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Autore: Pascal76    01/08/2016    0 recensioni
"A volte i nostri mostri possono salvarci da una morte dolorosa. Tu ne sei la prova".
"Quando l'ho scoperto non sapevo che il mio mondo si sarebbe rovesciato; tutto ha un prezzo e niente deve essere dato per scontato, sapevo. Ma un conto è sapere una brutta realtà, un conto è viverla. E Lui mi sta aiutando a sopravvivere".
A volte il nostro istinto ci aiuta a vivere, altre volte ci distrugge.
Ma io non ho avuto questa fortuna.
Genere: Avventura, Fluff, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sarà stata la rabbia o sarà stata la timidezza, ma non parlai al ragazzo. Non una parola uscì dalla mia bocca quando Amy, in preda ad un entusiasmo innato, ci presentò colui che si sarebbe unito al nostro team e ci sarebbe rimasto fino alla fine della scuola, salvo cambiamenti inaspettati. Il ragazzo, esattamente come Amy mi aveva riferito in bagno quella mattina, si chiamava Finn e si era appena trasferito in città.

Carlos mi aveva lanciato uno sguardo preoccupato che esprimeva tutto quello che c'era da dire in quel momento. Sconforto e preoccupazione segnavano il suo viso.

L'occhiata che gli rivolsi doveva di sicuro essere stata rabbiosa, visto il modo in cui aveva distolto lo sguardo e immediatamente cercato di socializzare con il nuovo ragazzo.

« Allora? Cosa ne dici di un giro di presentazioni? » disse, fingendosi entusiasta.

« Non credo sia necessario » fu la risposta lapidaria dell'altro.

Non resistetti.« Sai, da noi le cose funzionano in un certo modo, quindi ti conviene abituartici subito e non fare i capricci. »

« Quello che Jenny intende dire » intervenne Amy, sapendo perfettamente dove sarebbe andata a parare quella conversazione. « È che presentarci gli uni agli altri è un modo per conoscerci meglio e facilitare il lavoro di squadra. Sai, siamo un team e lavoriamo un po' come le api operaie di un alveare. »

« Già, peccato che in un alveare ci sono più di tre api solitarie. » rispose. Carlos mi guardò ancora.

« Fammi capire : da dove vieni tu siete tutti così arroganti o sei solo te? Sai, per curiosità.». Se l'intenzione era quella di ferirlo nell'orgoglio, fallii miseramente. Finn mi rispose con un mezzo sorriso e un'alzata di spalle piuttosto teatrale. « Può darsi che sia così, o può darsi che non lo sia. Dipende da voi » e si sedette sulla prima sedia che trovò.

Inspirai prima che la rabbia che mi ribolliva dentro sfociasse in un fiume incontrollabile di insulti. Carlos mi poggiò una mano sulla spalla in un gesto di conforto talmente dolce che fui costretta a guardarlo negli occhi e tacitamente promettergli che non avrei fatto nulla di avventato. Come se quel contatto mi avesse trasmesso un po' di energia positiva, mi avvicinai a Finn e gli dissi molto pacatamente « Sei il benvenuto tra noi, Finn … »

« Solo Finn » si sbrigò ad aggiungere.

« Okay Solo-Finn. Sei il benvenuto nella squadra! Hai qualche interesse particolare? » dissi cercando di contenermi il più possibile.

« No, ma mi piace molto la parte grafica di tutto quel poco che voi fate. » Puoi anche dire semplicemente “la parte grafica” senza scendere in dettagli, stronzo pensai.

Carlos mi si affiancò. « Grandioso! Allora puoi cominciare ad occuparti della parte grafica dell'articolo di Gi … Genevieve. »

« Che brutto nome Genevieve. »

« Già, neanche me piace Finn. » risposi contro la mia volontà. Lo guardai dritto negli occhi per alcuni secondi prima di distogliere lo sguardo in preda ad una strana sensazione come d'imbarazzo. I suoi occhi sembravano scrutarmi fino in fondo all'anima, lì dove nessuno aveva accesso se non me. Lì dove nascondevo le mie peggiori paure e i lati più brutti del mio carattere. È come se fosse per un attimo mi fossi sentita esposta ed impotente di fronte ad uno sconosciuto.

« Perché non scarichiamo le nostre energie nell'articolo Gi? » quella di Carlos era senza dubbio una domanda retorica.

« Ditemi ciò che devo fare e io lo faccio. » Finn fece spallucce e mi guardò.

I venti minuti successivi furono i peggiori della mia intera esistenza. Carlos ed Amy avevano fatto pressione affinché io accettassi di collaborare con Finn, e alla fine avevo ceduto a malincuore per evitare futili perdite di tempo.

Non solo si era dimostrato la persona più critica che io avessi mai conosciuto, ma era anche il più pignolo e precisino tra gli esseri di questo mondo. « Sposta questo di mezzo millimetro più in là. No, non così troppo, orba. Ho detto mezzo millimetro, non una spanna. » mi aveva detto quando ci eravamo messi comodi per decidere l'impostazione della pagina. Gli avevo risposto con un'occhiataccia ad effetto, ma nemmeno questo sembrava averlo zittito. Infatti, continuò la sua infinita serie di ordini a bacchetta e di offese finché non gli avevo detto che mi prendevo una pausa e andavo a mangiare qualcosa al bar. Carlos mi raggiunse subito.

« Come procede? » mi chiese sedendosi di fronte a me.

« Stavo meglio prima. » risposi mescolando il caffè.

« Dai,non dev'essere così male . No? »

« Hai ragione. Infatti è peggio di quello che pensavo. »

« Sei troppo pesante con lui. Ha appena cominciato. »

« A fare che? Credersi superiore? Comandarmi a bacchetta? Avere un atteggiamento odioso e arrogante? Carl, io non lo reggo quello là. »

« Cerca di metterti nei suoi panni. È nuovo e qua non conosce nessuno, come ti sentiresti? »

« Di certo non mi metterei a darmi arie di essere chissà chi. »

« Gi. Dai, riflettici. » e mi avvolse una mano con le due callose e lunghe dita. Le sue mani erano calde.

Aspettò che finissi di bere il caffè e poi mi accompagnò ancora in redazione. Fece il giro più lungo. Quando mi chiese chi fosse stato a conciarmi così l'occhio, risposi “Non lo so” evasiva. Non potevo certo dirgli che Finn era il colpevole di tutto. Si sarebbe preoccupato e avrebbe cominciato a prendere un sacco di premure solo per via di una mia sensazione. E non potevamo permettercelo. C'era in ballo qualcosa di più grande del mio occhio, sia in senso figurato che letterale.

Parlammo poi di Chris e Amy, argomento che stressava sia me che lui. Eravamo dello stesso parere, che Chris la stesse cambiando in peggio, ma non sapevamo come convincerla che fosse così. Gli riferii anche di ciò che mi aveva detto quel mattino, che “non tutti sono capaci di vedere il buono nelle persone”. Lui rimase stupito e anche un po' sconcertato da questa mia rivelazione, dicendosi sorpreso di Amy e anche un po' deluso. Non potei fare a meno di concordare.

Un attimo prima di entrare in redazione gli chiesi molto apertamente : « Carl, non hai mai provato la sensazione di conoscere una persona da una vita, ma di non sapere quasi assolutamente niente di lui? »

« Boh, non so. Probabile. Perché? »

« Niente » e girai la maniglia, entrando nella piccola ed incasinata redazione del giornalino scolastico.

 

 

« Et! » chiamai dal piano di sotto. Ero appena rientrata in casa e l'avevo trovata completamente deserta. Nessuna traccia di mamma, papà e tutta la speranza che ci fosse del cibo in frigo era riposta in Ethan.

Mio fratello rispose con un grugnito molto sonoro. Roteai gli occhi e sbuffai pensando a quanto questi esami lo stessero effettivamente stressando. Era ormai da settimane che vagava per casa con un libro aperto in mano. E non smetteva mai di studiare, dettaglio terrificante quanto sconcertante. Io non riuscirei mai a studiare così tanto ininterrottamente, neppure sotto minaccia!

« Puoi cagarmi per 30 secondi? » urlai rassegnata.

Non ricevendo risposta, continuai. « C'è pronto qualcosa? O sei così tanto occupato con lo studio da non poterti permettere di prenderti cura di tua sorella? »

Anche questa volta non vi fu risposta. Sospirai e mi preparai da mangiare da sola senza osare chiedergli se desiderasse qualcosa. Se vuole morire di fame bene. Contento lui, contenti tutti pensai sarcasticamente. Mangiai un panino al prosciutto e una pesca che poi si rivelò essere prematura, accompagnata da quello che io ritenevo il migliore passatempo di sempre : serie tv in streaming.

A chi frega della legge, quando sullo schermo ci sono i primi piani del tuo attore preferito? A nessuno! Sopratutto se puoi infrangere la legge senza l'assillante presenza dei tuoi genitori, sempre dietro a rimproverarti e dirti di comportarti educatamente.

Presi una coppetta di gelato dal frigorifero e mangiai sdraiata sul divano, il computer collegato alla televisione e il volume al massimo, fregandomene completamente di Ethan. Fuori era già buio e in poco tempo sarebbe arrivata la notte, quindi se voleva scendere in salotto e riposarsi un po', era il benvenuto. Ma non fu così.

Mi addormentai prima del previsto.

Fu un sonno inquieto, pieno di ombre e figure incappucciate che mi inseguivano, mi toccavano, mi osservavano come un animale in gabbia allo zoo. Una di queste ombre si avvicinò minacciosamente a me e mi guardò con gli occhi che non aveva. Poi, con movimenti calibrati e apparentemente studiati, depose nella mia mano qualcosa. Involontariamente le mie dita circondarono quella cosa e, quando la guardai, una luce blu mi trafisse gli occhi come tanti minuscoli aghi.

Non provai dolore.

Tutto il contrario, invece. Una sensazione di benessere si propagò in tutto il mio corpo come calore, facendomi sentire meglio. Tutta la paura e lo sconcerto erano spariti. C'eravamo solo io, la luce e il benessere.

Poi si udì un tuono molto fragoroso che mi scosse fino alle ossa e mi svegliai.

Ero distesa malamente sul divano e fuori era scoppiato un violento acquazzone. Mi alzai di fretta e, facendo attenzione a non inciampare, chiusi la finestra del salotto. Guardai fuori e vidi fiumi d'acqua scorrere impetuosi per le strade, per poi raccogliersi in una pozza più grande a pochi metri dall'ingresso di casa mia. Il benessere in cui mi ero trovata nel sogno era svanito, lasciando spazio ad una illegittima tensione che mi spingeva a pensare che qualcosa stesse andando terribilmente storto.

Perlustrai il salotto, temendo che vi fosse qualcuno nascosto magari dietro al divano o chissà dove – si sa che i ladri escogitano nascondigli di ogni tipo – aspettando per colpirmi. Nonostante la paura cercasse di tenermi con i piedi ben inchiodati dov'ero, mossi un passo in avanti e tesi le orecchie.

Nessun rumore.

Feci un altro passo e stavolta il mio piede entrò in contatto con il soffice materiale del tappeto. Esitai, incerta se andare ancora avanti o fermarmi lì e aspettare che il ladro si mostrasse. L'orologio digitale del comò segnava le due e nove della notte. Mossi ancora un passo in avanti e questo ebbe un cortocircuito, lampeggiando di arancione come un semaforo e cancellando i numeri dallo schermo. Dopodiché si spense del tutto con un bip che risuonò per tutta la casa, spaventandomi. Era risaputo che anche i rumori più innocui durante la notte acquisissero volume, ma mai ne avevo avuto la dimostrazione come allora.

Terrorizzata, mi mossi ancora in avanti e il pavimento scricchiolò sotto i miei piedi facendomi maledire la decisione. All'improvviso un tuono molto forte fece tremare i vetri di casa e mi penetrò fino alle ossa, facendo tremare pure quelle. Poi, nella luce abbagliante del lampo, scorsi l'ombra di una figura umana dietro la porta della cucina. Mi bloccai e per un attimo ebbi la sensazione che i nostri occhi, i miei e quelli della persona incappucciata, si fossero incrociati e i suoi mi avessero osservata da capo a piedi, studiandomi.

Fu un breve e terrificante istante.

Dopodiché sparì.

« Fagiolo ma che diamine … » mio fratello entrò in cucina e accese tutte le luci. Non so che faccia potessi avere in quel momento, ma di sicuro non era la più rassicurante. Sarò stata pallida e tremante, il viso prosciugato di colore e gli occhi probabilmente spalancati.

« Non … non … non l'hai visto? » mormorai con voce rotta. C'era qualcosa in me che aveva riconosciuto quella persona. Avevo la sensazione di averla già conosciuta da qualche parte, ma non sapevo dove, come se un ricordo avvolto nelle tenebre cercasse di emergere a suon di fatica ma venisse ogni volta spinto ancora più in profondità da una forza più potente.

« No. Non ho visto nulla » disse Ethan con la fronte agrottata.

« Era lì! Dietro la porta e ci stava guardando! » dissi disperatamente indicando il punto in cui avevo visto l'ombra. « Ethan ti giuro che era lì! Mi stava guardando non so da quanto ma era lì! Ci stava osservando! Ethan ti prego ... »

« Ehi ehi calma. » mio fratello mi prese per le spalle e mi circondò con le sue calde e familiari braccia. Appoggiai la testa sul suo petto e provai a calmarmi, ma la paura di alcuni istanti prima sembrava non volersene andare, come se avesse fatto le radici nel mio corpo e non volesse andarsene.

Mi nascosi tra le sue braccia stringendolo sempre più forte, temendo che se ne andasse e mi lasciasse in balia di quella cosa spaventosa.

« Jen calma. Va tutto bene, non c'è nessuno qua. » Ma tu non l'hai visto! È qua e ci aspetta ! Avrei voluto urlagli, ma non ci riuscii. Sembrava non ne avessi le forze.

« Genevieve, guardami » mio fratello mi mise delicatamente due dita sotto il mento costringendomi a guardarlo negli occhi azzurro cielo.

« Non è successo niente, okay? Non hai visto nulla. È solo un effetto della stanchezza. »

« Ma io ...»

« No. Tu niente. Sei stanca e lo stress ti porta a vedere cose che non esistono. »

« Ethan, ti giuro era lì! Era fuori e mi stava guardando e... »

« Genevieve basta! Adesso te ne vai a mi lasci studiare in pace okay? Ho altro a cui pensare al momento e non ho tempo da spendere per le tue fobie infondate! »

Tacqui. Mai fino a quel momento avrei desiderato farmi piccola piccola e sparire dalla faccia della terra a causa di Ethan. Non era mai successo, nemmeno quando eravamo piccoli. La paura del momento era passata in secondo piano, sostituita da un senso di oppressione e di vergogna ingestibile.

Mi staccai da lui e corsi di sopra, in camera mia. Sbattendo la porta, mi separai dal resto del mondo e mi buttai sul letto, sprofondando la testa nel cuscino e pensando a quello che avevo appena fatto, alla rabbia che avevo visto nei suoi occhi e a come mi aveva parlato, come se stesse cercando di scollarsi di dosso un odioso microbo.

Io per lui non sono altro... 

   
 
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