Crossover
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Autore: Bookmaker    02/08/2016    4 recensioni
– Lo so, – disse improvvisamente, anticipando una notizia che sapeva gli sarebbe stata riferita di lì a breve. – Il ragazzo laggiù si è svegliato, ed è appena entrato nella fase di sintesi, giusto?
– Il ragazzo? Di che cosa stai parlando?
Si girò con una certa sorpresa scoprendo di non essere solo, nel mare lunare macchiato di un sangue troppo antico per essere ricordato: un altro essere lo stava fissando.
Non era certamente umano: sembrava un gatto col pelo bianchissimo, con grandi ciuffi che sbucavano dalle orecchie e un anello sospeso attorno ad ognuno di essi.
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai
Note: Cross-over, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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XVI
Ripresa: Silence and Words
 
– È permesso?
Non era la prima volta che Sayaka visitava un ospedale. Certo, il policlinico di Neo-Tokyo 3 era molto più grande di quello di Mitakihara, ma l’odore di disinfettante, il candore delle pareti e la fredda luce bianca che illuminava ogni ambiente replicavano perfettamente quelli della piccola struttura a cui la ragazza era abituata. Eppure, nonostante la sensazione di familiarità per quel luogo, Sayaka non riusciva a scacciare un profondo e inespugnabile senso di disagio.
Bussò ancora una volta sulla porta davanti a sé. L’infermiera che l’aveva accolta nel reparto di terapia intensiva le aveva detto che sarebbe stato inutile, ma in fondo provare non sarebbe costato nulla, no? – Sono Sayaka. Posso entrare?
Nessuna risposta. La mano tremante ferma sulla maniglia, Sayaka aprì lentamente la porta contrassegnata da un cartellino con il nome di Mami Tomoe.
– Ciao, Mami. Come stai?
La stanza in cui era stata ricoverata Mami era molto spaziosa. Grandi lampade scialitiche sporgevano dal soffitto e dalle pareti, pronte all’occorrenza in caso di emergenze improvvise, e non c’erano finestre. Un imponente apparato di ventilazione posizionato alle spalle del lettino che ospitava la ragazza aspirava l’aria mediante un’ampia cappa rettangolare, incastrata tra un elettrocardiografo a colonna e vari armadietti contenenti forniture sanitarie di ogni genere. La luce che pioveva dai led agganciati al soffitto sembrava ricoprire ogni cosa di una patina evanescente.
Mami era seduta sul letto, immobile. La sua schiena era appoggiata a un cuscino disposto per il lungo, le sue mani erano intrecciate sul suo grembo coperto dalle lenzuola candide. Quando Sayaka entrò, il suo sguardo si spostò lievemente, e un sorriso comparve sul suo volto. Tuttavia, non ci furono altre reazioni.
Sayaka inspirò profondamente. Si fece forza, entrò nella camera e avvicinò al letto una sedia pieghevole appoggiata alla parete. – Ti hanno pettinata proprio bene, eh? – disse, abbozzando una risata e sedendosi. – Anche se fa un certo effetto, vederti con i capelli sciolti. Non che ti stiano male, ma…
Mami chinò la testa di lato, chiudendo gli occhi in un’espressione di infantile contentezza. Solo allora Sayaka notò la piccola bambola che la ragazza teneva stretta fra le mani. Con un brivido, il suo sguardo percorse le lunghe maniche del pupazzo e la sua gonna a toppe colorate.
– Can… de…
L’improvviso balbettio di Mami colse Sayaka alla sprovvista, facendola quasi sobbalzare. La maga bionda sollevò leggermente la bambola, avvicinandola a Sayaka come per invitarla a guardarla con attenzione. – … lo… ro. Cande… loro…
– Sì, Mami, – mormorò Sayaka distogliendo lo sguardo. – È molto carina. L’hai fatta con la magia?
Mami non parve capire quel commento: si riportò la bambola al petto e la abbracciò morbidamente, come una bambina intenta a coccolare il proprio giocattolo preferito. Sayaka tornò a osservarla per qualche momento, e nella sua mente risuonarono le parole dell’anziano uomo in camice che aveva incontrato poco prima. – Il primario del reparto ha detto che le tue condizioni sono buone, – disse, pronunciando quelle parole in maniera quasi automatica. – Tuttavia, tu sembri… scomparsa. Pensano che sia stato il trauma, ma non riescono a venire a capo della situazione. Potrebbe perfino risolversi da sola, ma loro non riescono a…
Sayaka si interruppe all’improvviso. Mami aveva allungato una mano verso di lei, fermandosi a pochi centimetri dal suo volto. Oltre le sue dita tese, due grandi occhi dorati brillavano di una gioia vuota e insignificante.
– Mami…
Con un improvviso accesso di pianto, Sayaka afferrò la mano di Mami e appoggiò il capo sul petto della ragazza. – Mi dispiace! – esclamò, scossa dai singulti. – Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace! Io volevo salvarti, non ridurti così!
Mami sembrò piuttosto sorpresa da quello scoppio di tristezza, e rimase in attenta osservazione per alcuni istanti. Nella stanza vuota, il pianto dirotto di Sayaka risuonava come un tetro lamento. – Ti prego, – singhiozzò. – Ti prego, perdonami.
Un contatto improvviso fece sobbalzare Sayaka. Mami le aveva appoggiato una mano sulla testa, prendendo ad accarezzarle i capelli con fare materno. Dalle sue labbra appena dischiuse proveniva una litania appena percepibile, simile a una ninna nanna. Sayaka sentì una fitta al cuore, che la forzò a distaccarsi dall’amica e ad alzarsi di scatto. Mami rimase perplessa da quella reazione, ma non ci fece troppo caso e tornò a giocare con la bambola raffigurante la propria Strega.
Era troppo. Sayaka corse alla porta, raggiungendo il corridoio antistante con gli occhi colmi di lacrime. Collassò sull’uscio, abbracciandosi le ginocchia con le braccia mentre le pareti sembravano contorcersi su di lei per ghermirla. – Ti prego… – sussurrò, il volto nascosto fra le gambe tremanti. – Ti prego, Mami, torna da noi.
– Sayaka…
La ragazza alzò gli occhi ancora lucidi. Un ragazzo poco più piccolo di lei la fissava, in piedi di fronte alla porta della stanza di Mami. – Tutto bene?
Sayaka si asciugò le lacrime con la manica dell’uniforme. Solo allora riconobbe il volto di Shinji, contratto in una smorfia di angoscia e preoccupazione. – Ciao, Shinji. Sei qui per Mami?
Il ragazzo annuì. – Volevo vedere come stava, ma mi hanno detto che parlare con lei è inutile. Stavo pensando di portarle dei fiori… sai, per rallegrare la stanza. Non credo però che me li lascerebbero introdurre in terapia intensiva. Tu come stai?
– Io… io sto… – esitò Sayaka. Poi, con un sospiro, disse: – Mi sono solo agitata.
Shinji arrossì, tendendole timidamente una mano. – Ti… ti serve aiuto per rialzarti?
La ragazza fu alquanto sorpresa da quel gesto di cavalleria. Poi, però, accettò la mano di Shinji e la usò per issarsi in piedi. – Grazie, – sorrise. Davanti a quell’espressione accorata e gentile, il ragazzo diventò ancora più rosso, ritraendo la mano con un movimento maldestro.
– F-figurati.
Rimasero in silenzio per svariati secondi. Alla fine, Sayaka riprese la parola: – Vuoi… vuoi entrare?
Lo sguardo di Shinji cadde sul pavimento di marmo bianco. Le braccia distese lungo i fianchi, il ragazzo cominciò a contorcere insensibilmente le dita. – Non ce la faccio, – mormorò. – Ho paura di ciò che troverò.
– Ti capisco, – rispose Sayaka, spostando a sua volta gli occhi sul disegno irregolare delle lastre del pavimento. Dopo qualche attimo di silenzio, la ragazza aggiunse: – Vuoi… ti va di venire con me? Pensavo di passare a prendere Madoka dal nostro alloggio e portarla a fare una passeggiata. Sarebbe un pretesto per farla uscire di casa, e magari potremmo distrarci un po’ anche noi. Che ne pensi?
Shinji esplose in un’espressione colma di imbarazzo, terrore e chissà cos’altro. Il suo volto si fece rossissimo, e i suoi occhi presero a schizzare all’impazzata da un punto all’altro del pavimento. – Ecco… io… in realtà pensavo di rimanere a casa ad aspettare Asuka.
– Ma lei non torna prima dell’ora di cena, no? – incalzò Sayaka. La ragazza fece un passo verso di lui, e nel campo visivo di Shinji comparvero le sue scarpe da ginnastica bianche. – Andiamo, ti prometto che sarai a casa di Misato prima delle sette!
Il ragazzo fece per obiettare, ma prima che potesse dire qualcosa Sayaka afferrò la sua mano e lo trascinò con sé. Preso alla sprovvista, Shinji si lasciò trasportare dallo slancio incredibilmente energico della maga dai capelli azzurri. – Sayaka! A-aspetta!
– Coraggio, Shinji! – esclamò la ragazza, voltandogli le spalle e continuando a camminare con passo svelto e deciso. – Per oggi ci penso io, a te!
Shinji continuò a protestare debolmente, ma Sayaka lo ignorò, troppo intenta a celargli i rivoli di lacrime che le bagnavano le guance.
***
– Prova… prova… Sta registrando?
– Sì, senpai Akagi. Può procedere.
Ritsuko si allontanò dall’apparato di registrazione digitale situato a un capo del lungo tavolo della sala audiovisivi del Geo Front. Raggiunse l’estremità opposta del mobile, prese una piccola poltrona girevole e vi si sedette stando attenta a non spiegazzare il proprio camice. Di fronte a lei era seduta una ragazza in uniforme scolastica, con lunghi capelli corvini che ricadevano morbidamente sullo schienale di una poltrona identica a quella della dottoressa.
– Grazie, Maya. Bene, Homura, ora veniamo a noi. Come puoi vedere, questo non è un interrogatorio. La tua condotta dell’altro giorno ci ha convinto della tua affidabilità, quindi ho ritenuto che non fosse più necessario ricorrere a misure restrittive.
– La ringrazio.
– Prego. Tuttavia, penso che sia giusto informarti che il nostro colloquio sta venendo registrato. In questo modo, sarà più facile fare il punto della situazione. Hai qualcosa in contrario?
– … Chi ascolterà la registrazione?
– Beh, ovviamente io. Poi il nastro sarà analizzato da Melchior, Balthasar e Caspar, le unità operative del Magi System. Una volta che avrò un loro riscontro, penso che mi consulterò anche con Aoba, Hyuga e Maya, i tre operatori che hai visto nel Central Dogma. Infine, le registrazioni rimarranno a disposizione del comandante Ikari e del colonnello Katsuragi.
Homura esitò per qualche istante. Dopodiché tirò un sospiro. – Va bene. A patto che gli altri Soggetti Devianti e i Children non abbiano accesso ai nastri.
Ritsuko annuì. – Naturalmente. Possiamo cominciare, dunque?
 – Certo. Cosa desidera sapere?
– In primo luogo, – cominciò la donna, estraendo un taccuino da una tasca del camice e accavallando le gambe in modo da poterlo poggiare su un ginocchio, – tu sembri conoscere molte più cose sulle maghe, rispetto agli altri Soggetti Devianti. Vorrei che mi ragguagliassi su quanto non so.
– L’avete visto, no? – sbuffò Homura, impassibile. – Le maghe diventano tali stringendo un contratto con un Incubator, una creatura aliena che dispone di una tecnologia per noi incomprensibile. Il contratto prevede la realizzazione di un desiderio, conseguentemente alla quale la ragazza che ha stipulato l’accordo acquisisce poteri magici.
La dottoressa Akagi la interruppe con un gesto della mano, smettendo per un attimo di scrivere sul quadernetto. – Aspetta, Homura, aspetta. Dunque, Kyubey sarebbe un alieno?
– Vedendo una tecnologia più avanzata l’uomo primitivo la considera una magia, no? – disse Homura. – In confronto agli Incubator, noi esseri umani siamo estremamente arretrati. Kyubey afferma perfino di essere responsabile del superamento dell’età della pietra e di ogni progresso tecnologico dalla comparsa dell’uomo in poi.
– Mmh… – annuì Ritsuko scribacchiando qualcosa. – Capisco. Continua.
– Come le stavo dicendo, le ragazze sono trasformate in maghe. Tale trasformazione, tuttavia, richiede il trasferimento della loro anima in un supporto distaccato dal loro corpo, una Soul Gem. In questo modo le maghe possono subire danni fisici considerevoli senza morire, sottoporre il proprio corpo a sforzi impossibili per un essere umano e incrementare la loro capacità di sopportazione del dolore.
Ritsuko si portò la penna alle labbra, mordicchiandone il cappuccio di plastica già usurato da settimane di insonnia e nervosismo. – Cosa accade ai vostri corpi, dopo la trasformazione?
– Continuano a crescere, se è questo che vuole sapere. Tuttavia, diventano immuni alle malattie e all’invecchiamento.
Maya, seduta accanto al registratore e con indosso un grande paio di cuffie collegate all’apparecchio, intervenne alzando una mano. – Questo spiegherebbe i quadri di mitosi che abbiamo osservato nelle ultime settimane, giusto senpai?
La donna annuì. – Sì, ciò che dice Homura è coerente con i dati di laboratorio che abbiamo raccolto. Devi sapere, Homura, – aggiunse poi rivolgendosi alla maga, – che abbiamo sottoposto le tue compagne ad alcuni test, tra cui esami citologici e istologici. Tra i Soggetti Devianti, Mami e Kyoko presentavano anomalie della replicazione cellulare che simulavano un quadro di cellule staminali perenni. Abbiamo effettuato gli stessi esami sui campioni di cute che abbiamo prelevato da te e da Sayaka dopo la sua trasformazione, e abbiamo ottenuto risultati identici. Ovviamente non sarebbe eticamente accettabile effettuare biopsie di organi interni o tessuto nervoso solo a fini di studio, ma in base alle nostre osservazioni possiamo assumere con una certa sicurezza che vi troveremmo una situazione analoga.
Homura non sembrò colpita da quell’osservazione. – Non ci ho mai pensato in questi termini, – disse. – D’altronde, non sono un medico.
– È naturale, – sorrise Ritsuko girando pagina. – Ora, passiamo a un’altra domanda. Cosa determina la trasformazione delle maghe in Streghe?
– Non ne sono sicura, – rispose la ragazza. – Kyubey afferma che la disperazione o l’eccessivo consumo di potere magico determinano la corruzione dell’anima della maga, e conseguentemente la conversione della Soul Gem in un Grief Seed. Tuttavia, non vi so spiegare i meccanismi alla base di questo processo.
– Disperazione… – mormorò Ritsuko, riflettendo su quelle parole con aria assorta. – Perché gli Incubator non intervengono per salvare le maghe?
Homura scoccò a Ritsuko uno sguardo denso di sottintesi. – Perché non sono interessati a farlo. Gli Incubator considerano gli esseri umani come semplici strumenti nelle loro mani, e sfruttano i Grief Seed come fonti energetiche. Le Streghe sono necessarie al loro sistema energetico, e le maghe servono quindi sia per ridurle a Grief Seed, sia per produrne di nuove.
– Dunque, – la interruppe la scienziata, – la Strega generata presso il liceo dei Children era una maga?
– Marybella, – commentò Homura, generando nella donna un certo stupore. – La Strega arrugginita. L’ho osservata, ma non sono mai riuscita a capire da dove venisse. Comunque sì, deve necessariamente trattarsi di una maga che ha ceduto alla disperazione.
– Questo vuol dire che Kyubey ha eluso la nostra sorveglianza… – rimuginò Ritsuko. – Chissà quanti contratti avrà stipulato, in queste settimane. Tu sai come fermarlo?
– Gli Incubator non hanno limiti energetici, – disse Homura scuotendo la testa. – E uccidere Kyubey è impossibile, in quanto il suo corpo è solo una marionetta infinitamente replicabile. Io cerco di fermarlo da molto tempo, ormai, ma lui sembra immune a tutto.
– Allora cosa dovremmo fare, secondo te? – chiese Ritsuko. La sua voce era estremamente calma, nonostante le informazioni appena apprese, come se tutto ciò che stava avvenendo facesse parte di uno studio scientifico. – Mettere la popolazione in allerta?
– Sarebbe inutile, – ribatté la ragazza. – So per esperienza che nessuno rinuncerebbe a un miracolo. Rivelando al mondo l’esistenza di Kyubey, questi troverebbe nuove maghe con facilità anche maggiore.
– Temo che tu abbia ragione. Questo comunque non è il momento di pensare a tali faccende. Appena se ne presenterà l’occasione parlerò con il comandante Ikari e cercheremo una soluzione a questo problema. Adesso, piuttosto, vorrei porti un’altra domanda.
La stanza cadde nel silenzio. Maya fissava la senpai con aria tesissima, aspettando di sentire una domanda che probabilmente già conosceva. Homura stessa chinò lo sguardo sulle proprie ginocchia, prevedendo ciò che la dottoressa Akagi le avrebbe chiesto.
– L’altro giorno, – cominciò la donna, la voce appesantita da una certa dose di esitazione, – recandoti a combattere l’ottavo Angelo, hai affermato di averlo già affrontato. Potresti spiegare il significato delle tue parole?
Nella mente di Homura si scatenò un improvviso trambusto, e la ragazza maledisse la propria imprudenza. Avrebbe dovuto misurare meglio le proprie parole, piuttosto che rivelare un dettaglio così cruciale. Ora, ogni possibilità di mantenere una copertura era sfumata.
– Cerca di capire, Homura, – intervenne Ritsuko, forse cogliendo la tensione nello sguardo della ragazza. – Voglio aiutarvi, ma per farlo ho bisogno di ogni informazione che possa essermi utile. Ovviamente non posso costringerti a rivelare nulla contro la tua volontà, quindi se non vorrai condividere questo tuo… segreto con noi, io non insisterò oltre.
Il silenzio tornò a gravare su quella piccola e scura camera di registrazione. Homura teneva gli occhi distanti dalla dottoressa Akagi, cercando in ogni modo di sfuggire allo sguardo della donna. – Bene, – sospirò Ritsuko alla fine. – In questo caso, penso che possiamo…
– Se le dico ciò che desidera sapere, – la fermò Homura ad un tratto, – lei mi aiuterà a realizzare il mio progetto?
Ritsuko alzò un sopracciglio. – Che tipo di progetto?
La maga si alzò in piedi, appoggiò le mani al tavolo e si sporse verso la donna rivolgendole uno sguardo colmo di gelida determinazione. – Salvare Madoka Kaname.
***
– Che c’è? Già stanca?
– Pwah… Senti chi parla! È facile criticare, se puoi usare la magia!
Kyoko scaricò un poderoso montante contro il sacco da boxe di fronte a lei. L’attrezzo fu scaraventato all’indietro con tanta forza che la catena con cui era appeso al soffitto sembrò sul punto di cedere e spezzarsi. Quando tornò indietro, la maga dai capelli rossi lo afferrò al volo trattenendolo senza sforzo, e si passò una mano sul volto in modo da ripulirsi almeno un po’ dal sudore che le bagnava la pelle. – La magia è solo un mezzo, – esclamò la ragazza esibendo un ghigno soddisfatto. – Ho conosciuto maghe incapaci perfino di sollevare una busta della spesa! Quello che vedi è unicamente merito mio.
– Bah!
Asuka rispose solo con uno sbuffo d’irritazione, troppo presa dalla sua apparentemente interminabile corsa sul tapis roulant. Intorno a loro, la palestra privata per il personale Nerv era vuota e silenziosa, fatta eccezione per il leggero rumore dell’impianto di aerazione.
Era stata Misato a proporre alle ragazze di usare la palestra del Geo Front: entrambe avevano bisogno di sfogarsi, in fondo, ma diversamente da Shinji con loro sarebbe stato inutile tergiversare. Pertanto, il colonnello Katsuragi aveva pensato che farle stancare con l’esercizio sarebbe stato il modo migliore per alleviare la tensione accumulata in quegli ultimi giorni.
– Uff, – sbuffò la maga dopo aver sferrato un’ulteriore serie di colpi al sacco. – Mi è venuta una sete tremenda. Vado a prendere qualcosa da bere, tu vieni?
Asuka premette un paio di tasti sul quadro di comando del tapis roulant, che decelerò lentamente fino a fermarsi. – Sì, – rispose, scendendo dalla macchina con un balzo. – Una pausa ci vuole, qui sotto fa un caldo tremendo.
– Eh, eh… – sogghignò Kyoko, avvicinandosi a lei e puntando i pugni sui fianchi con supponenza. – Non è che sei stanca per davvero?
Asuka ricambiò il gesto, assumendo un’espressione stizzita e accostando il volto a quello della maga. – Corsa fino alla macchinetta?
– Ci sto.
– Bene…
Con un gesto improvviso, Asuka fece schioccare un dito contro la fronte di Kyoko. Colta di sorpresa, la maga rossa non riuscì a reagire prima che la Second si fosse allontanata di qualche metro. – Chi arriva ultima paga!
– Ehi!
Kyoko rincorse Asuka per tutto il piano. Dopo un po’ divenne evidente che nessuna delle due ricordava con precisione dove si trovassero i distributori automatici, e quella gara si trasformò in un semplice pretesto per rilanciare la competizione avviata in palestra. Ogni tanto incrociavano una guardia di sicurezza, un operatore del Central Dogma o un inserviente intento nelle pulizie che rivolgevano loro uno sguardo più o meno severo, ma nonostante tutto continuavano a correre attraverso i lunghi corridoi del Geo Front, con Asuka saldamente in testa.
Dopo quasi cinque minuti di quella corsa insensata, le due scorsero un distributore automatico a circa venti metri da loro. Asuka accelerò quanto più possibile, ignorando il senso di bruciore che le attanagliava le gambe e sfoggiando un sorriso pieno di bramosia. La vittoria era sua.
O quasi.
A pochi metri dal traguardo, Kyoko spiccò un salto impressionante e piroettò al di sopra di Asuka, atterrando proprio tra la ragazza e la macchinetta più vicina. – Yes! Ho vin-
Colta alla sprovvista, Asuka non riuscì a fermarsi e travolse la maga prima che quest’ultima potesse terminare la propria frase. Entrambe capitombolarono sul pavimento con un mezzo grido, ritrovandosi l’una sopra l’altra in una posa scomposta. – Ahio…
Asuka fu la prima a riaprire gli occhi dopo il doloroso impatto. Era caduta proprio su Kyoko, e la sensazione delle curve della maga attraverso la tuta da ginnastica che indossavano entrambe mise la Second piuttosto a disagio. – Scusami! – esclamò, tentando di rialzarsi. – Io non…
Kyoko afferrò Asuka all’improvviso, strattonandola e facendola scivolare nuovamente a terra in modo da starle sopra. I suoi occhi rossi e brillanti si infissero in quelli azzurri della Second, che rimase paralizzata da una sensazione indecifrabile, e quando la maga avvicinò il volto madido di sudore a quello della sua rivale il suo fiato produsse sul collo di Asuka un lieve soffio caldo. – Ho vinto.
– Che?
Prima che Asuka realizzasse qualcosa, Kyoko scattò in piedi e digitò un numero sul tastierino del distributore automatico. Una voce registrata la pregò di inserire cento yen nell’apposita fessura, e la maga allungò la mano verso Asuka per aiutarla a rialzarsi. – Mi devi una bibita, ricordi?
Asuka fece tanto d’occhi. Dopo un attimo, però, il suo volto arrossì tremendamente. ­– Ma che ti salta in testa? – esclamò, scacciando seccamente la mano tesa di Kyoko e rialzandosi con impeto. – Volevi ammazzarmi?
– Oh, andiamo, ho fatto solo un saltino…
– “Un saltino”? Quella era roba magica, altro che!
– Beh, non hai mai detto che usare la magia non fosse valido.
– Nngh…
Nonostante la rabbia, Asuka dovette ammettere la sconfitta. Si cacciò una mano in tasca, estrasse un piccolo portamonete rosso e gettò a Kyoko due monete da cento yen. – Vedi di prenderne una anche per me, almeno.
La maga afferrò il denaro al volo, facendosi tintinnare le monete in mano e inserendole una dopo l’altra nel distributore. Nel cassetto della macchina caddero due lattine, e Kyoko ne passò una ad Asuka. – Alla mia, allora! – esclamò con un sorriso a trentadue denti.
– Alla tua… – bofonchiò Asuka in risposta, per poi restare alquanto perplessa nel ritrovarsi fra le mani una lattina di bibita al melone. – Ma come fai a bere questa roba?
­– Ehi, mi hai detto tu di prenderne un’altra lattina.
Asuka sembrava sul punto di perdere seriamente le staffe, ma in qualche modo si trattenne. – Aaah… lasciamo stare. Ho sbagliato io a credere che i tuoi gusti fossero normali.
Kyoko sogghignò e prese un sorso della propria bibita. Era zuppa di sudore, e i lunghi capelli rossi si erano ormai districati dalla spilla che li legava di solito per ricaderle disordinatamente sulla schiena. Per un attimo, un pensiero superficiale attraversò la mente di Asuka prendendola di sorpresa: la maga rossa era davvero molto bella.
– È successo qualcosa? – chiese Kyoko all’improvviso. – Hai un’aria assorta.
La Second distolse lo sguardo con indifferenza. Fare un complimento a Kyoko avrebbe significato alimentare ulteriormente la sua spacconeria, e Asuka non aveva intenzione di sentirsi prendere in giro per il resto della propria vita. – Ti si sono slegati i capelli, – sbuffò. – Se non li sistemi, rischi di perdere quella spilla.
– Oh… – fece Kyoko con aria attonita. Si portò una mano alla nuca, facendola scorrere fra i propri capelli fino a trovare il piccolo monile dorato. Lo sfilò via con delicatezza, quindi lo strinse nella propria mano con un gesto che non mancò di incuriosire Asuka. – Grazie. Non me n’ero accorta.
La Second annuì, prendendo a sua volta un goccio dalla propria lattina solo per pentirsene un attimo dopo. Era veramente imbevibile, quella roba.
– Senti… – disse Kyoko, prendendola alla sprovvista. – Questa cosa della palestra, la gara, e tutto quanto… lo stai facendo per me?
Asuka fece una faccia indescrivibile, un misto di sorpresa, imbarazzo e fastidio che diceva molto più di quanto la ragazza non avrebbe voluto dare a intendere. – M-ma si può sapere di che parli? È stata Misato a insistere perché venissimo qui, io non…
– Sì, sì, – la interruppe Kyoko. Non c’erano arroganza né sarcasmo, nella sua voce, che anzi appariva stranamente gentile. – Scusami, ho detto una sciocchezza.
– Tsk… – fece Asuka con uno schiocco della lingua. – Voi giapponesi vi scusate davvero troppo spesso, lo sai?
– E voi tedeschi siete davvero troppo poco onesti con voi stessi, lo sai? – ribatté Kyoko con un mezzo sorriso. Asuka sembrò contrariata da quell’affermazione, ma non rispose e si limitò a incrociare le braccia. – Sai… – proseguì la maga dopo qualche istante di silenzio, accovacciandosi accanto al distributore automatico. – Mami è stata la mia prima, vera amica. La incontrai poco dopo essere diventata una maga, quando avevo ancora una famiglia, e lei mi aiutò a padroneggiare il mio potere. Mi insegnò tutto ciò che aveva imparato combattendo le Streghe, in modo che un giorno potessi prendere il suo posto e proteggere Mitakihara.
Asuka si avvicinò a Kyoko e le si sedette accanto, cercando di indagare il velo di tristezza che aveva ammantato gli occhi di rubino della maga. – La tua famiglia… – chiese. – Cosa le è successo?
Kyoko sospirò profondamente. – Sono morti, – disse alla fine. – Tutti quanti. Dopo aver scoperto che ero diventata una maga e che il successo della sua fede dipendeva dal mio desiderio, mio padre impazzì e si suicidò portando tutti con sé. Non ricordo con precisione cosa successe quel giorno, ma una cosa me la ricordo: il rumore delle corde che oscillavano appese alle travi del soffitto.
– Da quel giorno, decisi che avrei combattuto da sola. Andai via da Mitakihara, dicendomi che tanto non ci avrei lasciato nulla di importante. Mami fu l’unica a cercare di fermarmi, mi chiese di venire a vivere con lei nel suo appartamento, ma io rifiutai. Sai, – aggiunse la maga con un mormorio, – ripensandoci adesso… credo che avessi paura. Avevo paura di perdere di nuovo qualcosa che mi era caro. Nel tempo in cui sono rimasta da sola mi sono esercitata a distaccarmi da tutti, perché pensavo che in questo modo sarei stata invincibile. Quando ho conosciuto le altre e con loro ho ritrovato Mami, però… ho sentito qualcosa cambiare. Mi sono resa conto di avere bisogno di loro, di tenere a loro in un modo che io stessa non riuscivo a comprendere.
Kyoko si portò le ginocchia al petto, stringendole a sé e affondandovi il mento con aria sommessa. – Spero che Mami torni in sé.
Il silenzio tornò a stagnare nel corridoio deserto. Kyoko sorseggiò gli ultimi rimasugli dalla sua lattina, per poi gettarla con precisione nel contenitore della raccolta differenziata appoggiato alla parete di fronte. – Ad ogni modo, non è niente di che, – sospirò la maga con leggerezza. – Passerà, come tutto quanto.
– Quando ero piccola…
La voce di Asuka lasciò Kyoko stupita: il suo tono era incredibilmente diverso rispetto al solito. Sembrava che la ragazza fosse sparita, e che il suo posto accanto alla maga rossa fosse stato occupato da una bambina.
– Quando ero piccola, – ripeté, – mia madre cominciò a comportarsi in modo strano. Divenne incapace di riconoscermi, e al mio posto adottò una bambola di pezza. Io e mio padre andavamo in ospedale ogni giorno, e mentre mio padre discuteva coi medici io la guardavo attraverso la parete di vetro. Accarezzava continuamente la sua bambola, le spazzolava i capelli, la vestiva. Quando spostava lo sguardo su di me io provavo a salutarla, ma lei non sembrava nemmeno accorgersi della mia presenza. Un giorno, papà mi disse di aspettarlo nella sala d’attesa. Io lo ignorai e andai dalla mamma, ma la parete era stata bloccata da una saracinesca. Non c’era nessuno intorno, e quando entrai nella stanza… vidi quello che vedesti tu, immagino. Mia madre era morta, e si era portata dietro la sua bambola. Se ci fossi stata io, al posto di quel giocattolo, avrei fatto la stessa fine. Da allora, so che posso fare affidamento solo su me stessa.
Asuka aveva parlato senza mai rivolgere lo sguardo verso Kyoko. Quando terminò la sua storia, la maga rimase in attesa di una qualche conclusione, ma la ragazza non aggiunse nulla. – Perché mi hai raccontato questa storia? – chiese Kyoko.
La Second si alzò in piedi, sempre rivolgendole le spalle. – Potrei farti la stessa domanda, e la risposta sarebbe la stessa per entrambe.
– Eh… – ridacchiò Kyoko. – Ci somigliamo davvero così tanto, noi due?
– Ovviamente no, – ribatté Asuka, voltandosi verso di lei e porgendole una mano. – Io sono molto più in gamba.
Kyoko afferrò la mano dell’amica, approfittando del suo aiuto per sollevarsi in piedi. – Okay, – esclamò, improvvisamente più energica. – Penso che possa bastare con le smancerie. Corsa fino alla palestra?
– Non chiedo di meglio.
***
– Come ti senti, Rei?
La voce del comandante Ikari risuonava lontana, molto più in là di quanto la percezione di Rei si spingesse. La ragazza aprì gli occhi, e la sagoma dell’uomo apparve indistintamente al di là della coltre di LCL che la circondava. Teneva una mano nella tasca della giacca, e fissava Rei con uno sguardo indecifrabile.
La ragazza rispose alla domanda con un lieve cenno della testa.
– Per oggi rimarrai ancora qui, va bene? – disse Gendo. – La dottoressa Akagi ritiene che sia più prudente tenerti sotto osservazione.
Il comandante rimase in attesa di una risposta. La sua voce era paterna, morbida e calda come al solito, o forse anche un po’ di più. Tuttavia, Rei non riusciva a percepirla vicina a sé. Era così che ci si sentiva, a non essere più la dimora della propria anima?
Rei annuì ancora una volta. Il comandante ebbe un attimo di esitazione, ma alla fine si girò e percorse il lungo corridoio della sezione sotterranea del Geo Front, diretto all’ascensore che lo avrebbe portato al proprio ufficio.
L’enorme serbatoio di LCL sprofondò nuovamente nel silenzio, e Rei chiuse gli occhi mentre il liquido circostante accarezzava il suo volto. In quel desolato silenzio, il pensiero di Rei prese forma lentamente, in maniera quasi indipendente dalla volontà della ragazza. “Le cose che io possiedo… Sono una vita, uno spirito, la cosa che racchiude lo spirito.”
Immerso nell’LCL, un piccolo gioiello di vetro sfiorò il fianco di Rei trasmettendole un tiepido senso di benessere. Ogni cosa era immersa nel buio.
***
L’angolo dell’autore:
 
Buongiornissimo, internauti! Lo so, lo so, è passato tantissimo tempo da quando ci siamo visti l’ultima volta, ma concedetemi una piccola attenuante: dopo il combattimento contro Leliel, non erano solo i personaggi di Disruption a essere stanchi!
È un momento di assestamento: sono successe tante cose, e sia i Children, sia i Soggetti Devianti si trovano davanti a una situazione nuova, in cui dovranno stabilire nuovi equilibri. Sayaka si confronta con la propria scelta, Homura comincia finalmente a scoprire le proprie carte, Kyoko e Asuka affrontano sentimenti e vissuti che avevano accantonato e Rei… beh, Rei ha tante cose a cui pensare.
Naturalmente manca ancora qualcuno all’appello… ma colmeremo questi piccoli vuoti nelle prossime puntate.
Come sempre vi saluto, vi ringrazio per aver dedicato del tempo alla mia storia e vi invito a lasciare una piccola recensione se avete consigli, lamentele o anche solo curiosità.
A presto (si spera)!
 
Bookmaker
   
 
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