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Autore: LackadaisicalEnnui    14/08/2016    1 recensioni
Una massa confusa ed eterea di capelli neri. La linea gentile e appena accennata delle spalle, il collo sottile e delicato, la pelle bianca, traslucida, le pallide vene bluastre, nascoste quasi sotto strati di pittura. Un fiore bianco con sfumature bluastre nella chioma.
Esther inventava e ricordava il suo sogno, e dipingeva.
Palpebre mezze socchiuse, ciglia lunghe, delicate, occhi di un azzurro slavato, un'immagine confusa riflessa in essi, troppo lontana per poterla davvero distinguere, eppure là, impressa per l'eternità sulla tela, indimenticabile e immortale. C'era qualcosa, in quei tratti affilati, ma in qualche modo delicati, come se l'adolescente e la bambina si mescolassero in un'unica figura.
Bellissima, riflettè Esther, e subito dopo pensò, grottesca.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una massa confusa ed eterea di capelli neri. La linea gentile e appena accennata delle spalle, il collo sottile e delicato, la pelle bianca, traslucida, le pallide vene bluastre, nascoste quasi sotto strati di pittura. Un fiore bianco con sfumature bluastre nella chioma.

Esther inventava e ricordava il suo sogno, e dipingeva.

Palpebre mezze socchiuse, ciglia lunghe, delicate, occhi di un azzurro slavato, un'immagine confusa riflessa in essi, troppo lontana per poterla davvero distinguere, eppure là, impressa per l'eternità sulla tela, indimenticabile e immortale. C'era qualcosa, in quei tratti affilati, ma in qualche modo delicati, come se l'adolescente e la bambina si mescolassero in un'unica figura.

Bellissima, riflettè Esther, e subito dopo pensò, grottesca.

Non capiva cosa ci fosse in quel suo quadro che la metteva tanto a disagio, come se una nota stonata la percuotesse ogniqualvolta guardi la tela. Certo era che quello fosse il suo miglior dipinto; Robert ne sarebbe stato contento, dopo tutta la sua insistenza e i suoi consigli.

"Perché non vai in vacanza? Un bel mese al mare, tutto compreso, vedi questa bella villetta. Era di una mia vecchia zia, è morta qualche anno fa. Un po' svitata, ma la casa è molto ben tenuta, c'è un tizio che la viene a sistemare due volte a settimana. Stai lì, ti riposi, guardi i gabbiani e le onde e intanto ti fai tornare l'ispirazione. Tutti vogliono vedere una tua nuova mostra. Bisogna cavalcare l'onda finché si è in tempo. Cogliere l'attimo."

Questo è il suo problema, e sebbene sia da vent'anni nel campo artistico, ancora non ha capito che l'ispirazione non la si chiama a comando, pensò Esther. Oramai gli artisti erano chiamati a rispondere a tempi industriali, e la cosa non le piaceva per niente.

La piega della bocca era strana, come se stia accennando un sorriso – un ghigno? – ed Esther l'avesse fermata un attimo prima. Ma c'era qualcosa dietro quell'espressione, un che di mostruoso e feroce, che Esther vedeva, ma faticava a riconoscere: la curva delle sopracciglia più acuta che arrotondata?, le pennellate sulle gote, più dense e pesanti?, o era il polso, pigramente piegato, con la mano abbandonata a mezz'aria? Non lo sapeva, Esther, ma continuava, in uno stato quasi onirico gettava le ultime pennellate; si rendeva conto di star dipingendo, ma era come se non fosse lei, ma una spettatrice esterna.

Una sensazione simile l'aveva provata solo pochissime altre volte, e dopo il primo spavento iniziale aveva imparato a non scacciarla, ma a lasciarsi guidare. Si sentì posare il pennello, e lo sguardo rimettè a fuoco gli oggetti e l'ambiente circostanti. Tutto era come l'aveva lasciato quel pomeriggio infruttuoso, la tela e le sue prove di colore, le piante della serra che si stringevano attorno a lei, dandole un senso di soffocamento quasi piacevole; solo che in quel momento c'era un dipinto, ispirazione e fiori sbocciati. Quelle che lei pensava essere semplici pianticine senza alcuna attrattiva in realtà fiorivano di notte. E che fiori!, pensò Esther, mentre li guardava. Erano molti, e alla maggior parte non avrebbe saputo dare nemmeno un nome, se il giardiniere del villino non avesse messo dei cartellini sotto ogni vaso.

Quando si sentì abbastanza lucida decise di osservare la sua opera. La ragazza era bella, e aveva una posa quasi disturbante, sì, ma non era certo un buon motivo per preoccuparsi tanto. La parte pratica e concreta di Esther ricominciava a funzionare, demolendo quelle suggestioni di cui era preda la sua anima artistica fino a poco prima. Con calma scrisse la sua firma nell'angolo in basso a destra e pensò a un titolo. Guardò il fiore, quel dettaglio che aveva aggiunto quando, nel suo stato di trance, si era girata e aveva visto le dature sbocciate.

Le venne in mente subito, come se lo sapesse già. 'Angel's Trumpet – Madness Calls', lo scrisse sul retro della tela con la sua calligrafia ordinata; del resto, pensò, sapeva di star dipingere Giulietta. Maliziosamente disperata, bambina e donna insieme: Robert l'avrebbe adorata.

Sistemò i suoi attrezzi, ripulendo delicatamente i pennelli, utilizzando l'acqua di una fontanella seminascosta da un vaso di gelsomino profumato. È davvero una bella serra, riflettè, anche le luci sono ben posizionate. Il suo occhio artistico si concesse qualche secondo di apprezzamento per la composizione generale; lanciò un'altra occhiata al suo dipinto, compiaciuta. Quella sera si era addormentata davanti al televisore, e quando si era svegliata era mezzanotte, lei non aveva intenzione di dormire e aveva deciso di provare a lavorare. Meno male l'aveva fatto, o la mattina dopo avrebbe dimenticato il suo sogno.

Lavorava bene tra le piante, e anche il suo studio cittadino era ricoperto di fiori: la mettevano di buonumore, al contrario di questi che la inquietavano leggermente, ma che la ispiravano. Decise che il giorno successivo sarebbe andata in riva al mare col suo album da disegno e degli acquerelli, e magari avrebbe fatto qualche schizzo, sempre che il tempo fosse buono. Poi magari nel pomeriggio sarebbe ritornata nella serra.

Diede un'ultima occhiata intorno e poi uscì. Una ventata di vento gelido le schiaffeggiò il viso, e si riaffrettò a rientrare in casa. Il villino era buio e silenzioso, ed Esther non potè fare a meno di sentirsi a disagio. Robert doveva proprio mandarla nella ex-villetta di una vecchia donna pazza, per rilassare i nervi? Deglutì e si impose di darsi una calmata: era una donna adulta e non si sarebbe lasciata impressionare. Attraversò il corridoio che portava alle scale, e quasi cacciò un urlo quando vide un quadro simile al suo.

Dopo qualche secondo si riprese e si avvicinò; non era un dipinto, ma una fotografia, per di più in bianco e nero. Si diede della sciocca, e sinceramente incuriosita cercò di capire in cosa stesse la somiglianza. I capelli erano più chiari e la posa diversa, ma il fiore fra i capelli, il modo di portarsi, la schiena eretta e il collo slanciato facevano pensare al suo quadro. Probabilmente l'aveva visto di sfuggita durante il giorno, e il suo cervello aveva fatto il resto. Sorrise di sè stessa e si ripromise di cercare maggiori informazioni su quell'affascinante signora.

Ciononostante, quando entrò in camera chiuse la porta a chiave.


 


 


 

Una vitina sottile e delicata, capelli rossi fino alle caviglie, Persefone stava danzando in un campo di asfodeli, gialli e vivaci. Una foto vicino al quadro, di una donna giovane e attraente mentre ballava, ritratta in mezzo alla serra.

Altro quadro. Sott'acqua, fra ninfee rosate, Ofelia annegava dolcemente, il viso rilassato e la pelle morbida, piccole pennellate veloci di verde e azzurro per l'incarnato. Accanto, un'istantanea simile, un corpo di ragazza che si abbandona in un laghetto.

Nuova tela, una Lady Macbeth con le mani insanguinate circondata da belle di notte dai colori sgargianti, fucsia, giallo, rosso, mentre sorride lentamente. Una foto quasi identica appoggiata sul dipinto.

Esther aveva trovato moltissime fotografie della proprietaria della casa, alcune incorniciate e appese ai muri, altre nascoste in soffitta, altre sepolte nei cassetti di uno scrittoio. Erano bellissime ed estremamente raffinate. Aveva la netta impressione che Robert non le avesse nemmeno degnate di uno sguardo, e se lo aveva fatto non ne aveva colto il valore artistico. Esther le aveva ordinate per data, e poteva chiaramente vedere l'evoluzione della fotografa; la sua immaginazione sembrava non avere fine, così come i fiori che accompagnavano immancabilmente ogni foto.

Esther aveva scoperto che erano tutti nella serra, e aveva preso l'abitudine di dipingere di notte, quando quelli sbocciavano. Era una sensazione strana, come se stesse vivendo una vita a specchio. Di giorno usciva, si godeva la spiaggia e passeggiava nel paesino più vicino; ma appena tornava a casa il pomeriggio dormicchiava qualche ora e poi via, alla serra. Come se di giorno stesse vivendo ancora la sua vita normale da pittrice emergente e immatura, e di notte si tramutasse in questa persona completamente differente, un'artista con una voce propria.

Il sonno, stranamente, non le mancava affatto. Le bastavano poche ore al giorno e non avrebbe avuto problemi. Si scoprì anche a comportarsi in maniera differente: era come se si stesse avvicinando a quelle donne che tanto amava dipingere. Per la prima volta dopo anni non si sentiva una trentenne triste e sovrappeso, anzi: si vedeva bella, risplendente in uno strano bagliore, la pelle lucida e gli occhi brillanti. Si scopriva a flirtare con degli uomini, a iscriversi a un corso di teatro, a ridere senza vergogna delle battute sconce della barista del paese.

Si sentiva viva, con quel suo dipingere morte. Loro la ispiravano, con la loro dolcezza, la loro spavalderia. Si rendeva conto di aver passato tutta la vita a volere e basta, ma mai a cercare attivamente di esaudire i suoi desideri; anche la sua mostra era capitata quasi per caso, essendo Robert un caro amico di sua sorella.

Lui era venuto a trovarla, e si era detto entusiasta dei suoi nuovi quadri. L'aveva osservata a lungo con sguardo inquisitore, dicendole che era molto cambiata e che se le piaceva così tanto il villino l'avrebbe potuto comprare, ché gliel'avrebbe venduto volentieri. Esther aveva sorriso e annuito.

Quella sera era alle prese con un quadro piuttosto difficile, una Sherazade sensuale con una gamba avvolta da una regina della notte. Esther aveva portato vicino alla sua tela il fiore in questione, per dipingerlo meglio. La sua testa era altrove, però, e lo era da qualche giorno, quando sua sorella era arrivata alla villetta. Non aveva fatto altro che guardarla stranita, e quando le aveva mostrato i quadri non si era nemmeno complimentata con lei. L'unica cosa che aveva saputo dirle era che lei non era tranquilla, che era stata del tutto assorbita da quel luogo e non chiamava mai a casa, che parlava della vecchia proprietaria della casa come se fosse ancora viva e che pareva ossessionata da quei fiori.

All'inizio Esther era stata paziente: le aveva spiegato come si sentiva, aveva cercato di farle capire. Ma la sorella era stata irremovibile. Ma la cosa che più dispiaceva a Esther era che avesse cercato di bruciare le fotografie a sua insaputa. Erano le quattro di notte ed era rientrata in camera sua e l'aveva vista lì, coll'accendino in mano e l'aria strafottente di chi pensa di aver ragione non ci aveva più visto; aveva iniziato a urlarle contro, mentre l'altra insisteva dicendo che aveva perso completmente la ragione. E poi aveva accostato l'accendino alle foto.

L'aveva cacciata subito, e almeno era riuscita a salvare le fotografie. Per una volta si era opposta al giudizio di qualcuno, cosa che la faceva sentire incredibilmente fiera di sé stessa. Non si era piegata a quello che un altro voleva, non aveva rinunciato. Per una volta aveva scelto di ignorare se si pensava che lei fosse folle od ossessionata. Lei sapeva che non era così, e ciò le bastava.

Per una volta non si era limitata a volere e basta.

   
 
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