Sacrificio
Per la prima volta da
decenni respirai e non fu uno dei dolorosi rantoli che precedono la morte, no,
fu un respiro pieno, profondo, ricco di profumi e di sensazioni. Il terribile
circolo di morte in cui ero caduta era stato spezzato: infine vivevo.
L’aria della notte era
fresca, la città in festa risuonava di voci e di risa, ovunque lanterne
decorate risplendevano fugando la notte con le loro caldi luci e io, stretta
nel tiepido abbraccio della sacerdotessa, potei crogiolarmi nel mio successo.
Durò solo un istante perché presto tra la folla sentii i passi pesanti e
rumorosi delle guardie: non ero ancora al sicuro. Il respiro della mia
salvatrice accelerò così come il suo cuore contro il quale ero tenuta.
“Calma, non possono sapere della nostra fuga, oggi la
città è piena di gente e quelle che vedi sono solo guardie cittadine che
mantengono l’ordine.” Bisbigliai alla
mente preoccupata. Percepii la donna calmarsi e allentare la presa sull’unica
arma in suo possesso: il tanto sacrificale con il quale avrebbe dovuto
uccidermi. La piccola lama dritta avrebbe avuto ben poca efficacia contro le
guardie armate di tutto punto e protette dalle armature, ma questo non glielo
dissi, era già sufficientemente sconvolta dall’atto sacrilego che io l’avevo
spinta a compiere: lasciarmi in vita.
Mi strinsi di più al suo
corpo, come a ricordarle quanto fossi fragile, quanto avessi bisogno di lei,
sembrò comprenderlo, il suo viso delicato e giovane si indurì e in lei percepii
la determinazione che mi aveva portata a sceglierla. Determinazione, coraggio e
un briciolo di ribellione. Sentimento quest’ultimo che avevo rivolto verso il
Salvatore, il Coraggioso, il Valente, il Signore della Vittoria, l’uomo che mi
aveva usata e condannata a morire. L’uomo che uomo non era più, diventato una
cosa oscura secoli prima, quando il ragazzo che era stato si era, assieme alla
sorella, coraggiosamente e stupidamente offerto per richiudere il Portale e
salvare tutti loro.
I suoi passi la portarono
a oltrepassare un ponte, uno dei molti della città e io potei assaporare
l’odore dell’acqua. Amavo l’acqua, io che ora ero fuoco.
“Ferma.” Intimò una voce
forte e decisa: era una guardia. La donna strinse il braccio attorno a me in un
gesto di protezione, nascondendo nervosamente sotto il mantello il bianco
vestito delle Sacerdotesse “Cosa
portate?” Chiese ancora l’uomo.
“Tua figlia.”
Suggerii mentre mi insinuavo nella mente del soldato.
“La mia bambina.” L’uomo
inclinò la testa sbattendo le palpebre, poi annuì.
“Va bene, passa pure.”
“Grazie e buona Festa
della Rinascita.” Sentivo la perplessità nella sua voce, sapeva che non aveva
mostrato una bambina alla guardia.
“Certo… buona festa anche
a te.” Rispose l’uomo ancora leggermente frastornato dal mio intervento.
“Come hai fatto?” Mi
bisbigliò incredula.
“I miei poteri crescono velocemente.” Le spiegai, avevo bisogno che fosse concentrata e non
che si interrogasse su cosa fosse successo, dovevamo allontanarci dalla città
al più presto, che fosse per barca o a piedi.
Lontano dal Tempio fummo
davvero tra la folla. Poco distante sfilava il simulacro di uno dei terribili
draghi che avevano attraversato il Portale prima che l’Incorruttibile lo
sigillasse. I cittadini festanti battevano le mani e ridevano davanti alle
eleganti spire da esso formate, troppo lontani i ricordi delle urla di paura e
di dolore. Io però ricordavo, ogni istante di vita che anno dopo anno mi era
concesso mi permetteva di ricordare.
Prima c’era stato il panico,
poi il terrore, infine i pianti. I nostri eserciti non erano valsi a nulla,
niente poteva fermare gli orrori che uscivano da quel maledetto strappo. Il
popolo invocava un salvatore così eravamo partiti, io e lui, fratelli gemelli,
principi del nostro mondo, coraggiosi guerrieri pronti al sacrificio. Folli e
stupidi bambini che avevano voluto credere a una oscura profezia che raccontava
come il Portale potesse chiudersi solo dall’altro lato. Non avemmo il tempo di
capire se la profezia avesse ragione. Oltrepassato il Portale lui era stato
preso e io… io usata.
“La colomba!” Esclamò
qualcuno, come la mia salvatrice, alzai la testa a osservare. Sul balcone del
Tempio della Rinascita una sacerdotessa bianco vestita rilasciava una colomba
altrettanto bianca. Il simbolo della Rinascita del loro Signore Splendente, il
simbolo della mia morte.
Non questa volta però, non
questa volta. Il pensiero mi fece sorridere e di nuovo apprezzai il fatto di
poter ancora respirare.
“Come è possibile?” Mi
chiese la ragazza. Era nata e cresciuta nel Tempio, non comprendeva cose come
l’inganno o la politica, convincerla a portarmi via e quindi a disobbedire,
aveva richiesto uno sforzo enorme.
“Deve fingere che sia tutto normale. Non può dire che
sono fuggita, creerebbe il panico.”
“Ma…” Si bloccò e capii
cosa l’aveva distratta dalla domanda. Sul ponte che ci avrebbe allontanato dal
centro città e dalla festa c’era un corteo di lanterne portate, come voleva il rituale,
dai Sacerdoti Neri. Sapeva, perché glielo avevo detto io, che se si fosse
avvicinata a uno di loro avrebbero percepito la mia presenza e per noi sarebbe
stata la fine.
“Dall’altro lato.” Intimai cercando di non lasciale percepire il mio panico. I Sacerdoti
Neri erano quello che restava degli uomini che si votavano al Possente Principe.
Esseri potenti e astuti, legati da indissolubile lealtà al loro Signore, poiché
in essi portavano parte della sua oscurità, potevo percepirla, anche da
lontano, potevo vedere come fossero solo tentacoli la cui testa pensante era
Lui.
Fu rapida a muoversi tra
la folla, sfuggendo al corteo per me e lei mortale. Altre guardie si pararono
sulla nostra strada, fecero domande, guardarono e poi frastornate ci lasciarono
passare. Il mio potere cresceva, ogni minuto di vita mi permetteva di diventare
più forte. Solo qualche ora e avrei potuto librarmi in quell’aria che respiravo
e assaporavo così avidamente. Avevo bisogno di tempo e per ottenerlo dovevo
allontanarmi da Lui e quindi dalla città.
Voltammo l’angolo di un
palazzo, finalmente lontani dalla popolazione in festa, davanti a noi c’era il
salvifico buio.
“Dove stai andando, mia
preziosa sorella?” Quella voce: la Sua voce. Rabbrividii, mentre la mia
salvatrice raggelava, la mente paralizzata dal terrore. “Sì, lo so che su
quella tua piccola lingua sentivi già il sapore della libertà, della vita,
della speranza, ma temo che fossero sentimenti prematuri. Pensavi davvero che
non avrei percepito il tuo intervento sulle deboli menti delle mie guardie? Hai
lasciato una scia facile da seguire.”
“Non…” Mi stupii nel
sentire la sacerdotessa parlare, malgrado il tremito nella voce fosse ben
udibile, era più coraggiosa di quello che credessi. “Non potete ucciderla.”
Notai la perplessità mista
al fastidio nello sguardo del ragazzo. Quei lineamenti perfetti, belli e
delicati e quegli occhi così carichi di malinconia da ispirare il pianto si
appuntarono sulla sacerdotessa, come se all’improvviso si fosse accorto di lei.
Un gruppo di Sacerdoti
Neri si stava silenziosamente raccogliendo attorno a noi, il popolo festante
era ben lontano dall’immaginare cosa stava succedendo in mezzo a loro.
“Giusto…” Mormorò Lui. Se
il viso era simbolo di purezza la sua voce era gelida come un mattutino vento
invernale, specchio della freddezza che dominava la sua anima. “Come hai fatto a
convincerla a portarti via? Non percepisco il Controllo in lei.” Guardava la
sacerdotessa con indifferenza come se l’argomento non fosse di grande importanza.
Eppure sentivo, percepivo, in Lui una certa curiosità.
“Lei è viva! E’ un essere
pensante, non un mero animale come ci avete sempre detto.” Sul volto perfetto
del mio antico fratello apparve un sorriso. Erano secoli che non lo vedevo
eppure quel sorriso mi fece male, era così freddo e così distante dal sorriso
contagioso del mio amato gemello.
“Oh.” Disse solo l’Illuminato
Signore. Sulla fronte indossava una fascia blu decorata con fili d’argento, una
specie di umile corona, ora la sollevò mostrando cosa nascondesse. Un seconda
corona in oro, finemente cesellata, che sosteneva al centro un amuleto
circolare. Non lo avevo mai visto, ma non mi ci volle molto per capire cosa
fosse e quanto fosse potente. La sua energia mi colpì come un vento freddo,
infrangendo le difese che avevo eretto.
“Salve sorella.” La sua voce nella mia mente era acuminata e mi ferì come fosse
ghiaccio.
“Non sei mio fratello.” Era infantile ribattere quel punto, ma stavo per
morire e a volte essere puerile è naturale, sono morta così tante volte da
poterlo affermare con cognizione.
“Sento i tuoi poteri, sono ancora deboli e sono sicuro
che lo erano ancora di più al momento della tua nascita, come puoi Controllare
una mente fino a questo punto?” Con
la mano indicò la giovane sacerdotessa che lo guardava preoccupata stringendomi
contro il suo petto, il fatto che credesse di potermi ancora proteggere era
ingenuo.
“Non ho fatto nulla.” Mentii e lui lo seppe, la sua presa su di me aumentò.
Ero fuoco eppure il suo ghiaccio mi stritolava frugando nella mia mente alla
ricerca della verità.
La verità era che avevo
scoperto di poter mantenere una forma di coscienza anche quando ero solo fiamma.
Non era una vera esistenza, ma mi aveva permesso di scandagliare le menti delle
sacerdotesse e di scegliere colei che mi avrebbe ascoltato. Mi ci erano voluti
dei mesi, ma alla fine l’avevo trovata, lei che era giovane e inesperta, ma che
possedeva le giuste qualità. Poi era cominciata la parte difficile, entrare in
contato con la sua mente. L’avevo visitata in sogno e, quando la sua mente era
più fragile e indifesa, le avevo mormorato chi ero e cosa mi stessero facendo.
Infine era giunto il giorno della mia rinascita e avevo fatto sì che fosse
scelta per l’ambito compito. Allora, non appena il mio corpo si era formato,
avevo urlato nella sua mente implorandola di risparmiarmi.
Il tanto sacrificale era a
pochi millimetri dal mio collo quando, con un sussulto, si era fermata. Era la
prima a farlo, la prima da quando avevo scoperto cosa potevo fare,
centocinquanta anni prima. Avevo vissuto sapendo di dover morire in pochi
istanti, ma avevo pensato e agito considerando che non sarei morta mai. Per la
prima volta la mia perseveranza aveva portato i suoi frutti.
“Vivi come se tu dovessi
morire subito. Pensa come se tu non dovessi morire mai. Ricordo il nostro mentore
che ce lo ripeteva. Voleva insegnarci ad approfittare della vita, ma al
contempo ricordarci che come Signori del nostro regno ogni nostra azione
sarebbe stata ricordata per secoli. Chi lo avrebbe mai detto che sarebbe stata
assolutamente calzante, almeno per quanto ti riguarda.” Ora che aveva visto in
me la verità, la sua presa ferrea si allentò. Risistemò la fascia sulla sua
fronte, ma lasciò comunque esposto parte dell’amuleto. “Trovavo…” cercò la
parola alzando un dito e sfiorandosi le labbra, in un gesto aggraziato che
tanto era piaciuto alle nobildonne e che immaginavo piacesse ancora. “… ironico,
ecco, che fossero proprio le sacerdotesse di cui la tua amante era la
capostipite a prendersi la tua vita ogni volta, anno dopo anno.”
“Non sei mai stato bravo a fare dell’ironia.” Gli risposi, nascondendo la ferita che quella frase
riapriva. Sì a ogni sacrificio rivedevo il suo volto, lei che mi aveva baciato
prima che partissi, supplicandomi di tornare sana e salva.
Sorrise, freddo, acutamente
consapevole della mia sofferenza.
“Comunque ora che so che
puoi comunicare mentre sei nel processo di rigenerazione ti affiderò ai miei
Sacerdoti, le loro menti sono chiuse, solide fortezze di ghiaccio che i tuoi
tiepidi attacchi non potranno scalfire.”
Tentai di rimanere salda,
ma il terrore di ritornare in quel cerchio infinito di morte mi era
insopportabile. Eppure, non c’era più nulla che potessi fare, la mia mente era
troppo debole per resistergli, il mio corpo troppo giovane.
Piegai la testa, sentendo
la sconfitta scivolarmi amara lungo la gola.
“Non essere così triste!
Siamo i salvatori di questo mondo, proprio come desideravamo!” Il suo sorriso
entusiasta non nascondeva, non a me, la freddezza che c’era in lui. “Ricordi?
Abbiamo attraversato il Portale andando verso probabile morte per salvare tutti
loro e ora vorresti rinunciarci? Vorresti condannarli alla morte, al terrore di
quando il Portale era un flusso continuo di orrori e mostri?” La sacerdotessa
mi strinse con più forza come se all’improvviso temesse di aver preso la
decisione sbagliata, sentivo nella sua mente il dubbio: e se fossi stata io la
cattiva?
Lo ero? Il dubbio pervase
anche me, l’essere che un tempo era mio fratello aveva ragione, Lui era il
male, ma quel tipo di male minore che si ha l’abitudine di preferire. Volevo
solo fuggire, diventare forte per poi raggiungerlo e ucciderlo, per liberare
mio fratello, ma non solo, per vendicarmi dell’orrore che mi aveva fatto subire,
per punirlo della sofferenza che mi aveva inflitto. Però, c’era un però: se
fossi riuscita nel mio intento, se lo avessi ucciso, chi avrebbe controllato il
Portale? Io? No, non conoscevo quel potere e lo sapevo. In me c’era ancora
abbastanza di quella giovane fanciulla che aveva deciso di sacrificarsi per
salvare il mondo? Ma chi, chi avrebbe mai immaginato che il sacrificio sarebbe
stato eterno?
“Dimmi Fenice, morirai
perché io viva in eterno? Permetterai che mi nutra del tuo sangue e che
attraverso di esso io sia immortale?” Sorrise, glaciale e bellissimo. “Salverai
questo mondo morendo, ancora e ancora, all’infinito?”
Avrei voluto urlare di no,
piangere e supplicare perché la mia vita finisse per davvero, ma, dal giorno in
cui avevo attraversato il Portale per la prima volta, ero stata maledetta e non
potevo fuggire.
Quei ricordi erano gli
ultimi che avevo, tenevo i pugnali ben stretti mentre mi guardavo attorno in
quel mondo sorprendentemente normale. Avevo attraversato il Portale e fatto il
primo passo accanto a mio fratello quando un’ombra era calata su di lui. Quando
aveva riaperto gli occhi in lui c’era solo più malinconica freddezza. Aveva
catturato la mia mente, debole e inesperta, e mentre il mio io impotente urlava
mi aveva immersa in un fuoco sacro. Il dolore era stato oltre ogni immaginazione
e quando finalmente avevo aperto gli occhi a guardarmi c’era lei, la donna che
amavo. Avevo tentato di parlare, ma non avevo emesso alcun suono, poi la lama
fredda e brutale del tanto mi aveva tagliato la gola. Era stata la mia prima
morte come Fenice, ma di certo non l’ultima.
“Non puoi chiederle questo,
è un sacrifico troppo grande…” Mormorò la sacerdotessa e io la guardai, era
sincera?
“Ha ragione Lui, gli orrori che escono dal Portale
sono…” Accennai sconfitta, ma lei mi
interruppe:
“Mostrameli.”
Era la prima volta che
parlava nella mia mente, forse non sapeva che Lui ci stava ascoltando e
osservando con la fredda curiosità di un essere che sa di aver vinto.
Mostrarle tutto
quell’orrore? Perché? Non lo sapevo, ma lo feci, le mostrai ogni cosa, ogni
verità che avevo opportunamente taciuto affinché mi aiutasse, dopo tutto stava
per morire e rispettare la sua ultima volontà mi sembrava giusto.
Quando finii piangeva. Sulle
prime pensai che era stata sopraffatta dalle immagini di distruzione e morte,
ma poi con un sussulto di stupore compresi che piangeva per me. Non aveva visto
le sofferenze del suo popolo, ma le mie.
“Non devi sacrificarti a
quel modo per noi. Deve esserci un’altra soluzione!” Sgranai gli occhi, lo pensava
davvero. Il suo cuore era sincero, avrebbe preferito morire che lasciare che
qualcuno si sacrificasse per lei.
“Il sacrificio non è
desiderato?” Mormorò alzando leggermente il sopracciglio l’essere oscuro da cui
dipendevano le mie numerose morti. Colsi il dubbio in Lui, avevo sfiorato
raramente la sua mente in quei lunghi secoli di morti e stroncate rinascite, ma
si era nutrito del mio sangue anno dopo anno ed era mio fratello, almeno in
parte, quindi potei percepire più di quanto credessi possibile. Lo vidi
dubitare, lo vidi indugiare e poi, con grande sorpresa, vidi la sua paura. Non
credevo potesse provarla, non Lui.
Allora attaccai, forse il
mio corpo era ancora un fragile involucro, poco più di un pulcino spelacchiato
e la mia mente torturata era troppo debole, ma il mio cuore era ancora quello
forte di un tempo.
Le lacrime della giovane
sacerdotessa mi diedero la forza di compiere quello che non sapevo di poter
osare: assaltai la sua mente.
Mi respinse una volta, lo
attaccai di nuovo e vinsi, vinsi perché lui aveva dubitato e io no, non lo
facevo più, non ora che avevo visto le lacrime della sacerdotessa versate per
me.
Piegai la sua mente,
bruciando dello stesso sacro fuoco in cui Lui mi aveva immersa.
“Vuoi l’immortalità? Assaporala!” Sussurrai alla sua mente mentre lo sentivo urlare tra
le fiamme.
“Il Portale! Moriranno tutti!” Non era più il freddo essere che conoscevo, ora era
mio fratello a urlare. Con orrore compresi che l’essere-ombra viveva in mio
fratello perché mio fratello glielo aveva permesso. “Era l’unico modo…” Rantolò. Mi ritirai, mentre l’orrore di quello
che il mio gemello mi aveva fatto mi colpiva con la stessa violenza con cui
avevo colpito lui. Era così convinto della necessità del sacrificio che si era
piegato a quel terribile compromesso e ora
la sacerdotessa aveva appena spezzato tutte le sue convinzioni.
Sopraffatta mi rinchiusi nella mia stessa mente, incapace di vedere quello che
stava succedendo, cieca al mondo. Eppure quel mondo continuava a esistere.
“No!” La voce disperata
della sacerdotessa mi raggiunse nel mio isolamento e in un istante capii che
sarei morta, ancora. Mio fratello e l’ombra sua alleata e padrona stavano
calando su di me, il pugnale sguainato, pronti a uccidere il fragile involucro
in cui la mia anima era incarcerata. Avrei chiuso gli occhi se ce ne fosse
stato il tempo, ma non ci fu, perché lei, la mia sacerdotessa, non lo permise.
Nel suo pugno ora c’era il tanto, quel piccolo e insignificante pugnale brillò
alla luce delle lanterne e poi colpì, rapido come le era stato insegnato,
letale come era necessario.
Vidi il sangue sgorgare
dal collo pallido di mio fratello, il delicato collare di placche d’oro non lo
protesse e neppure i Sacerdoti Neri, immobili attorno a noi, come spettatori
muti e indifferenti ora che l’ombra ferita aveva lasciato vuote le loro menti.
Vidi i suoi occhi sbattere
confusi mentre una mano correva al collo e l’altra lasciava cadere l’arma con
cui avrebbe voluto uccidermi.
“Sorella…” Mormorò alzando
la mano verso di me, una supplica a cui si aggiunse un pensiero. “Il mio è l’unico modo per salvarli tutti e
io devo salvarli che lo vogliano o no. Lombra in me è l’unica a controllare il
Portale, ho sempre creduto che non avresti permesso che il nostro popolo
morisse solo per poter smettere di soffrire.” Non c’era accusa nella sua
mente, solo convinzione e perplessità per la mia scelta. Senza ascoltarlo irruppi
di nuovo in lui, questa volta non mi lasciai distrarre dalla parte che era
ancora mio fratello, ma cercai l’ombra, sapevo che l’avevo bruciata ma non
uccisa. Quando la trovai non ebbi pietà, avevo bisogno di sapere, dovevo
conoscere il modo in cui controllava il Portale. Prima non pensavo di poter
entrare in lei, ma ora che sapevo di poterlo fare dovevo tentare. Fu sorprendentemente
facile.
“L’ombra ti ha ingannato.” Tornai a guardare mio fratello, mentre il sangue
colava lentamente dal suo collo, portandosi via la vita come tanto spesso era
successo a me. “Il Portale può essere chiuso.
Ora che ho frugato nella Sua oscurità lo so.”
“No!” Protestò
lui.
“Muori, sapendo che come tu hai usato me, lui ha usato
te. Muori sapendo che il sacrificio non era necessario, che insieme avremmo
potuto trovare un’altra via.” Morì,
il viso bellissimo ancora più pallido del solito, gli occhi, di quel blu
intenso di cui un tempo erano fatti anche i miei, vitrei. Il suo cuore smise di
battere e così si spense la sua mente.
Era in pace ora ed era più
di quello che lui aveva offerto a me.
Improvvisamente attorno a
noi tornò il frastuono della città: le risate, le grida di gioia e di festa.
Erano trascorsi pochi minuti, non si erano resi conto di nulla eppure tutto era
cambiato.
“Non piangere, mia dolce sacerdotessa.” La ragazza osservava il corpo del giovane che aveva
ucciso e piangeva, sconvolta dal proprio atto. “Hai liberato la sua anima da un peso troppo grande per essere
sopportato: il sacrificio per il bene supremo; e hai liberato me.”
Alzai il collo ancora
implume e osservai i Sacerdoti Neri, erano immobili, le menti vuote, incapaci
di agire ora che mancava il loro leader.
“Al Portale.”
Ordinai, non solo alla mia portatrice, ma anche a quella massa informe di ombre
private della testa pensante. Non avrei potuto liberare quegli uomini che da
troppo tempo avevano perso il loro Io, ma potevo liberare il mondo da loro.
Formammo un corteo fuori
dal comune ritornando verso la folla per poter raggiungere il palazzo di mio
fratello, a guidarlo la sacerdotessa che ora risplendeva del bianco del suo
ordine avendo abbandonato il manto scuso, mentre i Sacerdoti Neri la seguivano
indossando le armature di onice brillante come scaglie di un serpente. Uno di
loro stringeva tra le braccia il corpo riverso del Lucente Salvatore.
La folla si fendette
davanti a noi, i festeggiamenti terminarono, i draghi simulacri furono posati e
osservandoci passare non ci fu anima viva che osò parlare.
Io ero tra le braccia di
lei, la coraggiosa ragazza che aveva saputo, con il suo cuore misericordioso,
provare compassione per me e darmi la forza e il coraggio di scegliere un’altra
strada, di credere che ci fosse un’altra possibilità oltre quella scelta da mio
fratello per salvare il mondo.
Ora il Portale era davanti
a noi, un semplice strappo attorno al quale mio fratello aveva fatto erigere il
suo palazzo. Una dopo l’altra i Sacerdoti Neri lo attraversarono, erano esseri
oscuri e vuoti, non c’era più posto per loro nel mondo di domani.
“Come chiuderai il
Portale?” La voce della sacerdotessa era forte, in una sola notte era cresciuta,
forse persino più in fretta di me.
Sorrisi, mentre allargavo
le ali osservando il cielo illuminarsi, il sole stava sorgendo e con esso la
mia energia cresceva. Delicate piume rosse, arancio e oro ricoprirono il mio
corpo mentre i muscoli si rinforzavano. Voltai la testa, ora riccamente piumata,
verso la sacerdotessa che osservava meravigliata la mia trasformazione, dietro
di lei una folla tratteneva a stento lo stupore e la meraviglia.
“Non è difficile, è stato aperto dal mondo di là e da
là potrò chiuderlo, la profezia aveva ragione e così io e mio fratello.”
“Significa che non
tornerai indietro?”
“No, questo non è il mondo in cui una Fenice può
vivere, il mio nuovo mondo sarà dall’altra parte.”
“Ma…”
“Tu mi hai liberata dal mio ruolo di creatura
sacrificale, non solo fisicamente, ma anche psicologicamente. Non avete più
bisogno di me.”
“Sei libera.” Comprese lei
e io sorrisi di nuovo. Sentivo le menti di tutti quegli uomini e vedevo in loro
il destino di quel mondo, li avevo liberati dal tiranno e ora dovevo liberarli
da me stessa, dovevano crescere senza falsi dei da adorare e a cui affidarsi,
dovevano imparare a badare a loro stessi, ad assumersi i loro rischi, a fallire
e quindi a vincere da soli. Non c’era posto per una Fenice. Aprii le ali e mi
librai nell’aria rifulgendo nel sole mattutino, libera e felice mi gettai nel
Portale.
La Fenice era scomparsa,
la sacerdotessa lo seppe dal vuoto che lasciò nella sua mente. Non ebbe il
tempo di rammaricarsi perché tra le urla di meraviglia e di stupore vide il
Portale scomparire, lo strappo non c’era più.
In un senso di profonda
confusione capì che tutto sarebbe cambiato. In bene? In peggio? Non lo sapeva,
ma si rese conto che, per la prima volta da secoli, dipendeva solo da loro.
Disegno creato da Whiteney Black come premio per il contest: "Quietly into the night".