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Autore: Recchan8    07/08/2016    0 recensioni
«Sere, che succede?» domando allarmato.
Serena torna a sedersi sulla sabbia e mi invita a fare altrettanto. Obbedisco, e lei mi passa il mio accendino. Ci accendiamo le sigarette in silenzio, osservando il tramonto e scambiandoci rapide occhiate.
«Ho visto la tua valigia nel bagagliaio» riesco a dire dopo un po'. «Non capisco cosa stia succedendo».
«Sto scappando di casa» dice semplicemente senza guardarmi.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo essercela spassata tutto il giorno, decidiamo di passare gli ultimi minuti a Monterosso sulla spiaggia, col sole che tramonta di fronte a noi.
«Ultima sigaretta?» le chiedo porgendole il pacchetto di Marlboro Gold. Ironicamente me ne erano rimaste proprio due.
Serena annuisce e ne prende una. Mi tasto le tasche dei bermuda e aggrotto la fronte. Dove diamine è finito l'accendino? Frugo nello zaino ma non lo trovo.
«Forse è in macchina. Probabilmente ti è scivolato dalla tasca mentre stavi cercando il biglietto del parchimetro» mi fa notare Serena.
«Hai ragione» annuisco pensoso. Mi alzo e mi dirigo a passo spedito verso la strada.
«Guarda anche nel bagagliaio!» mi grida dietro Serena.
"Nel bagagliaio?". Le faccio un cenno d'assenso e mi dirigo verso la macchina, parcheggiata sul ciglio della strada che sta a metà tra la spiaggia e la stazione ferroviaria. Apro la Lancia Ypsilon e mi metto a cercare 'sto benedetto accendino. Sui sedili non c'è, nemmeno sul cruscotto. Guardo sotto i sedili e tra i pedali.
«Va a finire che mi tocca comprarne uno nuovo...» borbotto contrariato.
Apro il vano portaoggetti e frugo in mezzo alle carte e ai CD, ma non lo trovo neanche lì. Scendo dalla macchina e mi appresto a dare un'occhiata nel bagagliaio, come mi aveva suggerito Serena. Lo apro.
«Una valigia?» esclamo accigliato. E non una valigia qualsiasi: è il trolley bordeaux di Serena, quello che aveva portato quando siamo stati in vacanza in Sardegna e a Monaco di Baviera.
Torno di corsa in spiaggia con un brutto presentimento che mi aleggia intorno. Serena, appena mi vede, si alza e mi porge una busta bianca. Le lancio un'occhiata interrogativa e lei, con un cenno del capo, mi invita ad aprirla. Mi ritrovo ad osservare sbigottito due biglietti del treno.
«Sere...» inizio titubante.
«Con questo arrivi a La Spezia» mi interrompe, indicando uno dei due biglietti. «Con quest'altro da La Spezia arrivi a casa».
«Sere, che succede?» domando allarmato.
Serena torna a sedersi sulla sabbia e mi invita a fare altrettanto. Obbedisco, e lei mi passa il mio accendino. Ci accendiamo le sigarette in silenzio, osservando il tramonto e scambiandoci rapide occhiate.
«Ho visto la tua valigia nel bagagliaio» riesco a dire dopo un po'. «Non capisco cosa stia succedendo».
«Sto scappando di casa» dice semplicemente senza guardarmi.
Spalanco gli occhi e per la sorpresa la sigaretta mi cade di bocca. Mi affretto a recuperarla prima che si spenga.
«Perché?».
«Mi sono rotta le scatole di tutto».
«Ma Sere, non hai ancora finito il liceo! Ormai ti manca un anno, tieni duro!».
Si volta a guardarmi e sorride, stranamente divertita. Alza una mano e mi mostra due dita.
«Due anni» mi corregge.
Sotto il mio sguardo confuso, tira fuori dallo zaino il suo cellulare e mi mostra una foto del quadro dei risultati di fine anno della sua classe. Cerco il suo nome e mi accorgo che nella sua riga non ci sono numeri, ma lettere: "Giudizio sospeso".
«Non mi avevi detto che ti avevano rimandata...» mormoro sorpreso. «Sere, guarda che essere rimandati non significa venir bocciati» le faccio notare.
«Ma non presentarsi agli esami di riparazione sì».
Apre la sua borsa da mare e, con mia grande sorpresa, ne estrare i libri di scuola.
"Ecco perché sembrava così piena e pesante...".
Prende quello di matematica, lo guarda disgustata e inizia a strapparne le pagine.
«Erano oggi, sai?» mi dice dopo un po'. Noto la rabbia nella sua voce. «Tre materie. Mi avevano dato tre materie».
«Avresti potuto chiedermi aiuto» le faccio notare.
Prende l'accendino e dà fuoco alle pagine del libro di matematica. Guarda le pagine accartocciarsi su di loro e sfrigolare, e scuote la testa.
«Sarebbe stato inutile».
«Perché?».
«Ne ho abbastanza. Non me ne frega più niente. Fin da quando sono nata ho fatto tutto quello che i miei genitori hanno voluto che io facessi. Faccio danza da quando ho cinque anni, ma lo sai? Mi fa schifo. Avrei voluto giocare a pallacanestro ma, come ripeteva sempre mia madre, non è uno sport adatto a una ragazza. Vogliamo parlare della scuola? Mi hanno spedita al liceo scientifico, quei due. Io non ci volevo andare!». Si avventa con rabbia sul libro di chimica, trinciandone le pagine con le sue unghie laccate di azzurro.
«Perché non ne hai discusso con loro?».
«Pensi che non l'abbia fatto?» mi fulmina con un'occhiata. «Sai perché non hanno voluto sentire repliche? Perché per poter affrontare al meglio l'università bisogna frequentare il liceo scientifico! Ti rendi conto di cosa vuol dire? Avevano già stabilito il mio futuro! Avevano preso delle decisioni importanti senza tener conto della mia volontà!».
«Sei sempre stata brava a disegnare...» sussurro.
«Lo so!» grida. «Volevo andare all'artistico, frequentare un'accademia d'arte...! Ho scongiurato i miei genitori di iscrivermi a dei corsi pomeridiani di disegno, ma hanno sempre rifiutato! Ho passato gli ultimi quattro anni della mia vita soffocata da quella stupida danza e da quel cazzo di liceo!». Si volta di scatto a guardarmi; nei suoi occhi non vedo lacrime ma solo rabbia e frustrazione. «Mi hanno tarpato le ali! Giorgio, te ne rendi conto? Questa non è la vita che voglio! Io non sono una bambola! Non l'hanno mai capito!».
Non so cosa dire. Sono, sbigottito, sconvolto, dispiaciuto. Non riesco ad aprir bocca, le parole mi muoiono in gola. Tutto quello che riesco a fare è fissare Serena mentre alimenta con altri libri il piccolo falò di fronte a lei.
«Fanculo alla chimica, alla matematica e alla fisica» la sento borbottare. «Tre materie? Che vadano a farsi fottere!».
«Cosa vuoi fare?» riesco a chiederle dopo qualche minuto.
«Andarmene» si limita a dire. A quanto pare la prossima vittima è il libro di fisica.
«Per quanto tempo?».
«Per sempre».
«Non dire scemenze. Non posso lasciarti andare» le dico tentando di instaurare un contatto visivo con lei. «Cosa direbbero i tuoi genitori se mi vedessero tornare a casa senza di te e la macchina?».
«I miei non torneranno prima di dopodomani. Sono a fare un viaggio. Non sanno che ho saltato gli esami di recupero e che sono venuta con te a Monterosso in macchina» dice stringendosi nelle spalle.
«Serena, non posso lasciarti andare» ripeto con decisione.
«Vuoi tarparmi le ali anche tu, Giorgio?» dice con tono di sfida. «Vuoi negarmi la mia libertà?».
«Dove andrai a stare?» le chiedo ignorando la sua domanda.
«Non sono affari tuoi» taglia corto.
«E come la mettiamo coi soldi?».
«Ho una pagina su Facebook dove metto in vendita i miei disegni e accetto le commissioni dei fans».
«Pensi di cavartela con così poco?».
«Una volta ho proposto a una casa editrice che si occupa di fumetti una storia scritta e disegnata da me. Me l'hanno rimandata indietro, dicendo che la trama era avvincente ma che avrei dovuto migliorare nel disegno prima di sperare nella pubblicazione. Ho aspettato un anno e ho riproposto il lavoro. La casa editrice è pronta a pubblicarlo» mi racconta.
«Allora perché te ne vai? A quanto pare, nonostante i divieti e gli impedimenti dei tuoi genitori, sei riusci...».
«Mi hanno vietato di accettare la proposta della casa editrice» mi interrompe in tono freddo. «I miei genitori sostengono che sia un'inutile perdita di tempo».
«Hai davvero rifiutato?» domando esitante.
«Certo che no» sbotta. «Una volta che me ne sarò andata e mi sarò sistemata da qualche parte, riprenderò i contatti con la casa editrice e firmerò il contratto».
Tra di noi è calato un pesante silenzio; gli unici suoni che riesco a sentire, seppure sommessamente, sono le onde del mare e il crepitio del fuoco di fronte a Serena.
«E' questo quello che vuoi?» le chiedo in un sussurro.
«Sì, con tutta me stessa».
Strappa un'ultima pagina dal libro di scuola e si alza in piedi, tendendo un palmo verso di me. Guardo Serena negli occhi e lei mi fa un cenno esortativo col capo. So cosa mi sta chiedendo: vuole che le dia le chiavi della macchina. Tentenno; non so cosa fare. E' vero, Serena ha diciotto anni, è maggiorenne, ma ho la certezza che se me ne andrò da Monterosso senza di lei non riuscirò a stare tranquillo finché non dirò la verità ai suoi genitori.
«Ti prego, lascia che io sia... serena, che lo sia davvero, almeno per un po'» dice sforzandosi di sorridere.
Lo sa che le voglio bene, che tengo a lei e che non deve guardarmi con quegli occhi. Le sue iridi castane riflettono l'immagine di una giovane donna che ha preso una decisione importante e che non intende fare marcia indietro.
"Porca puttana".
Cedo. Le consegno le chiavi della macchina e mi metto in spalla lo zaino. Non ho nemmeno la forza per abbracciarla; fortunatamente ci pensa lei a farlo.
«Non te ne pentirai» mormora contro la mia spalla.
Annuisco debolmente e mi libero dolcemente dal suo abbraccio. Mi eclisso e mi incammino a passo veloce verso la stazione, sperando di non venir divorato dai sensi di colpa.
"Ho abbandonato la mia migliore amica o le ho concesso la libertà che tanto agognava?", continuo a domandarmi. Sento di dover avvertire i suoi genitori appena arriverò a casa, ma una parte di me me lo impedisce e, insieme al ricordo del viso di Serena, mi supplica di aspettare qualche giorno.
Guardo giù, in direzione della spiaggia. Serena non è più lì. La cerco con lo sguardo e la trovo appoggiata al cofano della macchina di sua madre. Il mio sguardo è talmente penetrante che Serena lo sente sulle sue spalle; si volta e mi saluta con un cenno della mano. "Grazie", sillaba con le labbra.
Non posso fare a meno di fermarmi e di guardare la mia migliore amica salire a bordo della Lancia Ypsilon grigia. Mette in moto e sfreccia via, lasciandosi dietro un piccolo fuoco sulla spiaggia e una scia di pagine stampate.
Serena voleva essere fermata, voleva che qualcuno le dicesse "Non farlo, stai facendo una cazzata". Voleva testare l'intensità del suo desiderio, per questo mi aveva coinvolto.
Mio malgrado sorrido.
«Libertatis amor vincit omnia» sussurro.

 

 

 

   
 
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