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Autore: Elendil    04/08/2016    1 recensioni
Sequel del primo libro della saga "Nihaar'ì".
Le vicende di Harryan continuano ma i punti di vista ancora una volta cambiano. Il destino della Veggente prosegue con nuovi e improbabili risvolti!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Risuona nell’aria, potente, costante, interminabile.

Risuona come un immenso grido senza inizio né fine e cresce. Cresce di attimo in attimo. Sempre più forte, incontenibile.

Da dove viene questo suono? Si chiede. E per un attimo non capisce dove sia. dove si trovi. E perché mai, in fondo, fra tutti i luoghi, è proprio in quello che ella ritorni ora, vacuamente, come anima errante alla ricerca della propria origine.

Arriverà qualcuno. Ricorda. Ma non chi desidero. Si dispiace.

Così in un attimo ella si volta, il cuore pesante, gonfio di un sentimento che ancora non comprende ma già teme, già sente di dover fuggire. E scappa. Vesti a frusciare in quel suono roboante coprendo i suoi passi affrettati, smaniosi, esasperati.

Di qui? Si chiede. No, di là. Di là.

Forse così facendo, si dice, sarà in grado di evitare quel momento. In grado di impedirsi di incontrare il vago accenno del destino che, inevitabile, cala su di lei sempre più vicino, intollerabile.

Si ferma. Prende fiato.

E solo allora si rende conto che tutto intorno a lei sta vorticando così fortemente da far male alla vista. E forse girerebbe ancora più forte se lei medesima non girasse con lui ad un ritmo pazzesco.

Ma non può fermarsi. Non può.

“Dove stai andando, Odayn?” di nuovo la voce la rincorre. Imperturbabile. Calma. Come quella di un genitore.

Non lo so. Si sorprende a pensare. Non te lo dico.

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Aprì gli occhi poco meno che una frazione di secondo. Sabbia sulle labbra. Vento lontano. Forte. Fortissimo. E caldo. Irrespirabile. Un attimo per percepire il ronzio della tempesta nelle orecchie e ricadde da dove era venuta, nei propri sogni.

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E si chiede chi siano quelle figure in lontananza. Le sente parlare vivacemente. Decise. Come branco di fiere attorno alla preda. Ma basta un suo movimento per zittirle. Giusto la percezione che lei li stia guardando a mutarli, come sorpresi.

E guardarla. Lei, che inerme non sa far altro che scrutarli da lontano.

Il buio ondeggia attorno alla sua figura sola, la vaga sensazione di essere per lo più nuda a farla indietreggiare, timidamente, alla ricerca di un poco più di buio.

Come può essere accaduto? Si chiede. Ricordava di aver avuto vesti e abiti bellissimi alla Torre del Tempo. Cose da far arrossire mentre li indossava.

Ed ora è nuda.

“Vieni” le dice qualcuno “Vieni qui”

Lei invece arretra. Non le piace che le diano ordini. Lei, che li ha eseguiti per tutta la vita. Non le piace ora che la si apostrofi con quel tono. Ma sa che obbedirà. Lei obbedisce sempre. Sempre.

“Vieni qui...qui”

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Questa volta il risveglio fu più rude, brusco, quasi in risposta ad uno scossone che il suo corpo aveva percepito suo malgrado. Gemette come un bambino, un dolore vago e generalizzato a sgusciarle fuori dalle labbra in un sospiro ovattato, greve, rasposo.

Di nuovo percepì allora il vento. Ed il caldo forte ed incombente attorno a lei, respiro rovente contro il viso che le tolse il fiato costringendola a tossire suo malgrado, debolmente.

Scoprì inoltre di avere sete. Terribilmente. E di essere senza forze. Nemmeno per alzare un braccio o spostare il proprio corpo da quella strana posizione in cui - non riuscì nemmeno a definirla - era messa.

Dormire ancora e di nuovo, per quanto difficile, fu l’unica soluzione.

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Il freddo torna da lei ancora. Opprimente. Una stretta sul corpo che pesa tanto, troppo per resisterle. Si divincola, scalcia, eppure avverte chiaramente che non vi si può liberare in alcun modo. Così aspetta, incerta nel capire se così facendo morirà o semplicemente rimarrà immobile tutta la vita. In attesa.

Poi un movimento. Poi una presenza. Poi quella vaga sensazione a tornare, presente. Vicina.

Odayn” la chiamano “Odayn...”

Ma forse no. Forse questa volta non è una voce. E’ altro. Altro ancora...

Odayn...

E lei scuote il capo. Una volta. Due. Di nuovo. La meccanicità di quel gesto a guidarla di convinzione, volontà, sentimento finché, perché no, ella sente che potrebbe anche opporsi questa volta. Solo questa. Poi basta, poi mai più.

E forse, già che c’è, aprire anche gli occhi finalmente. E’ tanto che non lo fa. Lo sa. Lo sente.

Odayn...” la ammonisce però qualcuno “Odayn...”

 

Aprire gli occhi fu come destarsi senza in realtà farlo. Tornare alla propria realtà ed al contempo rimanere avvinti a quell’altra poco più indietro, poco oltre, ancora nascosta dietro il velo della vista appannata, dei sensi intorpiditi.

Eppure, sospirò. Eppure con la stessa incredibile certezza provata nel sogno, la Nihaar’ì seppe di non trovarsi più nel sottile confine fra Oneiron e realtà bensì nella più semplice, rozza e banale concretizzazione della vita.

Fu la fame a suggerirglielo. E la sete. E quei piccoli rumori di fondo, simili in tutto e per tutto ad un costante crepitio dell’aria che solo il mondo, quello vero, poteva avere.

Aspirò a disagio l’umidità che la circondava, cogliendo solo allora una vaga fragranza di bruciato e dolcezza assieme. Espirò. Cannella? Si chiede. Cannella, si. Riconobbe.

Strizzò allora gli occhi, invano, solo per accorgersi finalmente di avere il Velo calato sulle palpebre e di essere completamente sola in quella che presto si mostrò ai suoi sensi come una fredda notte passata - ipotizzò- all’aperto.

Esitò. Incerta.

Dove si trovava l’ultima...la sua mente incespicò...volta?

Seppe ancor prima di provarci, che avrebbe sbagliato. I suoi ricordi erano confusi, distorti e lontani come se fossero appartenuti ad altri e non a lei. La sua memoria vagava in sapori che ella era certa di non aver assaggiato. Parole che non avrebbe potuto affermare di aver detto. Sensazioni che di certo non erano state affar suo.

Eppure doveva pur esserci stato qualcosa prima. Molto prima. Qualcosa che la sua mente avrebbe potuto collocare senza alcun dubbio in una sfera temporale tale da ricordarle da quando, in effetti, ella avesse completamente smesso di ricordare...

Oh, si. Qualcosa c’è.

Nella fitta di dolore che seguì, acuta come la più vera e mordace delle stilettate, la Nihaar’ì non potè fare altro che ripiegarsi su se stessa e gemere lungamente, debolmente.

Asiya.

Annaspò, i cocci -ora ricordò- già infranti del suo animo a scricchiolare nuovamente dentro di lei mentre ella tentava suo malgrado di resistervi in un grido vuoto, esangue.

Dormi

Le ordinò nuovamente qualcosa da dentro. Sbattè gli occhi, stordita dal suo medesimo ansimare.

Dormi. Dormi.

Fu il nuovo, crudo, consiglio.

Ancora? Digrignò il suo corpo teso. Ancora un secondo e si sarebbe spezzato, pensò. Gambe e breccia separate da un busto duro e secco, arido come roccia al sole. Ma la mente parve suo malgrado assentire. Si, dire, prima che ella avesse anche solo la possibilità di replicare.

Se avesse potuto - e la sua mascella non fosse stata serrata in una morsa d’acciaio - allora avrebbe probabilmente sbadigliato a lungo, lungamente. E poi teso le orecchie a quei strani rumori non proprio distanti da lei. Così vicini in realtà, che per un attimo ebbero quasi la forma e consistenza di voci. Voci vere. Voci umane. Voci - inorridì- sconosciute.

Poco prima di potersi spaventare o anche solo formulare la necessità di provare una vera e propria sensazione di paura la sua mente sprofondò nuovamente nel più greve dei sogni.

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Il vento la ghermisce, trascinandola avanti. La sospinge come creatura senza forma e peso, avvolgendola in spirali selvagge per poi risputarla fuori più oltre, in un nugolo di suoni e spifferi senza fine. Lei indietreggia, sopraffatta, inutilmente cercando di resistervi e tuttavia mancando di riuscirsi una, due, tre volte.

Alla quarta smette del tutto di provarci e si accascia a terra, esangue, esausta. Tutto il corpo le duole di mille e più aghi di sabbia conficcati nella pelle. Ogni membra accusa il frustare delle correnti d’aria.

E di nuovo, sente la sete. Sente la fame. Sente che tutto di lei in quell’attimo si sta esaurendo assieme al vento e al turbinio feroce degli elementi.

Boccheggia. Poi si copre il viso. Poi sente per davvero di non farcela più ed allora si chiede, in fondo, perché ha deciso di andare proprio di qui, proprio qua, al di là di ogni sicurezza e certezza. Al di là del buonsenso e di quella voce che lontana lontana eppure incredibilmente presente le urla senza fiato


“Somma Nihaar’ì

il risveglio fu poco meno che un balzo a vuoto da un mondo all’altro, il salto a sottrale tutta l’aria che aveva in gola per sfibrare in lei in un grido roco e scarno, terrorizzato.

Sbattè le palpebre, la furia del vento attorno a sé a riempirle immediatamente gli occhi di sabbia e dolore. Barcollò scoprendosi allora in piedi, immobile, nel bel mezzo di una tempesta di sabbia.

“Somma Nihaar’ì!”

E di nuovo quella voce nel vuoto a perdersi fino a lei in quel marasma ocra e bianco, talmente denso da impedirle quasi di scorgerlo. Annaspò.

Avrebbe dovuto rispondere? No. Si rispose subito dopo. Nessuna voce a lei conosciuta sarebbe suonata così. Tuttavia esitò, gli occhi che incerti tentavano di guardare al di là del velo che ella scoprì esserle volato via chissà dove. La sua assenza la spaventò ed allarmò al contempo, costringendola per istinto a coprirsi il viso con entrambe le mani.

“Somma Nihaar’ì!”

Più vicino, il richiamo la raggiunse nei pochi passi che ad esso seguirono tramutandosi infine in una figura curva, china nel tentativo di resistere alle intemperie.

“Z-Zaphil?” mugugnò incerta. Fece come un mezzo passo avanti. Poi si bloccò “Sei...tu?”.

In un turbinio di vento e sabbia, la figura finalmente emerse in un tramestio di forme giovani e oblunghe, spalle troppo strette, vesti assai diverse da quelle a lei note e no, affatto, una fisionomia che nulla o niente aveva a che fare con alcuna delle persone che ella poteva dire di conoscere o riconoscere a memoria.

Fu certa allora di gemere, spaesata, la consapevolezza di non avere affatto memoria di dove e perché in quell’istante si trovasse in quel luogo - che luogo, poi? -  a precipitarla in uno stato di panico e confusione assieme. Uno, due passi, si avvertì vacillare all’indietro, affondare fino al polpaccio in sabbia fredda e pungente, irta contro le gambe nude.

“Za...” il vento la soffocò. Tossì. Tentò allora di avanzare ancora” Zaphil...”

Con un balzo il suo inseguitore le fu improvvisamente addosso agguantandola in un’esplosione di sabbia e vento.

Questa volta fu certa di gridare, la vaga sensazione di doversi liberare  dalla presa a farle perdere l’equilibrio e farla cadere -inseguitore al seguito- giù lungo il fianco di una duna di sabbia. Rotolando, la sabbia le entrò in bocca, negli occhi, nei vestiti, le graffiò la pelle e le strappò i capelli.

“Somma Nihaar’ì! Vi prego!”

Vi prego?

Boccheggiò senza fiato, incapace di far altro se non divincolarsi ancora, ma l’altro la trattenne “Vi prego” ripetè “N-non voglio farvi del male!”. Di certo convinta, la Nihaar’ì decretò che gridare probabilmente non fosse la cosa migliore da fare in quel momento così tentò in silenzio di divincolarsi. Invano. A metà del primo tentativo, un violento colpo di tosse la colpì rubandole istantaneamente qualunque velleità di resistenza. Quando ebbe fine, ogni suo arto e possibilità di fuga erano sapientemente vincolate alla formidabile presa del suo aguzzino. Il naso premuto contro un tessuto crudo e ispido di sabbia, tossì nuovamente, più volte, invano.

 

  
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