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Autore: NerdiaInArkham    12/08/2016    3 recensioni
«Tim, sei tu?»
Joker Jr si gode lo spettacolo di Red Hood che cade in pezzi con un sorriso giocondo stampato in volto.
Diavolo, non se la sarebbe mai aspettata così divertente, la reazione.
Ride.
Ride forte, a lungo, e la sua voce riecheggia per tutto il tendone.
Per una volta non si ritrovava ad urlare “Il mio nome non è Tim”.
[ . . .]
« Chi è Tim? » dice, con voce melliflua, per poi scoppiare a ridere di nuovo.
Si sta burlando di lui.
Della sua faccia sconvolta, del suo credersi invincibile, del suo stupido ragazzino morto.
E' tutto andato, e nei suoi occhi si legge la realizzazione della verità.
JJ comincia a piangere dal ridere e deve togliersi un guanto per asciugarsi un occhio, scoprendo la pelle del suo colore naturale.
«Dovresti vedere la tua faccia, Jason» dice con convinzione il suo nome, lo evidenzia quasi, scandendo ogni sillaba. «Sei esilarante!»
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bat Family, Harley Quinn, Jason Todd, Tim Drake, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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«Bel ritratto di famiglia quello sul camino» dice sarcastico, indicandosi  alle spalle con un pollice. Non ha fatto nemmeno in tempo a tornare alla villa che l’ha notato. È riuscito a beccare Tim per il corridoio, probabilmente è reduce dalla ronda e da una doccia. Porta quella dannatissima tuta grigia da casa.  Antistupro, pensa .
Lo ha avvisato che sarebbe tornato a Gotham per un po’. È solo per quel  motivo che Jason si è fatto vivo alla villa. Coi suoi tempi. 
 
Appena l’ha visto Tim ha accelerato  il passo nella sua direzione, ma  ha frenato bruscamente non appena  l’altro ha cominciato a parlare.
 
«Ci sono proprio tutti»  aggiunge Jason, casco sottobraccio, mentre guarda l’altro avvicinarsi più lentamente. «Anche Alfred.»
 
«Jason»  la voce di Tim è calma,  anche se la sua espressione è mortificata.
 
«Lo so che probabilmente  Bruce non voleva  la pecora nera nel ritratto di famiglia, ma poteva avvisare. Tu potevi avvisare.»
 
Tim lo guarda con tanto d’occhi, stupito. Probabilmente non si aspetta quella sfuriata senza prima un saluto, un ciao, un ehi, come va? o magari  un  ciao, non ci vediamo di persona da un mese e mezzo, ma sappi che mi sei mancato da morire, come va?
 
«Credevo lo avesse fatto Bruce» dice, mormorando quasi. «Ha detto di averlo fatto, io non ho fatto domande perché  credevo  tu avessi declinato. Mi avevi detto di essere impegnato con  Kori e Roy  in quella faccenda dei narcos.»
 
«Ero nel mio rifugio a dormire a quel punto, probabilmente» replica Jason duramente. Pensa che probabilmente era sull’isola. E questo spiegherebbe perché non ha ricevuto alcuna chiamata  e perché il paparino ha perso le sue tracce.
 
Fa per aggiungere qualcosa, ma si rende conto che sarebbe stupida come cosa.
 
E poi Tim lo sta fissando come se si aspettasse di essere preso a insulti da un momento all’altro.
 
Non guardarmi con quegli occhi, Rimpiazzo.
 
Sospira. No. Non lo insulterà, non lo prenderà a pugni. Non più, ormai. E non se lo merita. Non è colpa sua.
 
«Non importa» dice infine, dopo una pausa che sembra infinita. Se l’è presa con lui solo perché è stata la prima persona che si è trovato davanti.
 
Cioè, non la prima, ma figurarsi se osa dare di matto addosso ad Alfred.
 
Allarga il braccio libero e abbozza un sorriso nella sua direzione. «Vieni qui.»
 
Tim si tuffa letteralmente ad abbracciarlo e potrebbe dire addio alle costole  per quanto lo stringe  A volte dimentica quanto Tim in realtà sia forte. Di solito dà la colpa ai suoi occhi o al fatto che li dividano qualcosa come trenta centimetri di altezza.
 
«Spero che vada tutto bene con gli Stupidi Titani. Anzi no, dimmi che Gar ha mischiato del frammenti di  kryptonite con i cornflakes della versione aliena di Ken Magica Estate.»
 
Tim scoppia a ridere contro al suo petto e poi alza il viso a guardarlo, senza però staccarsi di un centimetro. «La cosa più inquietante è che dici sul serio.»
 
Lo preferisce quando è senza quel costume addosso, sembra un ragazzo normale e a Jason sono concesse tutte le battute squallide che in  missione non potrebbe mai dire. Anche se spesso le dice lo stesso.
 
«Ho fiducia in Garfield. È uno dei pochi decenti che hai» gli accarezza il volto con la scusa ti spostargli i capelli troppo lunghi dal viso, poi si china appena e gli lascia  un bacio sulle labbra. Cazzo, se gli è mancato. «E non posso farci niente se detesto quella copia taroccata di Superman.»
 
«Ma se a stento lo conosci!»
 
«Ti ronza troppo intorno.»
 
«Jason…»
 
«Non tentare di farmi cambiare idea, peggioreresti la situazione, Rimpiazzo.»
 
 
 
 
«Sei ancora  incazzato per il ritratto di famiglia?»
 
Jason si stringe nelle spalle.
 
Brucia come un palo incandescente su per il culo, ma che vuoi farci. Tanto non mi aspettavo di essere particolarmente benvoluto qui intorno. A parte da te. O da Alfred. O da Titus, ma giusto perché lo faccio ingozzare di schifezze quando è con me. Damian mi ucciderebbe se lo scoprisse, magari un giorno quel cane rotolerà per colpa mia. A proposito di rotolare, e la mucca? Qualcuno ci pensa a quella mucca? E il tacchino?
 
«Jason?»
 
«Nah» 
 
«Sicuro?»
 
«È stato solo un momento. Mi dispiace essermela presa con te.»
 
L’altro sembra starci a pensare un po’. Alfred, il gatto di Damian, si è appallottolato sul materasso, accanto a i cuscini, poco più su delle loro teste. Non può crederci che quel gatto si chiami davvero così. E ancora deve capire quando si è infilato in camera di Tim, che tra l’altro non è cambiata  per niente, le solite foto al muro, le solite scartoffie, il solito PC e le solite  schifezze, tra indumenti e altro, che lascia a terra come se fosse troppo impegnato per tirarle su e appoggiarle da qualche parte.
 
«A me non va che tu non ci sia però.»
 
«È tutto ok. La mia brutta faccia vi avrebbe fatto sfigurare. Non pensi che l’acido del Joker abbia fatto un bel lavoro?»
 
Non lo sta nemmeno sentendo, si è girato su un fianco e si sta sporgendo verso il comodino. Jason ne approfitta per avvolgergli le braccia intorno ai fianchi. «Che stai combinando?»
 
«Rimedio» dice il ragazzo, agguantando il suo cellulare e farsi indietro, rubandogli un bacio e passandogli il telefono. «So che sai il codice, apri la fotocamera.»
 
Jason prende il  telefono e si acciglia, guardandolo. «Scusami?»
 
«Scatta tu. Hai il braccio più lungo» spiega Tim con semplicità, sorridendogli. «Poi ti giuro che la stampo e la infilo nella cornice del quadro.»
 
 
***
 
 
Se l’è portata dietro due anni e mezzo.
 
Due fottuti anni e mezzo in cui è scomparso senza lasciare alcuna traccia.
 
Ma non ha avuto scelta. Ha fatto male, ma è stato giusto. Non poteva fare altrimenti.
 
Un discreto lasso di tempo, certo. Non si è fatto neanche sentire mezza volta.
 
Bruce non sarà contento. Dick non sarà contento. Alfred non sarà contento. Damian forse lo prenderà a calci. Cassandra gli rifilerà il trattamento del silenzio
 
Gioco di parole ammirevole.
 
 e non sarà contenta.
 
E Tim. Non sa Tim come potrebbe reagire. Forse lo odierà. Molto probabilmente lo farà.

Non sa se lo ha aspettato, non sa se ora, mentre Jason si sta dirigendo verso la civiltà, è a New York o a Gotham.
Non sa se sta bene, se si è rotto qualche osso recentemente.
Non sa come ha passato questo tempo senza di lui.
Non sa se ha finito ad odiarlo.
Non sa se ha pensato a lui mezza volta in questi anni.
Non sa se Tim ha pensato a lui tanto quanto Jason ha fatto.
 
Vorrebbe che lo sapesse. Ha pensato a lui ogni giorno, ogni notte, da quando lo ha lasciato solo.
 
Non ha nemmeno preso in mano un giornale, guardato un notiziario, non sa cosa è accaduto a Gotham. Se Joker è ancora a piede libero, se lo sono ancora Crane, Nygma e Tetch.
 
Perché se c’è qualcuno che davvero non vuole vedere sono loro tre.
 
Due anni e mezzo fa è successo abbastanza.
 
Il tempo passato all’Unica Casta lo ha aiutato a porre rimedio ai danni di quell’accaduto, per questo può tornare a Gotham. Lo ha promesso.
 
Non impazzisce all’idea di rivedere Bruce, ma forse, un po’, neanche gli va di sapere come reagirebbe Alfred vedendolo ritornare con tutta calma, a piedi, con mezzi di trasporto pubblici, passaggi.
Beh, può scordarselo, l’aereo, data la roba che ha nel borsone logoro che in questo momento gli sta battendo sulla schiena ad ogni passo.
 
Che ore sono?
 
19.46
 
Sta facendo buio e lui è stanco.
 
Alza lo sguardo quando si trova davanti un cartello, asciugandosi il sudore con il dorso della mano.
 
Smallville.
 
Ha ancora un bel po’ di strada da fare, ma sarebbe vergognoso  fermarsi. Fermarsi, poi, è un parolone, dove cazzo speri di fermarti se ti trovi a Smallville? Nei campi di mais? Con il culo che Jason ha come minimo gli cadrebbe un piccolo kryptoniano davanti e no, se può evitarlo, lo fa con piacere.
Superman è uno di quei tizi che Jason non vorrebbe mai incontrare in una giornata no.
È praticamente un dio, se una mattina il boyscout d’America si svegliasse e decidesse di distruggere il mondo perché ha pestato una puntina da disegno a piedi nudi potrebbe potenzialmente farlo.
 
E come lui anche Kara, e Jason l’ha purtroppo sperimentato a sue spese. E anche Conner, nonostante abbia metà del gene Luthor in corpo, se un giorno decidesse di fare una frittata di Stupidi Titani potrebbe farlo senza alcun problema, d’altronde non gli sembra neanche che non l’abbia mai fatto.
 
Dio. Conner Kent. Perché è finito a pensare a quel coglione pompato?
 
Sbuffa. La pazienza si dilegua ogni volta che pensa al fatto che Tim sia suo amico.
 
Davanti a lui compare una fermata per il bus e neanche si rende conto di esserci arrivato con le sue gambe. È solo un palo piantato al lato della strada, in una striscia di spazio che divide un campo – indovinate? Di mais! dalla strada asfaltata. Tutto ciò che Smallville ha da offrire.
 
Jason si appoggia ad esso, e solo allora si rende conto che i piedi praticamente gli bruciano.
 
È praticamente circondato da fattorie. E campi. E pascoli.
 
Se passasse almeno un’auto si sentirebbe meno un profugo.
 
Dietro di lui, campo di mais. Davanti, un campo intero di simili di Bat-Bistecca che pascolano placidamente, agitando le code per scacciare le mosche e facendo suonare i campanelli che hanno al collo. Intravede un paio di fattorie, una, quella a cui probabilmente appartiene il campo di mais, ha un silos così alto da superare il tetto della fattoria stessa, l’altra ha un paio di stalle enormi.
 
Mucche. Impiegano spazio.
 
Solo Damian si tiene una mucca in una caverna. Assieme ai pipistrelli che Alfred nutre personalmente.
 
Cazzo, alla villa hanno problemi seri con gli animali.
 
Una mucca alza il muso dall’erba e resta a fissarlo, masticando tutto ciò che i suoi quattro stomaci possono sopportare.
 
Che animali intelligenti.
 
«Che c’è?»
 
Una mosca si appoggia sul naso del ruminante, indisturbata. Carolina neanche si scuote per allontanarla.
 
«Fai bene a mangiare. Tu sei la prossima. Devi essere bella succosa.»
 
Non scherziamo neanche, a lui andrebbe un hamburger anche ora.
 
«Che c’è? Qui a Smallville non siete abituati alla gente che prende il bus?»
 
A quanto pare no, perché il bus con la vernice arancione che cade a pezzi passa e inchioda con molto ritardo, ormai l’area di sosta è passata da un paio di metri. Che organizzazione da schifo.Su un fianco del mezzo c'è una pubblicità della Luthor Corp. Interessante.
 
«Ci si vede, Carolina. Non ingrassare troppo.»
 
Non è possibile stia parlando davvero con una mucca, la saluta perfino, e quella gli rivolge una delle sue occhiate sveglie, alzando la coda e scaricando una quantità significante di schifo.
 
Jason è sicuro di starle davvero molto simpatico.
 
Sale sul bus e fa il biglietto sul momento. La prossima fermata è Central City.
 
Dire che su quel mezzo scassato ci sia poca gente è un eufemismo.
 
L’autista, una vecchia signora con un fazzoletto in testa e una busta strapiena di pesche, un ragazzino con quella che sembrava essere la sorella maggiore – complimenti alla mamma, un tizio baffuto, in fondo intento a leggere il giornale.
 
Jason riesce a leggere poco della prima pagina, ma si parla di cronaca nera. Gotham City, ovviamente.
Spera con tutto il cuore che quel tizio si scordi il giornale sul bus, alla sua fermata. Ha bisogno di vivere un po’ nel presente, dannazione.
 
Si siede su uno dei posti a metà fila sinistra, accanto al finestrino, e appoggia il borsone al suo fianco.
Che paura farebbe Red Hood in questo momento. Pistole e casco nel borsone, su un bus nel mezzo dei campi, diretto a piedi a Gotham City.
 
Non vuole esagerare, ma sul pavimento c’è un sottile strato di terra e sporcizia vecchio di anni, negli angoli può trovarci anche un po’ di fieno e oggetti persi chissà quanto tempo prima. Per non parlare degli scossoni che il mezzo intero prende ad ogni cazzo di buca e, fidatevi, per le strade di Smallville ce ne sono un bel po’.
 
È un bottone di legno quello? Ha! Ti piacerebbe. No, è una blatta.
 
Che schifo.
 
Appoggia la schiena al sedile, sperando che una molla non decida di saltare contro la sua schiena proprio in quel momento. Sbuffa.
 
Chissà quando potrà farsi una dormita decente. Una volta a Central City alloggerà al primo Bed and Breakfast disponibile, tanto ha contanti a sufficienza.
Kori e Roy sono probabilmente sull’isola ora, ma prima di ripartire è riuscito a farsi dare abbastanza soldi per non rimanere totalmente a terra.
 
Scarica il borsone sul sedile accanto al suo per toglierselo dai piedi e si caccia qualcosa dalla tasca della giacca.
 
Ci ha provato a non farla stropicciare, quella foto. Ci tiene. È l’unica cosa che si è portato dietro dalla villa quando quella notte di due anni e mezzo prima se ne è andato.
Quando è sceso nel salotto è stata l’unica cosa che ha avuto l’impulso di non lasciare indietro.  
Non è neanche un granché come foto. Tanto per cominciare, lui è in mutande, Tim indossa quella dannatissima tuta antistupro che usa come pigiama ed entrambi hanno dei capelli orrendi, come se il gatto di cui si vede solo la coda avesse deciso di giocare con le loro teste. In più, è pur sempre una foto fatta con un cellulare. Un cellulare costoso, ma un cellulare.
Già la mattina dopo averla scattata, Jason aveva trovato Tim in salotto intento a sorseggiare caffè macchiato di fronte alla sua nuova opera, infilata nell’angolo in basso a destra della cornice.
E rimase lì finché lui non decise di portarsi dietro un pezzo di vita.
L’ha sempre tenuta accanto. Sotto al cuscino, accanto alla stuoia su cui dormiva, nella tasca interna della giacca. È sempre piegata in quattro, rovinata da far schifo, eppure Jason non può fare a meno di guardarla ogni volta che può.
Quando era all’Unica Casta, era il suo monito, qualcosa di bello da ricordare, il motivo per cui stava facendo tutto ciò e da cui poteva tornare.
 
E ora lo sta facendo.
 
 Sta tornando.
 
 Non accadrà di nuovo ciò che è successo anni prima, non lo permetterà. Non permetterà più ad altra gente di avere il controllo di lui.
 
Sta tornando.
 
Sta tornando a casa.
 
   
 
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