CAPITOLO
1
Aileen
correva sui sentieri invisibili della foresta. Non
aveva alcuna paura di inciampare.
Aveva
sempre sentito una profonda connessione con gli
alberi, gli insetti e tutto il suo mondo. Fin da piccolissima, erano
stati il
luogo sicuro per ritrovare la serenità e per dimenticare
tutto ciò che
succedeva nel resto del Regno.
Ora,
per l’ennesima volta, si chiedeva quanto questa
connessione fosse vera. Quanto essa fosse, invece, una delle tante
ramificazioni di quelle visioni.
Si
fermò accanto ad un albero, il respiro ansimante che le
rimbombava nelle orecchie e rompeva quel silenzio pulsante di vita che
tanto
amava. Chiuse gli occhi e si posò al tronco. Con una mano si
asciugò le guance,
bagnate da quelle lacrime che tanto odiava. Lacrime che non sapeva
neppure per
cosa sprecava.
Visi
che non aveva mai visto, luoghi in cui non era mai
stata, emozioni che non aveva mai provato… eppure tutto
così maledettamente
familiare, quasi un ricordo sbiadito. Non voleva tutto quello, non lo
aveva mai
chiesto.
“Perché
a me?”
Una
domanda inutile, cui nessuno poteva rispondere: neppure
i suoi genitori, neppure suo fratello o la sua migliore amica.
Riaprì gli occhi
e si voltò verso la strada da cui era venuta.
Chissà se avevano già scoperto
che si era di nuovo allontanata. L’ennesima fuga,
l’ennesimo rimprovero a non
vagare nei boschi da sola.
Alzò
lo sguardo verso il cielo, che si stagliava limpido
oltre le fronde vibranti. Fosse stato almeno possibile fuggire da tutto
quello.
Era tutto nella sua testa.
Si
lasciò scivolare a terra e si sedette. Cercò di
concentrarsi sul profumo fresco della foresta. La visione-sogno di
quella notte
era stata una delle più vivide dell’ultimo mese.
Quando si era svegliata, aveva
avuto veramente il terrore di ritrovarsi un buco nello stomaco.
Scattò
in piedi e riprese a correre, lasciando che fosse
l’istinto a guidarla. Forse andare alla sorgente
l’avrebbe aiutata a
dimenticare.
Arrivata
a una radura, rallentò per riprendere fiato.
“Cosa
diamine ci fai qui da sola?”
Aileen
sgranò gli occhi e si voltò di scatto, il cuore
che
batteva all’impazzata. Soldati.
Davanti a lei c’era un granroriano dalla pelle verdastra,
folta barba e
capelli. Lo sguardo cercava di essere mortalmente serio, ma si vedeva
chiaramente il diletto per la reazione provocata.
“VEIHRAL!
Per i sei regni! Che cosa ti è saltato in mente?”
“Che
cosa è saltato in testa a te, Pixie. Girare da sola per
la foresta? E se fossi stato un soldato del Governatore?”
La
ragazza strinse le labbra e fissò l’erba sotto i
suoi
piedi. Poi, si fiondò tra le sue braccia, cogliendolo di
sorpresa. Veirhal
esitò un attimo prima di passarle un braccio attorno alle
spalle.
“Pixie?”
“Cosa
c’è che non va in me?”
Il
granroriano sbattè le palpebre chiedendosi a che cosa si
riferisse esattamente. La conosceva da anni, dal malaugurato giorno in
cui, con
uno sguardo da cucciola abbandonata, era riuscito a convincerlo ad
accettare la
prima sfida di un numero che da tempo aveva smesso di contare.
Attese
per qualche istante, ma Aileen non si preoccupò di
fornirgli altre spiegazioni. E la situazione stava cominciando a
metterlo a
disagio. Sorridendo, le scompigliò i capelli con una mano.
“Se
c’è qualcosa di sbagliato in te, Pixie,
è soltanto la
tua testardaggine. E quando ti caccerai in qualche guaio, ti auguro di
poter
usare il tuo mazzo di carte.”
Aileen
abbozzò un sorriso e si staccò da lui, ma si
vedeva
che qualsiasi cosa fosse, continuava a tormentarla.
“Quando
la smetterai con quel nomignolo?” La voce non
riuscì
a mostrarsi allegra come la giovane avrebbe voluto. Sarebbe stato
così
semplice, se solo fosse stata in grado di far finta di niente.
“Ma
ti calza a pennello, furbetta. Ho visto poche persone a
loro agio nella foresta come te.” La colpa del nomignolo era
anche un po’ colpa
di Julian, lui e tutte le leggende umane che gli aveva raccontato.
Mentre le
rispondeva, Vey aveva continuato a fissarla per cercare di intuire
quale fosse
il suo problema.
La
ragazza non rispose e saltò leggera su una radice. Non
c’era stato un vero motivo per cui glielo aveva raccontato.
Neppure lui poteva
aiutarla. Ma era sempre stato pronto ad ascoltarla.
“Mi accompagni
alla
fonte?”
Veirhal
sollevò un sopracciglio e incrociò le braccia.
“In
realtà, pensavo di riportarti al villaggio.”
Aileen
si voltò e deglutì. “Vey, ti prego. Ne
ho bisogno.”
Fu
allora che qualcosa cliccò nella mente del granroriano e
capì che cosa tormentava la ragazzina. Erano di nuovo quelle
visioni di cui gli
aveva parlato.
“Va
bene. Ma quando decido che si torna indietro, non voglio
sentire ma.” Alla fonte doveva assolutamente indagare.
Il
sorriso radioso della granroriana fu l’unica ricompensa
che gli serviva. Senza aggiungere altro i due si avviarono e ben presto
Aileen
iniziò a metterlo al corrente di tutto quello che era
successo dall’ultima
volta che era stato lì.
Frush
Vey
afferrò la ragazza per un braccio e le fece cenno di
tacere. Aileen trattenne il respiro, iniziando a temere il peggio. Dopo
un
attimo se ne accorse anche lei. C’era qualcuno vicino alla
fonte.
“Vey?”
Si strinse più forte al suo braccio, desiderando di
non essere mai venuta lì.
Il
granroriano le indicò una cavità tra le radici di
un
albero. “Vado a vedere.”
Aileen
annuì e si rannicchiò tra le radici. Cercando di
non
farsi vedere, sbirciò i movimenti silenziosi del
granroriano. Un orribile
pensiero le attraversò la mente: se erano davvero i soldati
del Governatore? Le
nocche diventarono bianche contro la radice scura su cui le sue mani
erano
strette.
Vey
si appiattì dietro il tronco e si sporse lentamente. Un
attimo dopo, uscì completamente allo scoperto cogliendo di
sorpresa la ragazza.
“Magisa?”
E certamente non era l’unica sorpresa in quel
momento.
Il
nome le suonò subito familiare. I suoi genitori e il
Druwis del villaggio le avevano raccontato un sacco di storie su
Magisa: la
Maga del Mondo Altrove, la Maestra del Nucleo Progenitore. Rincuorata,
uscì dal
nascondiglio e si avviò lentamente nella loro direzione.
Lui
si era inginocchiato accanto a Magisa e perciò Aileen
decise di fermarsi a qualche metro da loro.
“
– che cosa ti è successo? Non hai proprio un
bell’aspetto.”
“Vey,
ancora nessuno – ”, deglutì, “
–ti ha insegnato”,
Magisa chiuse un attimo gli occhi per riprendere fiato, “
– come si parla ad
una signora?”
Il
granroriano roteò gli occhi. “Magisa, possiamo
gentilmente tralasciare questi dettagli? Io starei cercando di
preoccuparmi di
te. Vuoi che vada a chiama- ”Vey s’interruppe
sbuffando. “Certo chi vai a
chiamare Vey? È la Maestra del Nucleo Progenitore!”
La
maga allungò la mano e la posò sul braccio del
granroriano, attirando così la sua attenzione.
“Non
ho molto tempo. L’Imperatore sa della sua esistenza.
Devo trovarlo.” Magisa chiuse gli occhi, quasi per trattenere
le lacrime.
“Prima di lui.”
“Di
chi parli?” Veihral stava cominciando a temere di starsi
cacciando di nuovo nei guai. Ricordava fin troppo bene cosa era
successo dopo
che l’aveva conosciuta.
“Nel
Regno di Ametista. C’era un Maestro della Luce.”
Aileen
trattenne il respiro. Un Maestro della Luce. I
leggendari guerrieri che avevano liberato Gran RoRo!
Magisa
posò la testa al tronco, come se potesse aiutarla a
trovare la forza di parlare.
“Era
un giovane Mazoku.” Vey sbuffò. “Ho
provato a
proteggerlo. Ma non ci sono riuscita.” L’amarezza
delle sue parole si trasformò
in un sorriso addolorato. “Non ho più tutti i miei
poteri. Il Nucleo –” Scosse
la testa. “È una lunga storia. È stato
lui a pagare.”
Il
silenziò calò sulla radura, rotto soltanto dal
ronzio
degli insetti e dallo sciabordare dell’acqua. Aileen
deglutì e fissò Vey,
fremente di rabbia. Il granroriano strinse le mani a pugno e con una di
esse
colpì il tronco accanto a lui. Aileen sussultò.
“Ti
stanno cercando?”
Magisa
scosse di nuovo la testa. “Sono venuta a riprendere
le forze. E a cercarlo.” Si sforzò di rimettersi
in piedi appoggiandosi al suo
scettro e rifiutando l’aiuto. “Uno dei sei simboli
si sta risvegliando in
questo regno. Devo trovarlo prima di loro.”
“Sei
troppo debole. E come faresti a trovarlo? Ci sono
decine e decine di villaggi microscopici in questo regno!”
La
donna sospirò. “Devo riuscirci. È il
mio compito.”
“Senti.”
Veihral si passò una mano sul viso. Sapeva già
che
se ne sarebbe pentito. “Accompagno a casa un’amica
e torno a darti una mano.”
Magisa
sorrise. “Grazie.”
Il
granroriano annuì e si voltò verso Aileen,
facendole
intuire di aver notato il suo avvicinamento.
“Pixie,
gita alla sorgente finita. L’hai vista e ora si
torni indietro di filato.”
La
ragazza uscì da dietro il tronco e incrociò le
braccia.
“Posso aiutarvi anch’io!”
“Scordatelo.
Troppo piccola per cacciarti in guai più grandi
di te. Lascia fare a chi ormai ci ha fatto
l’abitudine.”
Magisa
si voltò verso la giovane. Un’intensa luce
smeraldo
rischiarò gli alberi e i volti sorpresi dei tre granroriani.
I loro sguardi si
diressero verso la gemma sullo scettro. Insetti e farfalle iniziarono a
volteggiare verso di loro, attirati dalla luce.
La
maga fu la prima a riprendersi dalla sorpresa. Un sorriso
rinfrancato le piegò le labbra. “Tu.”
Aileen
sbattè le palpebre. “Cosa?”
Vey
alzò gli occhi al cielo e s’infilò le
mani tra i
capelli. “Per amor di Hououga!”
Magisa,
in risposta, ridacchiò. “A quanto pare, mi hai
già
aiutato Vey. Non se sorprendermi della fortuna che ho avuto o del fatto
che un
altro tuo amico è un Maestro della Luce.”
Aileen
fissava lo scettro di Magisa, la luce che stava
lentamente svanendo. “Non è possibile.”
La
donna la affiancò e le posò una mano sulla
spalla. “So
che è difficile accettarlo. Ma non ci sono errori. Sei una
Maestra della Luce e
sei in pericolo.”
La
giovane annuì, incapace di rendersi conto veramente di
quello che le stava succedendo. Voleva aiutarli, certo, ma non aveva
chiesto di
essere una Maestra. E ora il Governatore stava cercando lei. Il suo
villaggio?
La sua famiglia? Li avrebbe messi tutti in pericolo. Un brivido gelido
le
percorse la schiena.
“Che
cosa devo fare?” Dovette usare tutte le sue forze per
non mettersi a piangere. Come se la sua vita non fosse già
abbastanza
complicata.
Vey
le passò un braccio attorno alle spalle, occupando lo
spazio che la mano di Magisa aveva lasciato libero poco prima.
“Non
sarai sola. Ora torniamo al villaggio e cerchiamo di
spiegare la situazione ai tuoi genitori. Meno persone sapranno la
verità, più
saremo tutti al sicuro. M’inventerò qualche scusa
plausibile per la tua
partenza.” Aileen e Magisa lo guardarono con lo stesso
sguardo scettico. Lui roteò
gli occhi e decise di ignorarle. “Poi andiamo alla Fenice Blu e ce ne andiamo lontano da
qui.”
Un
debole sorriso rischiarò il volto della ragazzina.
“Ci
accompagni?”
Vey
ghignò. “Certo, Pixie. Credevi che avrei lasciato
due
fanciulle ad affrontare il pericolo da sole?”
“Allora,
finché andrete al villaggio, io ne approfitterò
per
recuperare le energie. Ricordate, più veloci saremo,
più coglieremo di sorpresa
il Governatore.”
I
due annuirono.
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Veihral
si diresse veloce verso la postazione di comando,
indicando appena alle due ospiti il divanetto che dominava il piccolo
soggiorno
posteriore alla cabina.
“Mettetevi
comode.” Con gesti esperti iniziò ad armeggiare
sui comandi di accensione. “Il divano è quasi
nuovo. Le cinture di sicurezza dovrebbero
essere resistenti, ma vi consiglio di tenervi forte.”
Magisa
e Aileen non se lo fecero ripetere due volte e si
sedettero una accanto all’altra. Magisa, sollevata di potersi
riposare dopo la
sfacchinata nel bosco, si guardò attorno prima di voltarsi
sorridente verso
Vey.
“Quasi
quasi non avrei detto che questo è lo stesso vecchio
rottame di quando ci siamo conosciuti. L’hai migliorata
ancora da quando
viaggiavamo insieme.”
Aileen
ispezionò a sua volta il luogo, curiosa di vedere la
famosa Fenice Blu. Se doveva essere
sincera, con tante storie che le aveva raccontato, si sarebbe aspettata
qualcosa di colossale e capace di incutere timore. Invece, seppur
avente una
certa maestosità, era un’astronave relativamente
piccola. Nonostante gli
evidenti ammodernamenti, era comunque un modello datato. E non era
completamente sicura che il centrino sul tavolo e il vasetto di fiori
secchi
fossero proprio nello stile di Vey. C’era, però,
qualcosa che la rendeva
speciale. Non capiva esattamente cosa.
“La
mia Fenice Blu
è sempre stata una SIGNORA astronave!” Il
pavimento vibrò, indice che i motori
si stavano accendendo. “La prima che osa offenderla di nuovo,
continua il
viaggio a piedi.”
Magisa
sghignazzò e posò la testa sul divano, chiudendo
gli
occhi. L’astronave si sollevò da terra e Vey si
voltò verso di loro.
“Allora
ragazze, già qualche idea su dove volete andare?”
Aileen
lo fissò con espressione assente. Il solo pensiero
che, entro pochi minuti, sarebbe stata in un altro dei sei
mondi… non sapeva se
esserne terrorizzata o entusiasta.
Magisa,
invece, sembrava invece avere un’idea ben chiara in
mente.
“Regno
di Ametista. Ho un amico che so ci aiuterà
sicuramente. E poi non si aspetteranno che torni nell’ultimo
Regno in cui sono
stata.”
Il
granroriano sembrò soppesare il piano, cercando di capire
quanto Magisa fosse sicura della fiducia che stava riponendo nel
fantomatico
amico, soprattutto dopo la vicenda dell’altro Maestro. Alla
fine annuì e accese
i motori di propulsione.
“Regno
di Ametista sia. Spero non siate di stomaco debole,
il viaggio potrebbe essere un po’ movimentato.”
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Come
predetto da Vey, il viaggio verso il Regno di Ametista
non fu una passeggiata. Se viaggiare nel regno era permesso a tutti,
nessuno
poteva spostarsi tra i regni senza un’autorizzazione. Tutte
le zone di
passaggio erano pesantemente sorvegliate.
Questo
Veirhal se lo era aspettato e, come aveva
orgogliosamente ricordato, aveva avuto più di qualche
esperienza in passato.
Senza contare che, conoscere i momenti della giornata più
sguarniti, aveva di
certo aiutato. Soli pochi riuscivano ad avere i mezzi per evitare
questo
inconveniente, tanto rara era diventata la tecnologia largamente usata
fino
pochi anni prima.
Per
Aileen la fuga dai soldati, prima nel regno di Smeraldo
e poi nel regno di Ametista, era già quasi sembrato un buon
motivo per tornare
indietro. Dubitava fortemente di poter vivere una vita del genere.
Vey
era riuscito a seminarli con abilità, ma non potevano
ancora tirare sospiri di sollievo: l’allarme era stato
sicuramente già dato.
Magisa
gli aveva chiesto di fermarsi nella zona di uno dei
banchi di carte ancora attivi nel regno. Vey aveva fatto atterrare la Fenice Blu in una zona riparata, un
anfratto nella roccia violacea e ricoperto dalla scheletrica
vegetazione. Né
Veirhal né soprattutto Aileen si trovavano a proprio agio in
un luogo così
all’apparenza privo di vita, ma se il primo aveva fatto
l’abitudine a luoghi
molto diversi dal mondo natale, non si poteva dire lo stesso per la
granroriana.
Una
volta che Magisa si era allontanata, Aileen si era
rannicchiata sul divano e non aveva detto una parola, limitandosi ogni
tanto a
lanciare uno sguardo verso l’opprimente cielo di Ametista.
“Non
ti spaventare Pixie, non tutti gli altri regni sono
così lugubri.” Il granroriano sorrise e si prese
qualcosa da mangiare da una
delle dispense.
“Mi
manca già casa.”
Vey
sospirò. Lui l’aveva detto che lei era troppo
piccola
per cacciarsi in quei guai. Julian, quando aveva messo piede a Gran
RoRo, era
considerato un adulto nel mondo umano. Aileen sarebbe stata considerata
una
bambina in entrambi.
Prese
dalla dispensa un altro snack e lo lanciò sul divano
accanto a lei.
“Mangia.”
Non
sapendo che cosa altro dire, il granroriano preferì
sistemarsi a una delle finestre, pronto a riattivare i motori e
scappare da lì
in caso di pericolo. Magisa glielo aveva fatto intuire chiaramente: non
voleva
avere la morte di un altro guerriero sulla coscienza. E, sinceramente,
evitare
la morte di Aileen era qualcosa su cui lui
si era trovato notevolmente d’accordo. Per questo sperava
ardentemente che
dell’amico di Magisa ci si potesse veramente fidare, che non
fosse anche lui un
traditore sotto mentite spoglie.
Dopo
qualche minuto di silenzio, Vey si chiese se forse
dovesse provare a fare qualcosa per tirare su di morale la compagna di
viaggio.
Prima che qualcosa gli venisse in mente, l’ombra di
un’astronave passò sopra di
loro. Il granroriano scattò sull’attenti e corse
verso la postazione di
comando, ingurgitando il resto del proprio snack. Aileen si
alzò in piedi e lo
fissò con gli occhi sgranati e colmi di terrore.
“Stai
seduta!” sbraitò Vey. Si pentì quasi
subito dopo, ma
adesso non aveva tempo per delle distrazioni. Si quasi
lanciò sul sedile e
portò le mani sulla cloche, pronto ad attivare motori e
scudi al primo accenno
di pericolo. Se solo anche Magisa fosse stata con loro, si sarebbe
sentito meno
in colpa a partire.
L’attesa
sembrò durare all’infinito. L’astronave
doveva
essere atterrata poco distante, ma sfortunatamente fuori dalla sua
linea di
vista. Veirhal odiava quella situazione. Rischiavano di subire
un’imboscata
senza aver neppure la possibilità di difendersi.
Poi,
una testa ricoperta da lunghi capelli rosa apparve da
un gruppetto di alberi scuri e Vey poté tirare un sospiro di
sollievo. Rilassò
il corpo e si passò una mano sulla fronte. Troppo vicini per
i suoi gusti.
Saltò
su dalla poltroncina e tornò nel soggiorno sorridendo.
Aileen sembrava sul punto di mettersi a piangere.
“Falso
allarme, Pixie. È Magisa.” Un sorriso sollevato
illuminò il volto della granroriana.
Un
attimo dopo, la Maga apparve all’entrata
dell’astronave
accompagnata da un longilineo granroriano. Vey fissò il
nuovo arrivato con
sospetto, ma se era con Magisa sperava che non ci fosse motivo di
preoccuparsi.
“Veirhal,
Aileen, vi presento Serjou.”
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Ormai
tutti i preparativi erano terminati. Il tempo era
stretto e quello era il piano che aveva le maggiori
possibilità di successo.
Vey, a bordo della Fenice Blu,
avrebbe attirato l’attenzione dei soldati della Governatrice,
cercando di
richiamarne su di sé il maggior numero possibile. Con tutta
l’attenzione su di
lui, gli altri a bordo della Limoviole
sarebbero passati inosservati e avrebbero raggiunto con un
po’ di fortuna il
passaggio per il regno di Topazio senza essere bloccati. Magisa era
certa che
per allora avrebbe ripreso le forze e avrebbe potuto lei stessa aprire
un
varco.
Era
arrivato il momento di separarsi. Aileen, Magisa e
Serjou erano in piedi davanti alla rampa per salire sulla Limoviole. La
giovane
fissava afflitta l’amico.
“Non
c’è altro modo?”
Vey
ghignò. “Dovresti preoccuparti di loro, Pixie. Non
è il
mio primo rodeo.”
La
ragazzina aggrottò la fronte, non capendo che cosa
dovesse significare. “Rodeo?”
Magisa,
accanto a lei, ridacchiò. Vey sbuffò e scosse la
mano. “Colpa di Julian, roba terrestre.”
Il
granroriano si avvicinò al gruppetto e
s’inginocchiò
davanti ad Aileen che, senza aspettare altro, gli buttò le
braccia al collo.
Vey, vedendo la Maga sorridere sorniona, le lanciò
un’occhiataccia prima di
tornare a prestare attenzione alla più piccola. Sperava di
star facendo la cosa
giusta. Se anche quel Serjou si fosse rivelato uno di quelli, non si
sarebbe
mai perdonato di averla lasciata indietro.
“Niente
lacrime. Non è mica un addio.”
Aileen
tirò su con il naso. “Ma se tu te ne vai, io come
faccio?”
Vey
la allontanò e la fissò sorpreso. “E
che cosa diamine ti
ho insegnato in tutti questi anni?”
“Non
sono così forte.”
Le
scompigliò i capelli, guadagnandosi uno sbuffò da
parte
della granroriana. “Lo diventerai, Pixie. E per assicurarmi
che tu sia pronta a
ogni evenienza –”, Vey infilò la mano in
tasca e ne estrasse una carta, “ – ti
voglio dare questa.”
Aileen
prese la carta in mano, curiosa di vederla. Un
secondo dopo, il volto le si illuminò e tornò ad
abbracciarlo, faticando a
trattenere la voglia di mettersi a saltare dalla gioia. Non aveva mai
visto nel
suo villaggio una carta così rara.
“Vey!
Grazie!”
“Diventa
una grande Maestra della Luce e una favolosa
duellante, migliore anche di Julian e degli altri guerrieri terrestri
se ti
riesce.” Magisa non poté che sorridere e scuotere
la testa. Anche Serjou
sorrise.
Staccatisi
dall’abbraccio, i saluti furono veloci e Veirhal
tornò
a bordo della sua astronave senza esitazione.
Pochi
istanti dopo, la Fenice
Blu si alzò in volo e, sotto gli sguardi di chi
rimaneva, si allontanò a
tutta velocità nella direzione opposta alla meta della Limoviole.
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Zungurii
fu sbalzato via dalla potenza dell’ultimo attacco.
L’impatto violento con il terreno gli tolse il respiro.
Faceva quasi fatica a
capire che cosa fosse successo. L’unica certezza era che
aveva fallito. E a
pagarne le conseguenze sarebbe stato il suo villaggio.
Preferì
quindi non cercare lo sguardo né dei compaesani
né
del fratello, neppure quando quest’ultimo arrivò
per aiutarlo a rialzarsi. Il
suo sguardo, invece, si posò sul suo avversario trionfante.
E
capì che cosa gli facesse più male della
sconfitta. Era la
sensazione che le battaglie, i soprusi sopportati, la
libertà goduta brevemente
fossero stati tutti vani. Perché davanti a lui
c’era un granroriano. E non uno
di quelli che aveva appoggiato il Re del Mondo Altrove per potere e
prestigio.
Zungurii lo conosceva da anni. Aveva sempre considerato un vanto quello
di
essere nato nel regno di Rubino, il più umile e povero. Poi,
un giorno, era
cambiato. Aveva iniziato ad appoggiare corpo e anima il nuovo
dittatore.
Sembrava aver dimenticato tutto e tutti. Era rimasto solo il disprezzo.
Un
sorriso beffardo piegò le labbra del vincitore.
“Mi
aspettava di meglio dal più forte duellante del
villaggio.”
Zungurii
afferrò la terra sotto le sue dita. Se solo avesse
potuto reagire senza rischiare che la punizione fosse peggiore di
quella che si
aspettavano, che le case fossero bruciate, i campi distrutti o le
persone
portate via. Se solo avesse saputo che cosa lo aveva fatto cambiare. E
pensare
che era tutta colpa di una carta che non sarebbe dovuta nemmeno essere
lì e di
una perquisizione inattesa.
Il
comandante passò lo sguardo sulle famiglie raccolte di
fronte a lui, senza sforzarsi neppure di nascondere il proprio diletto.
In un
certo senso gli facevano pena. Non capivano a che cosa stavano
rinunciando, non
lo avevano mai capito. Il Re del Mondo Altrove, prima, e ora
l’Imperatore
stavano riuscendo a fare quello che in tutta la storia di Gran RoRo non
era mai
successo. Non contava il Regno in cui nascevi, avevi le stesse
possibilità di
ricchezza, potere e carte potenti. Perché uno avrebbe dovuto
scegliere di
continuare a vivere come un misero contadino? O tornare a subire i
soprusi dei
regni più forti?
“Siete
un villaggio d’inetti.” Riprese la propria arma,
passata a uno dei suoi uomini prima dei duelli.
“Però oggi voglio essere generoso.
Offro a chiunque la possibilità di sfidarmi. Fosse anche a
un bambino che ha
appena ricevuto il suo mazzo e non è ancora
registrato.”
Qualche
risata si alzò tra i soldati, alcuni di loro
sembravano invece veramente dispiaciuti che nessuno tra gli abitanti
del
villaggio Gurii fosse riuscito a vincere.
“Neppure
i ribelli rimarrebbero in questa fogna di
villaggio!”
“Sono
solo dei pezzenti.”
“Pensavano
di essere furbi a nascondere quella X-Rare?”
“Veramente
chiunque?”
Il
comandante tornò a guardare di scatto i paesani.
C’era
veramente qualcuno di così stupido da averlo preso sul
serio? Evidentemente il
divertimento non era ancora finito.
“Sono
un uomo di parola.”
Alcuni
abitanti del villaggio si fecero da parte e, sotto lo
sguardo di Zungurii e di tutti i soldati, Aileen avanzò.
Aveva le mani strette
a pugno e teneva la testa alta. Dentro, lo stomaco sembrava sul punto
di farle
tornare su la colazione. La giovane si stava altamente pentendo della
sua
decisione.
Gli
unici duelli che avesse mai fatto erano quelli con Vey o
gli amici del suo villaggio. In quei mesi in fuga non era cambiato
molto. Non
aveva mai messo in gioco la libertà di altre persone.
Aileen
si fermò e deglutì. Non c’era nessun
altro, doveva
ricordarselo. Magisa lo avrebbe sconfitto in quattro e
quattr’otto, ma era
debole ed era meglio non attirare l’attenzione su di lei
più del necessario.
Zungurii, a pochi passi da lei, la fissava ma presto il suo sguardo fu
attratto
da Magisa e Serjou.
“Ti
affronto io.” Parlò senza balbettare e ne fu
orgogliosa,
sicura com’era di svenire da un momento all’altro.
Il
comandante la squadrò e Aileen si sforzò di non
abbassare
lo sguardo. Non doveva mostrarsi debole.
“Che
cosa abbiamo qui? Non perdo neppure tempo a chiedervi il
permesso di viaggio, è evidente che siete qui senza
autorizzazione. Sarà un
piacere arrestarvi.”
Il
granroriano fece un passo avanti e i muscoli della
ragazzina si tesero. Scappare sembrava così invitante.
“Sei
una piccola sciocca e insolente. Non sai che nei duelli
si risponde veramente agli attacchi?”
Aileen
strinse le labbra. Lo sapeva. Vey era stato bravo a
mostrarglielo. Ora era arrivato il momento di mettere a frutto i suoi
insegnamenti. Inspirò. Avrebbe fatto di tutto per renderlo
orgoglioso.
“Sei
hai paura di perdere contro di me, puoi andartene
subito.” La ragazzina si morse la lingua, pentendosi della
sua sfacciataggine.
Quello, sarebbe sicuramente stata una cosa che avrebbe reso Vey
orgoglioso.
Quasi lo sentiva ridere.
Il
comandante strinse i pugni e un lampo scuro attraversò le
sue pupille.
“Te
ne pentirai. Soffrirai e pregherai di aver già
perso.”
Un
attimo dopo, attraversò il varco bianco che lo avrebbe
condotto sul campo di battaglia. Magisa si avvicinò ad
Aileen e le posò una
mano sulla spalla.
“Non
farti intimorire dall’ammasso di stupidaggini che
persone come lui riescono a espellere dalla bocca. Faremo tutti il tifo
per
te.”
Aileen
annuì e inspirò a occhi chiusi. Avrebbe
dimostrato di
essere degna di essere una Maestra della Luce. Non si sarebbe arresa,
fino
all’ultima vita e all’ultima carta.
Riaprì gli occhi.
“Varco
apriti, energia!”
La
ragazzina scomparve in un varco di luce bianca e verde.
Zungurii si voltò verso Magisa che annuì e
alzò lo scettro. Un attimo dopo, si
ritrovarono sugli spalti del campo di battaglia.
E
il duello ebbe inizio.
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Gli
abitanti del villaggio erano in trepidante attesa. La
speranza brillava debole nei loro occhi, privi della forza di
illudersi. I
soldati, invece, erano sicuri della vittoria del comandante anche se,
alcuni,
speravano di nascosto che si stessero sbagliando.
Magisa,
Zungurii e Serjou uscirono dal campo di battaglia.
Nessuno ebbe il tempo di studiare i loro volti per cercare di
interpretare la
fine del duello. Due varchi luminosi si aprirono e tutti si voltarono
verso di
essi.
Aileen
lo attraversò e, la prima cosa di cui ebbe
percezione, furono le braccia di Zungurii che la sollevavano in aria e
la
facevano ruotare. Vide l’ampio sorriso di Magisa e la gioia
dei paesani che
iniziarono a scambiarsi pacche sulle spalle e abbracci.
Fu
allora che se ne rese veramente conto. Aveva vinto!
Una
risata cristallina sfuggì dalle sue labbra. Zungurii la
posò a terra e, con la testa che girava, si
ritrovò tra le braccia di Magisa.
Anche gli abitanti del villaggio si strinsero a loro, desiderosi di
ringraziarla.
I
soldati si ripresero solo allora dalla sorpresa e videro
il loro comandante ancora accasciato a terra, intento a sollevarsi con
scatti
rabbiosi.
Il
soldato più vicino, poco più che un ragazzo,
accorse per
aiutarlo ma fu respinto dallo sconfitto.
Il
comandante si rimise in piedi, il volto contorto in una
maschera di rabbia e vergogna. Era stato sconfitto da una mocciosa.
Brandì
la propria arma e sparò nella folla. Il boato
sollevò
grida di paura da tutto il villaggio. Un uomo si accasciò a
terra stringendosi
la spalla.
“Razza
di feccia! Quella mocciosa non è censita e questo
duello non è valido!”
Rabbia,
paura e indignazione serpeggiarono sui volti di
tutti i granroriani del villaggio Gurii. Zungurii fu il primo a farsi
avanti.
“Vale,
razza di bugiardo! Un duello è legale se convalidato
da un’autorità. Quello che guarda caso sei
tu!”
Il
comandante si voltò verso i suoi uomini. “Fate il
vostro
dovere. Sapete tutti la punizione per il loro reato.”
I
soldati fecero come gli era ordinato, i più titubanti
spinti avanti dai colleghi. Nuove grida si alzarono quando padre,
fratelli e
figli venivano strappati dalle famiglie.
Aileen
si strinse a Magisa. “Non potete farlo!”
La
sua voce si perse nella confusione. Un bambino fu
strappato dalla stretta sul padre e fu gettato a terra. Non potevano
separare
chi si voleva bene. Qualcosa scattò dentro di lei. Aileen
sgusciò dalla presa
di Magisa e si spinse avanti.
Strinse
i pugni e chiuse gli occhi. “LASCIATELI ANDARE!”
Uno
sciame di farfalla la avvolse e si diresse velocissimo
verso i soldati. Il gruppo di militare si ritrovò
letteralmente attaccato dai
piccoli insetti. Dopo qualche vano tentativo di contrasto, furono
costretti a
lasciare i paesani e ad arretrare.
“COSA
DIAMINE?”
Aileen
aprì di scatto gli occhi e arretrò di un passo,
rendendosi conto di quello che aveva fatto. Lo sguardo furioso del
comandante
incrociò il suo.
“Maledetta!
La pagherai!”
Magisa
e Zungurii si pararono subito davanti ad Aileen.
Serjou la affiancò. Altri granroriani del villaggio si
unirono a loro.
La
maga giocherellò con il proprio scettro,
l’espressione
che minacciava fuoco e fiamme.
“Mi
piacerebbe insegnarti le buone maniere, soprattutto su
come si parla a una fanciulla.” Magisa bloccò lo
scettro e la gemma iniziò a
emanare una debole luce. “Mi limiterò a
consigliarti di rispettare i patti!”
Il
comandante strinse la mano sulla propria arma. Ma sapeva
che non sarebbe servito. Aveva riconosciuto la donna con i capelli rosa.
“Non
finisce qui.” La voce del
granroriano sembrava quasi un ruggito. I suoi occhi erano neri.
“Vi pentirete
di non essere stati arrestati oggi!”
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Hideto
si sistemò più comodamente sul sedile e sospiro
sollevato. Era un miracolo l’essere riuscito a trovare un
biglietto con così
poco preavviso. Se solo avesse parlato con gli altri prima di partire:
si
sarebbe risparmiato un sacco di problemi.
Fortuna
che Benjamin Glynnhorn viveva solo in Australia. E,
ringraziava gli dei, era a lui che da mesi aveva promesso di fargli una
visita.
Non voleva neppure pensare quanti problemi in più avrebbe
avuto, fosse andato
per esempio a fare un viaggio in Africa. Tra ore in più di
viaggio, cambi di
linea…
Chiuse
gli occhi e cercò di rilassarsi. Per una volta che si
era immaginato un tranquillo rientro. Perlomeno, era riuscito a rendere
il
proprio check-in più veloce, svuotando mezzo zaino nello
sgabuzzino di Ben. Non
che i suoi sforzi avessero pagato, dato che si era ritrovato comunque
ad
aspettare e sbadigliare per quasi due ore in una fila che non sembrava
finire
mai.
Forse
era la giusta punizione per la sua stupidità.
Preparativi e viaggio non erano certo buone scuse per dimenticarsi
della
tradizionale rimpatriata organizzata da Mai ormai da tre anni. Come
aveva fatto
a non accorgersi dell’ormai imminente 30 agosto?
Se
lo era ben ricordato appena arrivato a casa di Ben, poche
ore prima. L’orrore, che aveva provato ad accorgersi della
data, era niente in
confronto a quello che aveva provato a trovare l’email di Mai
datata una
settimana prima.
I
sensi di colpa gli avevano dato le ali ai piedi e la forza
necessaria per rispondere all’email, risalutare un confuso
Ben e fare
dietrofront per l’aeroporto. Era stato fortunato a scoprire
quell’email. Non se
lo sarebbe perdonato.
La
sua fortuna era finita lì. Il fatto che il primo volo
disponibile per Tokyo partisse solo a notte fonda era sembrato solo
un’enorme
vendetta cosmica della sua dimenticanza.
Il
rumore dei motori attirò la sua attenzione.
Hideto,
seppur stanco, guardò sfilare via l’aeroporto
australiano oltre il finestrino. Una volta in volo, la luna e le stelle
nel
cielo limpido sembravano quelle che vedeva dal deserto.
La
vista lo rasserenò e tornò a richiudere gli
occhi. In
attesa di crollare nel sonno, iniziò a vagare tra i ricordi
delle avventure
condivise con gli amici. Non poté evitare di sorridere
quando ripensò al giorno
in cui Kenzo era sbucato dal nulla, in pieno deserto, e lo aveva
trascinato nel
futuro.
Durante
le due precedenti settimane, aveva quasi temuto e sperato
che succedesse di nuovo.
Quando
aveva provato la strana e fastidiosa sensazione di
non essere solo… Hideto, sul punto di assopirsi,
aggrottò la fronte a quel
ricordo. Era sicuro che fosse la prima volta, in tutti i viaggi
compiuti dal
2009, che provava una sensazione così nitida.
Era
andato nel deserto, perché aveva imparato ad apprezzare
la solitudine. Ma, evidentemente, la certezza che non ci fosse nessuno
per
miglia non gli aveva impedito di sentirsi osservato.
Hideto
sbadigliò e si rannicchiò più
comodamente sul sedile,
facendo attenzione a non disturbare il vicino.
Magari
era lui a ingigantire un dettaglio ininfluente. Non
sarebbe certo stata la prima volta che aveva
un’allucinazione. Aver
l’impressione di sentir chiamare il proprio nome, credere di
vedere una sagoma
nell’aria calda del deserto… probabilmente era
solo frutto della sua
immaginazione.
Stanco,
scosse la testa per scacciare i dubbi, più che
convinto ad avere il meritato riposo.
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Era strano, quel luogo
era contemporaneamente sconosciuto e familiare. Un corridoio infinito,
senza
porte o finestre. Dove si trovava?
“Mai.”
Si voltò di scatto, ma
non c’era nessuno. Il silenzio era inquietante. Forse si
stava solo facendo
suggestionare.
Riprese a camminare
perché sentiva che doveva fare qualcosa o arrivare da
qualche parte. Anche se
aveva l’impressione di procedere da ore, attendibile che
fosse la sua
percezione del tempo, prima o poi sarebbe arrivata alla fine.
Infatti, poco più
avanti di lei iniziò a intravedere qualcosa. O meglio,
qualcuno. Sorrise
soddisfatta della propria intuizione. Ma la gioia fu breve, quando
riconobbe chi
era davanti a lei.
“Dan!”
Il ragazzo sembrò non
sentirla. Iniziò a correre, sperando di raggiungerlo, ma
ogni passo sembrava
allontanarla. Sentiva la paura crescere dentro di lei, ma avrebbe fatto
di
tutto per non ripetere quanto successo nel futuro. Non
l’avrebbe perso di
nuovo.
Il corridoio finì
bruscamente. Di Dan neppure l’ombra. Si avvicinò
lentamente a due porte che
sembravano essere apparse dal nulla. Forse lui era dall’altra
parte.
Quella a sinistra era
chiusa. Indispettita, si avvicinò a quella di destra. Con la
coda dell’occhio,
credette di intravedere un varco luminoso, simile a quello di Gran
RoRo. Tornò
a voltarsi emozionata e riprovò ad aprire la porta di
sinistra.
Iniziò a sentire un
nodo allo stomaco e le mani sudate. Doveva aprire quella porta.
Provò a
colpirla, ma inutilmente.
“Guerriero Viola…”
La voce era debole, ma
lei la sentiva. Afferrò con due mani la maniglia tentando di
farla cedere. Poi,
portò una mano ad asciugare le lacrime che stavano iniziando
a riempirle gli
occhi.
Dietro quella porta
c’era Gran RoRo. Doveva aprirla, doveva tornarci,
doveva…
Mai si scostò
bruscamente e si portò le mani tra i capelli. Chiuse gli
occhi e inspirò, nel
tentativo di calmare i battiti del cuore. Che stava facendo? Se
veramente
dietro quella porta c’era Gran RoRo… come poteva
andarci senza Dan?
Tornò a guardare la
porta. Perché stava avendo quei dubbi? Lei voleva tornare a
Gran RoRo.
Si obbligò a posare di
nuovo la mano. Doveva affrontare la realtà. Dan non sarebbe
tornato. Doveva
smettere di usarlo solo come scusa per non soffrire ancora. Quello che
aveva
provato per lui non doveva diventare una catena.
“Sono pronto. Sarò io
a premere il pulsante.”
Mai sgranò gli occhi.
“Ci siamo. Il momento
è arrivato.”
Si voltò di scatto
verso la porta di destra. C’era una luce rossastra che si
rifletteva sulla sua
superficie lucida.
Sapeva che cosa c’era
dall’altra parte. Voleva andarsene, ma non poteva mostrarsi
debole. Con il
cuore in gola, entrò. E fu di nuovo lì.
Il duello concluso,
scintille rosse e fumo.
“Quella è la rampa di
lancio.”
L’illusorio senso di
gioia, l’apparente facilità… e le
parole di Dan.
“Sì, certo. Ho capito.
Non esiste un pulsante. Sono io un essere pulsante.”
Non di nuovo. Mai si
accasciò a terra e coprì le orecchie con le mani.
Non era forte come
credeva. Non riusciva a dimenticare lo sguardo sconvolto di Yus, le
lacrime di
Plym, la rabbia di Clarky e l’incredulità di
Hideto.
“Basta…”
Perché quel giorno la
sua preghiera non era stata ascoltata?
Chiuse gli occhi, ma
rivide lo stesso davanti a sé il volto di Dan. Lo aveva
odiato in quel momento.
Come poteva essersi rassegnato così facilmente?
Le lacrime
cominciarono a rigarle le guance.
“Basta…”
“Non si parlava di un
oggetto. Ma del cuore che pulsa.”
Aveva odiato Dan.
Aveva odiato se stessa. Si odiava anche ora, per non essere in grado di
muoversi.
Un’altra volta
immobile, ad aspettare la fine.
“Barone. Ti sono molto
grato. È stato un duello avvincente.”
Rivide il vortice
iridescente, risentì il grido di Barone. Risentì
le proprie urla di dolore e
tornò ad alzare gli occhi colmi di lacrime.
Perché non si riusciva a perdonare?
Sapeva che non ci sarebbe stato nulla che lei potesse fare. Era stata
semplicemente
la fine.
Cercò ancora una volta
il sorriso rassegnato di Dan, che si stava sacrificando anche per lei.
Ma
ritrovò davanti a sé uno sguardo tradito.
“Mai, perché non hai
fatto niente per salvarmi?”
La ragazza sbattè gli
occhi e cercò di trovare le parole, ma sentiva la mente
annebbiata.
“Potevi salvarmi.”
Si alzò di scatto nel
tentativo di allontanarsi, ma non riusciva a muovere un passo. Lei
aveva fatto il
possibile… perché non capiva?
Lo sguardo carico
d’affetto era diventato colmo d’odio.
“Perché hai mentito?
Tu non mi ami!”
Era quello che aveva pensato
veramente? Dan la odiava.
Lei non l’aveva
salvato. Doveva chiedergli scusa, fargli capire che aveva fatto di
tutto.
“Non ti perdonerò
mai.”
Il suo voltò si
dissolse in un lampo bianco.
Si prese la testa tra
le mani e gridò.
“NO!!!”
Mai
si sollevò di scatto e si ritrovò nel buio della
propria
camera. Si guardò attorno spaesata, con il sudore che le
colava lungo la
schiena. Portò le mani al viso e si accorse di avere le
guance rigate di
lacrime.
Si
posò allo schienale del letto, rabbrividendo al contatto
con il metallo. Sospirò e posò la testa al muro.
Grazie al cielo era stato solo
un incubo. Rimase ferma per lunghi minuti, in attesa che il respiro
rallentasse
e il terrore che attanagliava lo stomaco scomparisse. Bastavano sempre
solo pochi
minuti per smettere di singhiozzare.
Erano
mesi che non faceva quell’incubo, che a lungo
l’aveva
tormentata appena tornata dal futuro. Era da quel torneo che non lo
riviveva in
modo così reale.
Rilassatasi,
Mai tornò a distendersi e affondò il viso nel
cuscino, per non vedere il tenue fascio di luce che filtrava dalla
finestra
socchiusa. Tentò di rimettersi a dormire, ma un pensiero
indefinito le rodeva
la mente. Riaprì gli occhi e guardò
l’orologio digitale sul suo comodino. E
capì subito perché il sogno avesse deciso di
tornare a fare capolino.
30
agosto 2014: quarto anniversario dalla scomparsa di Dan e
dal ritorno dal futuro.
Più
lucida, ricordò cosa succedeva ogni anno in quel
periodo. Quello stupido sogno tornava a ricordarle che, in fondo, non
aveva
veramente accettato quello che era successo. Non poteva evitare di
pensare che,
effettivamente, fosse vero. Il torneo di tre anni prima e il risveglio
di Yuuki
erano stati gli ultimi stimoli per riprendere in mano la propria vita,
permettendole di metabolizzare quanto successo. Ma non era bastato per
concedersi il perdono. Lasciar ricrescere i capelli non era certo
sufficiente
per riempire il vuoto che lui aveva lasciato.
Forse
era presto, pensò tristemente Mai. Dopotutto, il
baratro di dolore in cui era sprofondata dopo quell’avventura
l’aveva segnata
profondamente, allontanandola per mesi dall’amato Battle
Spirits.
Stava
quasi per rimettersi a dormire, quando ricordò la
prima parte del sogno. Era una novità.
Novità
che, casualmente, arrivava in concomitanza con le
strane sensazioni provate nelle settimane precedenti.
Nei
momenti più assurdi, aveva avuto l’impressione di
essere
osservata e di sentire chiamare il proprio nome. Ormai da giorni aveva
cominciato a illudersi che fossero un segno. Ci mancava solo quel sogno
ad
attizzare le sciocche speranze che erano rinate dopo sei anni.
Sperava
ardentemente che fosse davvero Magisa, altrimenti
significava che iniziava a delirare.
La
ragazza aprì gli occhi e si mise a sedere. Abituatasi
alla penombra, guardò le foto che da mesi si trovavano sul
suo comodino: quella
con Dan e Clarky fatta nel futuro e quella con Yuuki, Hideto e Kenzo
fatta solo
pochi mesi prima. Le aveva messe vicine per rivedere i Maestri della
Luce
riuniti.
Sorrise
quando ricordò che solo poche ore dopo li avrebbe
rivisti, perlomeno quelli che ancora vivevano in quell’epoca.
Forse avrebbe
dovuto parlare con loro dei suoi dubbi. Era certa che
l’avrebbero capita.
Avrebbero sofferto tutti ad andare a Gran RoRo senza Dan e Clarky, con
la
possibilità di trovare due nuovi Guerrieri al loro posto.
Accettare, perché era
sicura che alla fine avrebbero preso tutti quella decisione, non
sarebbe stato
facile per nessuno.
Scosse
la testa per scacciare quei pensieri e guardò
l’ora.
Erano
le quattro e mezzo e lei, ormai, era completamente
sveglia. Non aveva senso cercare di riaddormentarsi. Si alzò
e andò a
spalancare la finestra. Rabbrividì per l’aria
fresca che riempì la stanza. Verso
est si intravedeva il chiarore che preannunciava l’alba. Il
resto del cielo era
azzurro cupo, orfano della luce delle stelle che sbiadivano e in attesa
della
luce solare.
Mai
chiuse gli occhi e immaginò il mare, così
silenzioso
senza i bagnanti e gli ombrelloni. Sorrise e inspirò
profondamente,
riempiendosi i polmoni dell’aria fresca che spazzava via gli
ultimi stralci
dell’incubo.
Rabbrividì
di nuovo a causa del sudore che rendeva
appiccicosa la maglietta. Tornò quindi a voltarsi verso la
stanza. Gli occhi
fecero fatica ad abituarsi all’oscurità della
stanza, ma la luce tenue era più
che sufficiente per muoversi in una stanza che conosceva a menadito.
Vedendo
il computer, un’ondata di nostalgia la spinse ad
accenderlo. Dopo pochi istanti la luce azzurrina illuminò il
suo volto e la
foto sul desktop la accolse con i volti sorridenti suo e di Kaoru.
Ridacchiò
ripensando alle vacanze natalizie trascorse in America con la sorella e
Andrew,
a tutti gli effetti prolungamento della festa organizzata a casa di
Elizabeth
con gli altri.
Non
vedeva l’ora di riabbracciarla. Anche se Kaoru tornava
in Giappone ogni volta che poteva, non era mai abbastanza. Ma lei era
felice lo
stesso, perché vedeva come la sorella fosse entusiasta del
futuro che stava
creando lì con Andrew, fratello maggiore di Clarky. Sempre
sul punto di fare il
fatidico passo, lei stava cercando lavoro e lui lavorava in una base
americana.
Meritavano
entrambi di essere felici. Ricordava com’era
stato penoso e ingrato dovergli comunicare la decisione di Clarky. Il
fatto che
fossero così uniti aveva aiutato.
Parlare
con lui e raccontare la verità alla famiglia di Dan,
erano stati il colpo di grazia per spezzare la poca forza che aveva
racimolato
nelle prime settimane. Aveva pianto a lungo, prima di incominciare a
rialzarsi.
Tornando
a concentrarsi sul computer, Mai aprì con pochi clic
le cartelle che contenevano gli immensi archivi del suo vecchio blog, Parole Violette. Lì erano
custoditi
tutti i più bei ricordi di Gran RoRo.
Guardando
quelle foto, tornò a rivivere l’estate del 2008,
illudendosi per qualche istante di essere di nuovo lì. Da
allora, la bellissima
e strana famiglia che si era formata durante quell’avventura
aveva perso tre componenti:
Kajitsu, Dan e Clarky. Era stato come perdere una parte di loro. Una
parte che,
qualsiasi cosa avrebbero fatto, non avrebbero mai riavuto indietro.
Loro
quattro erano diventati molto uniti. Seppur separati,
impegnati a riprendere il filo della propria vita, non avevano mai
smesso di
restare in contatto e la loro amicizia era cresciuta. E, nonostante gli
impegni
di ciascuno, avevano cercato di incontrarsi il più possibile.
Era
stato spesso difficile, lei con gli studi d’ingegneria
informatica, Kenzo che studiava per quattro persone, Hideto che, quando
lo
immaginavi all’università, era invece in qualche
angolo sperduto del mondo. Ma
ne era sempre valsa la pena.
Mai
stiracchiò le braccia e distolse lo sguardo dal
computer, ritornando alla realtà. Si rese conto della luce
che inondava la
stanza.
Decise
di andarsi a fare una doccia, per spazzare via le
tracce delle ore passate in bianco. Non voleva certo che i suoi
genitori si
preoccupassero, non ora che il loro rapporto era stato recuperato. Era
loro
grata: avevano cercato di capirla e supportarla, come prima non avevano
fatto.
Sbadigliò
e, prima di alzarsi, controllò la casella email. Prima
di aprirla, incrociò le dita e sperò che ci fosse
la risposta di Hideto. Quel
ragazzo era più in giro per il mondo che in
un’aula universitaria.
S’illuminò
nel vedere il messaggio tanto atteso.
“Scusa se non ti ho
risposto prima. Non ti preoccupare, domani (o oggi, dipende quando
leggi
l’email) sarò a Tokyo.
A presto, Hideto.”
Tipico
Hideto. Chissà quanti fusi orari avrebbe dovuto
attraversare per mantenere la promessa. Quando l’aveva
conosciuto, non avrebbe
mai immaginato per lui una vita così vagabonda.
Chiuso
il computer, Mai recuperò accappatoio e vestiti per
la tanto agognata doccia. Mentre raggiungeva il bagno,
iniziò a organizzare la
giornata fino al primo pomeriggio, quando si sarebbe incontrata con gli
altri.
Primo,
avrebbe controllato il suo nuovo blog che le
permetteva di restare in contatto con chi non aveva creduto ai giornali.
Poi, avrebbe passato il resto del tempo in spiaggia, accettando finalmente l’invito delle sue amiche di corso. Sperava solo che non cercassero di convincerla a qualche appuntamento al buio. Il giorno che sarebbe stata pronta, sarebbe stata lei a trovarsi un ragazzo con cui uscire oltre il secondo appuntamento. Di una cosa era certa, non avrebbe più usato l’amore che aveva provato per Dan come una scusa. Perché il passato era passato e lei doveva andare avanti. E per farlo non aveva certo bisogno di un fidanzato. Anche Dan, in quello non c’entrava. Quella era la sua vita e dipendeva solo da lei.
SPAZIO AUTRICE:
Salve a tutti. Vi presento
il
nuovo capitolo della versione 2.0. Spero vi piaccia, anche
più di quello
originale. Se vi va, fatemi sapere che ne pensate.
Per chiarezza, vi indico di nuovo quali sono le età dei
Maestri della Luce a
questo punto della storia: Mai 20 anni,
Hideto 19 anni, Kenzo
15 anni e Yuuki 23
anni. È il 2014, ovvero sono passati 6 anni da Dan
il Guerriero Rosso, 4 da
il finale di Brave e 3 dall’episodio 0.
A chi si chiede chi sia
Veihral
o è curioso di sapere quali siano state le sue avventure,
consiglio vivamente di
leggere la fanfiction “Battle
Spirits
Rising - Julian, il guerriero rosso” di
ShawnSpenstar dove Vey si ritrova a
viaggiare con Julian Fines, il guerriero precedente a Dan Bashin, nel
tentativo
di liberare Gran RoRo dal Re del Mondo Altrove. I nostri eroi preferiti
non ci
sono, ma vi assicuro che merita. Anche perché, in accordo
con Shawn, abbiamo
deciso di considerare le nostre fanfiction ambientate nello stesso
universe.
Ovvero, potrebbe capitare che nella mia fanfiction ci sia qualche
riferimento
ad avvenimenti o personaggi precedenti alle due serie e che saranno
presenti
nella sua fanfiction (come Vey). In ogni caso, anche se deciderete di
non
leggerla, vi assicuro che non vi impedirà in nessun modo di
capire che cosa stia succedendo.
Detto questo, vi do
appuntamento
al prossimo aggiornamento.
A presto, HikariMoon