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Autore: Feynman    06/08/2016    0 recensioni
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Amélie Controu venne al mondo emettendo il più potente dei vagiti che Charles Controu ebbe l’onore di ascoltare.
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Tre date che segnano la vita di una piccola Amélie Controu che ha da poco iniziato a camminare su questa terra. Così piccola, ancora non è pronta e non conosce la vita che l'attende.
Prima protagonista, poi esclusa e infine spettatrice di tre eventi che segneranno la sua vita futura.
***
One shot introduttiva a "L'Estate muore prima dell'Inverno" revisione della mia vecchia "A Midwinter's Story".
Non è necessario conoscere la trama - anzi, è consigliato dimenticarsi tutto.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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7 aprile 1956

 

 

Amélie Controu venne al mondo emettendo il più potente dei vagiti che Charles Controu ebbe l’onore di ascoltare.
Charles era medico chirurgo e quando ancora poteva permettersi di corteggiare le infermiere, aveva avuto l’occasione di bazzicare per la nursery dell’ospedale nel quale lavorava ma mai aveva avuto l’occasione di ascoltare il primo annuncio alla vita di un nuovo essere umano.
Mentre stringeva fra le braccia quell’esserino sporco di sangue e altro materiale organico, si chiese se davvero fosse la metà della matrice che aveva portato alla luce quella nuova vita. Alzò lo sguardo verso sua moglie Esmeralda: aveva gli occhi chiusi, il respiro leggermente accelerato e sembrava visibilmente provata da quelle tre ore di urla, dolore e sudore. Charles si premurò di lavare la piccola che aveva già smesso di piangere e che stringeva con forza il suo indice, le tagliò il cordone ombelicale con gesti precisi ed esperti, l’avvolse nella prima cosa che gli capitò sotto gli occhi e si avvicinò alla moglie, adesso vigile e attenta.
«Vuoi prenderla in braccio?» le chiese con voce sottile per non arrecarle troppo fastidio. La camera da letto era illuminata solamente dall’abat-jour sul comodino; fuori era ancora buio essendo le tre della mattina. Esmeralda gli sorrise leggermente e annuì. Protese le braccia verso il marito, che le porse il fagottino stando incredibilmente attento a non far cadere la figlia avvolta in una federa per cuscini. Charles provò un forte desiderio di disegnare quel momento pur non possedendo il talento della moglie.
Esmeralda stava teneramente sorridendo in direzione della neonata e le porse un seno, a cui Amélie si attaccò immediatamente, avida e affamata.
«È una femminuccia» le disse il marito prendendo posto nella porzione di letto libera accanto alle gambe di Esmeralda. Il letto era stato coperto con degli asciugamani alla bell’e meglio, poiché la donna era stata svegliata di soprassalto dai forti dolori delle prime contrazioni dopo la mezzanotte e aveva svegliato il marito profondamente addormentato. Charles aveva preferito non chiamare la levatrice e iniziare a preparare l’occorrente, mentre Esmeralda provava a respirare tranquillizzandosi e per diminuire le fitte di dolore al ventre.
«Ha la tua bocca» notò la donna che guardava la figlia come se non avesse mai visto niente di più bello in vita sua. La neonata aveva già qualche capello nero sulla testolina rosa e piccola, una manina era stretta attorno al suo pollice e piano piano aprì gli occhi.
«Come potrebbe chiamarsi?».
Esmeralda la guardò staccarsi dal suo seno ed emettere dei leggeri versetti producendo piccole bolle di saliva.
«Mi piace Amélie».
Charles sorrise alla moglie e al fagottino che teneva in braccio e le carezzò il braccio: «Benvenuta al mondo, Amélie».

 

 

 

12 luglio 1963

 

 

 

Amélie sedeva silenziosamente accanto al grande camino nelle cucine di villa Rojas e sognava, mentre cercava di finire il disegno che dama Rojas, sua nonna, le aveva commissionato come esercizio di stile. Amélie odiava riprodurre sempre lo stesso paesaggio, ma per quella vecchia cariatide i paesaggi erano i pilastri per ogni buon disegnatore e lei in quanto appartenente a una famiglia nobile come i Rojas e pur trovandosi nel 1963, stava ricevendo lo stesso tipo di educazione che avevano ricevuto tutte le donne della famiglia.
Lei lo odiava perché questo voleva semplicemente dire stare lontana dai suoi genitori per i tre mesi estivi, i più belli secondo la piccola Amélie, e andare in Spagna da sua nonna e sua zia Yolanda, la sorella minore di sua madre Esmeralda.
Il disegno aveva preferito lasciarlo in bianco e nero anche se era luglio pieno e i colori della campagna spagnola erano esplosi, mostrandosi con tutta la loro bellezza violenta. Amélie aveva voluto immaginarsela d’inverno quella stessa vista fuori dalla finestra; aveva provato a chiedere alla cuoca ma Amélie aveva capito che c’era dell’altro oltre alla semplice meteorologia instabile dell’inverno, oltre la pioggia, il vento violento che sbatteva sulla costa ma la cuoca non sapeva come farle capire, perché da come le disse “è una di quelle cose che devi vederle, per capirle”. Amélie si era limitata ad annuire tenendo in mano la matita, poi aveva riabbassato la testa e aveva continuato a disegnare.
La cucina era il suo secondo posto preferito: era ragionevolmente lontana dal salotto e c’era l’eco nella tromba delle scale che portavano lì sotto, in modo che se avesse sentito il primo passo di una qualunque delle cameriere e il gentile tono con cui la chiamavano, avrebbe fatto in tempo ad aprire la porta-finestra che comunicava con l’ampio giardino, correre fuori e perdersi nel labirinto di siepi. Alla fine Marcel, il maggiordomo francese di sua nonna con cui Amélie temeva che sua zia Yolanda avesse una relazione, riusciva sempre a prenderla e portarla all’interno, tra le braccia magre e con la pelle penzolante di sua nonna e il suo odore di gelsomino e cadavere di due settimane, anche se non aveva idea di cosa odorasse un cadavere di due settimane ma Amélie era sicura che dama Rojas dovesse avere il suo stesso odore.
Quel giorno non avrebbe potuto permettersi niente del genere, però. Alcune prozie quando erano venute in visita, non avevano avuto il tempo nemmeno di mettersi sedute che avevano già iniziato a criticare la sua educazione – o non-educazione – così liberale. La dama si era trovata d’accordo con loro e aveva criticato le origini del suocero di fronte alla bambina, dicendo che era stata ovviamente tutta colpa sua e che una Rojas, anche se bastarda come Amélie, con il carattere così ribelle doveva ancora nascere.
Quel caldissimo venerdì di luglio non si sarebbe potuta comportare allo stesso modo perché a villa Rojas stavano aspettando la fatidica chiamata da Parigi della nascita del secondo figlio di Esmeralda e Charles, visto che la donna aveva finito il tempo quasi la settimana precedente. Stavolta il bambino sarebbe riuscito a nascere in ospedale: gli ultimi stadi della gravidanza erano stati attentamente seguiti e tutti si erano premurati di fornire Esmeralda Controu di ogni possibile comfort.
Amélie davvero non comprendeva perché ci fosse tutta quell’aspettativa dietro la nascita di un bambino, ma aveva continuato a pregare ogni sera per la salute dei suoi genitori e del fratellino o sorellina che il Signore le avrebbe donato. Esmeralda non avrebbe voluto che la figlia andasse via proprio per gli ultimi mesi, ma sua madre era stata irremovibile e aveva dovuto lasciarla partire. Anche Charles pensava che quella tradizione dei tre mesi estivi senza di loro fosse totalmente inutile, superflua e irrazionale ma lui non aveva diritto di replica quando la Dama decideva qualcosa – anche se aveva a che fare con la sua stessa figlia. Charles era in disaccordo con l’educazione tipicamente militare con cui dama Rojas pretendeva di smussare il carattere della figlia, sommato al fatto che la Spagna fosse ancora uno dei paesi sotto dittatura.
La zia Yolanda le aveva chiesto più di qualche volta se le sarebbe piaciuto avere una sorellina con cui giocare, ma Amélie le aveva risposto che avrebbe preferito un maschio, perché lui non sarebbe stato obbligato a disegnare stupidi paesaggi o a suonare le orribili e ripetitive marcette che tanto piacevano alla Dama.
Yolanda aveva fatto finta di niente molte volte, anche quando il comportamento della bambina si faceva irrispettoso o irrequieto; in quel caso aveva offeso direttamente la Dama e per il suo bene avrebbe dovuto imparare che per lei o c’era il silenzio o c’erano parole di lode. Avrebbe dovuto raccontare tutto a sua madre, ma non voleva che Amélie venisse punita direttamente da Marcel: era un uomo e se lo richiedeva la Dama sapeva essere molto violento. L’unica soluzione era punire Amélie lei stessa, in modo che non lo venisse a sapere nemmeno la servitù con il pericolo di fare arrivare l’accaduto alle orecchie della madre.
Yolanda aveva appena vent’anni però, e non se la sentiva per niente di punire la nipote: aveva solamente espresso i suoi stessi sentimenti verso la madre.
Yolanda amava la compagnia di Amélie perché le ricordava Esmeralda alla stessa età; era di soli cinque anni più giovane della sorella maggiore e ricordava perfettamente gli occhi tristi di Esmeralda ogni volta che veniva punita dal loro padre, il Generale Ernesto de Rojas. Esmeralda lo fissava, dopo averle ordinato di togliersi il vestito, con i suoi enormi occhi neri e profondi. La madre rimaneva seduta alle spalle del marito e lo guardava punirla perché aveva osato aprire bocca; il Generale era un uomo irrazionale e violento, ma Yolanda non si era mai permessa, nemmeno da morto, di fare appunti sulla figura di suo padre. Solo se era assolutamente sicura di essere da sola nell’ampio salotto, sputava sul quadro del Generale de Rojas e malediva la sua anima.
Fu per questo che anche per quella volta la giovane Yolanda lasciò correre e si limitò a lanciarle un’occhiata obliqua. Amélie ridacchiò.

Amélie si grattò distrattamente la schiena con la matita. Improvvisamente, avvertì i primi movimenti concitati al piano di sopra, anche se non aveva udito il telefono squillare. I tacchi delle cameriere si muovevano veloci sopra la sua testa e Amélie si ritrovò a sorridere: chissà come doveva essere felice e contemporaneamente agitato il suo caro padre! Sua madre sarebbe stata sicuramente stanca: anche se non conosceva i particolari del parto, la cuoca le aveva detto che era sempre molto faticoso per la donna perché raramente i bambini volevano uscire – da dove, poi, era un mistero.
Amélie si premurò di infilare il disegno all’interno della sua cartellina e la matita nell’elegante astuccio di legno che le aveva regalato sua nonna. La porta in cima alle scale si aprì nell’esatto istante in cui chiuse l’astuccio e la voce di Adoracion la richiamò: «Signorina Amelia? Suo padre la vuole al telefono».
«Arrivo, Adoracion!» le rispose immediatamente, scendendo in fretta dall’alto sgabello e correndo per le scale. La cameriera le stava tenendo la porta, mentre Marcel l’aspettava con la cornetta del telefono stretta nella mano guantata; quando arrivò, lui si chinò e le porse la cornetta facendo un piccolo inchino. Amélie rispose in inglese, in modo che nessuno potesse capirla.
«Papà! Sono Amélie!».
La bambina sentì la risata roca e raschiante del padre dall’altra parte e si sbrigò a risponderle: «Fiore mio, è una gioia sentirti! Stai bene?».
«Mi annoio tanto, papà! Ma la mamma, papà! Come sta la mamma?».
«La mamma sta bene, Amy. Ti saluta tanto e dice che ti vuole bene, ma non è potuta venire con me al telefono a chiamarti».
«Com’è il mio fratellino, papà?».
Charles non rispose subito. Amélie sentì suo padre sospirare e di riflesso anche lei trattenne il respiro.
«Mi spiace dirti che non hai un fratellino, Amy».
«Oh… andrà bene anche una sorellina, papà».
«Sono due fratellini, Amy».

 

 


25 giugno 1972

 

 

 

«Conn, torna indietro!».
Il ragazzino biondo ignorò la voce perentoria della ragazza e continuò a correre sul fianco della collina verdeggiante: vuole allontanarsi dal mare, dalla desiderata barca di suo padre e da quella ragazza che con solo un anno è così cambiata da spaventarlo. L’uomo sulla barca poggiò una mano sulla spalla della ragazza, con voce calda le disse di rinunciarci perché Conn era testardo.
«Ma gli avete detto che poteva salire, signor Lynch».
Il signor Lynch guardò il figlio issarsi sulla cima della collina e sedersi, con la faccia rivolta verso il mare e le braccia conserte.
«Mio figlio è come sua madre: testardo e irragionevole».
«Secondo voi mi perdonerà?».
Il signor Lynch abbassò la testa verso di lei. Il sole penetrava fra i capelli biondi e gli occhi verdi erano brillanti e allegri; stava sorridendo e Amélie realizzò che pochi uomini erano belli come il signor Lynch e che le sarebbe piaciuto innamorarsi di un uomo bello come l’estate in Irlanda.
«Vedrai che quando torneremo ti offrirà un buon panino, signorina».

E così era stato.
Conn Lynch aveva undici anni ed era uguale al padre. Da grande avrebbe potuto anche superarlo in altezza e in bellezza, ma per il momento rimaneva un magrissimo ragazzino di undici anni che amava occuparsi della sua casa e di suo padre. La madre di Conn era morta dandolo alla luce e lui non poteva fare a meno di sentirsi in colpa. Suo padre l’aveva rimproverato molte volte per quel sentimento, ma Conn non ne poteva fare a meno e per ringraziare il mare ogni volta che gli restituiva suo padre, lui si industriava a preparargli le migliori cene che era in grado di offrirgli con i pochi soldi che avevano.
Conn e suo padre abitavano in una bellissima casa in cima alla collina, godevano di una vista magnifica sull’oceano che si apriva sotto lo strapiombo.
Quando Amélie e Colin tornarono dalla gita in barca, Conn li attendeva a riva assieme ai gemelli, Eymerich e Balthazar, che si rincorrevano sulla spiaggia. Il vento irlandese aveva dato loro tregua ed era una bellissima giornata estiva, calda abbastanza ma non abbastanza da essere fastidioso.
Conn aveva già sistemato una tovaglia a quadri bianca e rossa sulla spiaggia, aveva posizionato i bicchieri e i panini che aveva preparato quella mattina lui stesso.
«Il mare era una tavola» lo informò Colin, dopo aver portato la barca sulla spiaggia, lontana dalle onde in modo che non finisse in mare. Conn alzò le spalle e gli passò un panino. Amélie si era già posizionata e guardava il ragazzino in silenzio.
«Venite a mangiare, voi due» urlò Amélie in direzione dei gemelli, impegnati a disegnare chissà cosa sulla sabbia. I gemelli erano una riproduzione in scala della sorella maggiore: capelli neri entrambi, ma Eymerich aveva gli occhi azzurri mentre Balthazar li aveva leggermente più chiari di quelli di Amélie. Entrambi avevano ereditato la linea gentile del naso di Charles Controu e le labbra carnose di Esmeralda Rojas.
«Tuo padre mi ha detto che il prossimo anno non sarai dei nostri» disse Colin ad Amélie. La ragazza annuì leggermente e avvertì la tensione di Conn seduto accanto a lei.
«Avrò l’application per l’università e mia madre non vuole che perda tempo in vacanza» spiegò brevemente, finendo il panino e togliendosi le briciole di dosso. «I voti mi permettono di fare domanda per Cambridge».
Colin fischiò in segno di apprezzamento e le donò una leggera pacca sulla spalla: «Posso farti i complimenti già ora?».
«Bisogna vedere come andrà l’ultimo anno, ma i complimenti fanno bene».
Colin Lynch era più grande di tre anni del padre di Amélie e dei gemelli. Si erano conosciuti durante il tirocinio a Parigi ma durante l’ultimo anno, l’irlandese aveva deciso di mollare tutto per tornare a casa e per occuparsi di suo padre gravemente malato. In quei mesi lontano dalla grande città aveva riscoperto la bellezza della sua terra, la tranquillità che si sperimentava lontano dagli stress della vita in società e decise di rimanere in Irlanda e darsi alla pesca in mare aperto, come suo padre. Erano andati in vacanza tutti assieme a Dingle quasi sei anni prima. Charles non aveva mai interrotto i contatti con Colin e avevano deciso di rincontrarsi dopo tanti anni. Da quel giorno, Esmeralda aveva deciso di lasciare che la figlia andasse in vacanza in solitaria per fortificarle il carattere e renderla più indipendente e quell’anno aveva deciso di affidarle anche i gemelli, ma senza l’aiuto di Conn non sarebbe mai stata in grado di gestirli.
«Quindi non verrai più?» si decise a parlare Conn, tenendo la testa bassa ed evitando il contatto visivo con la ragazza. Quando lui e suo padre, un paio di giorni prima, erano andati a prenderla alla fermata dell’autobus, Conn quasi non l’aveva riconosciuta: da ragazzina acerba stava acquistando le forme mature di una quasi-donna. I fianchi si erano arrotondati e il seno le era cresciuto in un solo anno di lontananza. Conn era rimasto senza saliva in bocca e aveva deglutito a vuoto, sentendo le pareti della gola raschiare fra loro.
«Tieni un posto pronto per me» gli disse tranquillamente e guardandolo in viso. Sentendosi osservato, Conn alzò la testa e incontrò gli occhi scuri di Amélie: non aveva mai notato la presenza di quelle piccole pagliuzze rossicce attorno all’iride. «Tieni un posto sempre pronto, la camera arieggiata e le lenzuola pulite sopra il letto. Potrei arrivare quando meno te lo aspetti».

 

 

 

 

 

Angolo d'Autrice

 

È un piacere ritrovarvi qui.
Non so chi di voi mi segue sui social - dirlo fa un sacco star - ma a chi interessasse questo è il mio profilo facebook
Feynman

Comunque, è un piacere tornare a pubblicare su EFP proprio una one shot introduttiva di una tra le mie storie che più apprezzo, in assoluto. Non so quando, dato che è ancora in fase di scrittura, inizierò la pubblicazione della storia principale "L'Estate muore prima dell'Inverno" di cui, sul mio profilo, potete già trovare alcuni aesthetic delle protagoniste e in futuro altri contenuti.

Spero che questa piccola cosa possa piacervi, così da invogliarvi a seguirmi e magari aspettare con me la pubblicazione del primo capitolo di "L'Estate muore prima dell'Inverno".

 

Grazie per l'attenzione,

Feynman
 

   
 
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