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Autore: quirke    04/08/2016    0 recensioni
Enzo ci aveva fatto sesso per puro caso una volta, la seconda l'aveva spinta e stretta contro le pareti della sua cabina armadio fino allo sfinimento.
Riprese lo skateboard, spostò i capelli biondo platino dietro la testa, la camicia aperta affittita da schizzi di palme, quanto darebbe per vivere in California, e sbuffò.
"Cosa cazzo vuoi di più di una vagina milionaria?"
"Qualcuno che mi faccia un pompino per il piacere di farlo, e non per il semplice piacere ricevuto"
"Ti vuole solo per quello?"
"Usa e getta Florian, sono usa e getta per quella stronza"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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cosettina a caso, post vacanze estive e ricca di nostalgia e tristezza
ci sono delle cose che dovreste sapere, credo:
-all'inizio florian ed enzo lavorano come imbianchini
-il cxema esiste realmente, é una specie di discoteca in ucraina per i giovani adolescenti che soffrono del dopoguerra e dipendenza dalla russia; é un luogo dove sfogarsi che mi ha inspirata
-sasha, naturalmente, é un ragazzo
-conventry é una città inglese nei pressi di cambridge
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 lips and red image sex, couple, and boy image 

 

Dove finisco, dove inizi


 

Capelli troppo lunghi. Il sudore traboccò, quasi a tuffarsi dalla fronte imperlata con veemenza. Furia.
Enzo, stanco, era ricurvo, seduto. Ai piedi della collina, sospirava e sgranocchiava il suo pranzo. Intorno solo l'erba alta e incolta che necessitava una spuntatina.
Anche i suoi capelli.
Le labbra rosee, affamate, si schiusero, s'inumidirono, il petto si gonfiò e Enzo, finalmente, addentò il suo tacos.
Quanta solitudine. 
Florian aveva una visita medicale, non che la sua presenza potesse influenzarlo più di tanto. Parlava, ricordava ad alta voce le sue memorie a qualcuno a cui non parevano proprio interessare, Enzo, e mangiava senza alcun controllo. Anche quando poteva rischiare la vita, o qualche mattone in testa. Spavaldo.
Enzo poggiò i gomiti sulle ginocchia, incontrando il tessuto ruvido del pantalone, si premurò di non sporcarsi l'uniforme, il capo non l'avrebbe tollerato, ed allungò una mano alla sua sinistra. Palpò il terreno fertile, ne assaporò l'umidità, la peluria di un campo lussurioso ed abbandonato a sé stesso, si scontrò contro la sua giacca e il casco. Sorrise.
Si erano incontrati al Cxema, sotto consiglio di Sasha.
Sebben quest'ultimo avesse detto che il Cxema fosse un luogo dove distrarsi e liberarsi di tutta la frustrazione di un futuro prossimo che si sbriciolava ogni giorno che passava, e non un sito incontri che alludeva a creare nuove stupide coppie instabili e per niente affiatate.
Enzo ci aveva fatto sesso per puro caso una volta, la seconda l'aveva spinta e stretta contro le pareti della sua cabina armadio fino allo sfinimento.
Riprese lo skateboard, spostò i capelli biondo platino dietro la testa, la camicia aperta affittita da schizzi di palme, quanto darebbe per vivere in California, e sbuffò.
"Cosa cazzo vuoi di più di una vagina milionaria?"
"Qualcuno che mi faccia un pompino per il piacere di farlo, e non per il semplice piacere ricevuto"
"Ti vuole solo per quello?"
"Usa e getta Florian, sono usa e getta per quella stronza"
E pioveva a dirotto, i due ragazzi non avevano avvistato nessun luogo dove ripararsi nei paraggi dello Skate Park. Enzo, agile, gettò sotto ai suoi piedi lo skateboard, piegò appena le ginocchia e sprofondò le converse contro la superficie legnosa. Cauto, si dirigeva verso la fermatata dell'autobus, per potersi nascondere. La pioggia gli rigava il volto scarno, annebbiava la vista, graffiava l'asfalto, inumidiva i suoi abiti ed annodava i capelli.
Florian, dietro, correva a perdifiato.


"Cioé, perché dovrebbe stare con me? Non ha senso. E tu più di tutti, sai che sono solo una strana deviazione prima di trovare quello con cui vuoi stare davvero. Fondamentalmente, aiuto le donne a capire che potrebbero trovare di molto meglio"
"Smettila"
Era una delle stanze più disordinate e piccole di sempre, secondo Sasha. E odorava di sudiciume e sudore, della densa pigrezza di Enzo. Quei pochi metri quadrati presentevano una parete vetrata che dava al cortile del dormitorio. Aperta la porticina, enormi e alti scaffali erano addossati alla destra, stracolmi di cd e libri, alla sinistra c'era un tavolo rotondo con due sedie.
Due passi in avanti, e un comodino alto mezzo metro ripieno di altri libri, e superato questo ecco che il letto di Enzo trionfava. Una piazza e mezza ordinata, l'unica in quell'ammasso di caos.
Più in là, a ridosso della parete, un'enorme scrivania pullullava di altre scartoffie.
Sasha si osservava intorno infastidito, addossato a una sedia davanti al letto. Enzo sbadigliava, puntando i gomiti sulla superficie legnosa della scrivania.
Sussultò allora, rigirandosi verso Sasha e guardandolo confuso.
"Sei una persona incredibile"
Enzo sghignazzò, una leggera smorfia a cospargere la sua flebile fiducia. Si spettinò i capelli, mordicchiandosi le labbra.
"Sono meraviglioso" la voce roca.
Sasha premette le dita contro il suo polso, cercando di placare il suo spirito. Inspirò, tese la mascella. Deglutì.
E le sue impronte digitali graffiarono il collo di Enzo, con una spinta rapida del bacino si catapultò verso il suo petto, artigliando il suo viso. Un violento e secco bacio scroccò dalle labbra umide di Sasha.
Allentò la presa, imitò i baci roventi che sua sorella abbandonava sul corpo del suo ragazzo, oltre la fessura della porticina della sua infanzia, quando spiava e contemplava. Pretese di contraccambiare l'invisibile.
Enzo, dispiaciuto.
"Avrei preferito non avertela mai presentata" mormorò flebilmente Sasha.

Il problema, il solo grande problema di Enzo era il suo essere taciturno, e quindi non condividere nulla che lo riguardasse. Questo eliminava qualsiasi limite, non riusciva a imporre barriere attorno a lui e a trarne vantaggi.
Inoltre, non che fosse considerato un aspetto negativo fino a quel momento, sua madre era il suo completo opposto, ed era veramente, ma fin troppo, bella.
Era qualcuno che da giovane non si era mai imposto qualche limite, un po' come suo figlio. Phoebe aveva una terza prosperosa che sapeva come utilizzare, delle labbra che la riconciliavano con il popolo latino e un carisma invidiabile. Poi, un divorzio fresco che l'aveva un po' confusa, leggermente troppo.
Quindi, a sua insaputa, senza rivolgere un solo accenno a Enzo per la prima volta, perché chiedere perdono é molto più facile che chiederne il permesso, si era diretta al Cxema. 
Si era cimentata nella sua lontana gioventù, imitandone lo scalpore e il coraggio senza pretese, e si era scatenata.
Giri di vodka e qualche veloce spinello. Poi Florian.
Florian era qualcuno di serio, ma anche viziato. E viziava.
Quindi, a detta di Florian e Phoebe, era stata tutta colpa di Enzo. Perché era stato lui a non presentarli tra di loro, a nascondere a sua madre che il figlio di un qualsiasi altro uomo gli pagava il pranzo ogni fine settimana, che era quasi il migliore di quei pochi amici che aveva. E non dire a Florian che sua madre dimostrava poco più di trentacinque anni, e che si era divorziata da poco. Quindi lo spirito animale represso era esploso.
Enzo si stava soffocando da solo a Conventry. 
Non aveva più rivolto parola a sua madre, o a suo padre, o a Sasha. Florian si era dissolto dalla vergogna, ma rimaneva comunque qualcuno di troppo viziato.
Si era lasciato crescere una barba bionda ed inspida, Enzo.
E Nadja si presentò, sempre al Cxema. Un berretto giallo pastello della Ralph Lauren, un jeans largo e una tshirt dei Sex Pistols. Le labbra carnose e lo sguardo felino, le unghia laccate di nero, ad indicare che nemmeno conoscesse la band incisa sul seno. Squallida.
Enzo mordicchiava il minuscolo bastoncino in plastica del leccalecca terminato, trasudava noia nonostante l'ottimo dj presente quelle notte. Roteò gli occhi quando adocchiò una ragazza cercare invano di tirarsi fuori dalla folla che ballava senza paura o imbarazzo. Incideva diversi sconosciuti graffiandoli con i fianchi aguzzi, li spintonava con i gomiti e stringeva le labbra essiccate intorno alla sigaretta. Quasi mordendola.
Enzo si era quasi addormentato, appisolandosi sul bancone del bar. Poi aveva ordinato diverse birre, si era fumato un regalo del nuovo conquilino, nella periferia di Cambridge. Ed aveva festeggiato il suo compleanno in solitudine per i primi minuti che succedevano la mezzanotte.
Quella stronzata che era Nadja, mai conosciuta prima, si era divertita a leccargli il collo, abbandonando sulla scia umida lievi baci sconnessi e bisognosi. In un lurido bagno di seconda mano, calcato da generazioni e generazioni di mani.
Era una milionaria del centro storico.

Una manciata di mesi dopo, Enzo si era fatto pagare la bolletta dell'affitto dalla bravura del suo pene. Non sapeva se vergognarsene o esserne fiero. Nonostante tutto, non parlava più di prima. Ancora imprigionato tra le stesse ossa, collassato tra i suoi dubbi che necessitavano pareri esterni. 
E Nadja adorava questo suo lato, l'unico a dirla tutta. Fisicamente lo apprezzava.
Aveva viaggiato senza sosta, riscoprendo ogni centimetro del suo corpo flebile, dei polmoni flaccidi e degli orgasmi rochi che le graffiavano il palato. Quanto appetito.
Dopo il bagno, l'aveva divorato nella sua minuscola e ripugnante camera, poi nel letto a baldacchino della sua reggia, nella vasca da bagno, contro la poltrona, nella libreria e dentro la sua cabina armadio, sopratutto.
Il buio contaminava la camera di Enzo, nudo e rinfreddolito si addossò alla finestra, incastrando i capelli dentro un berretto di lana bordeaux. Palpò la scrivania e ne estrasse una ciotola di pistacchi. Yuri era sparito da una settimana, senza lasciargli alcuna traccia della sua precedente presenza, solo la sua roba pullulava la stanza condivisa. Sopra al letto, innocua, Nadja.
Giocherellò, con la punta delle dita, con il suo orecchino, poi afferrò un pistacchio e lo portò alla bocca, strinse le labbra, serrò i denti ed inserì la lingua dentro il minuscolo foro.
Lo aprì, pacamente, poi lo sgranocchiò.
Il respiro profondo di Nadja arrivava ovattato alle sue orecchie. Ma avrebbe preso la decisione giusta da solo, abbandonando il consiglio studentesco. Rinunciando a quella lieve soddisfazione che saziava la sua solitudine e il suo bagaglio immaginario, quasi a prepararsi ogni giorno le valigie per partire chissà dove.
La gratitudine verso il suo entusiasmo si era dissolta, dal preciso momento in cui aveva fatto la conoscenza di labbra carnose, e artigli affamati e un corpicino tanto minuto da stringere in una mano. Lasciando spazio all'indifferenza, che costernava i suoi battiti cardiaci sempre più pacati.
Yuri, un paio di semestri dopo, aveva deciso di raccogliere i calzini che affrescavano la loro camera per gettarli dentro una valigia.
"Ho vinto un concorso"
"Ma come?"
"Vedi che prendere la vita troppo sul serio non serve a un cazzo?"
"Lavoravi davvero a un progetto?"
"E perché mi sarei dovuto ubriacare giorno e notte, eh?"
"Vengo"
Anche Enzo, indiscreto e di troppo, aveva deciso di seguire Yuri, che di piani e futuri ne aveva, a Venezia.
Cosa mai avrebbe perso?

Nadja.
Aveva aumentato gli scarti, il lavoro, la fatica, il rischio. Iniziato a fumare e balbettare un po' di italiano, mantenendo la sua debole lettera 'erre' inglese. E lasciato crescere i capelli, si era abbronzato e bruciato l'epidermide delle spalle.
Si era accorto di avere un neo sulla guancia sinistra.
Dormiva molto, si sdraiava sui pontili, ammirando le luci romantiche della città infinita. Allungava le gambe, sfiorava l'acqua, metteva a rischio la sua vita, destando qualche sospetto. Yuri voleva perdere la testa, proprio quando l'aveva appena ritrovata. 
L'arte, era il suo nuovo settore di lavoro. Ma per Enzo, già era tanto ritrovare l'arte di cavarsela.
Stretti in un vecchio e minuscolo appartamento al terzo piano, rimurginavano la patria alle due di mattina, brindando alle delusioni che sotterravano lo spirito nelle più remote insicurezze. Quasi un recrutamento di anime seppellite dal rimorso.
Inconsciamente, anche Nadja ne avrebbe dovuto far parte.
Lo aveva tartassato di messaggi, facendo vibrare il telefonino di Enzo. Che traballava ogni volta che cercava di mantenersi in equilibrio su di un piccolo ponte dell'arcipelago. 
Voleva proprio farlo annegare, Nadja. Scivolare, cadere, sprofondare.
"Ma sapevo amarti"
Ma amarlo come? Abbastanza?
Egocentricamente.
Debole, col passo prosciugato dalla solitudine, Enzo sfiorava appena l'asfalto, dirigendosi nei locali notturni dove i sorrisi scarseggiavano e i bicchieri s'innalzavano sempre più in alto.
Si strinse nel giacchettino di denim scuro, issandosi da terra lentamente. Si girò da un lato, dolce, si posò sulla mano destra, si issò con un gesto secco, sbuffò.
Livido, camminava ancora a fatica.
"Stai male?"
"Benissimo"
"Ti aiuto?"
"No"

Nonostante le ossa fragili, Enzo inspirava profondamente, poi, con calma, buttava tutto fuori. Cercando pazientemente di mantenere il ritmo.
Soffiava il fumo delle sigarette contro lucilabbra sconosciuti, si strusciava su fianchi mingherlini e nuovi, annodava tra le dita tozze ciocche di capelli lunghi, di tutte le forme e colori. Incastrava la mano tra l'inguine di qualcun'altra, e nel mentre leccava il collo di un'altra ancora, sotto le luci psichedeliche e i sensi di colpa, sempre in un paese sconosciuto.
E la mattina, intriso di coraggio da quattro soldi, Enzo si lavava il viso con acqua gelida, si stringeva dentro l'uniforme e pretendeva di adorare i turisti e quell'accozzaglia di isole.
Aveva imparato a fare il tassista, a Venezia. A combattere il mal di mare, stringere i denti e rilegare le corde per permettere ai visitatori di scendere e salire a loro piacimento.
Sorrideva con molti di loro, dava indicazioni, spesso sbagliate, rimurginava l'italiano e gridava in inglese. 
Stringeva sotto i guanti l'insieme di fili intrecciati.
"Sei occupato?"
"Buongiorno"
"Ti invito a prendere un caffé"
"Sto lavorando"
"Allora ti aspetto"
Non sapeva nemmeno dove si era perso.
Altro che California.

 

  
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