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Autore: Toms98    08/08/2016    2 recensioni
Raramente, se si è veramente fortunati, la vita dà una possibilità di riscatto. È questo che rappresenta per Aristocle e la sua variegata ciurma, alla ricerca di una seconda possibilità e del leggendario Scudo di Achille, il viaggio sulla Lytrusis. Ma non tutte le divinità dell'Olimpo vogliono che rimangano vivi a lungo...
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Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1 – Anachórisi

Cantami, o Musa, dell’Atenïese
E'l viaggio ch'intraprese per volere

D’alto fato e per una saggia dea.
E narrami della ciurma e del legno
Che mille e mille mari solcò sola
E dell’isola che cela all’indegno.

 
Il sole tramontava rosseggiando il cielo attorno a lui quando Aristocle, capo dei funzionari del porto, siglò l’ultimo permesso d’imbarco del giorno e tornò verso la sua modesta capanna poco fuori il porto, dove iniziava la vera Atene. I capelli neri cominciavano a confondersi con il cielo, e così anche la sua barba, nera anch’essa. Gli occhi verdi però spiccavano e quasi stonavano in quel quadro notturno, ma la loro vuotezza e un velo di antica tristezza li copriva e non li rendeva brillanti come erano sempre stati. La corporatura possente lo faceva apparire quasi come un semidio, ma il naso rotto e qualche livido rendevano una buona idea della sua fama da rissaiolo. Stava, appunto, rientrando sull’imbrunire nella sua modesta casa, quando una figura femminile, una giovane ragazza, gli si avvicinò trafelata. I capelli biondi brillavano nonostante il buio, quasi ad attrarre l’uomo come una falena lo è dalla fiamma di una torcia. Si affiancò all’uomo e lo fissò, poi parlò: << Scusami, sei tu Aristocle di Atene, funzionario del porto. >>
Lui la fissò, e notò gli occhi verdi come i suoi, dopodiché rispose: << Sì, chi lo chiede? >>
<< Siamo attraccati ora con la nostra nave, ma abbiamo bisogno del permesso per tenere una scorta alle nostre provviste. >> disse lei, indicando un punto indefinito del porto.
<< Il sole è tramontato e io non lavoro nel regno di Nyx >> rispose secco Aristotle, poi con un braccio la allontanò e si avvicinò alla porta di legno. Provò ad aprirla ma fu fermato dalla candida mano della giovane che gli tratteneva la tonaca. Sbuffando, l’uomo se ne liberò, ma prima che potesse muoversi la bionda disse: << Sono pronta a pagarti con tutto quello che vuoi. >>
<< Non mi interessi, grazie. >>
<< Parlo di oro, argento o bronzo. >>
Le orecchie di Aristocle scattarono appena sentì il peso della sua paga. << Quanto ne hai? >> chiese lui, senza ancora voltarsi.
<< Più di quanto pensi >> disse lei languida.
<< Io ne immagino veramente tanto. >>
<< Ripeto, più di quanto pensi. >>
Aristocle ridacchiò e si voltò, poi si diresse verso il porto dicendo: << Sei veramente saggia, lo sai? >>. La ragazza lo superò per indicarmi la strada dicendo: << Me lo dicono in molti! >>
Arrivarono al molo, dove isolata dalle altre si trovava un enorme vascello, con due ponti, dici uno più elevato su cui stava il timone, dotato di grandissime e strane vele. “Fenici. Ne inventano sempre una nuova.” pensò l’uomo, poi prese da una sacca che aveva a tracolla un papiro e iniziò a compilare dettagli sulla nave. Poi passò a fare domande, sempre osservando la nave: << Nome? >>
La voce femminile dietro di lui rispose: << Lytrusis >>
L’uomo annotò il nome, poi annotò altri particolari, quindi continuò con le domande. << Cosa trasportate? >>
<< Per la verità, niente! >> disse la donna.
L’uomo si voltò spazientito cercando quell’insolente ragazzina, ma al suo posto vide una donna armata di tutto punto in una corazza di una strana lega che brillava come un sole. La candida pelle riluceva come il metallo se non di più. Aveva imbracciato un enorme scudo dorato che non teneva però alto, quasi a tenerlo nascosto. Una civetta si avvicinò a lei portandole un elmo, ma lei non lo indossò e lo tenne semplicemente sopra la testa. I capelli biondi erano ora diventati ricci dorati e gli occhi erano diventati di un azzurro vividissimo. Aristocle rimase stupito e non preferì parola. << Sono più che certa che conosci chi io sia. >> disse la donna.
<< Atena, mia dea, io… >> disse l’uomo, ma la Pallade lo fermò con un gesto della mano. << Ti osservo da un po’. >> disse la dea << So di tutta la tua storia, di come sei passato da difendere una città a fare lo scaricatore di porto. So dei debiti che hai, sia di soldi che di onore. È per questo che mi servi. >>
<< Tutto quello che desideri, mia padrona! >>
<< Cerca al porto una ciurma, quanti uomini ti servano, e salpa verso Ovest. Attraversa le colonne di Eracle, cosa che ti sarà permessa da una benedizione su questa nave, e procedi di trenta gradi a Nord per tre albe. Al sorgere della terza giungerai all’isola di Moira, un dominio di Persefone, ove tornerai il Tempio del Destino. Qui dovrai entrare tu soltanto, nessuno deve seguirti, e recuperare al centro del naos il leggendario Scudo di Achille. Ma stai attento, l’isola è protetta da Persefone, la regina degli inferi, e avrà messo dei mostri demoniaci a difesa della sua isola. Sei pronto per questa ardua impresa? >>
Aristocle deglutì e fissò sudando freddo la divinità. << Se mi è concesso, posso sapere a cosa serve uno scudo del genere? >> chiese lui titubante.
La dea sorrise fissandolo, poi il sorriso divenne più scuro e riprese il discorso: << Se tu, come penso, conosci Odisseo, il re di Itaca, probabilmente ti sarà stato detto che è morto in mare. In realtà sta è vittima di un viaggio sfortunato, e cercherò di donargli questo scudo per difenderlo dai pericoli. Ora, accetterai? >>
<< Sì! >> disse non senza una nota di paura l’uomo. Soddisfatta, la dea fece per andarsene andarsene, ma prima di svanire nel nulla disse: << Vai ora, troverai che il porto è molto affollato stasera. Inoltre, se nel tuo viaggio dovessi trovare un problema che non sembra avere soluzione, ricorda che il modo migliore per venirne fuori è sempre buttarsi dentro. >>
Lasciato solo davanti alla imponente nave, ad Aristocle non rimase altro che voltarsi ed andare verso il cuore del porto, vicino all’agorà. Stranamente, nonostante la fredda notte d’inverno, la zona brulicava di persone festanti. Stupito, l’uomo si avvicinò ad un fanciullo, il quale disse che era giunta da Tebe un imponente nave e il capitano per festeggiare l’arrivo aveva indetto un banchetto. Chiese quindi a quel fanciullo di spargere la voce che stava cercando una ciurma e diede due dracme per convincerlo. Si diresse quindi verso il banchetto per potervi partecipare. Probabilmente gli avevano mandato un messo mentre Atena lo istruita nel suo compito, quindi era sicuro di essere nella lista degli invitati. D’altronde, a meno di strani cambiamenti, l’unico tebano che aveva il fegato di indire un banchetto nella Polis non poteva che essere il suo caro amico Poliarco.
Arrivò alla casa in cui vi era la festa. Fuori, ad accogliere gli ospiti c’era Poliarco stesso. << Sono già ubriaco o quello è Aristocle. >> disse sorridendo e tendendo le mani per un abbraccio. << Conoscendoti, Poliarco, entrambe le cose. >> disse rispondendo al gesto dell’amico, poi si lasciò introdurre all’interno. << Fatto buon viaggio? >> chiese Aristocle. << Oh, credimi, ora che Troia è caduta i traffici sono molto più semplici. Ti direi che ci sto rimettendo, ma non mi piace mentire agli amici. >> rispose l’uomo, mentre dei servi porgevano dei bicchieri di vino ai due convittori.
<< Ma dimmi, >> disse l’uomo << Come va al vita qui da voi? >>.
Aristocle sorseggiò lentamente il vino mentre pensava a cosa rispondere. Decise di provare un approccio diretto, quindi si asciugò le labbra con il dorso della mano e esulò completamente la domanda, arrivando al nocciolo della sua: << Sto per salpare per un’impresa eroica, vorresti unirti a me? >>
Dapprima la reazione del mercante fu una risata incontrollata, ritenendo tutto ciò uno scherzo, poi mano a mano che i secondi passavano scemò verso una via di mezzo tra il cupo e il dispiaciuto. << Queste non sono cose che si organizzano dalla sera alla mattina. Tu sai che io sarei disponibile a seguirti anche ora, ma purtroppo devo ripartire per affari tra tre giorni. Permettimi di fornirti almeno una nave. >>
<< Grazie per la tua immensa generosità, ma ho già il mio mezzo. Quello che mi manca è una ciurma. >> rispose Aristocle, tentando di mascherare lo sconforto che il “no” aveva provocato in lui. Si sentiva quasi tradito, ma ben capiva le ragioni dell’amico, che si offrì nuovamente di aiutarlo: << Allora permettimi di presentarti i miei più fidati uomini. >> detto ciò gli indicò quattro uomini che stavano parlottando. Si notava subito i loro anni di esperienza come marinai dai calli sulle mani e dalle cicatrici << Prendi uno di questi e fidati che ti basteranno per qualsiasi viaggio. Abbiamo Apollonio, Zenone, Eliodoro e Melazzo,  scegli chi preferisci. >>
Nel frattempo entrarono dei nuovi invitati e Poliacrilico andò a fare gli onori di casa, lasciando Aristocle a parlare con gli uomini della sua ciurma. << Chi di voi sa guidare una nave? >> chiese al gruppetto. Un coretto di grugniti si levò a risposta, che poteva essere interpretato solo come un “per chi ci hai preso, per degli incompetenti?!”. Vedendo che c’era l’imbarazzo della scelta, l’uomo iniziò a raccontare dell’incontro con Atena e della missione che aveva da compiere. Ora, col senno di poi, si può ben capire che la cosa fosse un clamoroso errore da parte dell’ateniese e ben si intuisce che questo racconto scatenò una reazione ilare da parte del gruppetto, che si allontanò prendendolo per pazzo.
Arresosi di provare a convincere quegli uomini, Aristocle scrutò a destra e a manca per capire se ci fosse qualche altro possibile marinaio. Un vecchio gli si avvicinò zoppicante e curvo su un bastone. Grosse pelli di maiale e forse cane ne coprivano la gobba sulla schiena. L’odore di sporco che lo seguiva faceva pensare che fosse un povero mendicante. << Giovane, ti serve un nostromo? >> chiese il vecchio con una nota minima di pazzia << In tal caso, puoi contare su di me, Solone di Melibea! >>
Aristocle lo guardò con un sorriso finto e insicuro e liquidò velocemente il vecchio pazzo, poi se ne andò verso l’uscita. Fu nuovamente fermato da un uomo basso e barbuto. << Salve signore, lei è Aristocle di Atene? >> chiese l’uomo in vesti molto sontuose e mani piene di anelli.
<< Chi lo chiede? >> rispose lui, incuriosito dell’ennesimo personaggio eccentrico incontrato a quella festa.
<< Un uomo che ha incontrato il piccolo Temistocle che vociferava di un’impresa eroica, quello che organizzi tu e cerco io. Il mio nome è Dilosfene, re dell’isola di Cipro. >>
L’ateniese rimase stupito, quindi volle indagare a fondo: << Per quale motivo un re vuole compiere una missione eroica? >>
<< Vede, io sono divenuto re a seguito di una guerra tra vari pretendenti. Io riuscì a sopraffare tutti grazie ad uno stratagemma che in molti hanno ritenuto infimo. Dopo anni, il mio posto al trono è stato sfidato dal principe Pigmaglione e io per varie ragioni non ho potuto rifiutare, ma sono riuscito a strappare una scommessa. Perciò, per tenermi il mio trono, è previsto che io compia un’impresa eroica. Allora, ha ancora dei posti? >>
<< Ma certamente! Anzi, attualmente sei l’unico membro oltre a me. Se vuoi portare i tuoi bagagli alla nave, permettimi di accompagnarti. >>
Giunti alla nave, il re cominciò ad osservare la nave. La fissò attentamente mentre Aristocle slegava la scala per salire, poi disse: << Legno di quercia vecchio almeno mille anni, ma neanche un segno del tempo. Molte vele, ma nessun remo. Un unico timone, molto spazio sottocoperta e vele con ricami che richiamano il sole. Posso sapere con che divinità siamo “in affari”? >>
<< Come.. >> provò a chiedere l’uomo, ma fu completato dal re stesso. <<…ho fatto? Semplice, questa nave sprizza impossibilità e magia da tutte le assi. Questo denota che ti è stata data da qualcuno non umano. Notando i simboli del sole, ho ristretto il campo ad un paio di dei e un titano, ma siccome Helios non sa costruire navi, ho dedotto si trattasse di una divinità. >>
Detto ciò salì, bofonchiò qualcosa su vari e presunti errori di progettazione, chiamando in causa concetti strambi come aerodinamica e resistenza dell’acqua. Stava appunto lodando il buon spirito di Atena, che si era offerta di proteggerli su quella “bettola a vela che qualche figlio di Zeus ha chiamato barca” quando una figura scura si tuffo dalla postazione di vedetta della nave. Di tutta risposta Dilosfene corse a nascondersi dietro Aristocle, che sfilò la sua spada e la puntò al nemico. L’uomo si alzò, mostrandosi in una strana tunica nera, aperta sul davanti e chiusa da una cintura, anch’essa nera. Il viso, con degli stranissimi occhi a mandorla, era pallido, quasi giallognolo. << Tu chi saresti, per Zeus. >> disse sempre nascosto dietro Aristocle il re di Cipro.
<< Di’ a quello davanti di deporre l’arma, sono qui per lui. >> disse il misterioso.
<< E se non lo facessi? >> propose sarcastico l’uomo
In tutta risposta, questi si voltò, facendo ben illuminare alla luna la scura elsa, decorata in uno strano alfabeto dorato, della spada più lunga che qualsiasi ateniese avesse mai visto. << Il mio nome è Muramasa, e vengo da molto, molto lontano. Sappi che ho saputo della tua impresa e vorrei unirmi. Sono abbastanza esperto di vele ed ho una buonissima vista. >>
Aristocle bofonchiò un “bella spada” per poi schiarirsi la voce e dire: << Sai che si rischia la morte? >>
<< Si-si rischia la mo-morte? >> chiese facendosi sempre più piccolo Dilosfene.
<< Meglio morire in battaglia che perdere l’onore. >> rispose secco il giapponese. Stupito dal coraggio del nuovo alleato, Aristocle gli disse di portare i suoi bagagli sottocoperta e di aiutare il cipriota.
Lui scese dalla nave, gli mancava giusto un timoniere per compiere questo viaggio. Si diresse nuovamente verso la polis. Svoltò dopo un paio di case quando si ritrovò contro due energumeni. Nonostante la luna non lo aiutasse, riconobbe subito chi erano. Provò a scappare, ma altri due erano apparsi alle sue spalle. << Ehilà ragazzi, come ve la passate? >> chiese lui, forzando il più falso dei sorrisi. << Non bene, ma tu puoi migliorare la nottata. >> disse il più grosso e stupido di tutti << Sai, a Kratos non piace chi si dimentica i suoi debiti, né se li deve pagare lui né, ovviamente, se deve essere lui a riscuotere. Ora, è un po’ che tu non ci dai le dieci dracme pattuite, ti sei per caso dimenticato, Aristocle? >>
<< Dite a Kratos di darmi una settimana di tempo. >> provò lui con il solito vecchio copione. Qualcosa gli diceva che non sarebbe bastato a salvare la pelle quella volta.
Infatti i quattro tirapiedi si misero a ridere malignamente, poi quello che aveva parlato prima afferrò il collo della tunica e sollevò l’uomo di un paio di decimetri. << Non so se ci siamo capiti, >> disse l’aguzzino << Kratos vuole o i soldi o TE! Per esperienza, so anche che non ti vuole così… come dire… vivo! >>
Stavano per iniziare a picchiando selvaggiamente quando zoppicando arrivò in quella zona Solone di Melibea. << Oh per Apollo, cosa state facendo a quel povero giovane?! >> chiese il vecchio, con una voce squillante e da pazzo. Uno di quelli gli rispose: << Niente, lo stiamo solo picchiando a morte. >>
<> disse lui nella sua strana voce, ma poi cambiò completamente tono, e quella voce che emanava l’addio ai suoi anni migliori divenne una voce possente e cruda nell’aggiungere: << Pensavo di non avere una scusa per uccidervi. >>
Detto ciò, si alzò in piedi, mostrando che il suo fisico ricurvo era in realtà una salda statua di marmo vivente. Il volto, che prima appariva fiacco e debole, assunse un’espressione più altera mentre l’uomo si strappava le pelli che aveva sulla schiena, rivelando due aspetti stupefacenti. Il primo era una tunica avorio con ricami dorati, ricco abito che in pochi potevano permettersi. Il secondo era un arco d’oro, che era sempre stato nascosto sotto le scarse pelli, a cui faceva da compagno una feretro in cerbiatto con delle lunghe frecce, anch’esse d’oro. Impugnò la sua arma e scagliò un dardo che passò attraverso il bulbo dell’occhio destro di quello che gli aveva risposto, per poi passare velocemente a tutti gli altri, che fecero la stessa identica fine del compare. Quando anche l’ultimo di loro cadde morto, l’anziano si diresse verso Aristocle. << Vedo che non hai imparato la lezione di Atena. >> gli disse porgendogli una borraccia.
<< Cos… Come sai di Atena? E cosa significa lezione? >> rispose lui, scivolando lentamente lungo il muro.
<< Beh, sappi che Atena e io abbiamo combattuto a fianco per molto tempo, ma io almeno ho capito che non bisogna mai giudicare una persona del primo sguardo. >> rispose lui, estraendo a mano tutte le frecce. Vedendo il ragazzo ancora confuso, continuò: << Il mio nome è Filottete. Ho combattuto a Troia,  dalla parte degli Achei. Se hai un minimo di cervello, saprai che dalla nostra c’era la Pallade, ed è lei che mi ha detto dove trovarti e che dopo sarei dovuto tornare a salvarti. >>
<< Filottete di Melibea?! Re Filottete di Melibea?! >> disse stupito Aristocle.
<< Non sono più re, ma è una lunga storia. >> disse l’altro, mentre stringeva saldamente la mano dell’uomo e lo aiutava a salire << Non bevi? Fidati, quella è ambrosia, ti rimetterà in sesto. >>
Sorretto dalla divina bevanda e dalle braccia del vecchio soldato, Aristocle tornò alla nave, dove con quelle poche energie che gli erano rimaste avvisò l’arrivo del nuovo membro della ciurma e la partenza fissata per l’alba di domani. Poi scese sottocoperta, seguito dal suo salvatore. << Posso chiederti una cosa? >> disse mentre si coricava sul letto.
<< Cos’è, vuoi una storia della buonanotte? >> rispose ridendo lui.
<< Più o meno, voglio la tua storia. >> disse Aristocle.
Filottete sospirò lentamente, prima di iniziare il racconto: << Vedi, questo arco fu dato a mio padre da Eracle in cambio della promessa ti tenere segreto il posto in cui sarebbe stata posta la sua pira. È arrivato a me con lo stesso patto, ma tutti mi pressavano per avere una risposta. Così salì sul monte in cui avevamo bruciato il cadavere del figlio di Zeus e lo puntai con un piede. Pensavo che se lo avessi fatto capire senza dirlo a voce non avrei rotto il patto. Mi sbagliavo. Quando fu il momento di partire per Troia, una maledizione mi colpì mentre eravamo a riposare su un’isola.  Un serpente mi morse e la ferita si infettò, provocando odori vomitevoli. Io e Odisseo sapevamo bene che non potevo combattere in quelle condizioni, così mi feci abbandonare sull’isola di Lemno. Tornarono anni dopo dicendomi che non potevano vincere la guerra senza di me. Così andai al campo, dove fui operato mentre una divinità mi fece addormentare. Mi asportarono la ferita e tornai alla battaglia. Vinsi e tornai a casa, ma scoprì ben presto che nessuno dei miei compagni era ancora tornato e raccontato la mia storia, quindi un avido principe fece spargere la voce che io ero maledetto e che tutto il mio popolo sarebbe stato colpito. Si ribellarono e mi cacciarono. Da quel giorno vivo sotto la falsa identità di Solone il povero pazzo. Stavo fingendo di vedere pecore nell’agorà, quando Atena mi si è affiancata e mi ha spiegato tutto. Ora però riposa, domani quando ti sveglierai salperemo. >>
Gli occhi di Aristocle si chiusero lentamente, per poi riaprirsi poco prima dell’alba. Era, suo malgrado, ancora abituato ai vecchi orari. Quando uscì vide qualcosa che non avrebbe mai scommesso fosse possibile. Muramasa stava salendo sull’albero maestro per andare sulla coffa, mentre Dilosfene usava delle apparecchiature per determinare la rotta. Nella parte sopraelevata, non visibile per chi esce da sottocoperta, c’era al timone Filottete. << Capitano! >> disse Dilosfene << Ho impostato la rotta, controllato l’anemometro, calcolato le razioni giornaliere e tracciato il percorso più adatto. Possiamo salpare quando vuole. >>
L’uomo ascoltò attentamente quanto disse il re, poi si rivolse al uomo di vedetta. << Pronto per ogni evenienza! >> disse il samurai. Quindi interpellò anche il nostromo. << Salpo quando vuoi! >>
Era pronto a dare l’ordine quando una voce femminile da sotto, sul molo, lo interruppe. << Voi, della nave! >> disse una figura tanto esile quanto misteriosa. Era una giovane ragazza dai lunghi capelli lisci ed avorio. Gli occhi color ambra perforavano l’anima di chiunque li guardasse, ma un lungo velo rosso con due lembi di tessuto che le arrivavano fino ai piedi, chiusi in fondo da due anelli dorati ciascuno, le copriva metà del volto. Alle due estremità c’erano dei cunei d’oro che venivano dati solo alle sacerdotesse dell’oracolo di Delfi. Portava un vestito marrone scuro e finemente ricamato diviso in due parti: una che copriva il petto e la spalla destra, dove non cadeva il velo; e una parte sotto, una specie di gonna molto più lunga da una parte, retta da una cintura di topazi a cui era legata una striscia di seta rosso sangue. Sopra quella cintura, sul fianco destro, aveva un tatuaggio che raffigurava un teschio e due piccoli pugnali, piccolo ma che sembrava per lei avere grande importanza. Portava infine un guanto rosso alla mano destra, con cui impugnavaa anche un bastone con sulla cima una campana, come tutte le sacerdotesse di Apollo. << Posso seguirvi? >> chiese fissando l’intero equipaggio.
<< Una donna! Sai, non sono un tipo scaramantico, ma non si accetta mai una donna su una nave se vuoi almeno provare a tornare a casa. >> disse Dilosfene.
<< Manchi di rispetto ad una ragazza coraggiosa. >> ribattè Muramasa << Se fosse stata mia imperatrice, mi sarei prostrato ben volentieri ai suoi piedi. >>
<< Per favore! >> tuonò Filottete << Mettiamola ai voti. >>
<< Io voto no per la nostra salvezza! Voglio raccontare questa storia ai miei figli. >> disse Dilosfene
<< Io voto sì per il nostro onore! Voglio raccontare questa storia ai miei figli… guardandoli in faccia. >> controbatté Muramasa, sottolineando con un duro tono di voce le ultime parole.
<< Beh, normalmente in questi casi mi inchinerei ad una sacerdotessa, ma dopo Troia fra me e Apollo non scorre buon sangue. Quindi non contate sul mio parere. >> disse Filottete,  per poi tornare al timone tanto silenziosamente quanto altezzosamente.
Dilosfene quindi riassunte il voto fino a quel momento: << Abbiamo un favorevole, un contrario e un astenuto. Quindi, capitano, il tuo voto è quello decisivo. >>
Aristocle stava per pronunciare un secco “no” quando gli venne un nodo alla gola. Vicino a lui era apparso lo spirito di sua moglie Metrodora. Si mise al suo fianco e si appoggiò al parapetto della nave. << N’è passato di tempo, Aristocle >> disse lei, guardandolo dal basso all’alto. Lui provò a dirle qualcosa, ma lei lo fermò. << Sono venuta qui per un semplice motivo. È da quando è successo che ti osservo e sei riuscito ad evitare tutte le possibilità che ti ha dato la vita. Non sei più l’uomo forte e coraggioso che ho sposato, quindi dovevo fare qualcosa. >>
<< Metrodora, io… >> sussurrò lui, ma lei fu più svelta e riprese: << So cosa vuoi dire, che ti dispiace, che vorresti essere morto anche tu, che almeno una delle due doveva sopravvivere, ma pensa a cosa ti succederà, non a quello che è già successo. Tieni i ricordi per le occasioni in cui saranno utili, tipo ora. Su, forza! Prima di decidere se farla salire o meno, chiedile come si chiama. >> detto ciò si allontanò e passò dietro il marito. << Ti amo, Aristocle. >> disse, appoggiando la sua ombra alla sua schiena. Uno strano senso di freddo attraversò il corpo dell’uomo prima di sparire assieme alla sua amata. Quando fu certo che era sparita, prese un bel respiro e pose la domanda: << Tu, qual è il tuo nome? >>
<< Mi chiamo Teofania >> disse lei, provocando in lui un sussulto. Senza pensarci due volte, disse: << Sali su. >> poi si voltò verso Dilosfene e chiese quanto ci avrebbero messo ad arrivare alle Colonne di Eracle. Il cipriota puntò con l’indice destro verso il sole, mentre inumidì il sinistro e lo alzò dritto in cielo. Muramasa lo guardava come se fosse pazzo, ma lui si limitò a dire: << Arriveremo precisamente al tramonto se partiamo… >> poi attese dieci secondi e rinumidì il dito, concludendo: << …ora! >>
<< Bene. >> disse Aristocle mentre la ragazza era ormai salita, aiutata dal giapponese, poi recisa la cima che li teneva amcorati al molo e disse << Uomini, andiamo! >>
   
 
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