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Autore: theda    11/08/2016    2 recensioni
Lucien Grimaud: un essere crudele plasmato dagli orrori della guerra e da un destino che lo ha portato ad incontrare una ragazza capace di scorgere in lui qualcosa di diverso. Un assaggio del passato di un uomo senza morale prima che il suo sguardo incrociasse quello di Athos sul campo di battaglia.
[dal testo:]
Lei si alzò, portò con sé quello straccio macchiato di sangue e lo intinse con il vino contenuto in una bottiglia che era appoggiata su un tavolo vicino alla parete. Tornò verso di lui e con molta meno grazia rispetto a prima gli disinfettò la ferita. Bruciava come se vi avesse posato sopra un tizzone ardente, ma lui sopportò il dolore digrignando i denti.
“La sofferenza vi renderà più forte.”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Grimaud, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Suffering makes us strong
One shot / Personaggi: Lucien Grimaud, OC

Lucien Grimaud: un essere crudele plasmato dagli orrori della guerra e da un destino che lo ha portato ad incontrare una ragazza capace di scorgere in lui qualcosa di diverso. Un assaggio del passato di un uomo senza morale prima che il suo sguardo incrociasse quello di Athos sul campo di battaglia.


 
Suffering makes us strong
part I -prologue-

Freddi e leggeri fiocchi di neve caddero sul suo corpo, nascondendola lentamente sotto un sottile strato di ghiaccio. La sua pelle era diventata bianca, le sue labbra blu. I suoi capelli erano l’unica parte del corpo a non aver cambiato colore. Nonostante fosse ormai pallida e gelida, rimaneva la creatura più bella sulla faccia della terra. E una volta era sua.
I suoi occhi erano rimasti aperti. Era morta fissando il cielo. Si avvicinò a lei, si inginocchio e portò le sue dita verso quegli occhi opachi, chiudendole gentilmente le palpebre per sempre. Rimase lì per un po’ a guardarla diventare una cosa unica con il terreno innevato mentre l’aria fredda gli intorpidiva i muscoli e gli penetrava nelle ossa. Tutto ciò che desiderò fu toccarla e sentire il suo tocco ancora una volta. Ma il suo corpo era diventato freddo come il marmo e il suo calore ormai era solo un vago ricordo.
Si rialzò. La neve sul suo mantello e sul suo cappuccio cadde. La macchia rosso scuro sul petto di lei era ormai stata ricoperta completamente dalla neve. Entro mattina il suo corpo non si sarebbe più visto. La neve sarebbe diventata la sua tomba. Non avrebbe mai immaginato che il vestito che stava indossando, lo stesso che lui le aveva dato settimane prima, sarebbe diventato la sua bara.
Si voltò e raggiunse il suo cavallo. Un cavallo nero come la sua anima. Aspettò un minuto, o forse di più, prima di montare.
Cavalcò. Cavalcò più veloce che poté. Scappò da lei. Era triste, amareggiato, disperato, confuso, ma era anche furioso e pieno di rabbia. Quando si fermò si rese conto che per la prima volta nella sua vita il suo viso era umido.

 
Suffering makes us strong
part II -how it began-

Si ritrovò nelle cantine del monastero che aveva intravisto poco prima con vaghissimi ricordi su come ci fosse entrato. La tempia pulsava e il sangue gli colava lungo il volto, impedendogli di tenere aperto l’occhio sinistro. Si spostò a tentoni, un po’ per la poca luce che illuminava gli ostacoli davanti a lui e un po’ per la vista che iniziava ad annebbiarsi. Inciampò su qualcosa che non aveva visto e cadde goffamente addosso ad una serie di bottiglie di vetro allineate su uno scaffale che caddero con lui, frantumandosi sul pavimento e facendo un rumore che avrebbe risvegliato i morti dal loro riposo.
Si accasciò al suolo, privo di energie e con la ferita che gli bruciava sempre di più. Cercò di risollevarsi ma una scheggia di vetro gli si conficcò nel palmo della mano. Emise un urlo simile ad un ringhio e cadde nuovamente. Durò tutto pochi secondi, ma in quel breve frangente la sua mente si riempì di ricordi.
Era poco più che un ragazzino, eppure era già un uomo. Sapeva cacciare, sapeva scuoiare le prede, sapeva sparare ai briganti che decidevano di attaccare il suo villaggio. Sparò a uno di loro una notte d’autunno. Le braccia gli tremarono, l’adrenalina lo pervase, sensi di colpa non ne aveva. Gli piacque. E gli piacque così tanto che desiderò ci fosse un altro brigante nascosto da qualche parte da poter stanare e uccidere. La scena cambiò improvvisamente. Era tutto nero e sentiva solo delle voci echeggiare. Una su tutte la voce di quella donna che lo aveva cresciuto al posto di sua madre. Theresa. Era stufa di sentirsi chiedere continuamente le stesse cose, e glielo disse, gli rivelò la verità su suo padre: un moschettiere che aveva approfittato di una donna indifesa. Fu quel giorno che venne a sapere che altri non era se non il figlio della debolezza e della codardia.
Sentì il sangue ribollire e la rabbia pervaderlo come quel giorno. Insultò silenziosamente il destino, che proprio in punto di morte doveva ricordargli le sue origini e deriderlo. Chiuse gli occhi sperando che quei ricordi lo abbandonassero per sempre. Attese che la morte calasse la sua falce su di lui, che lo liberasse da tutta quella solitudine che l’aveva sempre fatto soffrire più di un coltello piantato nel fianco.

Era vivo. Gli venne da ridere. Era proprio contraddittorio con sé stesso. Aveva così tanto desiderato che la morte lo strappasse da quella misera vita, eppure quando si svegliò fu quasi sollevato di non essere morto.
Sentì un rumore, uno scricchiolio. Aprì gli occhi in fretta e la luce del sole lo accecò. Si sollevò per cercare il pugnale che teneva come sempre sotto il cuscino, ma non lo trovò. La testa gli si svuotò e le forze lo abbandonarono. Era lì, debole e inerme davanti al suo assassino. Non sarebbe nemmeno riuscito a difendersi.
L’uomo entrò e si diresse con passo affrettato verso di lui. Fruscio di vesti. Calde mani si posarono sulla sua tempia e si sporcarono del sangue che aveva iniziato a sgorgare nuovamente.
“Non dovevate alzarvi così in fretta.”
Note meno gravi di quelle che si aspettava. Una donna. Aprì gli occhi lentamente, abituandoli alla luce di quella stanza. Una luce che proveniva da un’alta finestra e lo investiva in pieno. Un odore di chiuso e vino nell’aria. Era la stessa cantina in cui si era ritrovato senza capire come.
La ragazza gli levò le bende pregne di sangue e le immerse in un recipiente pieno d’acqua che si trovava ai bordi di quel letto realizzato con una cassapanca, lenzuola e cuscini polverosi. Il liquido trasparente si tinse di rosa. Prese uno straccio e lo inumidì con quell’acqua. Lo portò verso la sua tempia per pulirla dal sangue fresco e da quello che si era seccato ore prima, ma lui la fermò. Le afferrò il polso in una stretta morsa e lei fece cadere lo straccio fradicio e pesante sul suo torace.
“Chi sei?”
“La vostra ferita si è riaperta, va medicata o potrebbe infettarsi. Lasciate che ve la pulisca prima.”
Ignorò completamente la sua domanda. Ciò lo fece innervosire.
“Ti ho chiesto chi sei.”
“Lasciatemi il polso, mi state facendo male.”
Le avrebbe lasciato il polso per darle un sonoro schiaffo ma si trattenne. Un po’ anche perché non ne aveva le forze e la testa gli girava. La liberò dalla morsa e lei riprese lo straccio umido e iniziò a ripulire la ferita.
“Appena starete meglio ve ne andrete e vi dimenticherete di tutto. Che senso ha che io vi dica il mio nome? Così come non voglio nemmeno sapere il vostro. Un uomo ferito nella cantina di un monastero, sicuramente in fuga dai suoi assalitori. Meno so di voi e meglio è, non credete?”
Lucien rimase in silenzio mentre quelle mani continuavano a prendersi cura di lui. L’unica cosa che ottenne con questa risposta fu la consapevolezza che, forse, in quel frangente non era in pericolo di vita.
“E perché ti stai prendendo cura di un uomo ferito nella cantina di un monastero? Non sai e non vuoi sapere nulla di me, cosa ti dice che non approfitterò di una tua distrazione per tagliarti la gola e fuggire?”
Lei si alzò, portò con sé quello straccio macchiato di sangue e lo intinse con il vino contenuto in una bottiglia che era appoggiata su un tavolo vicino alla parete. Tornò verso di lui e con molta meno grazia rispetto a prima gli disinfettò la ferita. Bruciava come se vi avesse posato sopra un tizzone ardente, ma lui sopportò il dolore digrignando i denti.
“La sofferenza vi renderà più forte.”
“Le domande te le devono sempre fare due volte prima di avere una risposta? Hai idea di quanto sia fastidioso?”
“Non mi stupisce che qualcuno abbia cercato di uccidervi. Siete maleducato oltre ogni limite. Vi sto curando, non ho fatto parola a nessuno della vostra presenza qui e mi addosserò anche la colpa per tutte quelle bottiglie che avete rotto tentando di fare chissà cosa, e voi mi minacciate. E dite pure che sono fastidiosa!”
Lei si alzò e lo lasciò lì ad incassare il colpo. Era veramente incapace ad avere buoni rapporti con le persone. Si chiudeva come un riccio e riusciva sempre a ferire tutti.
“Ci sono caduto addosso. Alle bottiglie, ci sono caduto addosso. Non l’ho fatto apposta.”
Lei tornò con delle garze pulite che gli sistemò con cura.
“Ora rimanete qua e cercate di fare meno movimento possibile. Tornerò verso sera per cambiare nuovamente queste garze.”

E lei tornò. Dalla finestra entrava solo una tenue luce lunare e intorno a lui incombeva il silenzio quando la porta si aprì dolcemente e lei fece il suo ingresso. Controllò che nessuno l’avesse seguita e richiuse la porta. Gli venne incontro con del pane e una ciotola di minestra ormai fredda.
“Starete morendo di fame immagino. Non mi è stato facile prendere queste cose senza farmi notare.”
Adagiò la cena su una sedia che spostò vicino alla cassapanca da cui Lucien non si era ancora alzato da quando era lì.
“Posso alzarmi e andare verso il tavolo.”
“No, rimanete lì. Non vi gira ancora la testa?”
Lucien non rispose e si limitò a sollevarsi leggermente per potersi sistemare con la schiena contro il muro. La testa pulsava ancora e stare sollevato lo faceva sentire come intorpidito. Tentò di mangiare qualcosa ma più che fame aveva sete. Si guardò intorno e il suo sguardo cadde sulla bottiglia con il vino che lei aveva usato per disinfettargli le ferite.
“Avete sete? C’è solo vino.”
“Non è un problema. Anzi.”
Quando la bottiglia giunse tra le sue mani se la portò alla bocca e bevve velocemente tutto il liquido che era rimasto. Era caldo, ma servì a placargli la sete. Rimase con la bottiglia in mano a fissare quella misteriosa creatura che nel frattempo stava aprendo un’altra bottiglia per intingere uno straccio pulito con il vino, pronta a medicarlo nuovamente.
“Se non sai chi sono è meglio per entrambi, su questo ti do ragione. Hai comunque capito che sono un poco di buono, eppure stai qui a preoccuparti della mia salute quando avresti potuto lasciarmi morire dissanguato. Perché aiutarmi?”
“Perché avrei dovuto lasciarvi morire? Perché siete un poco di buono? Vi ho trovato svenuto sul pavimento in una pozza di sangue. In quel momento non ho visto in voi né il bene né il male, ma solo una persona sofferente. Non ho pensato a chi foste o perché si trovaste in quello stato. Ci ho pensato dopo. E anche adesso non mi importa saperlo.”
“Stai aiutando un assassino, un ladro, un mercenario. Sopravvivo rubando e uccidendo uomini su commissione. Quando ero bambino fuggivo da una parte all’altra della Francia per evitare la guerra e la fame, ora inseguo la guerra per approfittare di chi ha bisogno di un uomo che faccia il lavoro sporco al posto loro. Approfitto di una situazione orribile come la guerra per fare fortuna e non mi faccio scrupoli di coscienza a infilare la lama del mio pugnale nella pancia o nella gola di uomini innocenti. Ma uno dei miei uomini mi ha tradito, ha offerto la mia testa ai soldati francesi affinché mi arrestassero e mi portassero a Parigi dove avrei dovuto pagare per tutti i miei peccati, probabilmente con l’impiccagione. Ha prima accoltellato gli altri due del mio gruppo quando io non c’ero, poi mentre tornavo verso di loro mi è comparso alle spalle e mi ha aggredito. Quel cane mi ha colpito in testa con un masso, lo stesso che poi ho usato per restituire il favore con gli interessi. Il suo cadavere ora giace con la faccia tumefatta e i denti rotti da qualche parte in un boschetto qua vicino. Dopo essermi occupato di lui ho sentito un rumore di zoccoli, probabilmente i soldati francesi a cui mi aveva venduto, così sono fuggito e sono capitato qui, come sono entrato non lo ricordo. Ora non saprai il mio nome ma almeno sai cosa sono. Dimmi un po’, hai ancora voglia di disinfettare le mie ferite o preferiresti che muoia per qualche infezione?”
La ragazza rimase immobile, in piedi. La luce lunare gli impediva di vedere il suo volto e di capire se fosse disgustata, indignata, triste o insensibile a tutto questo. Tutto tornò silenzioso, tranne che per un suono di voci unite che intonavano il Padre Nostro. Gli ricordò di essere in un monastero e che da qualche parte, là sopra, delle suore stavano pregando.
“Voi siete crudele con gli altri ma siete soprattutto crudele con voi stesso. Sono sicura ci sia del buono anche dentro di voi.”
“Non c’è niente dentro di me.”
Di nuovo il silenzio, di nuovo le flebili voci.
“Dovrei essere a pregare. Pregherò anche per voi. La vostra ferita può aspettare domani mattina.”
Lasciò tutto sul tavolo: la bottiglia aperta, lo straccio inumidito con il vino, le garze che aveva nascosto nelle maniche del vestito. Uscì senza guardarsi indietro e quando chiuse la porta il silenzio tornò a incombere. La preghiera andò avanti per una decina di minuti, poi il monastero cadde nel silenzio tombale. Se non fosse stato circondato da damigiane e bottiglie vuote avrebbe detto di essere in una cripta.

Lei entrò, questa volta con passo frettoloso e vistosamente nervosa. Il rumore della porta che si aprì lo destò dal suo riposo. Nemmeno il tempo di portarsi una mano agli occhi per ripararli dalla luce mattutina che ancora lo investiva che lei era lì, di fianco a lui, e gli stava già levando le bende dalla testa.
“Non ho mai corso da una parte all’altra della Francia e non ha vissuto in prima persona gli orrori della guerra. Mio padre è un conte di questo territorio e fin dall’infanzia ho vissuto nell’agio e non mi è mai mancato nulla. La mia sfortuna è di essere nata donna in un mondo di uomini, dove loro decidono per me. Ho tentato la fuga da casa quando venni a sapere che mio padre aveva accettato di darmi in moglie a un nobile vedovo che ha quasi il triplo della mia età. La mia fuga è durata un giorno. Quando mi ha ritrovata mi ha portato qui, dove suore mi sorvegliano affinché io non lasci mai le mura. Non mi è permesso uscire finché non verrà il giorno in cui mio padre verrà e mi porterà dal mio promesso sposo. So che mio padre non cambierà mai idea perché questo matrimonio è troppo vantaggioso per lui, non mi è rimasto altro che pregare. Pregare affinché quel vecchio che devo sposare tiri le cuoia. Non mi importa come. È vecchio, gli può succedere di tutto. Può cadere dalle scale, ruzzolare giù da cavallo, ingozzarsi con un tozzo di pane, non mi importa. Basta che muoia e mi lasci tornare a casa. Le pare che siano richieste che una persona dovrebbe fare a Dio?”
Mentre raccontava tutto questo non smise un attimo di occuparsi della ferita. Lucien non sentì nemmeno il bruciore quando l’alcol toccò la sua tempia.

La mattina dopo lei venne a dirgli addio. Quando entrò non aveva la solita tonaca beige che aveva indossato fino a quel momento, ma un vestito di seta rosa, che faceva risaltare i suoi boccoli corvini.
“Ormai state meglio, vi conviene lasciare oggi stesso questo posto prima che qualche suora vi trovi qui. In questa cantina c’è una porta chiusa dall’interno che dà sul cortile interno. Approfittate della notte, quando non ci sarà nessuno in giro. Troverete il portone del monastero chiuso ma la serratura è difettosa in realtà, ho visto che lo aprono senza la chiave, basta tirare molto forte.”
Si chiese perché, se sapeva fosse difettosa, non avesse mai cercato di fuggire da quella situazione. Ma gli bastò osservarla per trovare una risposta. Vestito di seta. Una nobile. Sapeva curare ferite, probabilmente anche fare il bucato, rammendare i vestiti, cucire e altre attività inutili. Là fuori non sarebbe durata un giorno. Aveva già tentato la fuga ma suo padre la ritrovò e la spedì in monastero. Se non l’avesse trovata suo padre l’avrebbe trovata qualcun altro e non le sarebbe andata così bene.
“Verrai con me?”
“Cosa?”
“Ma se vuoi restare qui fa pure.”
Lucien si diresse verso la porta e armeggiò con il lucchetto. Era talmente vecchio e arrugginito che si dovette impegnare per riuscire a far girare la chiave e far scattare la serratura. Prima di lasciare la cantina si voltò. Lei era ancora là, immobile.
“Allora?”
“Non posso. Mio padre mi sta aspettando e-”
“La tua ultima chance.”
“Cosa ci guadagno a seguirvi? Siete un mercenario, un assassino, un ladro, il male, dentro siete vuoto, vi siete dipinto voi così. Seguendovi avrò un futuro migliore?”
“No, non migliore, ma almeno diverso.”


Suffering makes us strong
part III -how it shouldn’t have ended-

Scapparono da quel monastero insieme, rubando uno dei cavalli nel cortile e ignorando le grida del padre di lei che li intimava di fermarsi e tornare indietro. Lucien non conosceva quei luoghi e lasciò che fosse il cavallo a guidarlo verso un posto lontano da quel monastero, lontano da tutti. Fece solo attenzione a non imbattersi in soldati francesi. Poco gli interessava dove sarebbe andato. Uno dei suoi compagni lo aveva venduto e gli altri erano morti. Si ritrovava al punto di partenza. Ma era differente questa volta. Durante la fuga aveva continuato a respirare il profumo che veniva da quei boccoli scuri. “L’amore mi ha reso debole”, continuava a ripeterselo come un mantra.

Lei continuava a parlargli in modo formale anche dopo settimane dalla loro fuga. Lo infastidiva. Aumentava la distanza tra loro quando avrebbe voluto che quella distanza non esistesse per nulla. Poi iniziò a parlargli in tono informale e si affidò a lui con tutta sé stessa. I suoi artigli non la ferirono. Non in quel momento almeno.

Un pomeriggio lei scomparve. Si era allontanata per stare un po’ da sola in mezzo ai boschi e non era più tornata. Lui era preoccupato. Fuori faceva freddo e aveva ripreso a nevicare. Uscì a cercarla ma di lei nessuna traccia. Solo impronte di cavallo sulla neve. Corse a prendere il suo stallone nero e le seguì. Lo portarono alla villa di un nobile. Non si preoccupò di entrare di soppiatto, anzi, fece il suo ingresso con la spada sguainata, sicuro che alla sua vista la servitù si sarebbe dileguata. E così fu. Giunse senza troppi intoppi in una sala con un camino acceso e molti quadri appesi. Un uomo sulla sessantina era in piedi a guardare fuori dalla finestra.
“Ne hai di fegato a entrare nella villa di un nobile così.”
“E tu ne hai di fegato a portare via ciò che è mio.”
“Tuo? Lei non è mai stata tua. È mia di diritto, ci sono documenti che validano la nostra unione.”
“Ingoia quei fogli e soffocatici pure. Ha scelto di fuggire piuttosto che sposarti. Ha scelto uno come me e una vita di miseria piuttosto che questo.”
“Ha scelto il figlio bastardo di una battona e un soldato francese. Conosco la tua storia, Grimaud. Non fare quella faccia, sei famoso, dopotutto. Hai sempre assolto i tuoi compiti in maniera impeccabile, è ovvio che tu sia conosciuto, e temuto anche. Per sapere la tua storia poi basta chiedere ai topi di fogna della tua specie. È un mondo piccolo, Grimaud.”
“Sai chi sono, eppure mi sfidi.”
“Ti sfido perché quelli come te dovrebbero rimanere a strisciare nelle fogne e non uscire all’aria aperta e fare i loro comodi. È una lezione. La prossima volta rimani nascosto nelle tue tenebre e nessuno soffrirà.”
“Lei non ha nessuna colpa in tutto questo.”
“Davvero? Nessuna?”
“Lasciala andare.”
“L’ho già fatto. Perché non vai a vedere tu stesso? Qualche chilometro a nord c’è una piccola radura. Un bel posto in estate con tutti quei fiori, in inverno è solo una distesa innevata. La troverai lì.”

Lucien cavalcò veloce, così veloce che i fiocchi di neve gli graffiarono il volto. Temeva ciò che avrebbe trovato in quella radura. Nel suo cuore cresceva la paura, lo sovrastava, gli riempiva le vene, gli faceva mancare il respiro, gli chiudeva la gola. Giunse alla radura. La vide in lontananza in mezzo alla neve, in quel vestito verde, intonato ai suoi occhi, un regalo che lui le aveva fatto qualche settimana prima. Non si muoveva. Era distesa, fissava il cielo. Lui la chiamò. Nessuna risposta. Scese da cavallo, le si avvicinò. La neve sotto di lei era rossa. Il suo sangue era ormai freddo e non scioglieva più quei cristalli di ghiaccio.

Mentre tornava verso quella villa nel suo cuore cresceva la rabbia, lo sovrastava, gli riempiva le vene, gli faceva stringere i denti, gli impediva di pensare e di elaborare il lutto. Si presentò nuovamente in quella sala. L’uomo aveva atteso il suo ritorno. Aveva fatto accendere delle candele e si era seduto vicino al camino.
“Ti aspettavo.”
“Avevi fretta di morire?”
“Sapevo che avrei pagato il gesto con la morte. Ma almeno morirò con la certezza che nemmeno tu l’avrai. Mai. Né lei né quell’oscenità che sarebbe nata.”
“Perché? Perché lei? Perché me?”
“Tu? Che vuoi che ti dica? Tu perché sei tu. Un topo di fogna. Un bastardo. Feccia che cammina. Quelli come te non meritano la felicità e l’amore. Lei perché ha avuto a che fare con te. Dimmi, Grimaud, mangeresti della carne avariata di cui i vermi hanno già iniziato a cibarsi, o la butteresti via?”
Lucien infilò nel fodero la sua spada e con cura si levò tutte le armi che aveva addosso. Slacciò il mantello e lo appoggiò sulla poltrona vicino alla finestra. Con passi fermi e decisi si avvicinò a quell’uomo. L’aria si faceva sempre più calda man mano che si avvicinava al camino. Lesse nei suoi occhi il terrore. E lo lesse per molto tempo, perché fece durare la sua dipartita da questo mondo il più a lungo possibile.

 
Suffering makes us strong
part IV -how it never ends-

L’immensa pianura era ricoperta di bionde spighe di grano. Il vento soffiò tra queste e le mosse gentilmente. Il sole le illuminava e le cicale frinivano tra esse. La quiete dopo la tempesta. In mezzo al campo i corpi di soldati spagnoli innaffiavano il terreno con il loro sangue. La battaglia era finita. I francesi avevano vinto e avevano abbandonato lì i cadaveri privati delle loro armature e armi, lasciandoli a macerare sotto il sole di giugno.
Un corvo atterrò sulla testa di uno di questi corpi, gracchiò e beccò l’occhio di quel soldato. Un altro lo raggiunse per il banchetto, poi un altro ancora. In pochi minuti c’erano corvi ovunque che si azzuffavano per i pezzi più succulenti di carne.
Lucien seguì i corvi e camminò in mezzo a quei cadaveri. Si guardò in giro e girò un uomo sulla schiena aiutandosi con un piede. I soldati francesi presero tutto ma si dimenticarono di un anello d’oro al dito di un uomo trapassato da una lancia. Glielo sfilò e studiò la gemma rossa da vicino. Brillava come se fosse caldo sangue liquido. Lo indossò sull’anulare, di fianco a quello che aveva recuperato da una battaglia precedente. Ancora altre tre battaglie e avrebbe avuto un anello per ogni dito.
Lasciò i corpi alle sue spalle e recuperò il suo cavallo. I corvi erano ancora intenti a banchettare e dal cielo continuavano ad arrivarne altri. Quando giunse a La Rochelle, la città più vicina, poteva ancora sentirli gracchiare.
La città era colma di gente agitata che correva da una parte all’altra con le proprie cose, pronta a lasciare la città prima possibile. La guerra era giunta alle porte di La Rochelle e la gente iniziava a temere che sarebbe potuta diventare il campo della prossima battaglia. La battaglia di una guerra che nessuno di loro comprendeva.
Una donna vide Lucien a cavallo. Prese il suo piccolo bambino in braccio e scappò via da lui. Lucien la seguì con lo sguardo. Il bambino lo fissò dalle spalle della madre. Non era terrorizzato. Era troppo piccolo per capire cosa stesse succedendo. Era come lui: tutto ciò che Lucien ricordava della sua infanzia era l’essere trascinato da un posto all’altro senza capirne il motivo. Un altro bambino che avrebbe vissuto gli orrori della guerra, che avrebbe sofferto, che sarebbe diventato come lui. “La sofferenza ti rende più forte”. Così gli aveva detto lei una volta. Ma ti rende anche più solo. In quel momento fu felice che suo figlio non fosse mai nato.
  
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