Salve
a tutti!
Sfrutto questo momento di follia per pubblicare almeno il prologo di
questa
storia. Forse alcuni se ne accorgeranno, forse no, comunque questa
è la
revisione di una storia che ho pubblicato qualche anno fa. Ci sono
molto
affezionata, dal momento che l'ho lasciata fermentare nel mio
cervellino
iper-affollato per circa... Ehm... Sei o sette anni? Boh, non ricordo.
Comunque, si tratta della prima di due long-fic accomunate dal titolo
“Ἀνάγκη
ἀίδιος”
(lett. “legame eterno”), che spero di portare a
termine!
Ringrazio
chiunque vorrà leggerla e rimando alle
note a fine pagina per uno spiegone che sarà probabilmente
necessario!
Buona lettura,
Pilatigirls
E
d’ira terribile
ardea contro il padre...
Esiodo,
Teogonia
“Mi
dispero nel
constatare che il tuo senso dell’umorismo non è
migliorato nel tempo, fratellino”
ghignò sardonicamente Hades.
“E dire che sono passati millenni dall’ultima volta
che ho sentito la tua voce”
“Nemmeno
tu sei cambiato” flautò la voce da dietro
l’eterea tenda bianca che -ormai da secoli e secoli-
nascondeva il Sovrano
degli Dèi. “Sempre a fare lo scontroso, anche
quando le situazioni richiedono
il contrario. Cosa dice tua moglie di te?”
Il dio
dell’Oltretomba fece leva sulle braccia e si
puntellò sui palmi per non crollare a terra. Il cosmo enorme
e placido di Zeus
non si stava espandendo, ma esercitava comunque una pressione
considerevole sul
suo spirito. Non che ci volesse molto, nelle condizioni in cui si
trovava. “Non
parlo con Persefone dai tempi del Mito e tu lo sai”
mormorò sovrappensiero, in
ginocchio.
Una risata
unanime si alzò dal Concilio degli Dèi.
“Mio
caro fratello, non mi stupisce che tu sia così
maldisposto verso ogni genere di sentimento”
ridacchiò Era, seduta graziosamente
sulle scalinate del trono invisibile di Zeus. Si ravvivò i
capelli ramati che
le erano sfuggiti dalla corona di trecce. “Un po’
di amore fa bene a tutti”
“Non
quando è a senso unico” cinguettò
Afrodite,
appoggiata scompostamente allo schienale del suo trono bianco. Si
trastullava
con noncuranza con una lunga ciocca bionda, lisciandola con le dita, e
ogni
tanto lanciava occhiate allusive al dio della Guerra, davanti a lei nel
cerchio
di sedute.
Ares non
sembrava particolarmente interessato a quello
che stava accadendo. O meglio, preferiva non immischiarsi nel discorso
e
osservava attentamente il riflesso dei propri occhi nella lama della
sua spada
divina. Era assurdo quanto se ne stesse quieto quando non in battaglia.
“Avete
richiamato qui il mio spirito unicamente per
deridermi o per qualcosa di meno mortificante?”
domandò secco l’evanescente
contorno di Hades, rivolgendosi al fratello. “Me ne sarei
rimasto nell’Elisio,
se avessi saputo che volevi solo umiliarmi come al solito”
Oh, diamine. L’abitudine.
Hades sospirò dentro di sè, mentre gli occhi si
velavano per l’irritazione.
Niente gli avrebbe evitato una replica sardonica.
“L’Elisio
è distrutto, mi pare” borbottò Efesto,
incassandosi ulteriormente nelle spalle.
Appunto.
Hades
tacque, pieno di vergogna. Ogni dannata volta che
incontrava la sua ‘famiglia’ al completo, riusciva
sempre a dire la cosa meno
adatta al momento meno adatto, fornendo immancabilmente uno spunto per
qualche
nuova insinuazione, e loro –neanche a dirlo- non vedevano
l’ora di
approfittarne. Nonostante i millenni, rimanevano uguali a dei mocciosi
viziati.
Non si era mai pentito di esserci stato alla larga per la maggior parte
del
tempo. Preferiva di gran lunga il silenzio di pace dei Campi Elisi o le
grida
di dolore dei burattini di Atena.
“Sì,
è stato totalmente distrutto” confermava intanto
la
voce musicale di Zeus, tanto per sottolineare l’ovvio. La sua
ombra si mosse
appena dietro alla tenda bianca. “Ho chiesto alle Moire di
occuparsi delle
anime dei morti sistemandole nei livelli più alti del
Tartaro, ma si tratta
solo di una soluzione temporanea”
“Quale
magnanimità” il dio degli Inferi alzò
gli occhi
verso il soffitto per un istante, chiedendosi distrattamente quando
sarebbe
finita quella tortura, poi tornò serio, pur sapendo di
mostrare chiaramente la
propria vulnerabilità. Quelle –per fortuna- rare e
patetiche occasioni di
riunione erano le uniche in cui non riusciva a contenere le proprie
reazioni.
Odiava non avere sotto controllo le proprie parole, specie davanti a
quel
branco di idioti. “Non voglio la tua carità. Mi
hai assegnato l’Oltretomba e
non è affar tuo ciò che vi succede. Me ne
occuperò io”
“E
come?” lo derise Demetra, ritraendo ilare il capo
velato di verde. “La nostra piccola Atena ti ha ridotto ad
una parvenza di
spirito incapace di gestire il cosmo. Senza un aiuto da parte nostra
non ce la
farai mai a ricrearti un corpo mitologico. Vuoi vivere eternamente come
un
parassita nel corpo di quegli umani che disprezzi tanto? Anzi, nelle
condizioni
in cui sei è più probabile che finiresti per
distruggere anche il tuo
contenitore...”
Era sempre
lei la peggiore, lì dentro. Con
quell’espressione vagamente accusatoria e i lineamenti
austeri accartocciati in
una chiara esternazione di disgusto, gli provocava
l’irresistibile desiderio di
farle saltare la testa. E dire che era sua sorella... Come proprio
Demetra
diceva quando voleva insultarlo, lui aveva ereditato più di
tutti la violenza
degli dèi ancestrali. Cosa ci fosse di tanto sbagliato,
proprio non lo capiva:
meglio violenti che ipocriti e superficiali come i cosiddetti
‘Olimpi’. E poi
gli dèi antichi avevano avuto la fortuna di regnare in un
mondo ancora libero
dalla sporcizia umana. Erano da invidiare.
“E’
stata colpa tua, nobile zio” rincarò subito la
dose
Artemide, mettendo davvero molta poca convinzione nelle ultime parole.
Saggiò
quanto era tesa la corda del suo arco d’argento pizzicandola
con due dita. La
vibrazione si propagò in tutta la sala. “Non
avresti dovuto trascinare il tuo
regno nella contesa. Spingerti a tanto è stata la tua
rovina”
“Io
non direi” osservò Ermes con aria casuale.
“E’ stata
Atena a spostare la battaglia negli Inferi, no? Possiamo chiamarla una
‘mossa
vincente’...”
“Grazie
per i saggi consigli, amati nipoti” sibilò Hades,
indossando di nuovo la sua armatura di sarcasmo: era l’unico
modo per
interagire con quegli idioti senza dare eccessivamente a vedere quanto
lo
infastidissero le loro parole, prive di significato ma pregne di
insulti. “Ora,
se non vi dispiace, me ne torno nell’Erebo. Ho di meglio da
fare che restare
qui a farmi insultare. Vi pregherei di non ficcare ulteriormente il
naso nei
miei domini, nel frattempo... Addio, tanta felicità e figli maschi”
Alle due
ultime parole vide sussultare Era e nascose un
ghigno. Le bruciava ancora la storia di Eracle, eh? Proprio lei che si
riempiva
la bocca di parole tanto pretenziose sui sentimenti di coppia.
“Sei
stato richiamato qui” lo fermò Zeus, con la voce
per
la prima volta affannata “perchè noi possiamo
ripristinare il tuo corpo
originale”
“E
allora?!” ringhiò istintivamente, voltandosi di
scatto. I lunghi capelli neri, del colore che da sempre gli faceva
compagnia,
intangibili come il fumo, fluttuarono attorno alle sue spalle, mentre
rispondeva con rabbia. “Mi viene quasi da ridere, sai? Mi hai
chiamato qui
dalla dimensione degli spiriti per sbattermi in faccia quello che
potresti fare
per me. E allora? Sappiamo benissimo tutti e due che non fai niente per
niente”
Zeus aveva la dannatissima capacità di fargli perdere il
controllo e lo sapeva
bene.
Il signore
del Fulmine rise a bocca chiusa. “Infatti”
“Ti
odio con tutto il cuore, se ne ho ancora uno”
mormorò
a denti stretti Hades.
Si
sentì uno stupido, ma non riuscì a fare a meno di
dirlo. L’odio era un sentimento così banale,
così umano... Molto meglio
l’indifferenza, si ripeteva spesso. Peccato che alla fine suo
fratello gli
risultasse tutto tranne che indifferente. Doveva mettere la giusta
distanza tra
sè e lui, doveva rifugiarsi nell’archetipo che lo
avevano aiutato a costruire:
il malvagio parente riuscito male, bramoso della luce che risplendeva
sulle
cime dell’Olimpo, geloso del cosmo limpido e vitale delle
altre divinità e di
tutto quello cui erano riuscite a dare vita. La trovava una sensazione
piuttosto rassicurante; il loro scherno si infrangeva su una maschera,
un’illusione che ormai era parte di lui, ma non arrivava
abbastanza in profondità.
“Maledico
il giorno in cui ti ho aiutato a distruggere
nostro padre” Cosa decisamente vera, tra l’altro.
“Stavo meglio nell’Inferno
dentro di lui che in questo falso paradiso schiavizzato da
te!”
“Ne
prenderò atto” disse Zeus con voce condiscendente.
“Adesso vuoi sentire che cosa ti propongo?”
“Crepa!”
Augurio
adatto e doverosamente sentito, di certo, ma
decisamente poco consono alla sua situazione. Il dio
dell’Oltretomba si ripiegò
su se stesso a causa di un’improvvisa fitta. La sua forma
spirituale cominciò a
tremolare, mentre un dolore che non era nemmeno paragonabile a quello
inflittogli da Nike lo pervadeva. L’incorporeità
non serviva a nulla, se non a
indebolirlo e a imperdirgli di usare efficacemente il cosmo. Si
osservò le mani
artigliate al pavimento: i contorni pallidi tremolavano. O era la vista
che lo
stava disertando.
“Il
tuo debole spirito non può rimanere su questo Sacro
Monte un momento di più” lo ammonì
Demetra con il viso impassibile, ma sotto
sotto soddisfatto. “Torna pure nel limbo. È il
posto adatto a te, se non ti
degni nemmeno di ascoltare il tuo re”
“Quello
non è il mio re” chiarì Hades,
scoprendo i denti
mentre lottava con la forza che lo straziava da dentro. Il suo cosmo
premeva
per essere lasciato libero, attaccando le sue forze mentali come un
leone
intrappolato in una rete. Le stilettate di dolore erano del tutto
simili ad
artigli che squarciavano il velo della coscienza. Continuò
comunque a parlare,
le parole uscivano in sibili strascicati e rabbiosi.
“E’ solo un ragazzino che
è stato fortunato a nascere quando nostra madre si era
accorta di quello che
stava succedendo! Lo chiami re?!
Eppure è seduto lì solo grazie ad altri! Nostra
madre che l’ha salvato, Gea che
lo ha nascosto e protetto e aiutato a tirarci fuori dalla dimensione di
nostro
padre! E nella Titanomachia, chi l’ha aiutato ad uccidere
Crono? Chi ha
distratto il tiranno mentre io gli rubavo la Megas Drepanon? Poseidone!
Al
nostro re è bastato
solo scagliare un
colpo per aver ragione di un dio pazzo!”
Era
scattò in piedi sulla gradinata, stringendo i pugni
ingioiellati. “Smettila con queste blasfemie!”
“Sta’
zitta tu, sorella! Per tutti questi anni mi avete
tenuto rinchiuso sottoterra, a tenere a bada le mostruosità
che ci avete
nascosto per regnare incontrastati proprio qui, nei cieli! Non avete
mai voluto
che io fossi al vostro livello!” Si rivolse alla tenda
bianca. “Tu non mi hai
mai voluto al tuo livello,
Zeus! Di cosa avevi paura? Del fatto che io fossi il primo figlio
maschio?”
Zeus non
rispose.
“Non
mi è mai interessato il trono, te l’ho sempre
dimostrato con le parole e con i fatti! Ma voi non avete nemmeno voluto
considerarmi un vostro pari. Avevate bisogno di un antagonista, di
qualcuno
contro il quale gli umani potessero sviluppare un odio tale da
osannarvi ancora
di più! Io sono diventato lo strumento per ottenere le
preghiere ipocrite che
tanto volete, vero?! Chi meglio del signore della Morte poteva
spaventare i
vostri mocciosi umani?! Chi li poteva spingere nelle vostre
braccia?!”
Sul
Concilio degli Dèi crollò un silenzio perfetto,
mentre Hades stringeva gli occhi, attraversato da fitte sempre
più violente.
Non avrebbe resistito ancora molto lì, ma a tutti i costi
voleva sentire la
risposta di suo fratello, perennemente nascosto da quella tenda candida
come un
vigliacco.
“Mi
dispiace che la pensi così” disse Zeus dopo una
breve
pausa silenziosa. “Ora ti dispiace dirmi se hai intenzione di
dare il tuo
contributo o no?”
“Ma
muori!” Hades scattò in un gesto di insofferenza,
lasciandosi dietro tracce di fumo. Strinse convulsamente le pieghe
evanescenti
della sua veste nera, mentre si concentrava per tornare nel buio. Non
sarebbe
stato facile sopravvivere tra le nebbie dell’Erebo,
totalmente impotente. Senza
un corpo e una mente più che stabile, l’Inferno
avrebbe divorato poco a poco la
sua coscienza, aiutato dall’interno dal suo stesso cosmo, che
non vedeva l’ora
di riunirsi con il resto dell’energia primordiale. Non
esistevano divinità
senza corpo, non potevano esistere. Persino le Astrazioni ne
possedevano uno.
Ma questo i suoi cari familiari non potevano saperlo ed era decisamente
meglio
così.
“Nobile
zio, aspettate!”
Quella
voce lo bloccò. Non l’aveva ancora sentita, quel
giorno. In realtà non la sentiva da migliaia di anni. Lui e
quel nipote in
particolare non avevano mai avuto molto in comune, a parte quel piccolo
diverbio per quel pazzo di Asclepio. Ah, e naturalmente c’era
di mezzo anche il
suo odio viscerale per la luce.
Apollo si
alzò dal suo trono e camminò verso di lui senza
produrre il minimo rumore. I lisci capelli rossi si agitavano in lunghe
ciocche
disordinate, a malapena trattenuti da una spilla d’oro,
mentre gli occhi verdi,
felini, allungati come quelli di suo padre, si velavano per vedere
meglio.
Quando
parlò, il suo tono era totalmente distaccato.
“Senza un corpo, l’Inferno divorerà la
tua anima, mentre la mente verrà
sopraffatta dal cosmo e soccomberà. Erebo non perdona
nessuno. Senza un corpo,
la mente non è abbastanza forte da opporsi alle forze
cosmiche interne ed
esterne. Smetteresti di esistere”
Hades
represse uno sbuffo insofferente. Dimenticava
quella dannata capacità di vedere ogni cosa, venuta da
chissà dove, che aveva
il suo illuminante nipote.
“Lo so”
ringhiò, esasperato. Ci mancava solo la scenata di finta
pietà. “E non sono
affari vostri”
“Sono
affari nostri, invece” ribattè vivacemente Zeus.
Per un istante ad Hades parve di sentire la voce energica di suo
fratello che
faceva piani di battaglia contro i Titani. Una voce ancora infantile ma
decisa.
“Sarebbe una noia doverti rimpiazzare”
“Capisco”
sillabò il dio degli Inferi. “Quindi voi mi
state chiedendo di farvi un favore in cambio di un corpo, spacciando
l’offerta
come una dimostrazione di pietà, mentre i primi che
trarrebbero vantaggio se io
lo recuperassi siete proprio voi... Lasciatemi dire che la coerenza non
è di
casa, qui sull’Olimpo”
“Niente
al mondo è coerente” Zeus liquidò la
faccenda con
una velocità spaventosa. “O quasi... Allora, cosa
farai?”
Hades
detestò con tutto se stesso la propria debolezza,
schiavo come qualsiasi volgare umano del desiderio di sopravvivere.
“Accetto”
soffiò tra i denti, prima che rimorso e riflessioni glielo
impedissero. Se il
dolore che avrebbe dovuto sopportare fosse stato anche minimamente
peggiore di
quello che stava provando, non avrebbe mai resistito. E poi rivoleva il
suo
corpo. A tutti i costi.
“Ottimo”
Avrebbe potuto scommetterci, suo fratello aveva
stampato in faccia il sorriso ironico che mostrava sempre quando
distruggeva un
nemico. “Ma ho bisogno della tua parola”
“D’accordo”
Si sentiva sconfitto, umiliato. La sensazione
di valere meno di zero era paragonabile solo al dolore che gli aveva
inflitto
il saint di Pegasus nell’Era Mitologica. Dolore che lo aveva
spinto a chiudersi
in una bara per non fare più i conti con i suoi limiti
reali. “Ce l’hai. Giuro
sullo Stige che mi impegnerò a portare a termine quello che
chiedi, sei
contento?” Nessuno poteva sapere quanto gli costasse
pronunciare quelle parole.
Lo dilaniavano nel profondo, molto più del dolore che gli
provocava la mancanza
di un corpo. Ma almeno sapeva che non era un dolore reale. Si poteva
tentare di
ignorare.
“Molto
contento, fratello”
“Meno
male. Non vorrei mai essere fonte di dispiacere per
te, mio re” Hades si
trattenne dal
ridacchiare a quel titolo che così poco si addiceva a quello
che un tempo era
stato il suo fratellino, la creatura tutta occhi blu e capelli biondi
che aveva
visto quando era uscito dalla dimensione di Crono. “Avanti,
cosa vuoi che
faccia?” Domandò, allargando le mani con aria
disponibile. In realtà non vedeva
l’ora di andarsene da quel luogo maledetto, sparire dagli
sguardi cangianti dei
divini Olimpi, riuniti al gran
completo. O quasi.
“Una
minaccia alla nostra autorità sta andando formandosi
sulla Terra” spiegò freddamente Apollo, mentre le
sue pupille scomparivano
nelle iridi vuote. “Araios genos, o
wanax
ouranon te asteron dunamei, basileus kai uios tes metros basileias,
Kosmon
lusei”
“Maledetto
per stirpe, il signore dei cieli con il potere
delle stelle, re e figlio della madre regina, distruggerà
l’ordine del mondo”
Hades guardò le altre divinità, che parevano a
disagio. “Oh, vi fa così paura?
Le parole fanno male, ma non uccidono. E’ forse una
profezia?”
“Di
solito, quando Apollo è in quello stato...”
Seccata,
Artemide accennò con il mento al gemello, rigido e immobile
“si tratta proprio
di una profezia”
Troppo
diretta per capire una domanda retorica, eh?
“E
non è tutto” soggiunse Ermes, socchiudendo gli
occhi
scaltri. “Qualcuno sta provando a toglierci di mezzo sulla
Terra. Certo, in
modo poco efficace, ma il pericolo c’è. Ci sono
stati numerosi attacchi nei
nostri templi, volti senza dubbio ad indebolire i cosmi posti a
protezione dei
nostri territori. Le statue sono state mutilate, alcuni manufatti
rubati”
“Avete
paura che il vecchio Urano torni a reclamare
l’ambito titolo di ‘Tiranno incontrastato del
cosmo’?” domandò Hades, scettico.
Come no. “Eppure lo sanno tutti che non ne ha la forza,
altrimenti lo avrebbe
già fatto millenni fa. Persino uno come Atlante riesce a
sigillare il suo
potere, dopo la lezione che gli ha impartito Crono. E poi non credo che
per voi
costituisca davvero una minaccia”
“Per
noi no, ma per gli umani sulla Terra sì”
rettificò
Zeus. “Ed è per questo che tu e Atena vi
impegnerete a debellare la minaccia”
“Io
e chi?!”
Hades spalancò gli occhi, attonito. “Starai
scherzando, spero. E per quegli
idioti degli umani? Ma piuttosto mi getto direttamente nel Tartaro.
Figurarsi
se collaboro con quella stupida idealista inutile, dopo tutto quello
che mi ha
fatto passare”
“Non
scherzo affatto, fratello. Passare un po’ di tempo
tra gli umani raddrizzerà almeno un minimo quel tuo
carattere impossibile”
ridacchiò il dio del Fulmine.”Nel frattempo
potresti approfittarne per imparare
da Atena come si vince una battaglia”
A questo
punto scoppiarono tutti a ridere, tranne Ares,
che al contrario mostrò un’espressione piuttosto
scocciata. Rinfoderò la lama
al di sopra di una spalla e si accinse a lasciare la sala, scuotendo
vagamente
le trecce castane. Sparì silenziosamente oltre la parete
dietro al suo trono,
improvvisamente diventata uno squarcio spazio temporale.
Hades dal
canto suo decise di avere un assoluto bisogno
di sfogare l’ira e si preparò a fare altrettanto,
sforzandosi di evitare di
pensare alle conseguenze di un giuramento sacro infranto. Era
più doloroso il
suo orgoglio ferito o il cosmo che lacerava la sua anima
dall’interno? La sua
sorte era vincolata a quella domanda, ma decise di ignorarla. Non si
sarebbe
abbassato a collaborare con Atena.
Concentrò quel
poco di cosmo che ancora riusciva a controllare e si preparò
ad uscire dalla
dimensione d’influenza di Zeus.
Un istante
dopo era schiacciato a terra, con la guancia
contro il marmo freddo. Qualcosa lo premeva verso il basso,
impedendogli di
muoversi. Un cosmo molto potente e riconoscibile. Ringhiò la
sua frustrazione.
“Lasciami andare, Zeus!”
“Non
credo che lo farò” fu l’irriverente
risposta. “Tu
esaudirai la mia richiesta nel tuo stesso interesse”
decretò, gelido e
lapidario come un Giudice Infernale.
“Bastardo!”
sibilò Hades, contraendo il volto in una
smorfia irata. “Lasciami!” Aveva lasciato che
persino un essere umano mettesse
le briglie al suo potere e alla sua volontà, ma non
l’avrebbe permesso a Zeus.
Provò a bruciare il cosmo, ma ottenne solo una fitta
più profonda che gli
tagliò in due il cuore.
L’ichor
bagnò il pavimento prima ancora che si accorgesse
di stare vomitando con rantoli convulsi.
“Lasciami,
Zeus, maledizione!” tossì, sentendo il sapore
amaro del suo sangue in bocca.
“Ecco
quello che farai” spiegò inflessibile e chiaro suo
fratello, sovrastando i suoi conati. “Scenderai sulla Terra,
ti approprierai di
un corpo come ti piace tanto fare e andrai ad Atene. Lì
riporterai in vita i
saint di Atena e ti impegnerai a risolvere questa sgradevole
situazione. Sono
stato abbastanza preciso?”
“Potrebbero
andare dalla mia Sacerdotessa” propose la
voce di Apollo, da qualche parte fuori dalla sua visuale.
“Con l’aiuto di Gea
potremmo scoprire di più su questo irriverente
nemico”
“Saggio
come sempre, figlio mio” commentò benevolmente
Zeus. “Mi sembra un’ottima idea. Tu cosa ne pensi,
fratello?”
Hades
avrebbe voluto rispondergli in modo estremamente,
schifosamente umano, ovvero con un insulto, ma il dolore e
l’ichor in bocca gli
permisero di emettere soltanto un suono strozzato. Strinse i pugni con
rabbia,
mentre le sue fattezze transitorie vacillavano come un riflesso
nell’acqua.
“Lo
prenderò per un sì” annunciò
Zeus.
Spiegone
finale
Allora,
due cosine riguardo alla terminologia
usata... Innanzitutto, “corpo mitologico”
– si intende il corpo originale della
divinità, quello con cui può sprigionare tutti i
suoi poteri e che rappresenta
il suo aspetto. Poi si parla di “mente”,
“cosmo”, “anima” e
“corpo”. Ecco,
secondo la mia teoria, la storia sarebbe questa: il corpo è
il contenitore di
mente, cosmo e anima. Serve a tenerli in contatto e a farli funzionare
correttamente, inoltre impedisce che il cosmo vada a ricongiungersi con
le
“forze primordiali”, ovvero le forze da cui trae
origine e che permeano
l’universo. Per “mente” e
“anima” si intendono due cose diverse: la
“mente” è
ciò che governa il corpo e il cosmo e dà origine
anche ai tratti caratteriali e
al pensiero razionale, l’ “anima”
è un nucleo spirituale più profondo, diciamo
l’essenza dell’individuo.
“Anima” e “mente” possono
essere unite –anche se non
molto precisamente- nel termine “coscienza”. Ad
esempio, quando un dio possiede
un essere umano solitamente gli infonde il proprio cosmo e la propria
anima,
lasciandogli una certa libertà (vedi Saori o Aaron in Lost
Canvas), ma può
arrivare anche a sostituirsi a lui aggiungendo anche la mente. Ok, non
uccidetemi!
Ultimissima
cosa: non ammazzatemi per la parte in
greco! Non ho usato l’alfabeto greco perchè 1) Non
avevo voglia di mettermi a
controllare spiriti e accenti 2) Non tutti riescono a leggerlo. Chiedo
venia XD
Magari un giorno rimedierò u.u
Se
non siete ancora morti, vi ringrazio ancora, vi
saluto e ci vediamo *coff coff* eventualmente *coff coff* al prossimo
capitolo!