbe fatta uccidere piuttosto che stare con me.
Devi solo parlarle, nient’altro. Solo parlare.
Le avrei spiegato le mie ragioni e lei avrebbe capito. Doveva capire. Se avessi perso anche mia figlia non mi sarebbe rimasto più niente.
Ero rimasto fermo in quella posizione per ore, ma non potevo restare immobile e aspettare che la situazione si risolvesse da sola. Più tempo Abby passava rinchiusa e meno mi avrebbe creduto. Non potevo farla aspettare, non dopo tutto quello che le avevo già fatto.
Mi alzai dal divano in pelle del soggiorno e raccolsi il soprabito nero che usavo di solito. Scesi la piccola rampa di scale che portava all’entrata e, una volta di fronte alla porta, esitai per un attimo.
Se non mi perdona, cosa ne sarà di me?
Nella mia mente la risposta sembrava scappare, nascondendosi tra le nebbie dei miei pensieri. La verità era che sapevo esattamente cosa avrei fatto, ma era una soluzione così drastica e spaventosa che io stesso volevo sfuggirvi.
Eppure sapevo che, se avessi perso Abby, non sarebbe restato altro.
Senza di lei, io non sono niente.
L’esitazione scomparve, aprii la porta e mi diressi da lei.

 
 
Pov Lucas
 
Rimanemmo seduti in silenzio, nel mezzo di quelle grotte fredde e umide, per quelle che mi sembrarono, e quasi certamente furono, ore. Nessuno di noi parlava perché nessuno sapeva cosa dire. Eravamo stanchi, il viaggio stava giungendo al termine e ormai mancava solo la resa dei conti.
Cara e Jess dormivano appoggiati sulle spalle di Ethan, che fissava il pavimento con espressione vacua. Nicholas stringeva delicatamente la mano di Abby e l’accarezzava disegnando piccoli cerchi. Alan aveva gli occhi chiusi, ma sapevo che non stava davvero dormendo, il suo respiro era troppo lieve per una persona profondamente addormentata. Mi spostai leggermente più vicino a lui e sussurai, in modo che nessuno degli altri potesse sentirlo:
<< Mi dispiace per il bacio, penso di averti preso alla sprovvista. >>
Alan smise la sua messa in scena e alzò lo sguardo su di me. I suoi occhi erano identici a quelli di Abby, ma se quelli di lei mi facevano sorridere, quelli di lui mi facevano tremare. Mi facevano sentire piccolo e indefeso, come se potesse leggermi dentro.
Era una sensazione terrificante, ma in modo bello.
<< Già. >>
Come al solito non era uno da grandi discorsi o da risposte più lunghe di una sillaba.
<< E mi scuso anche per il falò. Non avrei mai confessato se non ci fossero stati testimoni pronti a raccontare tutto. >> Voleva essere una battuta, cercavo di sdrammatizzare.
Forse non c’ero riuscito.
<< E perché? Ti sei pentito di quello che hai fatto? >>
Dovevo ammettere che la sua risposta mi aveva colto alla sprovvista.
<< No, io pensavo che tu … sì, insomma … che tu non volessi farlo sapere agli altri. >>
Alan rimase qualche istante senza parlare.
<< Perché? Ti ho mai detto che doveva restare un segreto? >>
Rimasi senza parole. Sul suo viso si dipinse un sorriso, un vero sorriso, come non ne avevo mai visti da parte sua.
<< Sai, di solito i ragazzi etero tengono in alta considerazione la loro “virilità”, guai a chi anche solo insinua che potrebbero non essere etero al cento per cento. >>
Durante tutta la conversazione non c’eravamo mossi. Nessuno dei due aveva distolto lo sguardo.
Per un attimo, e un attimo soltanto, Alan lo abbassò, sorridendo, per poi riportarlo all’altezza dei miei occhi.
<< In realtà non ho mai detto di essere etero al cento per cento, la mia vita sessuale inesistente non mi ha mai portato a pormi alcuna domanda a riguardo. >>
Dopo la sua affermazione trattenni il fiato.
<< Sei ancora innamorato di Abby? >>
Vidi un barlume di confusione sul suo viso.
<< Sì e no, diciamo che ci ho messo una pietra sopra. In fondo è mia sorella. >>
Mi osservava dubbioso, probabilmente si domandava dove volessi andare a parare. La questione sarebbe diventa molto più chiara con la prossima domanda che mi ronzava in testa.
<< E ora? Pensi di portela quella domanda? >>
Alan sorrise di nuovo. Era così bello quando lo faceva; non che normalmente non lo fosse, ma così era tutta un’altra storia.
<< Può darsi. >>
E mentre tutte le mie speranze si riaccendevano, facendomi scoppiare il cuore di gioia, dei passi rieccheggiarono lungo gli angusti corridoi. La figura di Mark si delineò pian piano tra le ombre, un paio di chiavi tintinnanti tra le mani. Appena lo vide, Abby lasciò andare la mano di Nick e scattò in piedi. Corse fino alle sbarre, afferandole così forte da far sbianchare le sue nocche.
Una sola domanda lasciò le sue labbra.
<< Lui è qui? >>

 
 
Pov Chris
 
Successe in mattinata. Un furgoncino bianco risalì la piccola altura che portava alle grotte, facendo tremare la terra.
Avevo passato una notte intera nascosto nei pressi dell’entrata senza il minimo accenno di azione. Avevo dormicchiato, ma senza mai farlo profondamente per paura di perdermi il loro arrivo.
Gli uomini di John scesero e aprirono il portellone posteriore con un colpo secco, facendomi intravedere i ragazzi. L’istinto fu quello di correre verso di loro, far fuori gli stupidi scagnozzi e portarli tutti in salvo. Resistetti. Avevo elaborato un piano, non particolarmente dettagliato, ma pur sempre un piano. Avevo bisogno che John fosse lì con loro.
Pensavo che sarebbe arrivato poco dopo, invece le ore passavano e di lui non c’era la minima traccia. Cominciavo a domandarmi se, in fin dei conti, intervenire fosse l’unica opzione rimastami. Entrare là dentro, con tutti quegli uomini sarebbe stato un suicidio e chiamare la polizia non avrebbe fatto che aggevolare John. Mi rassegnai all’attesa.
Stavo iniziando a perdere le speranze quando il terreno sotto ai miei palmi cominciò a vibrare. Prima leggermente, poi sempre più forte, mentre scorgevo una lussuosa auto nera che si avvicinava.
Lui è qui!



Angolo autrice

Dopo un lunghissimo ritardo (fuori da ogni umana concezione e per cui vi chiedo immensamente scusa) sono riuscita ad aggiornare.
Manca poco ragazzi, la storia sta per finire!
Come sempre se avete commenti/critiche/consigli e/o correzioni recensite (sapete che mi fa piacere sentire la vostra opinione).

La frase all'inizio del capitolo è di Hafiz

Alla prossima (e spero non di nuovo tra sette mesi),
Mel

 
   
 
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