Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Echo42    13/08/2016    3 recensioni
Lentamente allontanò il ferro da quella pelle candida e giovane. Quella pelle così pura e immacolata, bianca come il latte. Si sentì così sporco in quel momento.
La sua pelle macchiata del sangue di mille uomini.
Il suo odore muschiato, pungente.
Le sue parole sempre volgari, ma dirette.
I suoi modi bruschi e violenti.
Le aveva promesso che non le avrebbe mai fatto del male e adesso era la sua spada quella alla gola di Sansa Stark. Si sentì un mostro. Si sentì come suo fratello.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Petyr Baelish, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Sandor:
Catene
 
L’odio.
Era questo il primo sentimento a cui aveva pensato quando quel grottesco prete gli aveva chiesto cosa lo avesse tenuto in vita. C’aveva pensato su, per un po’, mentre agonizzava prima di perdere i sensi così a lungo da credere davvero di esserci rimasto secco. Sentiva le sue braccia flosce lungo il corpo deturpato dai lividi e dai colpi inferti da quella sottospecie di femmina. Per tutti e sette i dannati inferi, ancora non ci credeva che era stata una donna a batterlo. E tutto per la stupida mocciosa Stark.
Finiva sempre così, ogni volta che c’erano quei dannati Stark in mezzo. Lui diventava un totale coglione e rischiava di rimanerci secco. Come quando aveva salvato l’uccelletto.
In quel caso, però, era diverso. Non aveva davvero rischiato la vita e anche se l’avesse fatto non gliene fregava un cazzo. L’uccelletto andava salvato. Non poteva fare la fine di una comune puttana di Fondo delle Pulci. Non l’avrebbe mai permesso.
Da quando l’aveva vista spaventata con quei suoi occhi incuriositi dalle dame della capitale, aveva sentito qualcosa che con il tempo si era avvicinato ad un sentimento simile all’empatia, anche se avrebbe staccato la testa a morsi a chiunque, anche al re in persona, se qualcuno gli avesse messo davanti l’amara verità.
La verità dove lui un tempo era stato fottutamente ingenuo come lei e ne aveva pagato il caro prezzo. Lo stesso prezzo che vedeva ogni volta che quel borioso stronzetto del re la torturava per passare i suoi pomeriggi di ozio.
Leggeva negli occhi di lei una supplica. La stessa che lui aveva negli occhi mentre si rendeva conto di cosa suo fratello era stato in grado di fargli. Dopodiché il nulla. Solo rabbia, vendetta, vuoto.
Prima di lei.
Aveva avuto diversi momenti dove il suo unico desiderio era quello di piantare la sua spada su per il culo del re, quel piccolo figlio di puttana biondo, ma era sempre riuscito a fermarsi in tempo con l’unica idea che rimaneva un chiodo fisso nella sua testa, la sua catena legata saldamente alla sua cuccia d’odio.
- Lei non mi vorrà mai.
Una sera in particolare aveva quasi creduto di poterla spezzare quella catena, che con impietosa forza lo aveva trattenuto tutto questo tempo: durante la Battaglia delle Acque Nere, mentre tutto fuori bruciava, Sandor Clegane aveva un unico pensiero.
- Fottuti gli dei se muoio senza prima aver visto di nuovo l’uccelletto.
Così era diventato un disertore, mandando a farsi fottere il re e la sua dannata guerra. Si era recato nella stanza di Sansa Stark, prevedendo l’arrivo della ragazza, troppo spaventata per restare con le altre dame. Lei non era una dama qualunque. Quando aveva sentito la porta aprirsi sotto il leggero tocco della ragazza, era rimasto nell’ombra ancora con la caraffa di vino in una mano. Cazzo, se era ubriaco. E lei era dannatamente bella. Solo gli dei sanno da quando voleva strapparle quei bei vestiti di seta da dosso e farla sua tutta la notte.
Sansa non si era nemmeno resa conto della sua presenza. Quella ragazza era sempre così vulnerabile. Chiunque avrebbe potuto ferirla. O meglio, avrebbero potuto provarci. Li avrebbe sgozzati tutti, uno ad uno.
- Uccellino – aveva biascicato con la sua voce dura, mentre l’alcol gli martellava in testa – Sapevo che saresti venuta – disse tappandole la bocca prima che iniziasse ad urlare come un maiale sgozzato. Era terrorizzata, glielo leggeva in faccia. Odiava quello sguardo impaurito nei suoi confronti, lo mandava in bestia. E tutto ciò che riusciva a fare era spaventarla ancora di più.
- Se urli ti uccido – la sua voce era severa mentre la lasciava libera – Farai bene a crederci – Aveva il respiro affannato, lo sentiva. La battaglia, il vino e lei così vicina e sola davanti a lui. Poteva sentire il sangue ribollirgli nelle vene, mentre il suo basso ventre risvegliava le sue pulsioni animali.
Per i sette fottuti dei, doveva calmarsi.
Si avvicinò al comodino e bevve una lunga sorsata di vino. Allontanarsi da lei gli era sembrata la cosa migliore. Altrimenti l’avrebbe presa. Proprio lì, anche su quel pavimento.
- Non t’interessa sapere chi sta vincendo la battaglia, uccellino?
- Chi? – disse la ragazza con quei grandi occhi sbarrati dal terrore.
Ha paura di te.
Lei non ti vorrà mai
.
- So soltanto chi ha perduto – rispose Sandor con un’amara risata e il peso di quella catena che affannava anche il suo respiro – Io.
La guardava e vedeva che lei non capiva. Non capiva mai niente, l’uccellino. Troppo stupida, troppo ingenua, troppo buona.
- Che cosa hai perduto? – gli chiese ad un tratto.
- Tutto – si limitò a dire, mentre nella testa gli si paravano tutte le cose a cui stava rinunciando dopo quella dannata battaglia delle Acque Nere. Stava davvero perdendo tutto. La sua posizione di prestigio, il denaro e soprattutto lei. Tutto per colpa di quel fottuto nano che aveva dato fuoco all’intera baia. C’era gente carbonizzata ovunque e lui lo odiava lo stramaledetto fuoco. Fottuto Folletto. Avrebbe voluto strangolarlo con le sue mani, quell’abominio della natura. Almeno lui era stato reso un mostro da suo fratello. Il Folletto invece era deforme di suo. E sembrava sempre non fottergliene un cazzo. E Sansa lo aveva accettato il suo aiuto quando Ser Meryn la massacrava di botte. Il nano aveva fatto la sua solita entrata ad effetto e l’aveva portata via come uno di quei disgustosi cavalieri dall’armatura scintillante che l’uccelletto amava tanto. L’unica cosa che aveva potuto fare per lei era stata quella di darle la sua cappa dorata per coprirsi dagli occhi di quegli stronzi damerini di corte. Avrebbe voluto cavare gli occhi a tutti loro.
Invece adesso era costretto a montare in sella a Straniero lasciandosi alle spalle il maledetto Continente Occidentale. Non che gli dispiacesse poi tanto. Si era davvero rotto le palle di servire boriosi lord ancora puzzolenti di latte. Quando disse all’uccellino che era in partenza, vide uno strano sguardo nei suoi occhi, in un misto di contentezza e angoscia.
- Perché sei venuto qui? – chiese la Stark con meno timore di prima e quello sguardo più audace del precedente creò una morsa allo stomaco del Mastino.
- Mi hai promesso una canzone, uccellino. O hai dimenticato?
Ma lei voleva dimenticare, lei non lo voleva. Un nuovo sguardo di puro terrore le riempì quei suoi grandi occhi azzurri e Sandor tramutò la sua passione in una rabbia improvvisa.
- Tutto ti fa paura. Guardami. Guardami!
Sapeva di non essere bello. Sapeva di non essere un cavaliere, lui li odiava i fottuti cavalieri. Sapeva di essere sporco di sangue e di sudore e che il suo profumo era quello del ferro dell’armatura, non delle rose di Alto Giardino. Sapeva che lei non lo voleva.
- Io potrei tenerti al sicuro – rantolò il Mastino, quasi in una supplica dove la implorava tacitamente di andare oltre le apparenze, almeno per una volta. Di andare oltre il mostro che era quando stava in quel mondo pericoloso e disumano – Tutti quanti hanno paura di me. Nessuno ti farà mai più del male. Se lo faranno, io li ucciderò.
Per un momento, un solo attimo della sua vita, Sandor Clegane non si sentì più un cane, ma un uomo in carne ed ossa. Non lo era stato, nemmeno quando fotteva le puttane dei bordelli di Ditocorto. Era meno di una bestia, mentre raggiungeva il culmine per il semplice gusto di sfogarsi.
Attirò a sé Sansa Stark, così bella e fragile, poteva sentire il suo esile corpo infrangersi contro la sua muscolatura possente, mentre i palmi delle mani erano poggiati sul petto, sopra l’armatura sporca di sangue. I loro sguardi erano incatenati l’uno all’altro, mentre quella catena sembrò spezzarsi come il più fragile dei fuscelli. Forse…forse lei lo voleva.
Avvicinò così tanto il suo viso a quello dell’uccelletto che poteva sentire l’odore di vino uscire dalla sua bocca socchiusa. Strano che la ragazza avesse bevuto. Lei lo odiava il vino, a quanto sapeva. Forse la paura l’aveva indotta a cercare nel vino qualcosa che la consolasse come lui l’aveva cercata nelle tante notti solitarie dove non poteva pensare a nient’altro che alla sua bocca, ai suoi capelli baciati dal fuoco, al suo corpo ancora acerbo…
Quanto avrebbe voluto assaggiare quelle labbra.
Arrivò così vicino da sfiorarle finché non si accorse che la ragazza aveva chiuso gli occhi, terrorizzata dal mostro che non riusciva nemmeno a guardare per l’orrore, per il disgusto di qualcosa che lei mai avrebbe voluto. Quella catena tornò a strozzarlo, a fargli male. E Sandor Clegane conosceva soltanto un modo per sfogare il suo dolore. Provocando dolore a sua volta.
- Proprio non riesci a guardarmi, vero? – la presa gentile con cui l’aveva afferrata si tramutò una furia violenta mentre la scaraventava grezzamente sul letto, puntandole la spada alla gola – Avrò quella canzone. Canta, uccellino, canta, se vuoi vivere.
E allora accadde. Lei cantò.
La sua fottuta ballata fatta di cavalieri e delle loro puttane, ma lei la stava cantando per lui. Non gliene fregava un cazzo in quel momento che lui l’aveva costretta, che era la sua spada quella vicino alla gola della ragazza e non la sua bocca che tanto avrebbe voluto farla fremere. Lentamente allontanò il ferro da quella pelle candida e giovane. Quella pelle così pura e immacolata, bianca come il latte. Si sentì così sporco in quel momento.
La sua pelle macchiata del sangue di mille uomini.
Il suo odore muschiato, pungente.
Le sue parole sempre volgari, ma dirette.
I suoi modi bruschi e violenti.
Le aveva promesso che non le avrebbe mai fatto del male e adesso era la sua spada quella alla gola di Sansa Stark. Si sentì un mostro. Si sentì come suo fratello.
All’improvviso, senza sapere come, Sansa appoggiò una mano sulla sua guancia sana, mentre continuava a fissarlo non più terrorizzata, ma quasi con compassione per tutto quello che suo fratello gli aveva fatto. Lei lo sapeva. Glielo aveva raccontato lui stesso e adesso lo vedeva nei suoi occhi, mentre i polpastrelli della ragazza percorrevano la guancia priva di cicatrici, in una tacita scelta di ciò che per la prima volta lei aveva scelto di vedere.
Non più il Mastino.
Non più il Mostro.
Ma l’Uomo.
La catena si spezzò definitivamente, mentre per la prima volta dopo tanto tempo si sentiva totalmente vulnerabile, come se la sua armatura si fosse sciolta insieme all’Altofuoco. Qualcosa si ruppe insieme alla catena e tutto il suo odio, la sua rabbia, furono inghiottite soltanto da una tristezza devastante. La stanza era troppo tenebrosa perché lei potesse vederlo, ma le sue dita percepirono qualcosa oltre all’appiccicoso del sangue. Qualcosa che non era sangue.
- Uccellino… - disse un’ultima volta il Mastino, la voce aspra che celava un singolo, solitario singhiozzo. Dopodiché, si alzò dal letto e scomparve oltre la porta, lasciandole come unico dono la sua cappa dorata, che Sansa strinse a sé, prima di scoppiare a piangere.
 
Con la mocciosa Stark, invece, era stato tutto diverso. Quella fottuta ragazzina gli faceva venire i brividi. Aveva fegato, non glielo poteva negare, ma sin dal primo momento in cui voleva spaccargli il cranio con un grosso masso non si era mai fidato di lei. Non era dolce e bella come sua sorella. Era selvaggia come il suo Metalupo.
La Fratellanza senza Vessilli si sarebbe fatta pagare bene per riportarla alla sua famiglia, prendendosela comoda tra saccheggi e furti. Lui poteva fare quella vita meglio di loro e prendersi l’oro che la ragazzina gli avrebbe fruttato, prima di andarsene lontano.
Attirò gli uomini dei Lannister vicino all’accampamento della Fratellanza, sperando che abboccassero alla ghiotta opportunità di massacrare e depredare altri leoni.
Aveva seguito la ragazzina mentre scappava in quel gran baccano che stavano creando e aveva visto gli uomini di Beric cercarla nella foresta. L’afferrò all’improvviso, tappandole la bocca.
- Scalcia pure quanto vuoi, lupacchiotta. Ti servirà a ben poco.
I giorni seguenti era stato un continuo scontrarsi con la mocciosa-Lupo. Non stava un minuto zitta e solo gli dei sapeva quanto fosse arrogante. Si credeva forte, ma non lo era poi così tanto.
- Esistono uomini peggiori di me – le aveva detto una volta. Ed era vero – Uomini che stuprano le ragazzine…
Gli tornò in mente il suo uccellino, quando fu aggredita a Fondo delle Pulci. Quei tre pezzenti le stavano addosso, tenendole le gambe aperte, mentre lei urlava in preda al panico. Non era mai stato così incazzato in tutta la sua vita. Al primo di loro aveva cavato le budella fuori dal suo miserabile corpo. Li aveva sgozzati e sbudellati come bestie da macello. E solo perché avevano osato toccarla.
Toccare ciò che lui non avrebbe mai avuto.
- Una volta ho salvato tua sorella da uno stupro – disse in sella a Straniero mentre la ragazzina teneva il broncio. Ovviamente la mocciosa Stark non credette ad una parola. Lei non ci provava nemmeno ad andare oltre la sua brutta faccia. Specialmente dopo la storia del garzone del macellaio. Per lei era solo il cane del re che aveva massacrato brutalmente quel grasso maiale del suo amico.
Anche se adesso era un cane sciolto, poteva sentire quella catena fatta dai mille pregiudizi per il suo aspetto tornare a gravare sul suo collo. Fottute ragazzine Stark. Le odiava.
Soltanto una volta aveva provato ad aiutarlo, quando un ciccione gli aveva quasi staccato una spalla a morsi. Arya gli aveva lavato e cucito la ferita e quando sono stati attaccati la ragazzina si è battuta per difenderlo. Solo quella volta.
Come i polpastrelli di Sansa che per una sola volta avevano percorso le rughe della sua guancia barbuta.
Invece lui aveva salvato tante volte la vita di quelle ingrate figlie del Nord, che ancora puzzavano di latte e di stupidi sogni. Aveva perso il conto di tutte le volte in cui era corso in soccorso di una delle due sorelle e alla fine era successo ciò che aveva sempre previsto se avesse continuato a fare il coglione per gli Stark.
Gli Stark non solo morivano, ma chiamavano morte a loro volta.
E lui c’era rimasto secco. Questa volta sul serio.
Le aveva prese da quell’enorme donna fino a rotolare giù da una collina rocciosa, battendo la testa ripetutamente. La mocciosa-Lupo era lì accanto a lui, mentre lentamente moriva e lo guardava impassibile. Gli metteva i brividi, cazzo.
Ma se doveva morire almeno voleva che fosse rapido. Cominciò a provocare la lupacchiotta, parlando di come aveva sgozzato il garzone del macellaio. Ma lei continuava a restare immobile, senza mostrare la minima emozione. Così si confidò con lei. Voleva almeno dirlo a qualcuno, anche se era soltanto la mocciosa Stark. Cominciò a singhiozzare, come l’ultima notte in cui aveva visto Sansa Stark:
- E poi l’uccellino, la tua bella sorella – rantolò con lo sguardo perso nel vuoto - Sono rimasto lì, con il mantello bianco, a guardare loro che la pestavano. L’ho presa, quella sua canzone fottuta, non è stata lei a concedermela. Volevo prendere anche lei. Avrei dovuto farlo. Avrei dovuto fotterla a sangue e strapparle via il cuore prima di gettarla in pasto al nano.
Ma Arya non aveva detto niente, nemmeno in quel caso, su sua sorella. Sembrava pietrificata finché non si alzò per avvicinarsi al suo cavallo e allora cominciò a supplicarla. Le chiese di ucciderlo, ma quella stronzetta non volle concederglielo.
- Mycah. Era questo il suo nome – gli disse mentre si allontanava – E tu non meriti il dono della misericordia.
Lo abbandonò senza mai voltarsi indietro, mentre lentamente Sandor sentiva la vita scivolargli via.
Sentiva un cazzo di freddo.
Se questo era l’Inferno fottuto, almeno era meglio del caldo afoso che si sarebbe aspettato, insieme alle fiamme. C’era sempre il fuoco nei suoi incubi.
Si era abbandonato all’odio, questo era tutto quello che ricordava.
Ricordava di aver odiato la dannata mocciosa Stark per non avergli dato il colpo di grazia.
Ricordava di aver odiato Sansa per non aver accettato di fuggire con lui. Poteva starci lei in quel momento e poteva giocarsi un braccio, ma era sicuro che avrebbe pianto e gli sarebbe stata accanto fino alla fine. O almeno, era quello che preferiva immaginare, mentre ripescava dalla memoria quell’unico momento di serenità mentre la teneva tra le sue possenti braccia.
Ma più di tutto, ricordava di aver odiato suo fratello, anche mentre era certo che la morte lo stesse trascinando con sé. Lo odiava per la puzza e per il dolore che ancora sentiva addosso mentre veniva schiacciato sui carboni ardenti.
Lo odiava perché da quel giorno aveva amato più i cani dei vessilli della sua casata, che le persone che doveva proteggere ogni giorno. Per colpa della sua brutta faccia persino le puttane avevano paura di lui, anche se cercavano di non darlo a vedere. Lui lo notava sempre.
Per colpa del suo dannato aspetto, Sansa Stark non avrebbe mai avuto un gesto di vero affetto, ma soltanto i suoi cinguettii insegnati dalla septa.
Si era aggrappato all’odio, mentre gli occhi gli si chiudevano sotto il peso dell’ultimo combattimento.
Eppure, adesso sentiva un cazzo di freddo.
Provò ad aprire lentamente gli occhi, mentre la luce del giorno infastidiva la sua vista oscurata troppo a lungo. La prima cosa che vide fu un vecchio che si stava prendendo cura di lui. Fottuti gli dei, che scherzo era questo?
- Sei uno duro da uccidere, per tutti gli dei – disse l’uomo con un leggero sorriso mentre gli bagnava la fronte con dell’acqua. Fu in quel momento che capì di avere una seconda opportunità. Di poter ancora vivere, abbandonando tutto ciò che era sempre stato. Se un perfetto sconosciuto si era davvero preso cura di lui, come nessuna balia e come nemmeno suo padre avevano fatto in passato, forse poteva davvero cambiare le cose.
In quel momento, sentì che il Mastino era morto.
Sandor Clegane, invece, era vivo.
Non più il cane, ma l’uomo.
 
Sansa:
Lezioni
 
Il re del Nord.
Mai avrebbe pensato di vedere il suo fratellastro sotto tale titolo. Mai avrebbe pensato di provare per lui l’affetto di un vero fratello. Ma col passare del tempo, Sansa aveva perso ogni cosa.
Approdo del re era stata la sua gabbia, il suo inferno, il suo tormento. Aveva imparato molte lezioni, certo, ma ad un prezzo fin troppo caro.
Poteva vedersi ancora come la stupida ragazzina con la testa piena di sogni. Colei che ancora credeva che i cavalieri dall’armatura scintillante fossero tutti educati, gentili e dalle nobili intenzioni. Aveva avuto ben presto la prima lezione quando ser Meryn l’aveva pestata a sangue, incurante delle sue suppliche. I lividi le erano rimasti per settimane, nascosti sotto i suoi preziosi abiti in broccato. Ma per quanto fossero celati, lei sapeva che erano lì.
Quante cose orribili erano nascoste sotto i veli scintillanti della corte e nei preziosi gioielli che aveva ricevuto in dono.
Il primo fu la collana che re Joffrey le regalò come pegno del suo amore. Come una sciocca lei aveva creduto ad ogni parola, pendendo dalle sue labbra. Aveva fatto di tutto per convincere suo padre a restare, affinché lei sposasse il giovane Lannister. Si sarebbe volentieri presa a schiaffi per quanto era stata ingenua. Adesso comprendeva la passione di Arya per le spade. Sentiva che da qualche parte sua sorella non poteva essere morta. Lei sapeva badare a se stessa.
Altri gioielli le furono regalati, ma ce ne fu uno in particolare che l’aveva quasi fatta uccidere: la collana che Lord Baelish le aveva recapitato con l’inganno di un antico cimelio della famiglia di un cavaliere. Per la seconda volta, i cavalieri l’avevano quasi uccisa.
- Non sono uno dei tuoi fottuti ser.
Una voce aspra come l’acciaio, dura come la roccia le ritornava in mente mentre osservava i fiocchi di neve posarsi sul suolo di Grande Inverno: Sandor Clegane.
Aveva sempre odiato il modo in cui si faceva chiamare, perché trovava deplorevole che un uomo preferisse essere paragonato ad una bestia piuttosto che a un cavaliere. Ancora non aveva capito dove si celava il vero animale. Era stato proprio lui ad insegnarle una delle lezioni più importanti: andare oltre le apparenze.
L’aveva protetta, come nessun altro aveva fatto e soltanto gli dei sanno quante volte aveva pregato che stesse bene. Dopo la Battaglia delle Acque Nere si era maledetta per non aver accettato la sua proposta. Avrebbe preferito fuggire cento volte con lui che essere data in sposa a Ramsey Bolton.
- Poggia il tuo mantello sulle sue spalle per porre la tua sposa sotto la tua protezione.
Quanto fosse ridicola questa frase l’aveva capito proprio con il bastardo dei Bolton. Almeno Tyrion non le aveva mai fatto del male. Aveva mantenuto la promessa, ed era un nano deforme con una brutta cicatrice disprezzato dalla sua stessa famiglia. Aveva provato molta pena per lui.
Ramsey non provava pena per nessuno. Non c’era umanità in lui.
Aveva ammazzato suo padre e aveva dato la sua matrigna e il suo fratellastro in pasto ai suoi cani.
Anche lui era un giovane di bell’aspetto e anche quella volta si era fidata di un lord. Per l’ultima volta.
Ramsey le aveva strappato tutti i suoi sogni e le sue ballate. L’aveva resa una donna. Una cinica, scostante, fredda donna. Con lui, aveva smesso di credere alle belle parole.
Sandor Clegane non aveva mai parole gentili per lei, ma con i gesti poteva dimostrare i suoi sentimenti più di qualsiasi lord del Continente Occidentale. Anche lui l’aveva protetta con il suo mantello, quando era stata denudata e derisa alla corte. L’aveva protetta senza un legale matrimonio e senza l’obbligo di nessuno.
Una parte di lei sapeva che nessuno le avrebbe mai fatto del male se fosse rimasta al suo fianco, ma la paura, la costante paura che non la abbandonava mai, che le sussurrava di guardare la faccia deturpata e non la mano che con delicatezza le cingeva la vita, l’aveva convinta a restare con nient’altro che la sua cappa dorata macchiata di sangue. L’unico regalo del Mastino.
Quando la lasciò sola Sansa sentì un freddo glaciale attraversarle le vene e così si strinse con maggiore foga a quella grezza stoffa intrisa dell’odore di mille battaglie.
Per un solo istante, aveva voluto che Sandor la baciasse. Per un solo attimo, aveva smesso di lottare, di avere paura e aveva toccato per la prima volta la pelle sana dell’uomo, talmente turbato da singhiozzare silenziosamente. Non lo aveva mai visto così vulnerabile e per la prima volta lei si era sentita forte. Aveva sentito il suo alito di vino, caldo sulle sue labbra schiuse e aveva desiderato cedere a quel bacio. Si sentiva annebbiata, ma al sicuro, malgrado la spada alla sua gola e il suo terrore iniziale, dopo poco mentre cantava per lui cercando di ricordare le parole giuste, aveva notato come i loro corpi si erano fusi in quella posizione così ambigua e disdicevole. Sandor era sopra di lei, accorciandole il respiro e per la prima volta lei si trovava realmente vicina a lui senza avere davvero paura. Temeva le potesse tagliare la gola all’inizio, ma presto provò piacere al tocco forte delle sue mani sulla sua schiena.
Non c’era mai stato quel bacio, ma lei continuava a ripensarci come se fosse reale. Ce n’erano stati di reali, ma lei non aveva provato niente. E adesso Petyr la osservava all’insaputa di Jon, troppo preso dalle nuove responsabilità. L’aveva messa in guardia, certo, ma ormai perfino lei aveva imparato a non fidarsi di Lord Baelish.
Lui la voleva.
Lo percepiva ancor prima che lui si presentasse sotto l’antico albero poco lontano dal castello, dove prima andava a pregare come suo padre e sua madre le avevano insegnato. Non c’erano più preghiere per lei. La fede era scomparsa insieme al suo candore.
L’ingenuità fu avvelenata dalla malizia.
E sapeva ciò che lui voleva. Ciò che aveva sempre voluto. Non se n’era resa conto finché non si era spinto a baciarla, ma dopo, quando vide morire sua zia sotto i suoi occhi capì che persino lui aveva una debolezza, per quanto cercasse di nasconderla. Petyr amava sua madre.
La amava al punto da uccidere per lei.
La amava fino a cercarla ovunque.
La amava tanto da ritrovarla in lei.
I suoi occhi, i suoi capelli, le sue labbra. Aveva sempre saputo di assomigliare a sua madre, ma Lord Baelish non vedeva in lei soltanto sua madre, ma una nuova possibilità da giocarsi per rivivere un rapporto che non gli era mai stato concesso, con una donna più bella della precedente e più manipolabile di quanto mai si sarebbe aspettato.
Ma i fallimenti bussano anche alla porta dei più scaltri e Petyr si era esposto troppo.
Sansa lo aveva respinto e sapeva quanto una cosa del genere potesse bruciare ad un uomo come lui.
Petyr era pericoloso.
Ma Sansa ormai non aveva più nulla da perdere. E non era più una bambina. Sapeva di avergli salvato la vita, come lui aveva salvato la sua e sapeva per certo che non si sarebbe arreso al primo ostacolo. Lord Baelish non era un uomo a cui si poteva dire di no troppo spesso e mentre Jon Snow diventava il nuovo signore di Grande Inverno, Sansa poteva avvertire i suoi occhi glaciali su di lei, fissi sulla sua figura con un leggero ghigno sulle labbra.
La ragazza sentì un brivido percorrerle tutta la schiena. Sentiva la paura, la percepiva ormai come una vecchia amica che impari a conoscere dopo tanto tempo, ma sentiva anche qualcosa di nuovo, qualcosa che soltanto da poco tempo si stava svegliando il lei. L’eccitazione e il coraggio di una lupa.
Aveva provato questa sensazione soltanto un’altra volta. Soltanto una.
Quando aveva ucciso Ramsey, attraverso un animale che lei ormai associava ad una persona, per quanto odiasse quel soprannome. Una persona che anche in quel caso, tramite le bestie del suo boia, l’aveva salvata.
Il mastino.






Angolo dell'autrice:
Un caloroso saluto a tutti coloro che si sono fermati a leggere questo piccolo esperimento. Ho deciso di approfondire il personaggio di Sansa Stark in realzione a quello di Sandor Clegane e di Petyr Baelish. Penso che la storia non avrà molti capitoli e malgrado in questo mi sia concentrata maggiormente sul Mastino, nei prossimi cercherò di dare il dovuto spazio a tutti. Spero che la storia vi intrighi al punto da lasciarmi una vostra opinione in merito!
Una speranzosa autrice vi dà il benvenuto e si augura di ritrovarvi al prossimo capitolo!
  
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