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Autore: charly    14/08/2016    0 recensioni
Zaron ha conquistato tutti i regni del continente di Zabad; finalmente anche Issa è caduta. Tuttavia per ottenere da Issa ciò che desidera, la spada non serve: dovrà sposarne la principessa. Pensava sarebbe stato semplice, non immaginava quanto complicata la sua coscienza gli avrebbe reso la cosa.
Deja è la principessa di Issa e con l’abdicazione del padre ne diviene la regina. Il matrimonio con Zaron è impossibile da rifiutare, visto che risparmierà il suo regno e la vita del suo amato genitore. Ma è una proposta difficile da accettare: il matrimonio con un uomo che non conosce, molto più vecchio di lei, che ha conquistato con la forza la sua casa, la riempie di terrore soprattutto perché lei ha solo dodici anni.
Si era sbagliato se aveva creduto che vederla lo avrebbe dissuaso, non aveva preso in considerazione la sua determinazione. […] Lui doveva sposarla, tutti i suoi sogni si basavano su questo.
Lei era impallidita, i suoi occhi si erano fatti grandi, enormi in quel viso non ancora maturo, e si erano spostati dalla spada alla corona e poi al suo viso inflessibile e infine erano scesi, seguendo l’armatura da guerra, soffermandosi sugli avambracci muscolosi e segnati dalle cicatrici.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il cuore di un drago'
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IL DIO DELLA GUERRA
Issa
 
 
NOTE INIZIALI DELL’AUTRICE: Salve a voi, miei lettori. Spero che chi comincerà quest’avventura con me mi seguirà fino alla fine. Prima di tutto voglio dirvi quanto importante sia per me questa storia: ho cominciato a scrivere fanfiction più di dieci anni fa ma questa, questa è la mia prima storia originale!!! Sono elettrizzata ed emozionata! Non mi era mai riuscito di scriverne una, e ci avevo provato, credetemi, ma in genere non ero mai andata oltre il primo capitolo. Invece questa si è praticamente scritta da sola! Se mi lasciate un commento (spero!!!) potrei rispondervi subito o metterci alcuni giorni (lo leggo ma non ho modo di rispondere) quindi non fatevi scoraggiare!
Ora, riguardo alla storia vera e propria: So che la definizione di fantasy è una storia fantastica, ambientata in un mondo fantastico, con creature fantastiche. Io me ne discosto leggermente: ho creato un mondo fantastico, ma l’ho popolato di persone comuni, senza magia né creature fantastiche (anche se l’idea iniziale era di metterci dentro un po’ di magia). Ci ho buttato dentro anche un pizzico di invenzioni moderne, tanto per gradire. Pensate a Darkover, ma senza l’elemento paranormale o a I Dragonieri di Pernn ma senza astronavi e telepatia. Ho cercato di restare realistica, ma per gli argomenti di cui ero totalmente ignorante mi sono limitata a un’infarinatura presa da internet, quindi… non aspettatevi spiegazioni scientifiche: ho una laurea in lettere, non in ingegneria.
Probabilmente vi sembrerò inutilmente morbosa toccando alcune tematiche, e superficiale in alcune descrizioni sfiorando argomenti senza svilupparli, ma spesso c’è un perché e se avete perplessità lasciatemi pure un commento, sarò lieta di rispondevi.
Un’ultima cosa: per il protagonista maschile mi sono ispirata (abbastanza pesantemente) al cattivo di un film (ovviamente il mio Zaron NON è un cattivo) che secondo me aveva un sacco di caratteristiche potenzialmente positive (se vogliamo ignorare la sua propensione a uccidere senza alcun rimorso). Spero non sia evidente, ma se qualcuno lo riconosce, vi prego, ditemelo! Non che andrò a cambiarlo, ma mi autoflagellerò doverosamente.
Buona lettura!
Aggiornamento gennaio 2017: ho sistemando la storia, capitolo per capitolo, apportando leggere modifiche e correggendo gli "orrori" che ho scritto.

I. LA PACE DELLA SPADA

 
 
Quando il sole era sorto quella mattina sui tetti della città di Issa, quest’ultima era ancora la capitale di un regno libero, anche se in guerra e assediato. Ora, dopo una battaglia che aveva portato il conflitto fin sotto le mura, la città era solo l’ultima conquista dell’imperatore Zaron. Le mura erano intatte, il suo esercito non vi aveva fatto breccia, né la città recava un solo segno che la battaglia fosse entrata assieme ai soldati dai mantelli rossi che ne avevano percorso le vie. Questo perché il re di Issa si era arreso sul campo, prima dello scontro decisivo, dopo aver ricevuto un’ambasciata del nemico, che gli proponeva un incontro per discutere i termini di una possibile pace. 
Issa aveva aperto le porte all’invasore e l’imperatore le aveva attraversate a cavallo, seguito dal suo esercito e la sua guardia personale di soldati scelti, invitato a recarsi al palazzo reale dal re sconfitto per riceverne lì la resa formale.
Zaron tamburellava con le unghie corte contro l’elsa della spada che portava al fianco. Era ridicolo che fosse lui quello nervoso dato che era lui il vincitore. Eppure non riusciva a stare fermo mentre attendeva che le porte della sala delle conferenze si aprissero e il re di Issa entrasse per presentare la sua resa. Guardò fuori dalle vetrate che permettevano all’osservatore una veduta a 270 gradi della città sottostante.
A lungo il regno di Issa aveva mantenuto la sua indipendenza, ultimo in tutto il continente di Zabad a sfuggire alla sua conquista. Come una marea rossa i suoi soldati si erano riversati su tutti i regni vicini, annettendoli alla potenza di Rakon in una gloriosa campagna militare dopo l’altra. Zaron aveva lasciato Issa per ultima. La fiorente, ricca e tecnologicamente avanzata Issa era stata la più pericolosa. Ma una volta conquistato tutto il resto, anche quell’ultimo baluardo di resistenza doveva cadere, schiacciato dalla superiorità numerica delle armate di Zaron.
Il khan di Rakon poteva sembrare un brutale guerriero a una prima, superficiale occhiata: era d’altezza media, la carnagione scura bruciata dal sole faceva intuire che passasse più tempo all’esterno, con i suoi soldati, che nei palazzi del potere con i suoi cortigiani. D’altra parte era nato come erede di ripiego e sapeva che alcuni dei nobili della sua stessa corte non gli avrebbero mai prestato lo stesso livello di rispetto con cui avevano omaggiato il suo fratellastro, che era stato l’erede designato e che era morto annegato appena sedicenne. L’unica cosa che avevano avuto in comune, a parte il padre, erano stati gli occhi: neri e penetranti, incassati nel viso in un’espressione perennemente corrucciata. Ma mentre i lineamenti del principe morto erano stati delicati, soffici, quelli di Zaron erano squadrati, volitivi, la fronte alta accentuata dalla sua abitudine di portare i capelli neri tagliati cortissimi. Le braccia, lasciate scoperte dall’armatura, erano dotate di muscoli delineati e cicatrici scolorite, dovuti entrambi ai continui allenamenti a cui si sottoponeva, per fare del suo stesso corpo un’arma precisa e letale. Quegli occhi scuri e impenetrabili nascondevano però una mente arguta e curiosa, che sembrava fatta per la strategia militare.
Ora quegli stessi occhi ammiravano la splendida Issa, gioiello del mare, che si adagiava bianca e dorata accompagnando la curva del golfo di cui condivideva il nome. Da quando aveva cominciato a fare piani per la conquista dell’intero continente, Issa era stata il suo cruccio. Era una ricca città stato, il territorio che occupava era minimo, soprattutto se paragonato alla vastità del suo impero, però il suo potere, la sua pericolosità, non veniva dalla sua forza militare, anche se la flotta di cui disponeva non era nulla di cui ridere. No, la forza di Issa era nella sua Accademia delle Scienze e le continue, prodigiose invenzioni che essa sfornava.
L’Accademia di Issa, sovvenzionata dal governo, attirava menti brillanti da ogni dove. Scienziati, filosofi, medici e artisti, tutti accorrevano a Issa per studiare o per proporre le loro idee e confrontarsi con menti altrettanto brillanti e vivaci. Da Issa provenivano straordinarie opere d’arte e musica, i migliori guaritori, i più brillanti pensatori, e le più straordinarie e rivoluzionarie invenzioni. Come il recentissimo telegrafo, che permetteva di comunicare istantaneamente con persone lontane e che se fosse stato inventato appena dieci anni prima avrebbe messo a repentaglio i suoi piani di conquista, privandolo dell’elemento sorpresa che era stato vitale nelle sue campagne, oppure, pensò con soddisfazione Zaron, come le navi volanti che avevano condotto lì le sue truppe.
Troppo spesso Zaron aveva considerato cupamente che se l’Accademia si fosse interessata di guerra anche solo la metà di quanto si interessava di astronomia, Issa avrebbe potuto facilmente diventare la capitale di un impero invincibile. Invece Rakon aveva approfittato dello spirito liberista e pacifista della sua rivale per occupare una posizione mano a mano più predominante, fino a poter conquistare con la forza tutti i suoi vicini e lasciare Issa sola e isolata.
E adesso erano lì, arrivati a quel punto, con l’esercito di Zaron che aveva schiacciato come un insetto molesto quello più piccolo di Issa e l’aveva circondata, bloccando il porto. Avrebbe potuto facilmente ordinare ai suoi soldati di entrare in città, il saccheggio e la distruzione che ne sarebbero seguiti avrebbero fatto scempio dei suoi begli edifici candidi. Avrebbe potuto entrare nell’Accademia e passare a fil di spada tutti coloro che vi si erano rifugiati e bruciare le biblioteche, assicurandosi così che ciò che paventava di più non venisse a passare e che Issa non si rialzasse mai più da una simile disfatta.
Poteva, ma non lo avrebbe fatto.
Voleva per sé tutta quella conoscenza, tutto quel potenziale, voleva che le strade della sua capitale Halanda fossero pulite e ordinate come quelle di Issa, voleva che i suoi sudditi a Rakon fossero ricchi e benestanti come loro. Voleva esportare quella ricchezza, non solo materiale, ma di vita e di pensiero, possibilmente senza rubarla. Voleva che il suo popolo imparasse da Issa e nessuno desidera imitare un nemico in ginocchio, vinto e distrutto. Il suo sogno, la sua grande ambizione, si sarebbe realizzata con l’integrazione di Issa nell’impero, ma solo se la sua dignità fosse stata preservata intatta.
Dopo essersi informato che il suo piano fosse attuabile ne aveva parlato con i suoi più stretti collaboratori i quali, proprio come si era aspettato, erano stati contrari. I suoi consiglieri, militari e non, volevano depredare Issa, spogliandola di ogni ricchezza, e portare tutto a Rakon, riempiendosi d’oro i forzieri, e godere di quella ricchezza il più possibile, spremendo la popolazione con tasse e balzelli per mantenere il tenore di vita a cui le vittoriose campagne di Zaron li aveva abituati. Ma Zaron aveva voluto di più e aveva ignorato ogni consiglio che non fosse in linea con il suo piano e per quello adesso si trovava nel palazzo del re ad attendere la sua resa e non in un campo di battaglia, con la spada puntata alla gola del sovrano battuto.
Le porte furono aperte e la delegazione issiana si riversò nella sala. I due fronti contrapposti si fissarono senza parlare, gli uomini di Rakon da una parte, con le loro armature d’acciaio scuro e i loro mantelli rossi, tutto nel loro abbigliamento teso a intimidire il nemico, e quelli di Issa dall’altra con le loro armi lucenti e mantelli blu come il mare del golfo, guidati dal loro re, anch’egli in armatura, nonostante le informazioni ricevute su di lui lo descrivessero più come un filosofo che un guerriero. Il re di Issa indossava una sottile corona di platino sui capelli grigi, gli occhi azzurri incorniciati da una ragnatela di rughe erano incastonati in un viso sottile dalla carnagione chiara e si posarono sugli uomini che avevano invaso il suo regno e alla fine incrociarono quelli di Zaron, fermandosi su di lui, riconoscendolo come l’individuo di maggior autorità in quella stanza, seppure i suoi abiti non fossero poi così dissimili da quelli dei nobili e dei consiglieri militari che lo accompagnavano e non indossasse nessun segno facilmente riconoscibile della sua maestà.
Con una smorfia di dolore per quello che si apprestava a fare il re si avvicinò a passi lenti a Zaron e poi si inchinò, rigidamente, poggiando un ginocchio a terra davanti al vincitore.
- In cambio della tua misericordia nei confronti del mio popolo noi ci arrendiamo.
Chinò il capo e con mani tremanti si sfilò la corona porgendola al conquistatore.
Zaron attese qualche attimo, abbastanza da far preoccupare l’uomo più anziano ai suoi piedi, in modo da umiliarlo ulteriormente e da aumentare così la sua posizione di potere. Per quello che voleva gli serviva la sua collaborazione e quindi doveva fargli capire quanto senza speranza la situazione fosse, come solo acconsentire avrebbe salvato lui e la sua città. Alla fine gli strappò di mano la corona, reggendola con noncuranza tra il pollice e l’indice della mano sinistra per sottolineare quanto poca importanza riservasse alla cosa.
- Accetto la tua resa, Aborn di Issa.
Girò intorno all’ex re e andò a sedersi al bianco tavolo ovale, poggiando sulla sua superficie liscia la spada che aveva tolto dal fodero e la corona di platino. Prese per sé la sedia più riccamente decorata, evidentemente riservata all’uomo che lo guardava con rabbia impotente dalla sua posizione supplice, e con un sorriso gli indicò una sedia sull’altro lato del tavolo, come se Aborn fosse l’ospite e lui, Zaron, il padrone di casa. Cosa che in effetti era diventato, da quando l’altro gli aveva porto la corona.
Sempre lentamente, come se ogni movimento gli risultasse oltremodo difficile, Aborn si rialzò e andò a sedersi sulla sedia che gli era stata indicata. Nessun altro sedeva: gli uomini di Rakon se ne stavano in piedi impettiti e minacciosi alle spalle del loro khan mentre gli uomini di Issa spalleggiavano con aria truce e ben poco rassegnata il loro sovrano decaduto.
- Issa è una città ricca, prospera, e il mio esercito e i miei consiglieri non vedono l’ora di buttarsi su tutta questa ricchezza. Voi conoscete bene la procedura che impiego con i regni che conquisto: la capitale viene distrutta, pietra su pietra, la nobiltà spogliata di ogni proprietà, il governo sciolto, i miei nobili e i miei funzionari si sostituiscono a loro in tutto e la popolazione assoggettata deve pagare le spese di guerra, diventano sudditi dell’impero, senza diventarne cittadini. Tutti quelli che si ribellano vengono schiacciati senza pietà assieme alle loro famiglie, i loro amici e persino i loro vicini.
Aborn strinse la mascella, impotente. Sapeva tutte quelle cose; si era arreso per risparmiare le vite dei suoi soldati che avrebbero combattuto senza speranza contro il soverchiante esercito avversario e perché il khan gli aveva ventilato la possibilità di una soluzione che avrebbe risparmiato il suo regno dal subire la stessa fine di quelli conquistati in precedenza. Era furioso per come lui lo stesse umiliando ma non avrebbe provocato il suo troppo potente avversario: il suo regno, il suo popolo, contavano tutti su di lui per salvarli da un orribile destino. Sapeva che la sua vita era perduta, Zaron non poteva permettersi di lasciarlo vivere, ma sperava di poter salvare almeno sua figlia, tutto quel che rimaneva della sua famiglia. Per lei niente era troppo umiliante, si sarebbe prostrato ai suoi piedi, gli avrebbe baciato gli stivali e anche pianto implorante se fosse servito a salvarle la vita. La sua bambina era la sua unica erede per la legge issiana ma sapeva che a Rakon solo i figli maschi potevano ereditare i titoli dai genitori e che quindi non avrebbero mai considerato una femmina una possibile erede al trono. Aborn contava che quello le avrebbe risparmiato la vita. Ripensò a Deja e a come avevano litigato solo poche ore prima: lui l’aveva scongiurata di abbandonare il palazzo e di confondersi con la popolazione, come misura di sicurezza, ma lei, la sua cocciuta bambina, aveva voluto restare al suo fianco, condividere il suo destino. Che la dea le risparmiasse il suo destino! Non chiedeva altro, non pregava altro. Temeva solo che non avrebbe rivisto sua figlia prima di morire.
Oh, era tutta colpa sua. Sapeva che l’impero di Rakon si stava espandendo, lo aveva visto fagocitare un regno dopo l’altro. I suoi vicini gli avevano chiesto aiuto, ma cosa poteva fare? La forza di Issa era nella sua flotta mentre quella di Rakon nel numero e in un micidiale esercito di terra. E poi era stato il suo turno e Aborn si era maledetto mille e mille volte per la sua incertezza, per il suo immobilismo. Se avesse creato una lega per opporsi a Rakon quando aveva ancora alleati… Ma non lo aveva fatto. Aveva atteso, e per ogni nuovo stato conquistato le sue possibilità di salvezza si affievolivano sempre più. L’imperatore aveva schiacciato il suo esercito con ridicola facilità e aveva bombardato dall’alto tutte le navi della sua flotta che si azzardavano a lasciare il golfo, e lo aveva fatto con le aeronavi che lui stesso gli aveva venduto anni prima. Il regno di Rakon era stato il primo a comprarne, quando ancora erano una novità che suscitava diffidenza e stupore, e lo aveva fatto in modo massiccio, tanto che si era chiesto a cosa gli servissero dato che i committenti in genere erano persone ricche che desideravano spostarsi in comodità senza mescolarsi agli altri viaggiatori. Ora era chiaro come aveva avuto intenzione di impegnarle: le aveva usate per spostare velocemente truppe e vettovaglie, cogliendo impreparati gli eserciti avversari con i suoi movimenti repentini. Lui si era comportato da sciocco e l’uomo vittorioso che aveva difronte era stato abile e lungimirante.
- Questo sarà anche il destino di Issa?
La posa di Zoran da rilassata si fece rigida, il suo sguardo attento e ardente.
- No, per Issa ho pensato a qualcosa di molto diverso. C’è la possibilità che la città e la popolazione vengano risparmiati. Che il suo apparato governativo rimanga esattamente com’è, con la supervisione dei miei funzionari ovviamente e…
Sfiorò la corona.
- … un cambiamento al vertice.
Aborn cercò di dominare la sua agitazione.
- Questa possibilità è… preferibile ai miei occhi. Siete un re molto generoso, sire.
Il khan fece un cenno con il capo mostrando di accettare quel complimento, sogghignando e derivando piacere dall’aver strappato quel titolo onorifico al suo opponente.
- È mia intenzione non solo annettere Issa nel mio regno ma assimilarla. Voglio che i cittadini di Issa si sentano cittadini di Rakon, fedeli, produttivi membri della società. Voglio che le città di Issa e di Halanda si sentano sorelle, voglio che diventiamo un’unica, grande famiglia.
Aborn si sentì scosso da quel discorso. Era molto più di quello che aveva sperato di ottenere. Non solo Zaron non avrebbe passato la sua gente a fil di spada e distrutto il suo regno, ma voleva addirittura accoglierli come pari, farli diventare cittadini dell’impero. Poi tornò con i piedi per terra: doveva esserci un inghippo, doveva esserci qualcosa che Zaron voleva e per cui era disposto a sacrificare i suoi modi solitamente sanguinari e brutali.
- Sono senza parole, mio signore. Cosa può fare Issa per ricambiare tale magnanimità?
Il sorriso soddisfatto di Zaron divenne affilato, predatorio.
- Come ho detto, caro Aborn, desidero che diventiamo un’unica famiglia. A me manca una moglie e tu hai una figlia, la tua unica erede.
Prima ancora che il re avesse finito di parlare Aborn era saltato in piedi, rovesciando la sedia. Gli uomini di Zaron avevano messo le mani sull’else delle spade e i suoi avevano fatto lo stesso.
Sua figlia? Quell’uomo voleva sua figlia? No!
- Mai! Non sacrificherei mai mia figlia per stringere un accordo politico, lei non è un oggetto di baratto. E non la darei mai a te!
Zaron corrucciò la fronte difronte alla veemenza dell’ex sovrano. Ed era disgusto quello che leggeva sul suo viso? Quando quel piano gli era balenato in mente si era limitato ad accertarsi che l’altro uomo avesse una figlia femmina nubile, senza informarsi di altro. Forse nel frattempo la ragazza si era sposata?  Non aveva pensato molto a lei, gli bastava che il re di Issa avesse come unica erede una figlia femmina, di lei sapeva solo che per la legge issiana sarebbe succeduta al trono di suo padre. Brutta o bella che la ragazza fosse, ciò che importava a Zaron era la dote che lei gli avrebbe portato in matrimonio: la città con le sue ricchezze fisiche e intellettuali e, col tempo e con l’arrivo di un erede, anche la fedeltà dei suoi abitanti. Riusciva a figurarselo nei suoi sogni più ambiziosi: la potenza militare di Rakon e le armi micidiali che Issa gli avrebbe fornito. Il suo impero sarebbe stato ricordato per sempre e il suo nome impresso a fuoco nella storia. Aveva pensato che Aborn sarebbe stato sollevato che il prezzo della resa fosse così leggero, evidentemente si era sbagliato e aveva sottovalutato il suo attaccamento per la figlia. Un simile sentimento per Zaron era difficile da comprendere: lui non aveva mai avuto contatti con la sua famiglia. In effetti, com’era tradizione per gli eredi di ripiego, non aveva saputo che il re e il principe erano la sua famiglia finché il fratellastro non era spirato. Cercò di vedere la cosa dal punto di vista di Aborn: aveva un erede solo e su di lei aveva probabilmente riversato tutte le sue speranze e aspettative, l’aveva addestrata, preparandola al compito che l’aspettava e ora probabilmente l’idea di darla via come un bottino di guerra perché diventasse la moglie di un re straniero gli doveva essere intollerabile.
- Forse non mi sono spiegato bene, Aborn.
La mano che aveva tenuto mollemente poggiata sulla corona si spostò sull’elsa della spada.
- Siedi e ascoltami bene. E questo è un ordine.
Aborn aveva ripreso il suo posto al tavolo, ma l’espressione rigida e inflessibile lasciavano capire facilmente che su quel punto non avrebbe ceduto. Peggio per lui, pensò con determinazione Zaron, perché dovrai cedere, non hai scelta.
- Credo che tu abbia frainteso le mia parole.
La sua voce era implacabile, decisa.
- Non ti ho chiesto la mano di tua figlia. Ti ho ordinato di darmela. Da quando hai messo nelle mie mani la tua corona, da quando ti sei arreso al mio esercito, mi hai riconosciuto come tuo re e quindi ora sei sottoposto alla mia autorità. Non sei nella posizione di rifiutarmi alcunché, e mi pare che le mie richieste siano ragionevoli ed estremamente vantaggiose per te e la tua gente.
Ammorbidì leggermente il tono della voce, dopotutto voleva quell’uomo come suocero e dopo le minacce poteva permettersi di addolcire l’accordo.
- Tua figlia non diventerà solo mia moglie. Mi sposerà come regina di Issa. Le nostre due corone si uniranno per diventare una. I nostri regni diverranno uno. Lei sarà la regina del mio impero e io il re del di lei regno.
E questo era il cuore del piano di Zaron. Se gli issiani si fossero inchinati davanti alla loro legittima regina, non avrebbero mai avuto ragione di ribellarsi anzi, avrebbero lavorato e prodotto tutto quello che il suo impero abbisognava perché sarebbe stato anche l’impero della loro sovrana. E quando fosse giunto un figlio quello sarebbe stato il legittimo erede di Rakon e di Issa e allora le due corone, i due popoli, sarebbero davvero diventati una cosa sola. E tutto quello che Issa era e rappresentava sarebbe stato suo, non per diritto di conquista, ma di sangue. Gli era sembrata una visione semplice da realizzare, ma ora Aborn faceva resistenza.
- No, non ti darò mia figlia. Non puoi sposarla.
Non poteva?
- Perché non posso? È forse già sposata?
L’uomo più anziano lo guardò sorpreso, come se la risposta fosse così ovvia che l’ignoranza di Zaron lo lasciasse senza parole. Poi una luce scaltra sembrò accendersi nei suoi occhi.
- Tu non hai idea…
Sembrò rilassarsi per la prima volta da quando aveva udito la sua richiesta di matrimonio.
- Come ho detto prima mia figlia non è un oggetto da barattare. È una persona, e io non le imporrei mai un matrimonio senza avere prima il suo consenso. Se riesci a convincerla a sposarti, se dopo averla vista vorrai ancora sposarla, io non mi opporrò.
Alle spalle di Aborn un ragazzo, non poteva avere più di venticinque anni, sembrò talmente interdetto dalle parole del suo signore che si chinò sulla sedia per conferire a bassa voce con lui, ma Aborn lo zittì con un gesto della mano. Zaron lo guardò con interesse: aveva un viso dai lineamenti regolari e delicati, capelli castano chiaro che gli coprivano le orecchie e occhi blu come la maggior parte degli issiani e da come si muoveva il ragazzo sembrava avere un addestramento militare, l’armatura e la spada che portava al fianco sembrava fossero state usate e non meri elementi decorativi come quelli del suo re. Era giovane, di bell’aspetto e aveva la confidenza del suo sovrano; Zaron pensò che probabilmente Aborn lo aveva considerato come un possibile genero vista la reazione del ragazzo.
Le parole di Aborn non promettevano bene: se avesse voluto ancora sposarla dopo averla vista? Era così brutta? Non aveva importanza, anche se fosse stata guercia e gobba l’avrebbe sposata lo stesso. Se il suo aspetto fosse stato davvero così repellente si sarebbe ingegnato per trovare una soluzione: magari avrebbe tenuto completamente buia la camera da letto. Dopotutto da lei doveva avere solo un figlio, poi avrebbe potuto spostare altrove le sue attenzioni, non aveva cinque concubine per niente. Magari, una volta compiuto il dovere coniugale, avrebbero potuto parlare e diventare almeno amici. Zaron aveva accarezzato la segreta speranza di trovare, negli anni, nella principessa una compagna con cui confidarsi e parlare. Adesso cominciava a temere che la sua compagnia fosse repellente dato che persino suo padre era convinto che conoscendola avrebbe cambiato idea.
- Mi sembra accettabile, Aborn.
Con una mano fece cenno verso la porta, alzandosi.
- Conducimi quindi da lei.
L’issiano si alzò lentamente, incerto.
- Adesso sire?
Zaron rinfoderò la spada e riprese in mano il cerchio in platino che aveva rappresentato la carica dell’altro.
- Adesso. Perché attendere?
Detto questo uscì, spalancando le porte della sala. Ne era entrato come conquistatore e ora ne usciva come proprietario dell’intero palazzo.

 
  
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